La vita dalla porta principale
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Alla fine della bella passeggiata, prima di salutare Luisa, le fece uno squillo sul cellulare per memorizzare il numero. Fu un saluto impacciato, timido, una stretta di mano, poi la magia, liberata dall'incrocio degli sguardi, una carezza, un bacio sulla guancia, il respiro via via più affannoso, il tremore delle labbra, fermato da un bacio, un sapore mai dimenticato. L'umido delle labbra spinse Antonio in un viaggio interiore alla ricerca dell'identità perduta. Doveva riportare indietro le lancette del tempo, capire le ragioni del suo precipitare, una caduta senza freni fino a toccare il fondo. Il pensiero ossessivo occupò la mente, chiuse gli occhi, inspirò profondamente cercando di portare l'aria nei punti più remoti dove si annidano i ricordi. Trattenne il respiro, iniziò a camminarsi dentro, alla ricerca d'immagini del passato. Profumi, colori e piaceri, fotogrammi sbiaditi da ordinare per rimettere in piedi la vita! Una vita vissuta con la leggerezza dell'amore, senza lesinare emozioni, passione, energia. L'amore per Napoli, l'arte, il cibo, le donne. La città, l'ha accolto tra le braccia, fatto crescere, avere successo e poi ferito. La bellezza dell'arte respirata a ogni angolo di Napoli dove puoi trovare un Caravaggio addereto ô vico. L'allegria del cibo, i colori, i sapori accompagnati da un buon vino. Le donne, compagne del cammino, protagoniste mai banali. Amanti, amiche con cui condividere segreti ed emozioni, complici nel tenere aperta la porta della vita. Antonio
Anche se si alzava presto ad Antonio piaceva iniziare la giornata quando il sole era alto. Dondolandosi nella sua andatura, in balia del vento di via Calabritto, chiuso in un cappotto di lana blu e sciarpa in tinta, si apprestava a prendere posto ai tavolini all'aperto del caffè nel cuore della città. Le undici di mattina, per lui, l'inizio di un nuovo giorno. Con il sole a riscaldargli il viso, si godeva il caffè dando uno sguardo ai giornali e al mondo che lo circondava in un mite dicembre di fine anni '80. Belle donne in pelliccia che nemmeno a Cortina, imprenditori edili eleganti dal passato da capomastro arricchiti con il post terremoto. Politici astuti, faccendieri, finanzieri, giornalisti, il mendicante storico della piazza, l'unico cui l'ubriacatura degli anni '80 non era riuscita a rubargli l'anima e il parcheggiatore abusivo con il bomber firmato. Questo circo allietava il suo risveglio. Antonio conosceva un po' tutti e di quelli che non sapeva, si faceva raccontare dai camerieri, sodali con lui come il sole con il mare, pronti a dargli luce. Era amico del mendicante, dei camerieri, un sorriso alle signore e una carezza alle puttane. Amava la vita, gli piaceva incrociarne i sorrisi. Godeva in leggerezza il successo, consulente di marketing e pubbliche relazioni, un buon portafoglio clienti. Una professione "inventata" nel periodo giusto, gli anni '80, quelli dell'edonismo sfrenato, l'apparire, la cura dell'immagine. Per molte aziende avere un consulente di marketing era una un mezzo pubblicitario, qualcosa da esibire. Antonio, coniugava l'esigenza reale dell'azienda con le attese del proprietario, guadagnava e spendeva bene. Il suo amico Ferd, spesso gli ripeteva questa frase: «Tu sei uno che deve guadagnare, perché sai spendere...» Antonio sorrideva, un po'ci credeva; Ferd aveva le mani bucate ma era un amico sincero. Le mattine scorrevano veloce al bar, tra saluti e appuntamenti di lavoro. Al primo incontro con un cliente ad Antonio, piaceva circondarsi di bello, far pesare la sua "immagine". Il conoscere, dispensare abbracci e sorrisi, era il suo biglietto da visita, migliore di qualsiasi brochure di presentazione. Antonio si presentava nel suo mondo, affascinava. Affascinava e restava prigioniero di questo " fascino", si compiaceva tanto, da non vedersi mai ferito. Amico di tutti, disponibile, pronto a dare una mano, convinto che “ bisogna dividere una parte della fortuna che la vita ti riserva..." Questa filosofia di vita lo rendeva felice. La vita trascorreva tra mattine al bar, pomeriggi allo studio e poi la sera abbandonato tra le braccia di Partenope, la sua città di cui conosce le pietre, la storia.
La festa a Posillipo
Quella volta Antonio non poteva dirgli di no. Da due mesi, grazie alla segnalazione di uno stimato fiscalista napoletano era diventato il consulente marketing del signor Prisco, un imprenditore di origini vesuviane impegnato nel settore tessile e abbigliamento. Gestiva diversi marchi pronto moda di abbigliamento femminile, un marchio di camiceria e abbigliamento uomo. Tutto senza programmazione, solo il fiuto per gli affari. Comprava rimanenze di tessuti e stoffe nelle fabbriche del centro nord, scopiazzava modelli di marchi famosi affidando il taglio e la confezione a decine di fasonisti. Aveva una distribuzione capillare in tutto il Paese, i capi con qualche difetto di confezione o di tessuto l'affidava ai mercatari, quasi tutto in nero, senza resi né grandi spese. Per fare il grande salto aveva comprato una villa a Posillipo, frequentava locali e circoli esclusivi della città, organizzava feste per accreditarsi nel mondo che conta, invitando politici, professionisti, belle donne. Quella sera tra gli invitati c'erano un senatore della D.C., un viceministro socialista e un noto imprenditore tessile brianzolo. Antonio, doveva esserci, non poteva mancare, doveva frenare l'irruenza e colmare le lacune del suo cliente. Il giovane professionista aveva cura dei particolari, attento a ogni dettaglio, non poteva lasciare il suo cliente a gestire da solo quella serata. Per l'occasione scelse un abito grigio scuro, giacca a tre bottoni, camicia bianca collo alto sbottonato senza cravatta, scarpe old england testa di moro, cintura in tinta, calzini grigi con righe blu. La villa era immersa nel verde, due piani con un giardino terrazzato ben curato, a piano terra un grande salone, due salottini, uno studio, tre bagni e la cucina, al primo piano tre stanze da letto con bagno interno e la camera padronale. Il salone era arredato con cura, cuscini colorati, divani monocromatici, un piano mezza coda. Alle pareti quadri di stoffe e tessuti, l'architetto aveva scelto una linea semplice, un gioco di contrasti con la personalità chiassosa del padrone di casa. Il signor Prisco per la serata decise di riportare in attività il pianoforte, ingaggiando un giovane musicista. Le note di canzoni intramontabili, jazz e repertorio classico napoletano facevano da colonna sonora al via vai degli invitati dai divani al tavolo da buffet ricco e ben preparato, affidato alla sapienza di una nota pasticceria del centro. Il giardino con le luci soffuse e le alte mura di siepe disegnate da un giardiniere ruffiano, era un invito per i più audaci in cerca di intimità tra le stelle e il rumore del mare.
Il cavalier Fontana, noto industriale tessile, sfogliava con cura e curiosità un antico libro sulla storia dei telai di San Leucio, continuando a gustare la bontà delle mozzarelle e le frittelle di alghe. La sua attenzione però era distratta dal fondoschiena di Rosanna, una bella mora, rappresentante di una casa vinicola produttrice di prosecco. Prisco le aveva commissionato una fornitura annuale pur di averla tra gli invitati alla festa. La ragazza sapeva usare molto bene il suo bel corpo, un telaio da formula uno cui non mancava il motore. Sveglia e intelligente, studi umanistici, buona posizione sociale, sapeva sorridere e ringhiare, una donna in carriera. Posò lo sguardo sul faccione di Fontana e passò all'attacco sfoderando un bel sorriso. «Buonasera. Rosanna Malafronte, piacere» disse porgendo la mano. Il cavaliere, colto di sorpresa, rispose con un formale. «Piacere, Sergio Fontana.» «Benvenuto a Napoli...» rilanciò lei, lasciandosi andare in uno slancio di ospitalità partenopea. «È una bellissima città, piena di storia, di luce e di allegria...» replicò l'imprenditore. «E di buon cibo. Ha assaggiato il mio prosecco?» sottolineò la donna. «Ottimo, lo produce lei?» Vinto l'imbarazzo iniziale, l'industriale ci stava provando e Rosanna lanciò l'amo «Lo rappresento senza limiti territoriali.» La bella mora cercò di tirare su la preda, ma quello che aveva davanti non era 'nu pesce ‘e cannuncia. L'imprenditore, continuò con eleganza a elogiare la bontà delle frittelle e i cuoppi di frittura appena usciti dalla cucina. I due proseguirono la discussione, tra un trionfo di calamaretti, fravaglielli e calici di prosecco. La donna sfoggiò le armi in suo possesso; la seduzione delle parole, accompagnata dalla sinuosità del corpo, scalfì le difese dell'imprenditore. L'uomo aveva caldo, la frittura, il prosecco e la vicinanza di quella bella donna stavano minando la sua sicurezza. Pensò di giocare d'anticipo, prese sotto braccio Rosanna invitandola a fare una passeggiata «Che ne dice di fare due passi in giardino?» Lei accettò, lasciandosi guidare. « Due passi all'aria aperta, è un invito che non si può rifiutare.» Accompagnando con una smorfia di sorriso la torsione del corpo, mentre poggiava il suo calice sul vassoio. I due s'incamminarono lungo sentieri delineati dalle siepi, invasi dall'odore del mare. Decantando con voce emozionante e fare sapiente le bellezze di Posillipo, la leggenda di Partenope e i segreti dell'uovo di Virgilio, la donna ebbe la percezione di aver imbrigliato la preda nelle maglie della rete, ora non rimaneva che friggerlo a fuoco lento. Nel salone la festa continuava, i complimenti degli ospiti aumentavano l'autostima del padrone di casa. Prisco dispensava sorrisi e strette di mano tenendo sotto braccio gli invitati “vip” come fossero una golden card, l'accredito nel mondo che conta. Il viceministro socialista, grazie anche all'effetto delle bollicine di prosecco, ruppe gli indugi, si avvicinò al pianista, concordò la tonalità e attaccò My way, il suo cavallo di battaglia. La voce calda, il fisico adatto a coprire la scena, la gestualità con cui accompagnava l'esibizione tradiva un passato giovanile di esibizioni in nightclub. Da giovane aveva fatto la gavetta, conosciuto, palcoscenici polverosi, si era esibito tra nuvole di fumo, puzzo di alcool, uomini e donne di malaffare, incrociando umanità diverse. Quel mondo era stato una palestra di vita, la scuola, dove aveva appreso gli insegnamenti più importanti. In politica era partito dal basso: consigliere comunale a Napoli, aveva seguito l'onda craxiana, differenziandosi con un suo piccolo gruppo, perché in politica “meglio essere capa d'alice ca coda 'e cefalo“. Si esibì per una buona mezz'ora, pescando nel repertorio di Bruno Martino, Umberto Bindi, Jacques Brel. Antonio conosceva l'onorevole, ne apprezzava la riservatezza, i toni pacati e la sincera disponibilità. Si avvicinò complimentandosi. «Onorevole, stasera è in forma smagliante!» «È tutto merito del pianista. Sono io invece che mi devo complimentare, ho saputo che Prisco si è affidato alla tua bravura per il rilancio dell'impresa», rispose il politico con sorriso sornione. Nel mondo delle professioni le gratificazioni sono merce rara, eppure Antonio non mostrò compiacimento. «Grazie, è una bella avventura, ci sono numeri, capacità e spazio nel mercato che ho intenzione di aggredire.» «Bene, mi fa piacere. Facciamo crescere questi imprenditori. Quando sei pronto con il progetto, ci vediamo, magari posso essere d'aiuto.» «Un aiuto serve sempre. Adesso divertiamoci, vogliamo deludere il padrone di casa?» «Non sia mai detto!» Così dicendo, l'onorevole affondò i denti in dei soffici ripieni di ricotta e salame, specialità della frittura napoletana. Rosanna e il Cavaliere non erano i soli a godersi la frescura del giardino, anche il senatore aveva approfittato della bella serata per andare a gustarsi il suo sigaro e approfondire la conoscenza di Patrizia, una donna napoletana per anni vissuta negli States, da oltreoceano aveva importato stile, tinture originali e l'abbigliamento deciso. Due mondi apparentemente distanti, uniti dall'ostentazione della propria forza. Poli opposti, vogliosi di primeggiare nel gioco pericoloso della sopraffazione. L'uomo, abituato alla parola, iniziò la conversazione cercando di scandagliare nei segreti della giovane donna. «Cosa l'ha spinta a ritornare a Napoli?» Come se fosse stata punta, Patrizia rispose piccata «È la mia città, la amo e la voglio cambiare.» Il senatore spense l'entusiasmo usando parole di saggezza. «Interessante e bello ma la realtà è dura. I cambiamenti hanno bisogno di tempo!» La donna rispose rimarcando il divario generazionale «Sono ancora giovane, voglio viverli i sogni.» L'uomo sorrise amaro. Misurare l'età con i numeri dell'anagrafe è un concetto limitato. La giovinezza è voglia di vivere, idee, impegno rivolto al futuro. La voglia di lottare, di non sottrarsi alla mischia. Resasi conto della gaffe Patrizia cercò di rimediare «Mi scusi, non c'era nulla di personale.» Il senatore per nulla turbato, replicò. «L'età è nei segni che abbiamo addosso, non si può nascondere. Importante è non cadere nell'illusione dell'eterna giovinezza. Occorre saper vincere la depressione della vecchiaia. Bisogna essere presenti nei processi di cambiamento, indirizzarli, per poterli vivere.» Illuminati dalla luce della luna, gli occhi di lei sorrisero. La donna era catturata dalla forza di quelle parole, dalla voglia di un uomo maturo di disegnare il futuro. Le sembrava di stare al cospetto di un vecchio albero che continuava a dare frutti, nonostante le ferite del tempo. «Lei mi sorprende, ha una voglia di vivere difficilmente riscontrabile perfino in un giovane.» L'uomo rispose focalizzando un aspetto importante della vita «I giovani hanno gran parte della strada davanti, io ne ho percorso tanta. L'ho fatto senza correre, fermandomi ad assaporare il gusto della vita.» Patrizia attratta, confusa percepiva l' autorevolezza e la serenità dell'uomo capace di scardinare con le parole le sue certezze, per la prima volta si sentiva nuda. La sua corazza stava cedendo tentò una replica. «Averlo il tempo per fermarsi, sentire i profumi...» «Basta non fuggire, quando si ha l'occasione...» gli sentì dire e poi la bocca le sfiorò il viso. Non indietreggiò, poggiando con complice assenso, le sue labbra su quelle dell'uomo. Scesero lungo i terrazzamenti verso la rupe, tenendosi per mano. Trovarono riparo dietro una casetta di legno, il deposito degli attrezzi del giardiniere. In quell'atmosfera magica liberarono le proprie emozioni, assaporando il profumo della passione. Il senatore era un attento amante, le mani percorrevano il corpo, lente come un fiume che scorre calmo lungo gli argini prima di liberare a mare l'energia. Fu generoso di attenzioni. I seni, il fondoschiena, il frutto del desiderio, ogni parte del corpo della giovane donna era attraversata dal piacere, fino a liberare un lungo amplesso. In quello stesso terrazzo, complice la veduta incantevole del golfo, Rosanna continuava il gioco della seduzione. Il suo corpo liberava nell'aria il profumo inconfondibile di Musk di Bruno Acampora, inebriando le narici del cavaliere brianzolo, amplificando il desiderio erotico. La bella mora si apriva e chiudeva con la stessa grazia della fisarmonica di Piazzolla, fino a concedergli un sospirato bacio, un pegno in vista di un futuro incontro. «Non affrettiamo i tempi, godiamoci la bellezza di questo primo incontro.» Il cavaliere, ansioso, cercò di accorciare l'attesa «Io domani parto, potresti raggiungermi in albergo.» Lei lo congedò, con la promessa di un futuro incontro a Milano. Nel biglietto da visita, trovò la conferma di aver preso all'amo un bel pesce Cav. Sergio Fontana amministratore Fontana Tessuti Spa. La festa volgeva al termine, alcuni invitati erano andati via. Il senatore salutò l'ospite complimentandosi per la serata, dando appuntamento a Roma a Patrizia, il viceministro prima di andar via, rinnovò ad Antonio la disponibilità per una collaborazione. Il cavaliere, ancora sotto gli effetti ammaliatori di Rosanna, presi accordi per il nuovo campionario, rientrò in albergo. Aveva addosso ancora il profumo di Rosanna, tra le mani un desiderio non soddisfatto e la consapevolezza di una notte in bianco. Dopo una doccia veloce, si arrotolò tra le lenzuola rincorrendo il suo sogno erotico. Intanto in villa, il furgone del catering portava via calici, stoviglie e l'attrezzatura da cucina. Il padrone di casa salutò i camerieri consegnando loro una busta con del denaro. «Questi sono per voi, siete stati bravi. Grazie!» «Grazie a voi dottò, quando volete per qualsiasi occasione, noi siamo sempre a disposizione.» A Napoli per essere “dottò“ non occorre la laurea, basta possedere una macchina da affidare a un parcheggiatore abusivo o elargire una mancia al cameriere. Era tardi, circa le due di notte ma una quindicina di invitati erano decisi a intrattenersi ancora. Alcuni fumavano nervosamente, tenendo lo sguardo fisso verso l'entrata. Antonio aveva voglia di tornare a casa, la notte non lo affascinava, la vedeva artificiale come le luci abbaglianti di una discoteca. Non capiva l'utilità di tirare a far mattina fumando, dando l'ultimo assalto alle bottiglie e a qualche pezzo di rosticceria freddo dopo aver trascorso una bella serata. Continuava a chiedersi perché quelle persone fossero rimaste ancora lì, perché fissavano con insistenza l'entrata, cosa e chi stavano aspettando. Pochi minuti ed ebbe la risposta ai suoi interrogativi. Un biondino, avvocato di buona famiglia, che si era fatto notare fino a quel momento solo per le bottiglie scolate, ritrovò la parola e con un grido isterico annunciò: «C'è Paolo, finalmente!» Dalla felicità che si leggeva negli occhi dei presenti, doveva essere un ospite importante, uno per cui era valsa la pena aspettare fino a quell'ora. Il nuovo ospite, con aria scanzonata, si scusò per il ritardo, lamentando un eccessivo controllo del territorio. «Scusate, ma stasera non è stato facile raggiungervi sembra che sia successo qualcosa, sulla Riviera c'è un via vai di polizia e carabinieri.» «Mica sei venuto senza?» L'avvocato come indiavolato, lo assalì verbalmente. Quello, rispose con un sorrisetto ironico e sguardo di sfida, «Avvoca', mo' offendete, io non manco mai alla parola data.» Dopo questa replica, al biondino si abbassarono i decibel «Scusa scusa, lo so, sei il più bravo.» Antonio non aveva gran memoria per i nomi, ma non dimenticava un viso. Era certo di averlo già visto, doveva ricordare dove e con chi. Quando vide che gli davano soldi in cambio di un pacchetto, improvvisamente gli tornò in mente un pomeriggio a Piazza dei Martiri. La scena identica ma a dargli i soldi quella volta era stato il parcheggiatore abusivo, giurando che non era per lui ma per un'amica da tenere lontana da questi individui. Collegò il tutto e capì. Quello che stava accadendo non gli piaceva, schifava la droga, non era incuriosito, ne eccitato da un finale fatto di alcool, droga e forse sesso. Aveva bisogno di prendere aria. Fece due passi in giardino, inalando il profumo intenso delle siepi, sprigionato dall'umidità della notte. Rigenerato dalla frescura tornò nel salone deciso a salutare la compagnia.
Nella villa c'era aria di eccitazione, l'adrenalina accumulata nell'attesa si stava liberando. Antonio prese in disparte il padrone di casa, gli disse di volere abbandonare la festa. «Signor Prisco, chiamo un taxi, vado via.» Quello rispose sorpreso. «Ma come? Adesso che ci divertiamo vai via?» Il giovane professionista, ribadì la decisione presa «Si, non vedo dove sia il divertimento! Ricorrere alla coca per vincere dei freni inibitori o forse per darsi un alibi non è il mio modo di fare.» Gli fu rinnovato l'invito. «Dai, lo sai, queste cose poi finiscono con delle grandi ammucchiate.» Scuotendo a testa, sorrise a quell'affermazione. Lui amava la libertà, gli piaceva condividerne il piacere, non aveva inibizioni ma non sopportava la finzione. Andava nudo all'incontro con la bellezza della vita, senza maschere e inutili orpelli per goderne la piena intensità. Prigioniero dell'eccitazione e ansioso di dare il via al “baccanale finale” il padrone di casa riformulò l'invito a restare, senza riuscire a farlo recedere. Lo accompagnò in giardino, lontano da occhi indiscreti, riscoprendo nel silenzio della notte la bellezza della natura, l'odore di muffa della terra, cose dimenticate, sostituite con piaceri artificiali, attestati di stima comprati e l'amicizia degli estranei. Preso a schiaffi dalla fresca brezza marina, l'imprenditore avvertì un senso di vuoto, di solitudine. Come un naufrago alla deriva, in balia delle onde su una barca che non riesce più a governare, sedendosi su una panca implorò l'aiuto di Antonio «Sei l'unica persona amica, non lasciarmi solo.» Negli occhi stanchi dell'imprenditore si leggeva un senso di smarrimento, nel respiro greve, l'ansia di non farcela. Colpito da quella richiesta così esplicita Antonio gli tese una mano aiutandolo ad alzarsi, poi, indicando un divano nel salone accettò. «Va bene, resto. Starò li, sul divano.» Prisco non trovò parole per ringraziarlo, solo un abbraccio forte come a voler sigillare la ritrovata armonia. Nel salone gli invitati si preparavano al rito, il mezza coda ospitava lunghi e sottili binari bianchi pronti a essere inalati da avide narici. Un ultimo brindisi di prosecco e via alle danze. Tutto era già stabilito, aspettavano l'alibi per dare il via a quest'ammasso di corpi, scambi di ruoli e di partner. Qualcuno con fare felino si avvicinò ad Antonio che con gentilezza, declinò l'invito. «No grazie, vado a dormire.» Salì al piano di sopra, chiuse a chiave la porta della camera, lasciando fuori un mondo che non gli piaceva. La mattina si svegliò presto scese giù in salone, c'erano corpi sfatti, stanchi, abbandonati tra cuscini e divani. Il trucco, il rimmel e la matita rigavano di nero il viso delle donne, nero come l'epilogo della serata. Non si perse d'animo, andò in cucina, cercò delle moka nella dispensa e preparò del caffè forte e amaro. Lasciò tutto sul tavolo nel salone. In attesa del taxi decise di godersi la bellezza del giardino e il profumo del mattino, dal salone lo raggiunse una protagonista della nottata. La donna tonificata dalla brezza mattutina, vedendolo lo salutò cercando di celare i fasti della nottata. «Che stanchezza, che nottata, non ricordo nulla.» Prima di salire nell'auto la guardò, mise a fuoco l'immagine e andandosene la salutò. «Buongiorno cara, non ti preoccupare per ieri sera, sei stata fantastica! Fin quando il sonno non mi ha vinto, ricordo bene: hai deliziato un paio di amici, il collega di tuo marito e non hai disdegnato l'attenzione di una moretta. Complimenti, un vero peccato che tu non ricordi nulla!»
Enzo Ciniglio
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