Gabriella Pacchetti, nel laboratorio dell'archeologo prof. Aldo Ascani, lo aspettava già più di un quarto d'ora con un'espressione divertita. «Ma cosa aspetta ad arrivare.» disse, guardando fuori dalla finestra. Era giugno e il cielo di Milano in quel periodo dell'anno sembrava uno specchio, libero dalla solita nebbia e dalle nuvole. Il grigiore dell'inverno aveva dato posto alla bella stagione, togliendo finalmente, i pesanti cappotti, berretti, sciarpe e guanti per indossare i leggeri vestitini e consoni alla stagione bella e calda. Era una città splendente e la Madonnina dorata sul duomo, la dominava. Si accomodò su un divano di pelle rossa. Prese dal tavolino una copia del giornale e la sfogliò. Dopo dieci minuti richiuse il giornale, si alzò e fece un mezzo giro alla scrivania e si soffermò a guardare delle cornici che ritraevano foto di famiglia e momenti di lavoro di Aldo. «Gabriella, mia cara!» sentì dirsi. Di colpo alzò lo sguardo e l'osservò seccata dando un'occhiata all'orologio. «Be', sei un po' in ritardo. Mai una volta che tu sei in orario.» gli fece notare lei. Aldo chiuse la porta dietro di sé, posò la sua cartelletta grigia sulla scrivania piena di carte e, tutto affannato, si lasciò andare contro lo schienale della sedia girevole. Infilò un dito nel colletto della camicia e allentò il nodo della cravatta grigio perla. «Sei già stanco di mattina?» chiese lei, mentre prendeva posto a sedere sulla sedia di fronte a lui e iniziò a tamburellare con le dita sul piano in noce della scrivania. «Ho fatto tutto di fretta per arrivare in orario, ma il traffico in questa città è tanto.» si scusò lui. «Bene. Ora veniamo al dunque. Perché mi hai convocato questa mattina, sapendo che ho lezione all'università?» chiese lei, mentre lui apriva la posta con un tagliacarte di bronzo. Aldo alzò gli occhi da alcuni documenti che stava sistemando, si tolse la sigaretta dalla bocca e la schiacciò nel posacenere e unì le mani posandoli sulla pancia. «Ho parlato al telefono con il mio amico l'archeologo Edoardo Sorrento, che gestisce un centro archeologico e un museo di dieci sale ad Agrigento. Mi ha detto di aver bisogno di un archeologo per dare inizio a degli scavi vicino al Tempio della dea Giunone. Pensa che sotto terra ci sia qualcosa di valore. Io ho fatto il tuo nome. Se ti fa piacere, quel posto è tuo.» le annunciò, asciugandosi la fronte di sudore con un fazzoletto di carta. «Agrigento!» esclamò lei. «Che cosa c'è che non va in Agrigento? Il clima è stupendo, i paesaggi sono meravigliosi, una vegetazione rigogliosa e un ottimo centro archeologico anche marino per approfondire ogni ricerca.» disse quasi seccato. Poi, rise e proseguì nel suo racconto. «Ho l'impressione che non ti interessi.» Era un'esperta di reperti antichi ed era frequente che richiedessero una sua consulenza, perciò la cosa non la sorprese più di tanto. Lasciò trascorrere qualche minuto, lasciandolo in attesa. «In quella valle non sarà rimasto più niente, è stata già abbastanza messa a soqquadro da tanti archeologi in passato. Saranno rimasti solo polvere e sassi e poi, senza fare un colloquio di lavoro?» «Non ce n'è bisogno di colloquio, come ti ho già detto, Edoardo ha già la mia fiducia sulla tua persona e sulla tua professionalità. Vai e vedrai tu stessa cosa c'è da rinvenire. Verrai pagata profumatamente.» riprese appoggiato allo schienale della sedia. «Capisco il desiderio del rinvenire oggetti preziosi, ma io qui ho la mia cattedra, ho i miei studenti. No, non posso assolutamente accettare.» disse declinando l'invito. «Ormai l'anno accademico sta per terminare. Hai tutto il tempo per questo nuovo lavoro. Ho pagato già il mio prezzo per avere...» ma s'interruppe mordendosi il labbro inferiore. «In che senso?¬» Lui non rispose e calò il silenzio. Da vera professionista, accettò la proposta di lavoro. «Vediamo cosa salta fuori!» esclamò con un sorriso. «Sei una brava archeologa greca e romana. Non dimenticarlo mai, Gabriella!» affermò lui. «Questo lo so di già.» aggiunse sorridendo. «Mi è sempre piaciuta l'idea di lavorare in uno scavo, ma non pensavo così presto.» disse mentre con il sorriso le comparvero due fossette sulle guance. «Sapevo che avresti accettato, non avevo dubbi. Sarà mio interesse farti avere il biglietto aereo per il viaggio. Partirai lunedì pomeriggio e alloggerai nella casa di Edoardo e di sua moglie Camilla.» aggiunse, guardando per qualche secondo le sue curve sinuose. La donna si accorse della sua occhiata e rispose scherzando: «Lo so che sono una bella donna, un sorriso splendente, due occhi marroni, due gambe lunghe e snelle» Il professore si alzò e si avvicinò al mobile bar imbarazzato. «Posso offrirti da bere?» le chiese. «No, grazie!» rispose. Non era abituata a bere liquori al mattino. Aldo le sorrise, mise dei cubetti di ghiaccio nel bicchiere e si versò un cognac. Ruotò il liquore nel bicchiere, lo avvicinò al naso per annusare il profumo forte e bevve qualche sorso. Poi squillò il telefono e le fece capire che aveva molto da fare. Gabriella lo salutò e uscì dalla stanza. Doveva allungare il passo per non arrivare in ritardo, la stavano aspettando nell'aula magna. Era una docente di archeologia, storia e arte antica. I suoi studenti l'ascoltavano con attenzione e a lei piaceva stare con loro. Aveva davanti a sé un futuro prosperoso.
Aveva lasciato Cinisello Balsamo dove viveva con i suoi genitori e con il loro consenso si era trasferita per completare gli studi a Milano. Dopo un mese si era resa conto che per lei la città era caotica e così, girando per i vari paesi limitrofi, si innamorò di Rosate e infine, con i soldi ricevuti da una zia, acquistò una parte di una carinissima villetta a schiera ad angolo e passava il suo tempo libero a fare giardinaggio. Faceva la pendolare andando e tornando in giornata. Alle volte prendeva la macchina o con i mezzi pubblici che collegavano il paese con la grande città. Poco prima delle sedici, dopo aver terminato la sua lezione, salutò i suoi studenti e augurò buona vacanza. Poi uscì dall'aula e s'incontrò con i suoi colleghi, informandoli che quella sarebbe stata la sua ultima giornata come insegnante universitario e poi si avviò al parcheggio per recuperare la sua auto. Subito dopo, lasciò Milano, per far ritorno nella sua bella casa. I bagliori caldi del cielo si riflettevano sulle macchine parcheggiate o imbottigliate nel traffico. Non vedeva il momento di rilassarsi. Il semaforo era rosso e il verde sembrava che non scattasse mai. C'era poca gente in giro e un cane rovistava tra la spazzatura di un cestino stracolmo di cartoni sporchi di pizza, scodinzolando alla ricerca di un avanzo di cibo. Incontrò dei ragazzini con le loro biciclette che si dirigevano nella stradina che conduceva alla cascina vicina. Nella fontanella dei giardinetti l'acqua ticchettava poco alla volta. Altri ragazzini stavano prendendo le loro biciclette dalla rastrelliera per tornare a casa, dopo aver trascorso la giornata a giocare. Scattò finalmente il verde e riprese il suo cammino. Parcheggiò la sua auto nel garage, spense il motore, tolse le chiavi e andò a controllare la cassetta della posta ritirando delle bollette da pagare. Adorava tornare a casa dopo il lavoro, soprattutto in estate, per ritrovare il benessere della campagna, il canto degli uccelli e il rumore dei trattori nei campi che si estendevano all'infinito. Spalancò la finestra del salotto per lasciar entrare un po' d'aria. Ogni volta era un vero piacere vedere la casa del mulino affiancata da un canale che scorreva lento. Nel cortile si sentivano le galline e le oche mentre andavano incontro al mugnaio che portava da mangiare Salutò la sua vicina che stava richiamando a gran voce Zorro, il suo cane nero, che non voleva sapere di tornare in casa. Dieci minuti dopo, entrò in doccia, rilassandosi sotto il getto dell'acqua tiepida. Poi, si avvicinò all'armadio e tirò fuori un vestitino leggero color pesca. A malincuore, pensò ai genitori, ma si sentivano tutti i giorni. Li aveva lasciati da cinque anni per trasferirsi a Rosate. In cucina, stava trafficando picchiettando il guscio di due uova tra loro per fare una frittata. Le cosparse sul pentolino, aggiunse un po' di sale, formaggio, prosciutto e una volta cotta è girata, la mise nel piatto. Portò tutto sul terrazzino e, seduta, affondò la forchetta e iniziò a mangiare. Dopo cena, si sedette sulla poltrona del salottino e iniziò a leggere in cerca il giornale con le notizie della mattina. Un trafiletto la rimandò alla cronaca rosa, dove l'evento del secolo con foto di cerimonia la colse di sorpresa. Rovesciò la tazzina del caffè sul pavimento. D'impulso cercò di strappare la pagina, ma si trattenne. «L'attrice newyorkese Sophie Stone e l'archeologo Tommaso Parker si sono sposati nel duomo di Agrigento. Che bella coppia.» dovette ammettere, mentre leggeva ad alta voce con una smorfia. I suoi capelli rossi ondeggiavano mossi dalla brezza che entrava dalla finestra. «Però! Che fiaba romantica commovente. La ricca e il povero. Se fossi una scrittrice potrei scriverci un libro, ma...» si interruppe, mentre spostava gli occhi da una foto all'altra. Chiuse la rivista, stringendola come se volesse stritolarla. La posò sul bracciolo della poltrona. Il primo impulso fu di telefonare a Tommaso per congratularsi, ma poi ci ripensò, non era il caso. Quell'uomo l'aveva stregata ed era nata una bella amicizia tra loro, che poi sfociata in una relazione e finita nel nulla. «No, non merita nessun augurio.» disse, freddamente. Quell'uomo le era diventato odioso. Si sa che quando l'amore andava in rovina lasciava una grande crepa e lei non aveva più voluto accanto nessun uomo. In quell'istante, il telefono squillò. Era Giulio, un suo caro amico che le chiese come mai non si fosse presentata a casa sua a festeggiare il suo compleanno. «Scusami.» Si era completamente dimenticata. «Non ti sei più ricordata del mio compleanno?» domandò lui. «Già. Perdonami!» si scusò per la figuraccia. «Puoi sempre raggiungerci.» «Che ora sono?» «Sono le nove. Vieni dai. Poi andiamo in discoteca a divertirci.»
Anna Vascella
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