Cremisi, il veleno della Dionaea
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La bise è un vento freddo, vigoroso, spesso persistente, che soffia dalle montagne alpine verso la Svizzera e la Francia orientale. Quell'anno le sue raffiche sferzavano vigorose le acque del Lago Lemano e le goccioline nebulizzate si depositavano sulla vegetazione circostante, coprendola con un leggero strato di ghiaccio. Ginevra era stretta nella morsa del gelo, ammantata di quel candido velo che ricopriva ogni cosa, lasciando che gli occhi si cullassero nel vuoto infinito. Ero passata altre volte per Coppet, quando percorrevo quel pezzo di strada costiera che collega Ginevra a Nyon, ma non mi ero mai soffermata a visitare il castello, più noto per l'ottocentesca polemica di Madame de Stael, che per la nuova ammaliante proprietaria, artefice di una grossa donazione atta a rimpinguare le casse del comune pur di entrare in possesso del celebre stabile. A quei tempi, Annalisa Necker era una donna in carriera, giovane vedova dell'anziano barone Gustav Holstein, ufficialmente deceduto per un infarto. In paese tutti conoscevano invece la verità sulla sua poco gloriosa fine, e d'altronde era nota l'efferata consuetudine con cui si concedeva agli stravizi, a partire dal buon vino sino ad arrivare agli eccessi di ogni dissolutezza e virtù. Di lui si soleva ricordare l'alta statura e quel principio di gobba che il passare degli anni aveva acuito; eppure le sue fattezze non avevano inciso sulla decisione dell'affascinante sposa, pronta a rifiutare le sapienti attenzioni dei giovanotti parigini per quest'uomo dalla storia misteriosa e dall'aspetto austero. «Il denaro...» si disse «fa fiorire lo sterco di cavallo e mette le ali persino agli uccelli che faticano ad alzare il capo.» riferendosi ai settant'anni del barone e del suo nobile, ma anziano peduncolo, che veniva puntualmente dipinto sui muri del paese con un alone dello stesso colore del Viagra. E poi: «Se la bella Annalisa sperava di passare le notti in bianco, ha sbagliato a scegliere il consorte.» ricordando il motto degli Holstein che prevedeva un'esemplare punizione per tutti i figli maschi della famiglia che non avessero retto la sacra regola dell'anno bisestile. «C'è solo un giorno di riposo per la fornicazione,» diceva «ed è il 29 di febbraio!» A tutto questo pensavo mentre le catene da neve sbattevano sotto il parafango, ricordandomi che le molle di trazione si erano rotte da tempo e non trattenevano sufficientemente i fermi. A complicare la situazione, si aggiungeva il saltellare degli pneumatici sui crostoni di ghiaccio che si staccavano dalla carrozzeria, quasi a rendere ancora più complicato il mio viaggio in cerca di una grazia. La novella baronessa era pronta a spolparmi sino all'osso, di questo ero più che certa, e l'avvocato non mi aveva lasciato alcuna speranza. La decisione di vendere quelle foto al giornale non poteva non tener conto della situazione in cui le avevo carpite e nemmeno del fatto, per altro assurdo, che la signora in oggetto non era un personaggio pubblico e che quindi non avrei mai potuto violare la sua privacy. Poco importa che fosse stata in compagnia di una nota stilista d'oltre oceano, e nemmeno che l'atteggiamento potesse favorire un certo sospetto. Mi ero proprio ficcata in un bel guaio e non mi confortava affatto la convinzione di non essere l'unica colpevole ad affrontare il patibolo. Dopo i miei scatti, Eddy Martins aveva rincarato la dose, scrivendo un articolo totalmente privo di ogni fondamento, in cui lasciava intendere che le due signore si frequentassero da tempo e anche che tra loro fosse in corso una passionale storia d'amore. Certo le immagini si prestavano a quella fantasiosa interpretazione e probabilmente io stessa le avevo scattate confidando nella giusta angolazione in cui, per chissà quale incredibile casualità, sembrava che Annalisa Necker infilasse una mano tra le gambe dell'altra, mentre si salutavano caldamente. A cinquanta metri dal castello, l'auto prese a scivolare verso destra e, prima ancora che potessi reagire, mi ritrovai infilata nel fosso di scolo dell'acqua piovana, nascosto sul ciglio del viale sotto il candido manto di neve fresca. A nulla servì cercare di uscire con le proprie forze da quella trappola viscida e vendicatrice, quindi decisi di abbandonare l'automobile al suo ignaro destino e percorrere a piedi il vialetto ripulito di fresco fino a giungere in prossimità dell'ingresso. «La baronessa l'attendeva un'ora fa,» fu il laconico commento del custode «ora sta riposando, è impossibile disturbarla!» «Le faccia almeno sapere che sono qui... a sua disposizione,» mi umiliai, cercando di assumere un atteggiamento sommesso «la mia auto è in panne e non saprei dove andare.» Guardò le mie scarpe bagnate e le impronte che avevo lasciato sul pavimento dell'ingresso, scosse il capo e mi invitò a entrare nella serra: «Può usare l'innaffiatoio per darsi una ripulita,» disse «se si presenta alla baronessa in queste condizioni peggiorerà decisamente la sua situazione.» «Sa chi sono?» gli domandai incuriosito. «Sono tre giorni che la baronessa va dicendo che oggi le strapperà il cuore per sfamare i cani... non vorrei essere nei suoi panni quando sarà al suo cospetto.» «È così tremenda?» «Qualunque cosa immagina... la raddoppi! Questa storia delle foto scandalistiche l'ha mandata su tutte le furie e, per quello che la conosco, non si darà pace fino a quando non l'avrà ridotta in mutande.» «Sarei pronta a fare una pazzia per farmi perdonare, anche quella di tornare a casa a piedi.» tentai di buttarla sul ridere. «Mi dia retta, la pazzia l'ha già fatta... adesso si preoccupi di portare a casa ciò che più le sta a cuore.» Il tempo sembrò arrestarsi e mi ritrovai a vagare tra i fiori della serra come un esploratrice nella giungla sconfinata. Era una strana sensazione quella che sovrapponeva le foglie carnose delle piante tropicali alla visione del giardino esterno, avvolto nella neve in un'atmosfera irreale. La preoccupazione per l'auto rimasta nel fosso divenne pura disperazione quando il vento cominciò a calare e, da lì a poco, il suo posto nell'aria fu preso dai grossi fiocchi che volteggiavano allegri come farfalle, prima di cadere a terra in un ultimo disperato volo. Uno sguardo al lago, immensa distesa senza vita, e uno verso l'alto, sulla cupola di cristallo, dove il calore del riscaldamento scioglieva la neve al primo contatto, riducendola a lunghe scie liquide che correvano verso il serbatoio di raccolta della serra. «La baronessa è scesa in salone.» mi avvertì il vecchio custode, portandomi una brocca di caffè bollente «La cameriera l'ha informata della sua presenza e a quanto pare si deciderà a riceverla dopo pranzo.» «Non posso andare da nessuna parte,» replicai, guardando l'orologio che segnava le undici «se non le è troppo di peso preferirei aspettare qui.» L'uomo annuì. Chissà quanto c'era di vero nelle storie che si raccontavano su Annalisa Necker e sul misterioso motivo che l'aveva spinta a sposare l'anziano Gustav Holstein. Non era certo stato per il denaro, certe donne possono avere tutto dalla vita senza doversi accontentare della prima occasione che offre il fato. No, c'era qualcos'altro, qualcosa di più profondo, di perverso, nella sua scelta di accostarsi a un uomo che rappresentava l'altra faccia della nobiltà, quella di cui si sussurra malignamente nei salotti, nascondendo le labbra con la mano tesa per timore di farsi scoprire. Ciò che mi intrigava di lei era immaginarla al cospetto di quel padre padrone, signore assoluto del borgo a cui nulla poteva essere negato. Chissà a quali immani discipline l'aveva costretta! Non potevo credere che Holstein, il libertino, il signore della trasgressione, avesse risparmiato alla sua giovane e sensuale moglie i giochi di corte di cui egli stesso era maestro e precettore. Quel poco che si sapeva era dovuto alle indiscrezioni di una serva, così era solito chiamare il personale di servizio con la strafottenza che gli era congeniale, l'unica ad aver abbandonato quel lavoro tanto inviso agli abitanti di Coppet, che si rifiutavano tassativamente di mandare le loro mogli e figlie nel tetro palazzo in cui Gustav viveva prima dell'incidente. Negli annali della storia era segnato il giorno dell'incendio come la fine di un incubo e il parroco del paese, dopo aver confessato quella giovane cameriera, aveva persino accostato la disgrazia a una punizione divina. Nonostante le voci che ipotizzavano un intervento doloso, la Polizia aveva archiviato in tutta fretta l'incidente, quasi come se ci fosse la malcelata intenzione di mettere una pietra sopra agli avvenimenti legati alla famiglia Holstein. Da lì a qualche mese, Gustav era deceduto e l'amata moglie aveva ereditato una fortuna a cui si era aggiunta la cospicua somma pagata dall'assicurazione. Da quel momento, tutte le indiscrezioni su Annalisa Necker si erano assopite, almeno fino all'acquisto del castello e l'incidente fotografico che mi aveva trascinata in questo guaio. Eddy Martins era stato il primo a pagare per lo stupido articolo che si era inventato e dopo sei mesi di processo era stato condannato al risarcimento di una cifra che personalmente non riuscivo nemmeno a immaginare. Ora toccava a me e, nonostante l'intuizione geniale del mio avvocato che aveva chiesto lo stralcio della mia posizione in quel dibattimento, mi ritrovavo a dover discutere personalmente la mia colpa con l'interessata. Non riuscivo a comprendere perché avesse voluto incontrarmi di persona, ma la sua richiesta era stata chiara e la proposta di chiudere i conti a quattrocchi mi era sembrata più che soddisfacente.
Sandra Mayer
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