Lamia - I casi del Detective Annalice Cox
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Un nuovo caso.
«Ascoltami Lamia, ascolta ciò che ho da dirti. Ho certi sentimenti e non se n'andranno via.» (Iron Maiden. “Prodigal son.” Killers. UK: EMI Records Ltd., 1981. Vinile, LP, Album.)
Il freddo pungente le sferzava l'esile collo. “Sei proprio una stupida”, si ripeteva. “Come hai potuto dimenticare la sciarpa”. “Sei cosciente che siamo a gennaio e sono appena le cinque del mattino?”, si domandava, mentre toglieva le scarpe tacco dodici per indossare delle più comode, ma soprattutto pratiche, scarpe da ginnastica, che custodiva nel retro del bagagliaio. Era una di quelle notti gelide in cui il vento tagliava come una lama affilata, attraversando i vestiti e tormentando i poveri corpi in cerca di un po' di calore. Sotto l'oscuro manto del cielo stellato, le strade della città sembravano ancora più desolate e cupe. Aveva appena smesso di piovere, l'odore di terra bagnata pervadeva l'aria, la moltitudine di luci, installate dalla scientifica, si riflettono sul madido asfalto. “Salve, sono il Detective Cox, Annalice Cox, Ufficiale incaricato delle indagini”, disse all'Agente di servizio, superando il nastro giallo. “Prego Detective, il Coroner aveva più volte chiesto di lei”, replicò l'Agente annotando il nominativo sul foglio presenze. “Per caso vorresti insinuare che sono in ritardo?”. “No Signore... mi scusi, volevo dire Signora, il fatto è che il Coroner continuava a...”. “Tranquillo, stavo solo scherzando”. Sorrise, sembrava proprio una buona giornata, nulla faceva presagire che, solo per il fatto d'aver risposto alla chiamata, si sarebbero scatenati una serie di eventi che l'avrebbero travolta come un treno in corsa, e come accade nel domino, caduta la prima tessera cadono tutte le altre. Tirata su la gonna e stando attenta a dove metteva i piedi superò i viscidi frangiflutti, lungo la costa di Long Beach, nel porto di Los Angeles, che la dividevano dalla scena del crimine, dove l'attendeva il Coroner. Lungo il tragitto si fece aiutare dagli Agenti posti a distanza regolare, come una sorta di cordata. Si affidò al primo Agente, al secondo, al terzo, giunta al quarto Agente questi, come i precedenti, protese il braccio per aiutarla ma, inaspettatamente, il detective Cox gli disse: “Non ti permettere di toccarmi, sei il quarto”, proseguendo da sola. Giunta in prossimità della vittima, il cui corpo era ricoperto da un immacolato lenzuolo, chiese: “Doc, cosa abbiamo?”. Mentre il Coroner iniziava la descrizione del caso, il suo assistente sollevò il lenzuolo. Il Detective Cox fece un salto all'indietro, solo l'intervento del Coroner evitò che cadesse in una profonda fessura tra due frangiflutti, afferrandola energicamente per il bavero del giubbotto. “Oh mio Dio, che orrore; grazie di cuore Doc per avermi salvata”, disse il Detective Cox, mettendosi a posto il giubbino. “Dovere, se la può consolare anche a me ha fatto lo stesso effetto, in tutta la mia carriera non ho visto mai nulla del genere”, rispose il Medico, riprendendo subito dopo la descrizione del caso. “Allora, abbiamo una giovane donna, evidentemente morta, completamente nuda, caucasica, di venticinque anni circa, priva dei denti, delle mani, ma la cosa più agghiacciante è che le manca la faccia...”. “Probabilmente l'assassino non voleva che la vittima fosse identificata”, disse il Detective Cox, portandosi la mano alla bocca come per evitare di dare di stomaco. “Sicuramente è così Detective, cercheremo di effettuare il riconoscimento della vittima analizzando il DNA”. “Doc cos'ha sul petto?”. “Ah sì è una scritta che dice Lamia, realizzata con un qualcosa di molto affilato, probabilmente un bisturi”. “Doc, come mai il lenzuolo non è intriso di sangue, anche se siamo in presenza di così estese ferite?”. “Perché è stata dissanguata, si capisce dal pallore della pelle”. “Inoltre il dissanguamento è avvenuto prima che le fossero procurate le ferite, infatti queste, come può vedere Detective, non hanno perso sangue, in quanto inferte post mortem”. “Doc, quindi vuole dire che la causa della morte è dissanguamento?”. “Detective basta! Mi sembra quasi un interrogatorio, troverà tutte le risposte, alle sue domande, nel referto dell'autopsia”. “La prego Doc mi risponda, è la terza”, disse il Detective, mentre con il braccio steso lungo il fianco, tamburellava con l'indice, ad intervalli di tre colpi alla volta. “È la terza cosa?”. “Domanda, è la terza domanda; la prego mi risponda, altrimenti potrebbe succedere qualcosa di grave”, rispose parlando sottovoce. “Il Coroner, in un primo momento rimase interdetto, ma dopo aver visto il gesto ripetitivo con l'indice, capì immediatamente che il Detective Cox soffriva di un disturbo ossessivo compulsivo, quindi l'assecondò. “Ha ragione, la causa della morte, da un preliminare esame autoptico esterno, è dissanguamento”. Il Coroner, al fine di tutelare la privacy del Detective Cox, la prese in disparte e le disse, anch'egli parlando sottovoce:” Mi dispiace, comprendo il suo disagio, anche la mia bambina soffre di una grave forma di autismo e quindi di DOC più o meno gravi”. “Dottore non si dispiaccia per me... è la vita, nel bene e nel male”. “La ringrazio per l'empatia... comunque Doc si brighi con l'autopsia”. “Sarà pronta, quando sarà pronta, Detective”, rispose il Coroner voltando le spalle. “Bene ci vediamo dopo colazione nella sala autoptica, mi raccomando Doc non faccia tardi”, disse il Detective Cox tornando verso l'auto di servizio. Ormai albeggiava ed i primi raggi di sole lambivano la sommità dei grattacieli di Los Angeles.
Lungo la strada, verso il Distretto, il Detective Annalice Cox ripensò a ciò che era accaduto con il Coroner e quanto fosse stato per lei imbarazzante, ma soprattutto doloroso. Ancora più amaro e doloroso, è il ricordo del motivo scatenante che ha fatto insorgere in lei il Disturbo Ossessivo Compulsivo. Una lacrima le scivolò giù lungo la guancia. ***
Precedente vita Sette anni prima, Annalice Cox era una dolce giovane ragazza con gli occhiali, che alzava col dito sul naso ogni qual volta era imbarazzata. Questo non era il suo unico vezzo, l'imbarazzo la portava a balbettare leggermente. Ascoltando qualcuno parlare amava arrotolarsi i capelli intorno all'indice e quando rideva a crepapelle emetteva un verso come quello di un maialino. All'epoca era in attesa di un bambino, frutto di una violenza subita da parte di un uomo che lei, all'epoca, credeva fosse suo padre. Ma questa è tutta un'altra storia. La cosa importante da sapere è che Annalice, pur vivendo la gravidanza come un prolungarsi dell'umiliazione e della violenza invasiva dello stupratore; pur facendole rivoltare lo stomaco il solo pensiero di portare in grembo il frutto di un atto tanto facinoroso quanto vile, decise di tenere il bambino. Annalice, anche se non era una fervente cattolica ma solo una quasi praticante, pensava che una vita è pur sempre una vita e in quanto tale va sempre, e comunque, tutelata e protetta sopra ogni altra cosa. Inoltre la soppressione di quella creaturina, anche se indesiderata e concepita in un modo indegno, non era altro che una violenza che si aggiungeva ad una violenza. Purtroppo, a causa della gestosi, i cui sintomi erano stati sottovalutati dal suo ginecologo, questi nacque morto. Durante tutto il travaglio l'ostetrica continuava a ripetere, ad Annalice, uno due respira, uno due respira e così via. Quando, dopo quasi quattro ore di uno due respira, il bambino nacque morto, la mente di Annalice determinò che la perdita del figlio fosse da attribuire al fatto che l'ostetrica non avesse contato fino a tre. Si convinse che se l'avesse fatto non sarebbe successo nulla di grave. Quel momento traumatico ha fatto sì che Annalice sviluppasse un disturbo ossessivo compulsivo, che si manifestava tutte le volte in cui, effettuando o assistendo a determinate azioni, queste non si concludano in un ciclo di tre o multipli di tre. Nel primo periodo il DOC si presentò in una forma grave ed il comportamento in alcuni casi era alquanto estremo. Non rispondeva al cellulare se prima non avesse squillato per tre volte. Quando riponeva il telecomando ci doveva tamburellare con l'indice per tre volte. Ogni cosa doveva essere al suo posto ed allineata agli altri oggetti. Quando bussavano alla porta due volte rimaneva bloccata ad aspettare il terzo tocco; e così via. La terapia, a cui Annalice si sottopose per tutto l'anno successivo, era riuscita ad attenuare notevolmente il disturbo, riducendolo ad una semplice mania comportamentale. Durante una breve vacanza da suo zio paterno, questi la convinse ad arruolarsi in polizia, appartenendo anch'egli alle forze dell'ordine. Lo zio ricopriva l'incarico di Vice Direttore dell'FBI di New Orleans e grazie al suo interessamento, Annalice riuscì agevolmente ad accedere all'Accademia di Polizia di Los Angeles. Il periodo in Accademia fu veramente duro, specialmente dopo che i compagni di corso ebbero scoperto la sua ‘semplice mania comportamentale'. Ma anche questa è tutta un'altra storia e più avanti ve la racconterò. ***
Giunta al Distretto, il presente riprese il possesso della mente di Annalice ed i pensieri del nuovo caso si affollarono nella sua testa. Superò la reception, prese le scale, non l'ascensore, che la portarono al primo piano. Era il livello della Crimini Maggiori, un'enorme stanza, piena zeppa di scrivanie. Tutti i presenti si voltarono a guardarla. Sotto al giubbino in pelle nera, indossava una camicetta in seta che le metteva in risalto il florido seno. Aveva una gonna con uno spacco che arrivava a scoprire giusto un accenno delle sue toniche cosce. Una Tote Bag, di un marchio di lusso, appoggiata sulla piega del gomito, completava il suo outfit. Attraversò la stanza con passo sicuro, dall'alto delle sue scarpe tacco dodici sferraglianti, lasciando dietro di sé la scia di un profumo francese. Si portò nella sala relax, dove l'aspettava un fumante caffè appena fatto dalla recluta di turno. Prese due bicchieri di carta e ci svuotò l'intera caraffa, uno lo avrebbe portato al Coroner che l'aspettava nella sala delle autopsie, al piano terra.
Nel momento in cui il Detective Cox varcò la soglia della sala autoptica un senso di oppressione e tristezza si impossessò di lei. La sala era avvolta in una cupa penombra, illuminata dalla sola fievole luce proveniente dalla lampada scialitica che si stagliava sul tavolo delle autopsie. L'intera atmosfera era avvolta da un'aura di mistero e tristezza, accentuata dalla presenza del corpo senza vita della ragazza, vittima di un efferato assassino. La giovane donna giaceva immobile sul tavolo, la sua pelle bianca come la neve metteva in evidenza il rosso delle ferite, cagionate dal suo torturatore, raccontando la terribile storia della sua tragica fine. La fredda luce della lampada accentuava i raccapriccianti dettagli, facendo affiorare i segni delle brutali violenze patite. L'odore pungente del disinfettante impregnava l'aria, un brivido di freddo percorse l'intero corpo del Detective Cox, come una scarica elettrica. Le tremava il mento e quasi non riuscì a parlare quando disse: “C'è nessuno?”. Si aprì la porta dell'obitorio, era il Coroner che esordì dicendo: “Detective, se non ha portato il mio caffè è inutile che si trattenga oltre”. “Doc, non mi sarei mai permessa di presentarmi senza un cadeau, piuttosto spero che sia ancora caldo, vista la glaciale temperatura di questi locali”, rispose Annalice, porgendo il bicchiere. Ma il coroner, notoriamente esigente, si infuriò alla vista del coperchio senza beccuccio del bicchiere di caffè. Odiava quei coperchi, sapeva bene che l'aroma non sarebbe stato ugualmente intenso senza di essi.
Giovanni Battista
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