Spezzare le catene del pensiero
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Può esistere l'uomo "nuovo"?
La storia della scoperta dell'uomo-leone risale al mese di agosto 1939, quando frammenti di avorio di mammut furono scavati sul retro della Grotta Stadel nelle Alpi sveve, a sud-ovest della Germania. Questo è stato un paio di giorni prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Quando finalmente fu ricomposto nel 1970, esso fu considerato come un orso in piedi o un grosso gatto, ma con caratteristiche umane. L'avorio da cui la figura era stata scolpita si era rotto in innumerevoli frammenti: circa 200 pezzi furono incorporati nella scultura alta circa 30 cm., con circa il 30% del suo volume mancante. Nuovi frammenti furono in seguito trovati, tra il materiale in precedenza scavato, e aggiunti al manufatto nel 1989. A questo punto, la scultura fu riconosciuta come raffigurante un leone. (Notizia raccolta sul sito “Pianetablunews.it”: L'uomo-leone di Ulm: ha 40.000 anni la più antica scultura del mondo) È indubbio che l'uomo che scolpì questa figurina d'avorio fosse intelligente, creativo e sensibile al pari di noi. Questo manufatto, infatti, risalente a circa quarantamila anni fa, è uno dei primi indiscutibili esempi di arte e, probabilmente, di religione. Quell'uomo aveva acquisito la capacità di immaginare cose che non esistono nella realtà. La statuina rappresenta un essere antropomorfo con il corpo di uomo o donna e la testa leonina. Pura fantasia, insomma. L'evoluzione ha guidato gli umani, nel periodo che va da settantamila a quarantamila anni fa, a pensare in forme inesistenti, solo immaginate, e a comunicare usando nuovi tipi di linguaggio. Le conseguenze di tale mutazione ci collocarono in condizioni più favorevoli rispetto a ogni altro essere vivente e ci permisero di conquistare il mondo. Dominiamo il mondo proprio perché siamo gli unici animali a credere in cose che esistono solo nella nostra immaginazione: come gli dèi, gli stati, il denaro e i diritti umani. La scoperta della statuina di Stadel ci fornisce una notizia molto importante: sappiamo che a quel punto (quarantamila anni fa) una potente rivoluzione cognitiva aveva lentamente cambiato l'uomo. I Sapiens – tra tutti i viventi – erano i soli capaci di immaginare e di parlare d'intere categorie di cose che non avevano mai visto, toccato o odorato. Sorsero le prime leggende, i miti, gli déi. Tale capacità di parlare di fantasie inventate è il vero tratto esclusivo dell'Homo sapiens: l'unico essere capace di mettersi in testa cose impossibili. Yuval Noah Harari (Da animali a déi: breve storia del mondo) ci fornisce, a questo proposito, un esempio illuminante: “Non riuscirete mai a convincere una scimmietta a darvi una banana promettendole che nel paradiso delle scimmiette, dopo morta, avrà tutte le banane che vorrà.” Vuol dire che le scimmiette sono più intelligenti degli uomini che morendo da martiri, facendosi esplodere, sono convinti che avranno come premio in paradiso il dono di “nonsoquante” vergini? Certo che no, perché gli uomini hanno il dominio sulle altre creature mentre le scimmiette sono in mostra allo zoo. La capacità di immaginare cose astratte fu fortemente potenziata dall'uso del linguaggio, che ha qualcosa di speciale: consente di connettere un limitato numero di suoni e di segnali per produrre una quantità infinita di frasi, ciascuna avente un distinto significato. Ciò ha permesso di introiettare, immagazzinare e comunicare una prodigiosa quantità di informazioni riguardo al mondo. Homo sapiens è divenuto un animale sociale attraverso il linguaggio e proprio la cooperazione sociale è la chiave per la sopravvivenza e la riproduzione. Con il linguaggio l'uomo ha acquisito la capacità di trasmettere informazioni su cose che non esistono per nulla: leggende, miti, dèi e religioni comparvero per la prima volta con la rivoluzione cognitiva. La finzione ci ha consentito di immaginare le cose anche collettivamente. Ed è così che abbiamo cominciato a cooperare in comunità formate da moltissimi individui, e a condividere miti come quelli della storia biblica della creazione o quelli del nazionalismo degli stati moderni. Ecco perché abbiamo governato il mondo: se lo abbiamo fatto più o meno bene questo è un altro paio di maniche. Comunque, è assodato che grandi numeri di estranei cooperano con efficacia se credono in miti comuni, che esistono solo nell'immaginazione collettiva. Le chiese sono radicate in miti religiosi comuni, gli stati si fondano su miti nazionali condivisi e anche la giustizia è radicata in miti legali comuni. Nessuna di queste cose esiste fuori dalle storie che le persone s'inventano e si raccontano vicendevolmente. Non esistono gli dèi, come non lo sono le nazioni, il denaro, i diritti umani e le leggi. Nessuna di queste cose esiste se non nell'immaginazione comune degli esseri umani. Costruire narrazioni, finzioni, non è facile, ma quando ci si riesce, fa sì che milioni di estranei cooperino e agiscano in direzione di obiettivi comuni. La realtà immaginata non è una bugia ma una finzione cui molti credono e fintanto che questa credenza comune persiste, esercita una grande influenza sul mondo e, col passare del tempo, diviene sempre più potente e consolida status dal potere immenso. Addirittura, queste finzioni si sono cristallizzate in simboli facilmente riconoscibili e veicolabili nel tempo: il crocefisso per il cristianesimo, la corona per i monarchi, le bandiere per le singole nazioni e per le unioni tra nazioni, la dea bendata e la bilancia per la giustizia, e così via. È possibile che lo scultore della grotta di Stadel credesse sinceramente nell'esistenza di un uomo-leone come spirito guardiano, oppure che fosse un ciarlatano che volesse riunire un grande gruppo intorno a un'idea astratta di ferocia e di potenza. Forse erano altri gli scopi di questa astrazione simbolica. Chi può saperlo? Quello che è importante rilevare è che circa 35.000 anni fa la mente umana era capace di immaginare cose che non esistono nella realtà. Mentre l'Homo Sapiens ha riunito e consolidato l'umanità intorno ad una serie di potenti finzioni, che hanno attraversato e fatto la storia, l'uomo post-moderno tende a sconfinare, a parlare con sempre maggiore convinzione di un mondo liquido, globalizzato e in transizione forzata verso l'ignoto. Moltitudini varcano i confini nazionali, i sessi sconfinano alla ricerca d'identità labili e indifferenziate, le unioni familiari si sfrangiano in variopinti modi di convivenza, il pensiero critico sembra liquefarsi per lasciare il campo a un'unica regola collettiva e politicamente corretta, gli stati dovrebbero dissolversi per lasciare il posto a oscure forze sovranazionali che catalizzino tutto il potere. Dalle finzioni stiamo passando alle illusioni? Tanti dubbi ci assalgono. Vogliamo riscrivere la storia e addirittura cancellare o modificare il passato: siamo proprio sicuri che ciò non determini tragici “effetti collaterali”? Lo scopo di questi brevi scritti è di dirigere lo sguardo verso le moderne “finzioni”, con il timore che le immaginazioni dei post-moderni siano ancora più astratte del leone-uomo di Stadel.
L'uomo contemporaneo crede che, in economia, tutto possa andar meglio se guidato dall'alto. Lo Stato a molti appare esente da conflitti d'interesse e, quindi, è ritenuto il migliore operatore possibile quando si tratta di campi che riguardano tutti e che non si possono affidare ai privati: come l'amministrazione della giustizia, la direzione dell'esercito, la repressione della criminalità, la lotta all'evasione fiscale. Purtroppo, partendo da questi pochi compiti, nel corso del tempo l'intervento pubblico si è dilatato, è divenuto invadente. Non c'è molto che il cittadino possa fare senza sentirsi controllato e guidato dallo Stato. Le leggi si occupano di tutto, persino di come i genitori debbano educare i figli o di come debbano curarsi se hanno problemi di salute. Nessuno mette in dubbio che questa selva di prescrizioni sia a fin di bene. Il risultato è una sorta di devoluzione dall'autonomia individuale al potere dello Stato. La società moderna è organizzata in una struttura statale, fornita di una Costituzione (la nostra dicono che sia anche la più bella del mondo), di leggi, di una giustizia, di un'onnipotente amministrazione, di ministeri, di una polizia, ecc. Tale società impone i suoi principi morali all'individuo, il cui comportamento è determinato più da anonime volontà esterne che dalla sua stessa personalità. Dalla Repubblica di Platone in poi, per secoli si è sperato potesse esistere un potere statale che ottenga risultati migliori di quelli dell'iniziativa individuale. Tuttavia, solo dalla rivoluzione bolscevica, per circa settant'anni, si sono visti i risultati che si ottengono quando lo Stato ha tutti i poteri. La reazione in Russia fu del tutto negativa, ma il governo – sempre per il bene del popolo, ovviamente - si mantenne al potere con la dittatura, col regime poliziesco e con i campi di concentramento per i dissenzienti. Quando finalmente l'incubo finì, l'esito finale fu che tutti i Paesi che avevano assaggiato il “socialismo reale” giurarono di tenersene accuratamente lontani. A questo punto, si sarebbe potuto pensare che il collettivismo fosse oramai morto. Non è andata così. In effetti, i popoli dei Paesi più sviluppati non avevano provato sulla propria pelle i guasti di quel mondo, per cui hanno conservato molte delle vecchie illusioni. E così, ciò che si è rifiutato in teoria, soprattutto perché collegato alla dittatura, in grande misura si è accettato in pratica. Pensiamo, ora, a quanto è successo con la religione. L'Illuminismo era appassionato di scienza e credeva, con le sue dimostrazioni razionali, di aver distrutto la religione. S'illudeva. Per molto tempo la religione è sembrata invincibile. Il cambiamento, però, si ebbe quando la scienza, sposandosi con la tecnologia, cominciò a trionfare in ogni aspetto della vita e indusse a poco a poco una miscredenza diffusa. Dove non la spuntò Voltaire, sono riusciti il frigorifero, la lavatrice e il televisore. Anche il collettivismo ha seguito vie diverse da quelle prevedibili. Se ne rifiuta la teoria, perché si è visto associato con la dittatura e la miseria, ma si accetta che lo Stato intervenga in ogni aspetto della vita. È inutile battersi contro la proprietà privata e in favore della collettivizzazione dei mezzi di produzione, basta requisire ciò che si produce e ridistribuirlo in favore degli altri. E così si è avuto uno Stato “totalitario per consenso”. Il consenso si ottiene ridistribuendo. Un partito è progressista e di sinistra solo se ridistribuisce. Ovviamente, ognuno si lamenta dei vincoli che gli sono imposti (e se può, gli schiva), ma in generale, li reputa giustificati quando riguardano gli altri. L'impressione che se ricava è che i cittadini siano una massa di frugoletti irresponsabili, che lo Stato deve accudire e guidare, in modo che non si facciano male e non cagionino male agli altri. E la gente non si accorge che, dopo avere rinunziato alla propria responsabilità, ha anche svenduto la propria libertà. I nodi verranno al pettine quando chi produce, si scoccia di essere tartassato e, quindi, o smette di produrre o scappa altrove. E dove va? In cerca della libertà perduta, ovviamente.
Luciano Miraglia
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