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Autore: Nino Campo
RO - tre anni un giorno
Romanzo
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RO - tre anni un giorno
Destini.

“Mi spiace signorina, ma ho una ‘non buona notizia' da darle; nelle sue analisi c'è qualcosa che non va; dobbiamo approfondire” - così il ginecologo dell'Asl ad una ansiosissima Ro, lì convocata quel mattino per comunicazioni sui suoi ultimi controlli di routine.

“In che senso dottore, potrebbe cortesemente spiegarsi meglio?”

“Uno dei suoi valori è decisamente alterato, e tutto indica lei sia affetta da una rara forma di cancro. Una patologia decisamente inconsueta per la sua giovane età, per la quale urge una visita specialistica e poi ulteriori esami d'approfondimento”.
Crudo, asciutto e rapidissimo, violento come una coltellata in fondo al cuore; così quel medico ad una Ro attonita e sbigottita.

Pochi minuti ed era fuori, come stordita da quella notizia inattesa. Lillo era lì ad aspettarla in macchina, sotto al sole, già che posteggiare a Catanzaro è praticamente impossibile e bisogna fare come i carabinieri, uno alla guida ad inanellare giri nel traffico, l'altro a scendere per le incombenze varie.

“Bè, cosa ti hanno detto che non avrebbero potuto dire al telefono?”

“C'è un problema serio, un valore fuori norma che va approfondito, una probabile neoplasia. Ecco perché mi hanno convocata qui stamattina: il dottore voleva parlarmene di persona”.

Ed il fulmine a ciel sereno che si era precedentemente abbattuto su Ro, incendiava adesso anche la coscienza di Lillo.

Esami di routine quelli effettuati la settimana precedente, presso il centro ginecologico dell'Asl 21; controlli ai quali tutte le donne periodicamente si sottopongono, specialmente dai trent'anni in su; e dunque eseguiti senza alcun sintomo di possibili patologie in atto, od un qualche segnale che potesse prefigurarne quel drammatico responso.

“Ma no, dai, vedrai, magari si saranno sbagliati, qui da noi gli esami di laboratorio sono inaffidabili”.

“Beh, il dottore era abbastanza certo della diagnosi. In ogni caso mi ha consigliato di rivolgermi alla dottoressa Artusi, la responsabile del centro ginecologico dell'ospedale di Lamezia. Pare sia molto brava”.

Era il mattino di un infuocato giorno di luglio, che di fatto avviava un lungo periodo di preoccupanti visite ospedaliere e controlli per Ro, e contemporaneamente anche l'inizio della fine della sua storia d'amore con Lillo.

Ma questo né Ro, né Lillo, lo sapevano ancora! Amore in una stanza





Quell'amore si era incendiato due anni e mezzo prima: un incontro in un bar...lei bellissima, vestita come una modella di Prada, alta, bionda, affusolata e leggera. Lui...incantato da cotanta meraviglia e stupito dal ritrovarsi al cospetto di una di quelle ragazze che di certo è dato forse incontrare a Montecarlo o St. Moritz, ma non certo a Catanzaro!

“Ciao, sono Roberta” - si presentava con un sorriso di quelli che tramortiscono come una fucilata in mezzo agli occhi - “ma tutti mi chiamano Ro”.

“Oh guarda...è davvero un piacere conoscerti...ma intanto io...beh non so più chi sono! La tua bellezza mi confonde e mi ubriaca: dammi un minuto, forse mi riprendo e mi torna la memoria”.

E lei, giù, un altro sorriso, divertito stavolta, ed ancor più luminoso del precedente.

“Ah, sì, ecco, ora ricordo; io mi chiamo Antonio Alessandro, ma sono di origini siciliane, ed in Sicilia puoi chiamarti anche Vercingetorige, alla fine ti chiamano Lillo, oppure Nino. E tutti infatti mi chiamano Lillo!
Mentre invece questo è mio figlio Elif, che tutti chiamano Elif, ad eccezione di mia madre che lo chiama Giuseppe!”

“Elif? E che nome sarebbe? E che c'azzecca Giuseppe con Elif? Tu mi prendi in giro mi sa”.

La risata cristallina di entrambi suggellò quel primissimo istante, accendendo i cuori di Lillo e Ro che da quel giorno non si lasciarono praticamente più. Almeno per i successivi tre anni!
Ma intanto c'erano da vivere quegli inizi, dal destino predisposti nel mettere di fronte due persone le cui anime probabilmente mai si sarebbero fuse, se non per il volere di un qualcosa di superiore e imperscrutabile.
I quasi vent'anni di differenza d'età rendevano praticamente impossibile qualunque approccio...destinando Ro e Lillo ad ambiti diversi con improbabili possibilità di incrocio; ciò pur abitando nella stessa città ed a pochi chilometri di distanza.
Che poi, guarda caso, fu proprio quella differenza d'età, il primo scoglio che quel predestinato amore dovette superare per poter volare.

“Ma tu quanti anni hai per avere un figlio così grande”? - chiedeva Ro a Lillo, che a stento nascondeva il proprio imbarazzo per quella domanda.

“Quanti anni credi io abbia? Quanti me ne dai? - la sua risposta interlocutoria, mentre rifletteva che Ro fosse davvero troppo bella, e soprattutto troppo giovane, per poter immaginare un qualunque successivo sviluppo a quell'incontro.

Tra l'altro Ro non dimostrava affatto i suoi quarant'anni; con quel corpo affusolato e leggero ed i lunghi capelli biondi chiunque non le avrebbe dato più di una trentina d'anni; e Lillo che invece a quel tempo di anni ne aveva cinquantasette suonati, pensava davvero che quella meravigliosa ragazza, seduta adesso di fronte a lui, non l'avrebbe mai più rivista dopo quel momento al bar.

Il destino aveva però piani ben diversi, come quegli incroci di vite, situazioni e momenti che in un istante conducono altrove, rispetto al dove un momento prima si pensava di andare.

“Guarda, non saprei dirti quanti anni tu possa avere” - rispondeva Ro ad un Lillo divertito nel sentire quelle parole - “magari una quarantina, forse quarantacinque”.

“Ma come quarantacinque, se tutti me ne danno trentasette!! Così vecchio mi fai!?

In effetti neanche Lillo dimostrava i suoi anni, e tutti gliene davano giusto una quarantina, Ma lui ben sapeva di averceli i suoi quasi sessanta, e che dunque Ro sarebbe immediatamente fuggita nell'apprendere la sua vera età.

“No dai...sei stata brava; ci hai preso in pieno, In effetti ho 43 anni compiuti a maggio”.

Una bugia madornale, partorita proprio dal convincimento che, prescindendo da tutto, non avrebbe avuto altre occasioni di poter parlare a quello spettacolo di ragazza seduta adesso di fronte a lui.

Ma intanto, un nuovo e stavolta più marcato segno del destino: l'imprevedibile stranissimo ingresso in quel locale di un'ex fidanzata di Lillo, Marilù, che davvero mai in quel momento avrebbe dovuto trovarsi lì, già che viveva e lavorava a Roma. Era dunque dannatamente ben strano che proprio in quel giorno di novembre, ricolmo di tutto lo sbrilluccichio dei sorrisi di Ro, quella donna giungesse in quel posto, in quel bar di Catanzaro Lido, e guarda caso proprio in quel preciso istante. Erano anzi anni che Lillo non la incontrava neanche di straforo, e gli fu dunque impossibile non notare quella ben strana coincidenza: il vecchio come incrociato al nuovo; un passato ormai morto e sepolto, ancorché ancora per lui doloroso, declinato ad un eventuale futuro.

Un trasalimento, un tuffo al cuore, il rapidissimo considerare quella strana situazione, e poi per lui di nuovo i sorrisi avvolgenti di Ro nei quali tuffarsi come in una cascata d'acqua fresca.

“Elif è un nome straniero, abbastanza raro in verità. Io non sapevo neanche esistesse; ci sono arrivato facendo una ricerca fonetica, nel tentativo di coniare un nome nuovo che fosse unico al mondo”.

“Ah, ecco allora da dove arriva” - rispondeva Ro, totalmente all'oscuro di esser seduta quasi accanto a quell'ex fidanzata di Lillo, per un amore per lui tanto breve quanto importante e doloroso - “E' un gran bel nome, complimenti; ma cosa c'entra con Giuseppe? Mi prendi in giro o davvero tua madre lo chiama così?”

“E' una lunga, lunghissima storia: un giorno forse te la racconterò. Anzi mi farebbe davvero piacere poterlo fare, già che questo significherebbe incontrarti ancora. Ma intanto dimmi di te, cosa ci fa una modella di Prada a Catanzaro Lido? Hai sbagliato aereo? Ti ci hanno paracadutata per scherzo?”

Ro non rispondeva limitandosi a sorridere, e con quei sorrisi accendeva tutto attorno a lei. Anche il cuore di Lillo che non poteva far altro che provare a farla sorridere ancora.

“Sei davvero troppo bella per essere del posto, permettimi di dirtelo senza alcuna piaggeria. I qui ci abito da molti anni oramai, e davvero mai avrei creduto ci vivessero anche le fate”!!

“Io una fata? Ma cosa dici? Mi sa che tu continui a prendermi in giro ridendo di me”!

“Assolutamente no, perché dovrei canzonarti; mica sei bassa, grassa e pelosa ed io sostengo tu sia alta, magra e affascinante! Dai, credo sia oggettivo tu sia una gran bellissima ragazza, ed anzi sono più che certo te lo dica chiunque tu incontri”.

“Beh, grazie davvero, sei molto gentile: ma intanto non sono più una ragazza, mentre la bellezza ha ben poco di oggettivo, e sta sempre invece negli occhi di chi guarda”.

“Oh, beh, allora nei miei, la tua, ci sta tutta” - rispondeva un Lillo fatto serio - “Elif tu che dici, la vedo bellissima solo io questa bellissima signorina, o la vedono bellissima tutti, e la vedi bellissima anche tu!?”

Parole giocate per compiacere, ma pronunciate anche nella piena consapevolezza fossero l'esatta fotografia della realtà.

“Sì papà, è bellissima” - rispondeva un imbarazzatissimo Elif, seduto come in disparte al tavolino accanto.

“Oh grazie, davvero grazie; se lo dici tu, allora ci credo: voi ragazzini siete la bocca della verità. Ma sei bellissimo anche tu con quegli occhioni verdi che bucano i muri”!

E tutti e tre giù a sorridere, in uno scintillio di occhi ad illuminare quel bar come un luna-park.
Perché vanno così quei momenti di amore inconsapevole, ma consapevole solo a se stesso. Così, quei percorsi di vite diverse, destinate da chissà cosa a sovrapporsi e volare.

“Ma dimmi di te; cosa fa una fata turchina nella vita, oltre che gli incantesimi con la propria bacchetta magica?”

E lei stavolta seria: “Non ho alcuna bacchetta, purtroppo. Sono un'ortottista, regolarmente laureata; ma nella vita faccio tutt'altro, già che non ho inteso piegarmi a determinate logiche, e tanto meno ho goduto di raccomandazioni politiche o similari per poter entrare in ospedale”.

“Sì, intuisco il problema, e so bene non sia affatto facile lavorare in questa terra, ed in ospedale ancor di più. Ho molti amici medici e conosco perfettamente le logiche alle quali ti riferisci”.

“Sono stata impiegata in una ditta privata per molti anni, poi di recente mi hanno licenziata, ed allora ho dovuto inventarmi un nuovo lavoro; un'attività tutta mia, questa stavolta, iniziata da poco”.

“E che fai allora? Cosa ti sei inventata in questa valle di lacrime calabrese?”

“Faccio ricostruzione unghie, in un piccolo laboratorio ricavato in casa ed attrezzato di tutto punto.”

Ed a quelle parole, l'amore di Lillo che già era stato acceso dalla sfolgorante bellezza di Ro, e poi rinfocolato da quella sua grazia nel parlare e dall'eleganza aristocratica dei suoi modi, si ritrovò a veleggiare altissimo, innalzato dall'evidente intelligenza di quella ragazza, seduta adesso lì, a pochi centimetri, e che davvero mai avrebbe pensato di poter incontrare.

“Oh che brava! Complimenti. Complimenti davvero!! Sono pochissime le persone che al tuo posto non starebbero adesso piangendosi addosso, nell'attesa di essere riassunte da qualche parte. Ci vuole certamente coraggio per mettersi in proprio, ma anche una spiccata capacità intellettiva, e non sto adulandoti, credimi; specialmente qui da noi dove il lavoro è inteso quasi esclusivamente a carattere dipendente”.

Che poi Ro, ad entrare a lavorare in ospedale ci aveva anche provato, assistendo il professore universitario col quale aveva sostenuto la tesi di laurea. A quel medico aveva fatto da segretaria per un periodo, seguendolo nella sua attività congressuale. Ma poi qualcosa era andato storto, un problema quasi certamente provocato dalla bellezza stessa di Ro, davanti alla quale anche il più integerrimo degli uomini prima o poi capitola. O per lo meno era questo il pensiero di Lillo, nell'ascoltare le vicende post laurea che Ro gli raccontava, per spiegare come mai non fosse riuscita a farsi assumere in ospedale.

“Poco male, dai; non sarà certamente la stessa cosa, ma avendo tu adesso messo in piedi un'attività tutta tua, di sicuro non avrai più da pietire un lavoro a destra e sinistra. E dimmi. come ti va, riesci a guadagnare qualcosa?”

“Guarda, non mi lamento. Ho cominciato da poco, ma pare sia un settore che tira. Quasi tutte le ragazze ed anche molte donne chiedono questo servizio. E non per vantarmi, ma tutte le mie clienti mi fanno report molto lusinghieri, che col passa parola fa crescere il mio lavoro.”

“Brava, credici e spingi fino in fondo, Vedrai andrà più che bene”!

“E tu invece, bel quarantenne, Di cosa ti occupi? Cosa fai tu nella vita?”

“Bella domanda! Dimmi un po', quanto tempo ho per la risposta?”

“Dai, se non vuoi dirmelo non fa nulla” - rispondeva Ro stavolta senza sorridere.

“Sono un consulente di direzione aziendale, libero professionista. Molto libero in questo periodo, e molto poco professionista!”

“Oh guarda, ne so quanto prima. Cosa fa un consulente di direzione aziendale”?

“Mi occupo di marketing e comunicazione d'impresa; una specie di medico delle aziende. Quando qualcosa va male, chiamano me per capire il problema e studiare la cura per risolverlo”.

“Si vabbè, non ci ho capito nulla, ma diciamo che mi fido”.

“Guarda è semplice. Tu sei una piccola imprenditrice; io potrei studiare il tuo segmento di lavoro, e poi magari dirti come fare per aumentare la tua clientela”

“Sai Lillo, mi sa che sono una consulente come te; perché lo studio che dici l'ho in parte già fatto. Mi sono organizzata con degli incentivi per mantenere ed aumentare il numero delle mie clienti. Ogni nove sedute, una è gratis. Ho stampato delle tessere che ho distribuito a tutte e che timbro ogni volta. E ti assicuro che questa cosa sta avendo molto successo e mi sta portando molte clienti nuove”.

“Ro, tu mi lasci senza parole. Sei vera davvero, o magari ti disegnano così!?”

Cooosa? Disegnano? Ma che dici, mi sa che straparli!”

“Ma come straparlo!!! Possibile tu non abbia visto il film ‘Chi ha incastrato Roger Rabbit'? Un film uscito credo verso la fine degli anni ottanta, famoso in tutto il mondo. Quella è una notissima battuta del film”.

“Ebbe', bravo! Io a quell'epoca ero una bambina. E mica i miei mi portavano al cinema!”

“Sì, capisco; non lo hai visto. Ma in ogni caso il mio era un complimento. Che dal film poi ce ne sarebbe pure un possibile altro, ma molto meno casto, e che dunque ti evito” - aggiungeva Lillo con aria maliziosa.

“Posso chiedere, ma immagino già la risposta, da uno a cento quanto sia sposata o fidanzata od impegnata una modella di Prada come te?” - chiedeva adesso Lillo più per curiosità che altro, convinto una bellezza come quella non potesse che avere un qualche principe azzurro al proprio fianco.

“Ti dirò, da uno a cento, sono impegnata zero. Sono single da un po' oramai, felicemente devo dire... certamente molto più felice rispetto a quando convivevo col mio ex. Tu piuttosto, dimmi, dove hai lasciato tua moglie, la madre di tuo figlio? E' forse a casa ad aspettarvi col battipanni in mano?”

“Niente moglie e niente battipanni; la madre di mio figlio non la vedo da quasi dieci anni. Sono single da tempo anch'io. Ma davvero mi stupisco lo sia anche tu. Devi averci uno stormo di principi azzurri appollaiati sullo zerbino di casa!”

Una nuova cristallina risata proruppe dal profondo di Ro; rideva e luminava i suoi grandi occhi. Era come in quel momento si sentisse felice, e Lillo ne era felice a sua volta, nella consapevolezza di riuscire a far ridere quella meravigliosa sconosciuta creatura, che quasi inavvertitamente gli stava già bruciando il cuore.

“Beh. È stato un piacere conoscerti, Antonio Alessandro detto Lillo, ed anche conoscere il tuo ragazzo, Elif detto Giuseppe dalla nonna; ma ora io devo andare. Grazie della granita, e dell'allegria che mi hai regalato.”

Una locandina sul vetro della porta del bar: Ale e Franz al Teatro di Catanzaro. ‘Lati tanti, Tanti lati'. Un'occasione da cogliere al volo; un'intuizione. Il destino a compiere l'ultimo primo passo di quell'amore destinato alle stelle.

“A proposito di allegria, ci verresti a teatro bellissima modella detta Ro, a vedere lo spettacolo di Ale e Franz? Al Politeama giorno 10; tre biglietti in poltronissima, io, te ed Elif. Due ore tutte da ridere!”

“Perché no!! Tu cercami su Facebook, mi trovi come Roberta G. Chiedimi l'amicizia e teniamoci in contatto”.

“Guarda che ti prendo in parola” - un Lillo speranzoso ma davvero incredulo sulla concretizzazione di quell'eventualità - “Guarda che compro i biglietti e poi vengo a rigarti la macchina se mi fai brutti scherzi”.

“E mica ti ho detto dove abito!” - una Ro divertita e sorniona - “ma dico davvero, tu contattami su Facebook; sul mio profilo troverai tante foto di unghie. Non puoi sbagliare. Ti aspetto lì! Ro





Ro era l'ultima di tre sorelle, diversissime tra loro e con parecchi anni di differenza. La prima, la più grande, nera di capelli e di conformazione brevilinea; la seconda, di cinque anni più piccola, dai capelli invece rossi, ed anch'essa non molto alta. E poi Ro, la piccola di casa, nata a dodici anni di distanza dalla sorella maggiore, alta, magra e soprattutto biondissima.
Essendo la più piccina, e tra l'altro di carattere mite e tranquillo, Ro da bimba era stata spesso oggetto di angherie da parte delle altre due, le quali con lei si divertivano nei propri giochi, trattandola spesso come fosse una bambola sulla quale operare veri e propri esperimenti.
Come quella volta che per giocare, le due pestifere sorelle grandi tentarono di impiccarla con una corda ad un albero del giardino, dopo avergliela accuratamente fatta passare attorno al collo.
Ciò senza che né loro due, né la piccola Ro, comprendessero la pericolosità di quel gioco. E l'impiccagione sarebbe anche perfettamente riuscita, e con esiti probabilmente drammatici, se fortunatamente la madre non avesse scoperto in tempo il tentativo delle due sorelle, ed dunque interrotto quel gioco salvando in extremis la inconsapevole figlioletta.

Perché tra le cose degli uomini c'è sempre di mezzo il destino, quel fato che determina le fortune e le sfortune, ed anche la vita e la morte di ciascuno di noi. Ed è dunque evidente che Ro non fosse destinata a morire da piccola per un stupido gioco, ma a crescere, diventare adulta, e trasformarsi in una splendida bellissima ragazza con tutta la vita davanti a sé.

Ad ogni buon conto, tali trascorsi infantili un po' burrascosi subiti da parte delle due sorelle, col tempo l'avevano poi un po' allontanata affettivamente da loro, raffreddando quell'affetto che solitamente caratterizza i rapporti tra fratelli e sorelle. In verità, Ro si era forse anche un po' allontanata affettivamente dalla madre, costretta di certo a badare maggiormente alle due più grandi, in ciò più turbolente, che non a lei, più piccola e più docile e gestibile.

A coccolarla e difenderla c'era invece il padre, col quale Ro aveva un rapporto assai speciale: un professionista in ambito fisioterapico molto noto e benvoluto da tutti, che rappresentava per lei l'unico baluardo d'amore e tenerezza. Ogni sera, al suo rientro, Ro ci si tuffava tra le braccia per sentirsi amata e protetta; e lui, pur se magari stanco dopo un'intera giornata di lavoro, volentieri accoglieva le effusioni di quella piccola tenera bimba che gli dimostrava tanto amore.

E fu dunque per Ro un grande infinito dolore quando poi, anni dopo, il padre morì prematuramente lasciandola di fatto sola, e come orfana, in quella grande villa sulla collina con vista mare, ed in una famiglia che lei quasi non riconosceva come propria.

Così, per quel non sentirsi a proprio agio in quella casa, alla prima occasione Ro si era trasferita, andando prima a convivere con un suo storico fidanzato in una villetta di un villaggio turistico poco distante, e poi, dopo la fine di quella storia d'amore, a vivere tutta sola in una piccola abitazione di proprietà della famiglia materna, da lei arredata con estrema cura, e tagliata addosso come fosse stato uno di quei suoi elegantissimi abiti, che tanto amava indossare e che la facevano somigliare ad una fotomodella.

Ed intanto aveva studiato e si era laureata, e poi, non essendo riuscita a mettere a frutto i suoi studi, con grande fatica si era messa a lavorare come impiegata in una piccola azienda privata, presso la quale svolgeva compiti amministrativi e di segretariato.
Dieci anni filati via come un treno a vapore, a svegliarsi all'alba tutte le mattine, per entrare alle otto in punto sul posto di lavoro, ed uscire non prima delle sette della sera.
Una sorta di inconsapevole schiavitù nella quale in verità in moltissimi si ritrovano, e che quasi sempre viene accettata a fronte di quel contentino rappresentato dallo stipendio, utile a sopravvivere piuttosto che vivere davvero le proprie esistenze.

Una schiavitù che a Ro andava invece molto stretta, e dalla quale sognava poter sfuggire, e basata tra l'altro su di un lavoro lontanissimo dai propri studi di ortottica.
Ma il destino è sempre lì a giocare le sue carte, e per la giovane Ro c'erano evidentemente ben altri piani: come quelli di farla ritrovare ad un certo punto licenziata in tronco, tra l'altro in un momento di crisi globale e grande generale disoccupazione, nel costringerla così ad uno scatto d'orgoglio delle proprie sinapsi neuronali.

“Basta; mi metto in proprio; sono stanca di questa vita piatta, e soprattutto stufa di dover svegliarmi così presto al mattino per inseguire uno stipendio da fame!” - così pensava la temeraria e coraggiosissima Ro, con grande disappunto della madre che di fatto la ostacolava in questa sua scelta, consigliandole invece di cercarsi un nuovo impiego simile al precedente.

Ma intanto Ro era cresciuta, e non era più quella docile tenera bimba dei suoi trascorsi infantili; aveva anzi sviluppato un carattere molto forte, nel quale ci si era quasi chiusa come in una pesante corazza, impermeabile a qualunque tentativo di effrazione.
Vivendo oramai da sola, ed ancor di più sentendosi come un'aliena su di un mondo estraneo, di fatto aveva preso in mano la propria vita e si comportava adesso come una nave d'alto mare, nel mettere la prua nella esatta direzione voluta, a prescindere se fuori ci fosse mare grosso o calma piatta.

Il dado del suo futuro lo aveva insomma oramai tratto, si sarebbe messa in proprio, ciò pur se non appoggiata dalla madre, dalle sorelle o da chicchessia.

Una fortunata intuizione, un guizzo mentale, il solito imperscrutabile destino, le avevano acceso l'idea di buttarsi nell'attività di ricostruzione unghie; un settore nuovissimo ed in forte crescita, che pur essendo distantissimo dai suoi antichi studi e da qualunque esperienza di lavoro precedente, la stuzzicava ed incuriosiva parecchio.
Ed eccola dunque di nuovo sui libri a studiare, e ad iscriversi ad un impegnativo e lungo corso professionale per imparare il mestiere, e poi a sostenere un importante investimento economico, non solo per pagarsi quegli studi, ma anche per attrezzare di tutto punto un piccolo laboratorio ricavato in una stanza di casa.

Ed oggettivamente ci vuole grande forza e gran carattere, e soprattutto viva intelligenza, per operare una scelta del genere, tra l'altro al buio di una possibile riuscita, da parte di una giovane ragazza tutta sola, che si ritrovi a vivere nell'estrema periferia italiana, laddove il lavoro è una come una bestemmia e le opportunità messe a disposizione delle donne, di fatto non esistono nemmeno.

Il punto di partenza: la giovanissime nipote Alessandra, figlia della sorella più grande e da Ro cresciuta quasi come una seconda madre, forte di tante amichette adolescenti, tutte clienti potenziali alle quali proporre di rifare le unghie!
E da lì, un immediato successo, un piccolo ma significativo numero di clienti, sufficienti non tanto al guadagno, ma soprattutto al sentirsi finalmente libera e padrona del proprio destino!!

Era questa la Ro che Lillo aveva casualmente conosciuto quel giorno in quel bar del Porto di Catanzaro Lido; la ragazza elegantissima nel suo fendere l'aria come un'ala di gabbiano, che con la sua bellezza lo aveva stregato, con la sua grazia lo aveva affascinato, e con la sua intelligenza, immediatamente innamorato!

Nino Campo

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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