“Accetta questo piccolo dono, portalo sempre con te, come segno della nostra amicizia”. Con queste parole salutava le sue ignare vittime, stringendole in un mortale abbraccio. Solo dopo che si erano allontanate, quando era certo che nessuno lo avrebbe potuto sentire, pronunciava con un filo di voce il resto della frase. “...così che la morte sappia sempre dove trovarti.”
Dieci doni preziosi, dieci splendidi regali portatori di morte e atroci sofferenze. Nella tranquilla Midflower gli ignari possessori si trasformano in vittime di una vendetta che si consuma da tempo. Alan Toser si troverà, suo malgrado, coinvolto in una caccia serrata, nel tentativo di sventare un piano diabolico germogliato nelle pieghe del passato. Un feroce assassino si dimostrerà disposto a tutto pur di mantenere intatto quel tremendo segreto.
Nonostante la giornata fosse fredda e piovosa al cimitero di Midflower quel giorno non mancava nessuna tra le personalità più in vista della città. Si osservavano in silenzio, con muta diffidenza. La morte di Sebastian Rhiss, sebbene annunciata da una lunga malattia, aveva scosso l'intera comunità. In quei primi anni sessanta la sua famiglia possedeva buona parte delle terre che dividevano la cittadina dalla vicina costa. Una vera miniera d'oro. Nessuno al cospetto del feretro sembrava prestare attenzione alle parole del prete, sguardi taglienti si incrociavano tra i convenuti. La cittadina contava quel giorno un'altra vittima illustre. Il diffondersi inspiegabile di misteriose malattie tra le famiglie più potenti, tutte presenti a quell'ultimo commiato, aveva minato quella sensazione di onnipotenza che amavano ostentare da molti anni. Quel funerale avrebbe rappresentato l'inizio di una nuova era per gli ancora inconsapevoli presenti a quella triste sepoltura. Al riparo degli ombrelli, gli amici più intimi osservavano il feretro. Erano impassibili nei volti ma addolorati nello spirito. Tuttavia, se li avessero scrutati con attenzione, si sarebbe potuto scorgere sulle labbra di uno di loro un ghigno impercettibile. Lui sapeva bene che quel giorno impregnato di morte sarebbe stato il primo di una lunga serie. Lui era lì esattamente per quel motivo, gustarsi il dolore e gioire, all'insaputa di tutti, di tanta sofferenza.
La suoneria del cellulare mi spezzò il sonno con brutale prepotenza. Guardai la sveglia sul comodino, segnava le sette del mattino. Mi massaggiai le tempie, ero tormentato da un insopportabile cerchio alla testa, sgradita eredità di una sbronza evidentemente non ancora completamente smaltita. Stavo invecchiando, trascorrere le nottate bazzicando tra i locali alla moda sulla costa, dove scorrevano fiumi di alcol e sostanze di dubbia provenienza, cominciava a diventare più faticoso che divertente. Eravamo a fine luglio e un caldo insopportabile tagliava il respiro fin dalle prime ore della giornata. Ormai tutti quanti continuavano a ripetere che l'estate del 2022 sarebbe stata tra le più cocenti degli ultimi cinquant'anni. Ingoiai un antidolorifico, quindi cercai di concentrarmi sul motivo per cui ero stato costretto a quella levataccia. Solo dopo aver ficcato la testa sotto la doccia mi tornò in mente la misteriosa telefonata che era riuscita a incuriosirmi al punto tale da convincermi ad accettare un appuntamento con un nuovo potenziale cliente. Quel venerdì in realtà avevo programmato di rimanere a casa, ma dal momento che avevo ancora un briciolo di cervello che funzionava avevo capito subito che non avrei mai potuto rifiutare l'opportunità che mi era stata offerta. Le bollette da pagare accatastate sullo scrittoio continuavano a ricordarmi che ero al verde. Negli ultimi sei mesi i giorni in cui avevo lavorato si potevano contare sulle dita di una mano, due al massimo. Indossai un completo in cotone leggero, in meno di mezz'ora ero pronto. Una volta uscito in strada rimasi abbagliato per qualche secondo dalla luce del sole. Quel venerdì mattina l'aria era torrida, una calma innaturale regnava nel quartiere. Mi attraversò la schiena una sensazione insolita, inquietante, molto simile a una funesta premonizione. L'istinto mi avvisava che stavo per ficcarmi nei guai. L' indirizzo che avevo annotato sul retro di un tovagliolino di carta si trovava dall'altra parte della città. Il bar sotto casa era semivuoto, i pochi avventori avevano l'aria assonnata di chi era in procinto di cominciare l'ennesima giornata di duro lavoro. Mi accasciai su di una sedia accanto al bancone e cercai di concentrarmi su quella insolita chiamata ricevuta da parte di uno dei più facoltosi e stimati uomini d'affari di tutta la città. Quello che non riuscivo a capire era il perché si fosse rivolto proprio a me. Erano passati da un pezzo i miei tempi d'oro. Da un paio d'anni avevo perso quella curiosità feroce che mi aveva sempre motivato. Era successo, non c'era stata una ragione in particolare, nessun trauma atroce da superare, nessun dramma familiare. Ne avevo semplicemente le palle piene. Mi stavo trasformando giorno dopo giorno in un giornalista da strapazzo, da cronaca rosa. Dei lavoretti occasionali mi permettevano di sopravvivere, vivevo sepolto in una dannata cittadina di provincia. Senza un preciso motivo mi ero ritrovato a Midflower da solo e senza amici. Oh, certo, potevo sempre contare su di un gran numero di conoscenti, di quelli che ti salutano quando servi e ti ignorano quando ne hai bisogno. Al diavolo anche loro. Trangugiai un secondo caffè in un sorso, quindi decisi che fosse arrivata l'ora di scoprire cosa si celasse dietro a quello strano invito. Salii in auto, per mia fortuna ero diretto verso la zona ovest di Midflower, leggermente fuori città. Raggiunsi in pochi minuti l'indirizzo che mi ero annotato. Osservai “Villa Lerden”, una specie di castello che in città conoscevano tutti. Il cancello d'ingresso della proprietà era aperto. Dopo aver percorso il lungo viale d'accesso mi fermai davanti a un lucente portone. Scesi con calma dall'auto, non volevo fosse troppo evidente quanto fossi divorato dalla curiosità. Pochi secondi dopo aver suonato venne ad aprire un domestico dall'aria burbera, indossava una divisa impeccabile ed esibiva un irritante portamento austero. «Benvenuto in casa Lerden», sussurrò «il signore la sta aspettando.» Scrutai con attenzione quello strano maggiordomo. Poteva avere superato da poco i cinquant'anni. Era alto, dal fisico muscoloso, leggermente trasandato nell'aspetto. Aveva lunghi capelli di un innaturale nero corvino che incorniciavano un viso magro e allungato dai tratti decisi e spigolosi. Ciò che mi colpì maggiormente fu la grandezza eccessiva delle sue mani, più adatte a qualche lavoro manuale piuttosto che a maneggiare cristalli e porcellane. Mi fece accomodare in una stanza accanto all'ingresso. Ero a disagio, il dolore alla cervicale non mi dava tregua. In un silenzio imbarazzante venni accompagnato al primo piano. Il tizio bussò a una porta con discrezione quindi entrammo in una camera enorme dai soffitti altissimi. Il pavimento in legno scricchiolò in modo sinistro sotto i nostri passi. «Buongiorno signor Toser, si accomodi.» Rimasi per un attimo senza parole alla vista di quell'uomo minuto e scheletrico adagiato in un letto enorme, circondato da sofisticate apparecchiature. Lo fissai per un breve istante, provai uno strano disagio nel sostenere il suo sguardo. Avanzai lentamente, cercando il posto migliore dove sistemarmi senza dovermi avvicinare troppo. «Sieda qui accanto.» disse indicando una sedia alla sua destra. Con riluttanza mi accostai a lui più di quanto sinceramente avrei voluto. Qualcosa non quadrava, secondo le mie informazioni il signor Lerden doveva avere sessantadue anni. Quel moribondo al cui capezzale ero seduto sembrava averne almeno un centinaio. «Immagino che si starà chiedendo perché io l'abbia convocata.» Non era esattamente quello a cui stavo pensando ma mentii spudoratamente. Avrei voluto dire un epitaffio? «Credo si aspetti di ricevere qualche informazione.» esclamai tenendomi sul generico. L'osservai con più attenzione, mi colpì il colorito biancastro della sua pelle. Era completamente calvo, aveva gli zigomi incavati e gli occhi incassati nelle orbite. Aveva l'aspetto di un fantasma. Solo lo sguardo era rimasto fiero e pungente come quello dei ritratti che riempivano l'enorme stanza.
Gian Luca Pacchiotti
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