Fuoco e oblio - Incendio (vol 1)
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Mani, mani dappertutto insistenti, eccitanti e annichilenti, non riesco a capire di chi siano le une o le altre. Le mie mani sono lungo i fianchi, è lì che devono stare, questo mi hanno detto: - Altrimenti smettiamo - ed io non voglio che smettano, quindi ho i pugni stretti per ricordarmi di non muoverle. L'uomo dietro di me sta percorrendo il mio collo con baci umidi e carnali, scatenando brividi in tutto il mio corpo, mentre quello di fronte mi sta baciando o meglio mi sta divorando la bocca, non riesco a respirare, non riesco a pensare, sono persa... Persa in un mondo fatto solo di sensazioni e calore, tanto calore. Poi una mano mi stringe forte alcune ciocche, per controllare a suo piacimento la posizione della mia testa. Due mani veloci come ali di farfalla, mi sbottonano la camicetta fino ad arrivare in fondo e lentamente la tirano fuori dalla gonna, poi s'infilano al di sotto, sulla mia pelle bollente per risalirla piano. Oh sì. Non voglio più nessuna barriera, non voglio più nessuno strato di stoffa tra le loro mani e la mia pelle. Il mio seno è gonfio e teso per l'eccitazione, i capezzoli turgidi mi fanno male dalla voglia di essere toccati, stuzzicati e strizzati ma quelle mani sono pigre e lente a risalire il mio corpo. Troppo pigre, vorrei gridare, implorare ma non posso parlare. Una mano molto più rude risale la mia gamba, trascinando con sé la stoffa della gonna. Libera dalla costrizione dell'indumento, alzo l'arto per arpionare il corpo davanti al mio e alleviare la tensione che sento in mezzo alle gambe, sono fradicia. Le sue dita s'insinuano sotto le mie mutandine e il bacio s'interrompe. Due occhi blu come il mare in tempesta si focalizzano nei miei, potrei smarrirci la mia anima in quel mare. Un sorriso diabolico gli solleva l'angolo della bocca...
Penso a quando l'informatica era solo una passione, da allora ho percorso molta strada e sono contenta d'essere riuscita a renderla un lavoro diventando programmatrice. Ma in momenti come questo, quando la minaccia di un licenziamento pende sulla mia testa come la spada di Damocle, rimpiango di non aver ascoltato il consiglio della mia povera mamma e non essere diventata medico. Ma sono contenta d'avere seguito il consiglio del mio povero papà e aver inviato il mio curriculum vitae alle più grandi e rinomate aziende della regione. Lui diceva: - Bisogna sempre mirare in alto - e, in effetti, i risultati sono arrivati, la Diamorg. Wow non avrei scommesso un centesimo sulle mie possibilità... e invece domani mi aspetteranno per un colloquio. Una voce improvvisa mi distoglie dai miei pensieri: - Ehilà vicina, finalmente hai deciso di trasformare questa landa desolata in un giardino- Guardo il mio cortiletto, non più di venti metri quadrati di deserto arabico. Neanche le erbacce riescono ad attecchire, mentre nel suo c'è un tripudio di verde e colori. - Ciao Elena, ho bisogno di occupare la mente per impedirmi di pensare troppo... Anzi, se non sei di turno in Ospedale, potresti aiutarmi, così facciamo due chiacchiere- e le indico la montagna di piantine che ho appena comprato. - Volentieri- Mi guarda con aria assorta e si avvia verso il varco tra i nostri steccati. In realtà non è proprio un varco, sono solo un paio di assi mancanti che di comune accordo abbiamo deciso di non rimpiazzare. - Però mi offri una birra... O due- Ammicca, sfoggiando un sorriso luminoso che le fa brillare i dolci occhi azzurri dietro gli occhiali. - Certo. Vado a prendere la prima- Quando torno, trovo Elena intenta a dividere le piantine per dimensione e colore. - Allora, quando parti per Sydney?- Le domando. Lei mi guarda con aria afflitta. - Cassandra. Vedrai che sei mesi passano in un baleno- So che suo figlio ha bisogno di lei per l'imminente arrivo del suo primo bambino. Ma sono ormai quattro anni che mi fa da vice mamma e quindi... - Comunque abbiamo ancora tre settimane. Giusto?- Mi mancherà tantissimo. - Sì, esatto ma andrò in pensione prima, così tra una valigia e l'altra potremo stare un po' assieme... che ne diresti di portare questa futura nonna in quel nuovo centro benessere?- - Certo- Abbasso la testa per non farle notare la mia espressione triste. Lei mi prende il mento tra le dita e gentilmente mi volta il viso verso di se. - Tesoro cosa ti succede oggi?- - Lunedì ho quel colloquio di lavoro, sai quanto mi spaventino le novità. Un nuovo lavoro, tu che vai dall'altra parte del mondo...- - Ah già, il colloquio. Ora si spiega il giardinaggio- mi sorride e poi aggiunge: - Non devi preoccuparti, vedrai che andrà tutto bene, ti assumeranno sicuramente, così avrai tante cose da fare, tante cose da imparare, tanti colleghi da conoscere e non ti accorgerai neppure che non ci sono- Quando arrivo ai piedi del grande palazzo che ospita la Diamorg Corporation e alzo gli occhi sull'enorme costruzione d'acciaio e vetro, mi sento una formichina indifesa. È impressionante e svetta dominando il circondario con la sua facciata a specchio. Entro e mi accoglie un grande atrio con altissime vetrate che permettono alla luce di inondare tutto. Davanti a me ci sono gli ascensori, a sinistra un'area bar/ristoro che diffonde un piacevolissimo odore di caffè e croissant appena sfornati. A destra c'è la zona accoglienza, con gli uffici e il grande bancone della reception con tanto di logo aziendale inciso su tutta la superficie frontale. Un impiegato in divisa blu tutto intento a digitare su una tastiera è appena diventato la mia meta. - Buongiorno, ho appuntamento con le risorse umane- e sorrido. - Terzo piano, stanza 4, firmi qui- e mi allunga un blocco e una penna. Non ha neanche distolto gli occhi dal monitor. Non inizia molto bene. Firmo, ringrazio e vado agli ascensori. Quando le porte della cabina si aprono un tripudio d'acciaio, accoglie me e un'altra decina di persone in attesa. Arrivata al terzo piano, cerco la stanza 4, mi fermo davanti alla porta e faccio un respiro profondo. Busso, sento un vocio provenire dall'interno dell'ufficio, quindi entro ma ci metto un po' troppa energia e la porta mi sfugge di mano andando a sbattere contro il muro, con un tonfo tale che temo d'aver intaccato l'intonaco. Nella vasta e luminosa stanza cala un silenzio assoluto e quattro paia d'occhi mi fissano dalle loro rispettive scrivanie. Non so che fare, quindi afferro la maniglia e chiudo la porta dietro di me, prima che mi venga voglia di fuggire. - Scusate... sono qui per un colloquio con il Signor Tripodi- Alla mia sinistra, davanti a una grande parete rivestita di armadi e scaffali, ci sono due impiegate sedute alle loro postazioni attualmente intente a guardarmi male, mentre a destra ci sono due uomini. Uno dei due, un uomo di mezza età, vestito con un impeccabile completo scuro, mi fa cenno d'avvicinarmi. - Buongiorno, sono Tripodi, si accomodi- Mi indica la sedia davanti alla sua scrivania. Sfoggio il mio miglior sorriso e mi presento: - Buongiorno, Cassandra Conti- Gli tendo la mano ma m'ignora completamente e apre un fascicoletto. Curiosa sbircio quel che sta leggendo e vedo il mio curriculum. Sulla prima pagina c'è la foto che ritrae il mio viso a cuore, la mia folta chioma castana e i miei grandi occhi nocciola. Forse avrei dovuto utilizzare una foto dove non sorridevo, qui sembrano tutti così seri. Appena mi siedo il Signor Tripodi inizia a bombardarmi di domande di carattere generico, mentre il secondo uomo, un giovane impiegato seduto alla scrivania accanto, digita freneticamente sul computer tutto ciò che dico. Durante una rara pausa, vago con lo sguardo alle sue spalle dove, come per l'altro lato della stanza, si erge un grande mobile pieno di volumi rilegati e faldoni vari. Guardo l'altra scrivania e incrocio gli occhi dell'assistente di Tripodi, il quale con mia grande sorpresa, mi sorride timidamente, ma torna immediatamente serio non appena il suo capo alza gli occhi dai fogli che sta leggendo. La raffica di domande riprende e dopo altri dieci minuti il colloquio termina con la solita frase: - Le faremo sapere- Questa volta la mano che tendo per salutare, è stretta saldamente ma comunque ho la quasi totale certezza di non avergli fatto una buona impressione. Uscendo sbircio il muro. Eh sì, è' proprio ammaccato. Avvilita, esco e chiudo la porta, mi sembra un gesto così definitivo che mi appare come un presagio negativo. Per quanto non ami i cambiamenti, ci tenevo a questo nuovo lavoro. A testa bassa mi avvio verso l'area ascensori, mi fermo dietro due persone anche loro in attesa. Sono così persa nei miei pensieri che li seguo dentro la cabina appena arrivata, senza prestare attenzione. Quando le porte si chiudono, noto che c'è qualcosa che non va. L'ascensore è diverso, più piccolo e più curato nei dettagli, il pavimento è in legno lucidissimo, non in acciaio. Davanti a me ci sono i piedi delle persone che ho seguito qui dentro, sono sicuramente uomini e si stanno voltando verso di me. Piano, piano faccio risalire gli occhi sui loro corpi.
Cara Valli
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