La morte è solo un passaggio.
Torino 22 settembre
Come in tutti i funerali non sai mai chi arriverà. L'unico evento della propria esistenza in cui non sei in grado di decidere chi invitare. Lorenzo e Albert, non presero posto nella prima fila quella riservata alla famiglia, ma qualche fila indietro. Davanti c'erano sua madre, suo padre e sua sorella. Nella fila dietro a loro, un paio di tizi che non conosceva e una donna vestita di nero. Il resto della chiesa era praticamente deserto. La bara dello zio posata su un tappeto direttamente sul marmo del pavimento. Un copri cassa composto da calle bianche e rose rosse, e un nastro con la frase:” La tua famiglia.” Come funerale era decisamente solitario, segno forse che suo zio non aveva quasi nessun amico. Ma d'altronde aveva passato tutta la sua vita dall'altra parte dell'oceano ed era deceduto ultranovantenne. La cerimonia fu qualcosa di decisamente formale e fredda, sembrava che anche il prete avesse voglia di fare dell'altro. Si percepiva nell'aria che del morto non fregava niente a nessuno. Finalmente dopo poco meno di un'ora, la funzione ebbe termine. Gli uomini dell'impresa funebre vennero a prendere la bara per caricarla sulla macchina con destinazione: forno crematorio. Uscendo dalla fredda chiesa, furono accolti dalla calda e luminosa giornata di fine settembre. I suoi genitori lo avvisarono che avrebbero seguito il feretro fino al forno crematorio e poi sarebbero andati al ristorante, se volevano Lorenzo e il suo amico, avrebbero potuto raggiungerli. Mentre passeggiavano nel Parco del Valentino che costeggia il maestoso Po. Albert chiese all'improvviso a Lorenzo. «Pensi che erediterai qualcosa? Tuo zio era ricco secondo te?» Domanda che si era posto anche Lorenzo durante il funerale. «Sinceramente non lo so, non so nemmeno cosa facesse in Argentina. Sappiamo di un testamento, ma davvero del resto non so cosa dirti.» Poi aggiunse: «Se proprio vuoi saperlo, prima del funerale non sapevo nemmeno che esistesse.» «Tuo padre non te ne ha mai parlato?» Chiese Albert incuriosito. «No, che mi ricordi.» Erano arrivati al ristorante.
Ufficio del Notaio 23 settembre.
L'appuntamento con il notaio era stato fissato alle 10 del mattino. L'ufficio, situato in una palazzina stile anni '70, nella primissima periferia di Torino, distava circa una trentina di minuti dalla casa dei Mosso. L'anonima e alquanto brutta costruzione li accolse: Lorenzo con sua madre e sua sorella scesero dalla macchina, mentre il padre cercava un posto dove parcheggiarla. Quando li raggiunse, si misero a cercare il portoncino d'ingresso del condominio. Lo trovarono grazie alla targa in plastica simil bronzo su cui era inciso: Notaio Mambretti Dott.Leopoldo quinto piano. Lorenzo e i suoi si guardarono. Suo padre disse che il nome di questo notaio non lo aveva mai sentito, proprio lui che si vantava di conoscerli tutti. Mentre suo madre si preoccupava se era il caso di prendere l'ascensore o farsi cinque piani di scale, vista la squallida condizione dell'androne del palazzo: desolata, sporca e con i segni del tempo. Sembrava che dal giorno della costruzione in quella palazzina non fosse mai stata fatta nessuna manutenzione. «Figurati se non lo hanno controllato.» Rispose il marito che con i ragazzi stava entrando nel piccolo ascensore. «Sarà ma non mi fido lo stesso, io faccio le scale.» Rispose la madre, decisa a non mettere piede là dentro. «Noi ti aspettiamo al piano allora!» Rispose divertita Maria Sofia. Si ritrovarono davanti alla porta dello studio del notaio. Il campanello al lato destro della porta, in plastica sbrecciata recitava: Mambretti Dott. Leopoldo Notaio. Suonarono. Il click della serratura elettrica confermò l'apertura della porta. Un breve corridoio, su cui si aprivano tre porte era deserto. Nessuno a riceverli. Rimasero sulla porta per qualche secondo, poi la madre chiamò: «Dottor Mambretti è in ufficio?» Dopo un minuto, una voce maschile rispose: «Accomodatevi in sala d'attesa, sono subito da voi.» Sua madre non era abituata a questo tipo di trattamento, visto che nello studio del marito a ricevere i clienti ci pensava una receptionist. La prima porta alla loro destra dava su una stanza con delle sedie in finta pelle verde bosco e un tavolino basso con delle riviste sopra. La finestra della piccola stanza dava sulla tangenziale sottostante. «Particolare.» Disse stizzita la madre prima di sederti su una di quelle scomode sedie. «Non deve passarsela bene questo tizio.» Osservò Lorenzo rivolto al padre. «Non l'ho mai sentito in effetti.» Rispose, guardando fuori dalla finestra. Sua madre, nel frattempo, aveva preso una rivista dal tavolino al centro della stanza, per poi gettarla nuovamente. «Che cosa c'è ma'?» Chiese Lorenzo. Incuriosito da quel gesto. «Queste riviste sono tutte vecchie! Guarda questa! ha cinque anni!» Prendendo la stessa rivista che aveva gettato poco prima. Ne presero in mano alcune e tutte erano vecchie anche di più di cinque anni. Si guardarono sconsolati: Ma in che posto erano finiti? Si domandarono. Poco dopo sulla porta apparve un uomo, sulla settantina, stempiato e con l'aria assente. Vestito in modo sciatto e fuori moda. Gli abiti erano sgualciti e davano anche l'impressione di non essere particolarmente puliti. Dopo averli squadrati dall'alto in basso l'uomo disse: «Buongiorno. Sono il dottor Mambretti, l'esecutore testamentario nominato dal Marchese Gustavo Alberto Maria Mosso di Vallescura.» Il tono monocorde con cui aveva pronunciato quella frase lasciò tutti basiti. Questo tizio dava l'impressione di non esserci molto con la testa e per un notaio non era una bella cosa. «Se volete accomodarvi, apriremo il testamento.» Proseguì, mentre se ne andava verso quello che doveva essere il suo studio, senza per altro invitare nessuno dei presenti a seguirlo. Sottovoce Carlo Alberto, il padre di Lorenzo disse che appena usciti da lì, avrebbe telefonato al Presidente dell'Ordine, per sapere qualcosa a riguardo questo dottor Mambretti che non gli piaceva per niente. La moglie annuì. L'ufficio se lo si fosse potuto definire tale, non era altro che un'altra stanza spoglia e arredata in modo spartano, come lo era quella che era stata definitala sala d'aspetto. Una scrivania, quattro sedie e una libreria su cui c'erano alcuni grossi volumi, un paio di quadri e nessun diploma di laurea appeso alle pareti completavano l'arredamento. Il Notaio prese posto sulla sua poltrona di pelle consunta e aprì la cartellina marrone che aveva davanti. Senza curarsi se i suoi clienti si fossero seduti o meno. Finalmente alzò lo sguardo su di loro. Le sue iridi erano di un grigio così chiaro, che quasi si confondevano con il bianco sporco della sclera. Il suo sguardo si posò su ognuno di loro, osservandoli molto attentamente alla fine disse: «Dunque voi siete i signori: Carlo Alberto Maria Mosso di Vallescura, Lorenzo Alberto Maria Mosso di Vallescura, Maria Sofia Mosso di Vallescura e lei la signora Lucrezia Von Metz, unici eredi del defunto Marchese Gustavo Alberto Maria Mosso di Vallescura.» Tutti annuirono. «Il marchese come sapete viveva da anni in Argentina, non ha mai contratto matrimonio e da ricerche fatte, voi risultate i suoi unici parenti in vita. Da espresse volontà del defunto signor marchese, si esigeva la vostra presenza. Notifico per tanto che questa è avvenuta. Quindi posso dare seguito alla lettura delle volontà testamentarie; Is de cuius ereditate agitur (colui della cui eredità si tratta. NdA) Dalla cartellina marrone estrasse una busta. Tutti notarono che era stata sigillata con della ceralacca rossa, pratica che non si usava da tempo. Sulla ceralacca si vedeva impresso un disegno. «Posso dare seguito alla lettura? Ci sono domande preliminari?» Domandò il notaio, inforcando dei piccoli occhiali in tartaruga. Lorenzo che aveva notato il sigillo, in effetti ne voleva fare una. «Si. Ne avrei una io.» Il Notaio Mambretti lo guardò e con un cenno della testa gli fece capire di proseguire. «Vedo un sigillo, a chi appartiene?» Fu attraversato dallo strano sguardo del notaio, che gli disse che quello stemma apparteneva alla sua famiglia da secoli. «Posso procedere ora?» Chiese seccato. Tutti assentirono. Con le dita nodose e ricoperte da una pelle rugosa e grigia come il colore del suo viso, il notaio ruppe il sigillo; che andò in mille pezzi. Dalla busta estrasse un foglio di carta, dall'aspetto sembrava molto vecchio. Osservandolo bene, posato sulla scrivania il foglio era in carta pergamena come quella usata per i diplomi di laurea. Lo scritto era vergato a mano, con una scrittura ricercata e inusuale. Tutti notarono che in alto e al centro di quel foglio c'era riprodotto lo stesso stemma impresso sul sigillo. Esso rappresentava uno scudo al cui centro c'era un cerchio con all'interno un triangolo in cui si intersecava quello che sembrava un cuore, questo disegno in oro su sfondo nero, era sormontato da una scritta: Mors est modo transitum. Lorenzo conosceva il latino e non ci mise molto a tradurre la frase, che recitava: La morte è solo un passaggio. Non si era accorto però che nel frattempo il notaio aveva incominciato a leggere il testamento. «...Per tanto tutte le mie proprietà immobiliari sono lasciate al primogenito di mio fratello, mentre tutti i titoli fondiari e i depositi in denaro dei miei conti, depositati in Svizzera presso la USB Bank di Ginevra, andranno divisi equamente tra gli eredi. A mio nipote Lorenzo Alberto Maria Mosso di Vallescura lascio anche il mio titolo di – Gran Maestro –.» Il notaio aveva terminato di leggere. Nella piccola stanza non si sentiva altro che il traffico della tangenziale. Non era poi stato un lungo elenco di volontà, qualche riga e nulla più. Lorenzo guardò prima i suoi famigliari e poi si rivolse al Dottor Mambretti. «Cosa significa?» «Significa che ha ereditato oltre la titolo nobiliare anche quello di – Gran Maestro – Suo zio apparteneva ad un antico ordine, che viene lasciato ad un prescelto, evidentemente per suo zio, il prescelto è lei.» Intervenne il papà di Lorenzo, chiedendo quando sarebbero stati consegnati tutti gli incartamenti relativi ai conti correnti e alle unità immobiliari. Gli venne assicurato che in settimana avrebbe avuto tutto quello richiesto. Firmarono dei documenti, ma ad un certo punto il notaio disse: «Un ultima cosa, signor Lorenzo, il de cuius si è molto raccomandato di non mettere mai in vendita la sua proprietà, ma troverà tutto scritto nei documenti che le sto consegnando.» C'era una strana intonazione nella voce del vecchio notaio, tono che fece rabbrividire Lorenzo. «A riguardo le devo far firmare questo documento.» Tirando fuori dalla borsa logora un foglio e lo porse all'incredulo Lorenzo. «Pà ma è legale?» Chiese rivolgendosi al padre che stava osservando la scena; prese il foglio e lo lesse velocemente, dicendo al figlio di firmare. «E se non lo faccio?» «Perdiamo tutto Lorenzo. Firma!» Ordinò il padre. Finalmente firmato, il notaio prese il foglio e lo ripose nella borsa. «Con questo abbiamo finito signori, potete andare.» Porgendo una cartellina piuttosto spessa al padre. «Per quanto riguarda il mio onorario e tutte le spese legali, non dovete nulla, è già stato tutto pagato.» Alzandosi dalla sedia, fece capire a tutti inequivocabilmente che aveva finito. «Un'ultima cosa collega.» Disse il padre prima di uscire dalla stanza. «Se dovessi aver bisogno di chiarimenti o se insorgessero eventuali problemi, mi lascerebbe cortesemente un suo cellulare o recapito telefonico?» Si guardarono per qualche secondo, ma lo sguardo del notaio Mambretti sembrava perso nel vuoto, come se non avesse compreso bene la semplice richiesta. «Non ci saranno problemi di sorta. E adesso buongiorno.» Carlo Alberto Maria Mosso avrebbe voluto replicare, ma sua moglie gli fece capire che dovevano andare. Finalmente uscirono. Si era fatto mezzogiorno e la via brulicava di gente indaffarata a rientrare nelle proprie case per il pranzo.
Paola Alessandra Guerisoli
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