Volare... Volare è come sentirsi liberi di viaggiare in terre lontane, andare e tornare quando si ha voglia. Ci fa sognare, lasciare il segno da qualche parte. Dall'alto si possono scrutare cose che spesso ignoriamo quando siamo a livello del suolo. Basta chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dal vento. Nel silenzio troviamo il coraggio di scendere in picchiata con le ali spiegate, convinti che nulla possa ferirci. Ma è solo un'illusione: il predatore è in agguato, pronto a colpire. Quando ciò avviene, si realizza che è la fine e che mai più voleremo. «Hai mai pensato che per le vittime possa esserci una seconda opportunità, Scintilla?» Scintilla Fujita, nata e cresciuta a Tankerton (Regno Unito), era identica a sua madre, con i suoi capelli a boccoli castani e gli occhi turchesi splendenti come il sole d'inverno. Le molte lentiggini che adornavano il suo naso la rendevano particolarmente bella, tanto che alcuni non la consideravano figlia di suo padre. L'uomo veniva da un'altra etnia, nel lontano Oriente. Conobbe sua moglie in seguito all'acall'acquisto del parco divertimenti più grande del mondo e da allora divennero inseparabili. Scintilla venne al mondo per miracolo. Alla signora Fujita fu detto di non poter più avere figli a seguito di un drastico intervento all'utero. Quando scoprì di essere incinta per la seconda volta, il primogenito, Michel Fujita, si scontrò con sua madre affinché sua sorella nascesse. Si prese cura di lei sin dal primo giorno e da allora non la lasciò mai andare. Michel aveva tanti amici, ma diceva che l'uno valeva l'altro. Per gioco partecipò a un provino per una soap opera e questo gli consentì di avviare una splendida carriera di successo: fu uno degli attori più richiesti, veniva contattato da ogni parte del mondo. Di avere una ragazza non gli importò più nulla dopo i trascorsi tre anni in cui credette di aver trovato l'amore vero, lo stesso che lo ferì nel profondo quando beccò la sua fidanzata a baciarsi con uno dei suoi amici. Da allora preferì stare solo e divertirsi ogni giorno come fosse l'ultimo. Michel e Scintilla erano una sola cosa, facevano quasi tutto insieme. Si coprivano a vicenda ad ogni guaio e l'uno s'aggrappava alle forze dell'altro per non cadere. Eppure qualcosa ruppe il loro equilibrio. «Non per tutti ci sono seconde opportunità. Neanche per quelle vittime» rispose Scintilla, mentre scrutava il suo terapeuta negli occhi. «Perché?» le chiese il dottor Watson. «Perché sono morte dentro.» Nella stanza cadde il silenzio. «Parlami di quel giorno, Scintilla. Parlami della tua caduta.» Scintilla scoppiò a ridere. Tirò indietro la testa, si passò le mani nei capelli e guardò dritto negli occhi l'uomo che aveva di fronte. Costui le studiò in silenzio la depressione che tentava di nascondere: la vide alzarsi, passare in rassegna col dito i libri sullo scaffale e girovagare per la stanza senza una meta precisa, per poi tornare indietro, disperdendo i pensieri lontani dalla realtà. Il dottor Watson era il miglior specialista di Tankerton, con molti anni di carriera alle spalle. Da sempre studiava la depressione: si nascondeva negli abbracci, nei sorrisi, attraverso una lacrima e persino in una rabbia incontrollata. A volte sbocciava in tagli sulle braccia, altre nell'insonnia. La depressione aveva molte sfaccettature, ognuna peggiore dell'altra e in Scintilla si manifestò nel riflesso dei suoi sogni infranti. «Lo sa, non ricordo quel giorno» disse Scintilla. «Tu menti» le sorrise dolcemente l'uomo. Scintilla rimase apatica. Spostò lo sguardo verso l'unica finestra della stanza, là dove, in lontananza, poté osservare la pista di pattinaggio al di là della ferrovia. Il dottor Watson la vide portarsi una mano alla gola mentre tentava di deglutire, quasi stesse soffocando. «Butta tutto fuori, Scintilla» le si avvicinò l'uomo. «Non trattenere niente. Urla, se ne senti il bisogno.» Scintilla non urlò, ma la lasciò cadere quella dannata lacrima che stava squarciando la sua anima. «Io non volevo...» Singhiozzò. «Non volevo fargli del male... non a lui...» «Va tutto bene» si sentì dire ancora una volta. «Sei solo spaventata e confusa. Facciamo che mi racconterai ogni cosa quando sarai pronta a farlo.» Ma Scintilla non fece mai ritorno per raccontare. «Non ha detto altro?» domandò Michel, recatosi dal dottor Watson perché sua sorella non era migliorata. «Michel, tua sorella sta attraversando un periodo difficile. Non starle costantemente col fiato sul collo, lasciala libera. Il tuo modo di fare peggiora una situazione che già di per sé tende a schiacciarla.» Michel abbassò lo sguardo, deluso, perché aveva sperato che sua sorella tornasse come un tempo per ridiventare quella cosa folle e indefinita che erano insieme. «Porta pazienza. Vedrai che tornerà» gli disse il dottor Watson. "Amami ma non fermare le mie ali, se vorrò volare. Non chiudermi in gabbia per paura di perdermi. Amami con l'umile certezza del tuo Amore ed io non andrò via. E se sarai con me, io ti insegnerò a volare... e tu mi insegnerai a restare." Michel recitò la preghiera indiana letta sul Web mentre tornava a casa. Nel farlo, spostando distrattamente lo sguardo, vide una cosa e tentò l'ultima strada per guarire le ali a sua sorella. Capitolo 1 La pioggia batteva contro le finestre nel cuore della notte. Lampi e tuoni risuonavano nel silenzio funesto. Strade e parchi erano inondati dall'acqua e i mari agitati si infrangevano con violenza contro gli scogli costieri. Il vento soffiava con forza attraverso gli alberi, mentre le spesse nubi oscuravano le panchine dei giardini nella tempesta. L'allerta meteo incombeva su Tankerton. Ogni giorno andare a lavoro era una sfida di sopravvivenza. Scuole e svariate attività erano state sospese, mentre il traffico s'accalcava violento per le strade. Scintilla da sempre odiava la pioggia, soprattutto nell'ultimo periodo: non c'era Michel a confortarla, ma per il semplice fatto che era stata lei a respingerlo. Per quanto si sforzasse di cambiare le cose, di risorgere dal caos che aveva dentro, rimaneva bloccata nella sua posizione, mentre suo fratello trascorreva la notte accampato sul divano. I tentativi di riappacificarsi e parlare con lui, durante quei giorni trascorsi rinchiusa in casa, furono vani. Quella notte Scintilla ebbe la certezza che suo fratello si fosse intrufolato in camera di soppiatto per abbracciarla, ma quando si svegliò il mattino seguente non vi era alcuna traccia di Michel. La stanza che la circondava era semplice, enorme. Il grande letto matrimoniale era situato al centro della parete di mattoni rossi, con ai lati due comodini bianchi di cui le lampade erano spente. A seguire c'era l'enorme armadio barocco e una scrivania che un tempo usavano a turno facendosi continuamente la lotta. In un angolino remoto della stanza era presente una piccola libreria. Nessuno dei due apriva un libro da anni. Michel diceva che le sue uniche letture erano i copioni e le donne che corteggiava; Scintilla fingeva di avere una forte miopia mentre colpiva il fratello nelle parti basse. Il solo ricordo le fece venire quasi da ridere, almeno finché non adocchiò quella splendida foto che li inquadrava da ragazzini: avevano le guance rosse, con le sciarpe più grandi del collo ed entrambi appallottolati nella neve. Osservando l'immagine, Scintilla rammentò il giorno in cui entrò in casa correndo e scivolò sul pavimento bagnato. Michel le fece una bella ramanzina, ma ovviamente lei non gli prestò ascolto. Anzi, il suo destino prese ben presto una piega diversa. Tutto ebbe inizio nel freddo pomeriggio passato alle giostre con la tata fintanto che Michel terminava le riprese di un film. La piccola si arrampicò sullo scivolo per giocare con gli altri bambini, quando da lassù scorse la pista di pattinaggio e scappò via, inseguendo il fratello lungo la scena interrompendo così le riprese. Si aggrappò alla sua gamba, cominciò a strattonarlo e, apprensiva, borbottò cose che il ragazzo non comprese. Michel tentò di calmarla e soprattutto convincerla che era ancora troppo piccola per una tale cosa, ma si arrese ai capriccio di sua sorella e parlò con l'istruttore affinché potesse farle fare almeno un giro di prova. In un primo momento l'uomo fu scettico a riguardo, l'attimo dopo dovette ricredersi perché vide nella bambina una recondita passione per il ghiaccio e decise di impegnarsi al fine di tirarle fuori il fuoco che le ardeva dentro. Scintilla aveva cinque anni quando sussurrò a suo fratello, nel dormiveglia, che amava volare e che il ghiaccio le aveva regalato le ali. «Vuoi far piovere di nuovo, per caso?» La voce di sua madre, proveniente dal giardino, la riscosse. Con un gesto rapido, mise via la fotografia e uscì sul terrazzo, immergendosi nella splendida giornata che si schierava all'orizzonte. Annusò l'aria, calda grazie ai raggi del sole, poi abbassò lo sguardo verso il basso, dove suo fratello stava diligentemente lavorando con spugna e schiuma per aiutare i loro genitori a pulire la piscina. In un attimo di distrazione, i loro sguardi si incrociarono a distanza. Michel tentò un riavvicinamento, alzando una mano in un gesto di saluto e sorridendo. Sua sorella deviò lo sguardo e si ritirò in casa. Scese le scale evitando di guardare lo specchio appeso alla parete e svoltò a sinistra. La cucina, con le sue tonalità di bordeaux e il piano in acciaio, presentava un bancone all'americana con invitanti sgabelli. Più avanti, si apriva un grazioso salotto che si univa alla sala da pranzo, entrambi illuminati dalle ampie vetrate che erano state striate dalla pioggia. Scintilla cercò di ignorare Michel, evitando il suo sguardo che sentiva posarsi su di lei. «Non puoi continuare così, Scintilla» la riprese sua madre. «Io non immagino quello che stai passando, ma la vita va avanti...» «Mamma, ti prego!» ribatté Scintilla con tono di rimprovero. Lasciò di fretta la stanza e si rifugiò in bagno, trascorrendo un'ora chiusa tra le pareti ornate dal vapore. Più tardi sedette al computer in salotto per distrarsi con Monsterworld, un gioco che aveva scoperto su Facebook per ingannare il tempo. Il gioco consisteva nel decorare un'area di giardino con vari fiori e piante. Ogni tanto un buffo robot veniva a fare visita per scambiare o vendere la merce. Riuscì anche a sbloccare un simpatico esserino che le chiedeva di costruire una culla o un cavalluccio a dondolo per giocare. Scintilla utilizzò profilo di suo fratello per accedere al gioco, avendo momentaneamente disattivato il proprio. Questo comportò un riavvio di livelli, poiché Michel non aveva ancora giocato. Al che chiese aiuto a un amico qualsiasi chiedendo del WooGoo, che ancora non le era chiaro cosa fosse esattamente. Sapeva solo che era importante per alcune costruzioni e poteva ottenerlo raccogliendo piante o vendendo merce. Poi, improvvisamente, comparve un messaggio di chat sullo schermo del computer. Aberu Igarashi: Stronzo, non avevi detto di detestare quel gioco? Aberu era il migliore amico di Michel. Scintilla lo aveva conosciuto attraverso i film di suo fratello. Era di origine giapponese, un talentuoso musicista e cantante. Cambiava spesso acconciatura, aveva gli occhi marroni, guance leggermente paffute e un fisico snello. All'apparenza sembrava simpatico. Michel Fujita: Scusami, non sono Michel. Sono un'amica. Aberu Igarashi: Perdonami, sono Aberu. Michel Fujita: Io sono Scintilla. Aberu Igarashi: Un nome raro? Michel Fujita: Come la follia di mio fratello. Aberu Igarashi: È singolare. Mi piace. Michel Fujita: Già... Comunque hai una bella voce quando canti. Aberu Igarashi: Ti ringrazio. Ma Michel non mi ha mai parlato di te... Ci siamo mai visti da qualche parte? Michel Fujita: No. Io e Michel siamo amici, ma mio fratello non vuole farci uscire insieme perché è geloso. Dice che Michel non è affidabile a causa delle sue tante donne. Scintilla si lasciò coinvolgere tanto dalla chiacchierata con Aberu da dimenticare completamente il gioco.
Anita Winter
Biblioteca
|
Acquista
|
Preferenze
|
Contatto
|
|