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Autore: Lanfranco Pesci
Alabastros Cratir
Thriller storico
Lettori 3681 32 54
Alabastros Cratir
Limoux, Linguadoca-Rossiglione, Francia

Le strade della piccola cittadina erano gremite di gente. La festa patronale aveva attirato visitatori dai paesi limitrofi e la città era in fermento. Innumerevoli bancarelle allineate ai bordi delle strade offrivano ogni tipo di merce ai prezzi più disparati. Artisti di strada intrattenevano piccoli spettacoli improvvisati, tenendo sempre ben visibile il piattino per le offerte.
Due losche figure intanto si facevo strada tra la gente, apparentemente disinteressate a tutto quello che accadeva attorno, il cappuccio dei mantelli che indossavano era riverso sul capo, in modo da nascondere anche il volto.
Tutto quel caos contribuiva favorevolmente a fare in modo che potessero raggiungere la loro destinazione in maniera inosservata.
Il grande vociare dei venditori ambulanti, della gente e dei bambini che si rincorrevano sui marciapiedi venne coperto per pochi istanti dai forti rintocchi delle campane della chiesa di Notre Dame de Marceille.
I due individui si fermarono sotto un porticato, davanti al portone di un palazzo piuttosto datato. Le persiane verdi delle finestre che si affacciavano sulla strada erano tutte chiuse, sembrava che il palazzo fosse disabitato.
Rapidamente uno dei due forzò la serratura del portone coperto dal suo amico.
In pochi istanti entrarono nella struttura. La stanza in cui si ritrovarono era priva di arredi, dalle finestre entravano solo i pochi raggi di luce che riuscivano a farsi strada tra le ammaccature e le crepe delle persiane. Si guardarono attorno, cercando di individuare verso quale direzione avrebbero dovuto incamminarsi per scovare la loro preda.
Alcuni rumori dai piani superiori attirarono la loro attenzione.
Muovendosi in punta di piedi salirono le scale, continuando ad ascoltare e a guardarsi intorno. Entrambi impugnavano saldamente nella loro mano destra un coltello dalla lama affilatissima, le loro intenzioni non dovevano essere delle migliori.
Di nuovo un rumore li mise in allerta, proveniva dalla stanza di un corridoio nella parte destra del palazzo, al primo piano.
In pochi istanti si trovarono a qualche metro dalla porta di quella stanza.
Il più alto dei due prese qualcosa dalla tasca. Erano dei ferretti piuttosto sottili, ottimi per scassinare la serratura. Lentamente, trattenendo il respiro li infilò nella fessura. Il più piccolo errore sarebbe stato fatale.
L'altro teneva d'occhio il corridoio, per evitare spiacevoli imprevisti.
Improvvisamente udirono dall'interno di quella stanza un rumore metallico. Senza dubbio era il rumore di una catena che veniva trascinata.
Forse l'occupante della stanza si era accorto della loro presenza nel corridoio ed aveva afferrato la prima cosa che aveva trovato per difendersi da una aggressione.
Non importava. Dovevano andare avanti.
Dopo qualche istante l'uomo forzò la serratura e la porta cominciò a scorrere.
Repentinamente fecero irruzione all'interno, pronti a scagliare le loro lame al minimo accenno di ostilità.
L'immagine che si ritrovarono davanti li lasciò sbalorditi.
Una ragazza con indosso soltanto un reggiseno e un paio di mutandine era riversa sul pavimento. Dai polsi e dalle caviglie le pendevano quattro catene attaccate al muro. Lunghe soltanto un paio di metri, non le permettevano di poter compiere i movimenti con facilità.
Poco distante da lei c'era un secchio di colore azzurro, senza dubbio un contenitore di fortuna che le permetteva di espletare i propri bisogni fisiologici. L'intenso cattivo odore che si diffondeva nella stanza confermava questa ipotesi.
Le pareti erano completamente tappezzate di contenitori in cartone per uova, quel materiale fonoassorbente rendeva quella stanza assolutamente insonorizzata. Doveva saperne qualcosa quella ragazza. Soltanto lei poteva sapere per quanto tempo avesse urlato in cerca di aiuto prima di accorgersi che nessuno sarebbe mai accorso.
L'intimo bianco e la sua pelle chiara davano l'impressione che fosse proprio una preda indifesa nella tana del lupo. Fortunatamente di lì a breve le sue pene si sarebbero concluse.
Stordita dalla fame e dal freddo, la ragazza alzò lo sguardo tremando. Nessuno dei due uomini che aveva davanti era lo stesso che periodicamente andava da lei e la sottoponeva ad ogni tipo di violenza, fisica, mentale e sessuale.
Delle lacrime cominciarono a sgorgarle dagli occhi, era riuscita a vedere un barlume di speranza per la fine di quell'incubo.
Uno dei due uomini si tolse il cappuccio e le mostrò il volto. Nella mano impugnava ancora saldamente il coltello.
- Non preoccuparti, non vogliamo farti del male. Non siamo qui per questo. Lasciaci finire il nostro lavoro e poi manderemo qualcuno a liberarti - .
La ragazza allungò le braccia verso di loro e scoppiò a piangere. La voce calda di quell'uomo grosso e muscoloso la rassicurò. Quell'incubo era finito.
L'uomo si ricoprì il capo con il cappuccio, nascondendo i corti capelli biondi.
Senza attendere altro tempo ritornarono sui loro passi e richiusero la porta. La ricerca non era finita. Bisognava controllare nei piani superiori. Erano fin troppo certi che la loro preda fosse entrata in quell'edificio. Non potevano sbagliare.
Altri rumori provenivano dal piano superiore, questa volta molto più distinti. Erano i gemiti di una donna misti al pianto. Sicuramente quel maiale stava abusando dell'ennesima ragazza indifesa.
Raggiunsero in fretta il luogo da cui provenivano i rumori, una stanza sul lato di un altro corridoio. Questa volta la porta era aperta, non c'era bisogno di scassinare alcuna serratura. Su quel piano le finestre non lasciavano entrare alcun raggio di luce, l'oscurità non lasciava intravedere quasi nulla.
All'interno della stanza la luce era molto più intensa e tremolante, dovevano esserci delle candele accese.
I due si avvicinarono senza far rumore e si appostarono su un lato della porta.
Ai quattro angoli della stanza c'erano dei candelabri, sui muri strani simboli inneggianti al demonio. Al centro, un materasso con delle lenzuola color cremisi a contatto col pavimento. Sopra di esso giaceva una donna nuda, con un bavaglio stretto attorno alla bocca, le mani e le caviglie legate con delle corde. Il suo volto era colmo di lacrime, singhiozzava non riuscendo quasi a respirare.
L'uomo si trovava dietro di lei, era affaticato, il respiro pesante. Con tutta probabilità aveva appena finito di abusare di quella donna in un rito satanico.
Si alzò lentamente, barcollando si avvicinò ad un banco sul quale erano sistemate strane suppellettili. Un pentacolo in ferro battuto, un teschio, un espositore contenente un pugnale la cui impugnatura terminava con una testa di capra.
Sembrava piuttosto prevedibile cosa sarebbe accaduto di lì a pochi istanti.
L'uomo afferrò il pugnale e si voltò verso la donna.
Lei era lì, ancora rannicchiata sul materasso, tremante. Si rifiutava di guardare cosa stesse facendo quell'orribile mostro.
Lui le si inginocchiò accanto e le posò una mano sul fianco, accarezzò quella pelle liscia per qualche secondo, poi sollevò la mano che impugnava il pugnale.
I due assassini uscirono allo scoperto e si fermarono proprio davanti a lui, a circa cinque metri di distanza.
Il mostro li guardò sbalordito.
Due figure oscure gli si erano parate davanti, indossavano mantelli neri ed erano senza volto.
Immediatamente capì che la sua vita volgeva al termine, prima però avrebbe portato a termine il suo ultimo sacrificio. Sollevò ancora di più la mano col pugnale, pronto a colpire con forza.
Due coltelli solcarono l'aria della stanza.
Il primo gli si conficcò nella gola, facendogli spalancare la bocca in cerca di un ultimo respiro. Il secondo andò a conficcarsi diritto nel cuore, facendo zampillare un fiotto di sangue che finì sul seno della ragazza.
Mentre le forze lo abbandonavano velocemente, le braccia si adagiavano sui fianchi e la testa si reclinava in avanti, con gli occhi ancora spalancati. In un gesto disperato raccolse tutte le forze che ancora possedeva, stringendo il pugnale con entrambe le mani. Lo rivolse verso di se e se lo piantò nel ventre. Sarebbe stato lui stesso la vittima sacrificale del suo ultimo rito.
Il suo corpo ormai privo di vita si accasciò addosso alla ragazza, rimasta lì, incredula di ciò che stava accadendo davanti ai suoi occhi sofferenti.
I due assassini abbassarono la guardia. Il loro lavoro era giunto al termine.

2)

Ottobre 2016, Damasco, Siria

Il forte vento sollevava la sottile polvere dal suolo e la spingeva in ogni anfratto di quei ruderi di ferro e cemento. Un misto di terra, stucco e cenere, risultato dei continui bombardamenti che ormai da mesi scandivano le giornate di quelle terre dimenticate da Dio, proprio le terre in cui duemila anni prima riecheggiavano le gesta di un uomo che si proclamava suo figlio, un uomo che resuscitava i morti e guariva dalle malattie con la sola imposizione delle mani. Terre rimaste impresse sui fogli di carta pergamenata stampati e rilegati, custoditi con indifferenza nelle librerie delle abitazioni di mezzo pianeta.
Janette era alla guida dell'ambulanza che sfrecciava tra i cumuli di macerie del quartiere più martoriato della città, rimasto ormai deserto da mesi.
La polizia di Damasco aveva avvisato l'ospedale da campo che si trovava nella periferia a sud, della presenza di un ferito tra i ruderi dell'edificio dove un tempo sorgeva uno dei più lussuosi alberghi della città, a quasi dieci chilometri da li.
Non avevano saputo dare notizie più dettagliate. La polizia ormai non perlustrava più le zone abbandonate della città. Dopo le continue imboscate in cui le pattuglie erano state coinvolte, le autorità locali avevano interdetto alcune aree della città, in cui era stato istituito un rigido coprifuoco, dove solo le forze dell'esercito effettuavano saltuari controlli a colpi di cannone.
Amir non si era messo alla guida del mezzo di soccorso perchè aveva ancora la mano destra fasciata, la settimana precedente aveva dedicato anima e corpo a scavare sotto le macerie di una abitazione appena bombardata, per cercare di salvare Indila dalla morte per soffocamento. La ragazzina appena tredicenne era rimasta seppellita sotto un cumulo di detriti e sua madre cercava disperatamente aiuto per poterla tirare fuori. La mano di Amir era rimasta infilzata in uno spuntone d'acciaio, schiacciata da un pesante blocco di cemento.
La sua forza di volontà gli permettè di liberarsi e di continuare a scavare incurante del sangue che gli sgorgava dalla mano. Riversava dietro di sé la terra che lo separava dal pianto di quella ragazzina intrappolata. Dopo quasi mezz'ora di scavo frenetico e ininterrotto, finalmente uno spiraglio di luce penetrò nella nicchia che aveva protetto la ragazzina dalla morte sicura. Quel giorno un angelo aveva vegliato su di lei.
L'uomo ferito era sdraiato sul suolo, entrambi i femori rotti e difficoltà respiratorie derivanti dallo schiacciamento del torace. Non appena sentì il frastuono delle sirene e vide tra i ruderi del palazzo la mezzaluna rossa stampata sulla fiancata di quel furgone color sabbia, capì che ancora poteva avere delle speranze.
Janette e Amir si avvicinarono a lui, con la giusta cautela per evitare di rimanere anch'essi feriti. In un batter d'occhio capirono cosa era accaduto. Non era raro dover intervenire tra i ruderi dei palazzi bombardati per soccorrere sciacalli che erano rimasti feriti cadendo tra le macerie mentre cercavano di recuperare oggetti preziosi abbandonati dai vecchi abitanti dell'edificio.
Per quanto deplorevole fosse quell'uomo, la loro etica professionale li obbligava a prendersi cura di lui come di chiunque altro, indifferentemente dal colore della pelle, dal sesso e da qualsiasi ideologia politica o religiosa.
Rapidamente Janette gli immobilizzò le gambe sfruttando bende compressive israeliane e cercò di sollevargli la parte anteriore del torace per agevolarlo nella respirazione.
Quell'uomo doveva aver fatto proprio un bel volo prima di impattare contro il terreno spezzandosi le gambe contro una trave adagiata sul suolo. Il volto pallido non lasciava presagire nulla di buono. L'emorragia interna conseguente alla caduta non gli lasciava molte speranze di vita.
Dopo alcuni secondi Amir tornò con una barella, la posò a terra accanto a quell'uomo e osservò Janette in attesa di istruzioni.
- Al mio tre. Uno! Due! Tre! - .
Entrambi si sincronizzarono per poter trasferire il ferito sulla barella. Lo sistemarono nella parte posteriore dell'ambulanza e si incamminarono nuovamente verso l'ospedale da campo.
Dopo che sei strutture ospedaliere della città erano state bersaglio dei bombardamenti della coalizione occidentale, Emergency e Medici Senza Frontiere avevano optato per la realizzazione di ospedali da campo nella periferia della città, con sale operatorie con lo stretto indispensabile per salvare la vita agli innocenti coinvolti in quella lotta per il potere.
Arrivarono sgommando sul brecciato antistante la tenda adibita a sala operatoria, non avevano tempo da perdere.
Due infermieri si fiondarono fuori a prelevare la barella con l'uomo in fin di vita.
Janette e Amir si precipitarono nella tenda adiacente alla sala operatoria per prepararsi per il delicato intervento. Dovevano arginare l'emorragia interna e poi con più calma sistemargli i femori e il torace.
Dopo neanche cinque minuti avevano già i ferri in mano e stavano sciogliendo i nodi delle bende fissate alle gambe.
Amir stava sistemando un sacchetto di sangue zero negativo all'asta delle flebo per rimettergli in circolo almeno una parte di tutto quello che aveva perso.
Proprio mentre stava posizionando l'avambraccio di quel moribondo, una mano gli fermò il braccio e gli impedì di infilare il tubo nell'agocannula.
Amir non capì.
Janette si voltò con lo sguardo misto tra rabbia e stupore.
Marcus, il nuovo dottore giunto a Damasco da sole due settimane, aveva bloccato Amir, per quello sciacallo non c'era più nulla da fare.
Tra le mani aveva una siringa vuota, la infilò nell'agocannula e prelevò un campione di sangue di quell'uomo.
Una schiumetta biancastra stava già uscendo dalla bocca dell'uomo sdraiato sul lettino operatorio. Era appena entrato in stato di shock. Lentamente cominciò a tremare spalancando gli occhi e mordendosi la lingua in preda alle convulsioni.
Janette gli infilò una garza in bocca, mentre Marcusa aveva già preparato tre siringhe di morfina autoiniettanti. Gliele somministrò quasi contemporaneamente due nelle gambe e una sul pettorale sinistro. Lo sguardo di quell'uomo si tranquillizzò velocemente, gli spasmi cessarono e i suoi occhi lucidi facevano trasparire uno stato di pace interiore che sicuramente non aveva mai provato fino a quel momento.
Dopo pochi secondi i suoi occhi si chiusero ed esalò l'ultimo respiro.
Janette infuriata si tolse i guanti in lattice e li sbattè nel contenitore poco distante. Senza proferire parola uscì dalla tenda e si diresse verso il suo alloggio.
Amir comprese il comportamento di Marcus.
Avrebbero dovuto accettare sin dall'inizio il fatto che quell'uomo non ce l'avrebbe mai fatta, aveva perso così tanto sangue che nessuna trasfusione avrebbe mai potuto salvarlo, avrebbero sprecato del prezioso sangue senza alcun motivo.
Quella guerra senza senso stava mettendo a dura prova i nervi di tutti.
Quando Janette aveva deciso di dare il suo contributo nelle zone martoriate dalla guerra non poteva minimamente sapere che nella maggior parte dei casi che le sarebbero passati sotto mano non avrebbe dovuto fare altro che accompagnare i pazienti nei loro ultimi momenti di vita, anziani, donne o bambini che fossero. La guerra non faceva alcuna differenza. Per un giovane che salvavano c'erano dieci bambini che morivano, e il più delle volte per mancanza di medicinali e di strumenti per trattare le ferite.
Quando si era decisa a partire, non aveva minimamente pensato a tutto questo, nonostante i suoi colleghi avessero cercato di farla ragionare. La sua vocazione l'aveva portata fino a lì, in un mondo dove chiunque possegga un minimo di razionalità, la perde dopo esser travolto dagli eventi.
Marcus non era così.
Lui era freddo e senza sentimenti. Riconosceva la morte già quando cominciava a specchiarsi negli occhi dei suoi pazienti. Lui sapeva bene come doveva prepararli all'incontro con Azrael.
Amir lo ammirava molto. Durante uno dei loro fugaci colloqui avevano scherzato sul fatto che l'angelo della morte, in quei posti, negli ultimi periodi, avesse molto da fare.
Marcus capì che Amir aveva cominciato a parlare di Azrael soltanto per testare la sua conoscenza dell'Islam. Da quel giorno infatti, dopo aver appurato che conosceva molto bene la tradizione islamica, aveva nutrito meno sospetti nei suoi confronti e se lo era quasi fatto amico.
Con Janette invece i rapporti non erano molto sereni.
Il nuovo medico era piombato in quella zona martoriata dalla guerra dopo che il precedente direttore dell'ospedale era stato ferito in un bombardamento.
Quando Janette lo vide arrivare, un brivido le aveva percorso la schiena. Alto, muscoloso, dai corti capelli biondi. Taciturno e ed estremamente sicuro di sé. Mai una parola fuori posto e mai un momento di debolezza. Durante un bombardamento nel vecchio ospedale, soltanto due giorni dopo il suo arrivo, non aveva affatto pensato alla sua sicurezza. Era andato in giro per la struttura a recuperare vecchi e bambini per condurli al sicuro negli scantinati. Dopo aver egli stesso chiuso la pesante porta in ferro del sotterraneo trasformato in bunker aveva dato una rapida occhiata in giro per verificare se i medici fossero al sicuro. Li contò ad uno ad uno fino a quando il suo sguardo si incrociò con quello di lei. Si fissarono per alcuni secondi, poi lui tornò a verificare le condizioni del soffitto, per capire se fosse necessario puntellarlo con delle travi per evitare che piombasse sulle loro teste a causa delle continue esplosioni.
Dopo qualche giorno Janette si era già innamorata di lui, ma Marcus non dava il minimo accenno per farle capire se anche lui provasse un minimo interesse.
Dopo quasi quattro mesi di servizio in Siria, Janette sentiva proprio il bisogno fisiologico di avere un rapporto senza doversi preoccupare di essere contagiata da chissà quale infezione o malattia. Quell'uomo appena giunto dalla Francia meridionale sarebbe stato il compagno giusto con cui condividere quell'esperienza in ospedale da campo, in quella zona martoriata dalla guerra.
Janette aveva sentito spesso di storie d'amore nate tra i volontari negli ospedali delle zone di guerra e lei, che prima non ne condivideva le ragioni, adesso aveva capito quanto fosse importante il sostegno e l'affetto di qualcuno in mezzo a tutta quella violenza.
Poche sere prima, trovandosi da soli nella tenda adibita a luogo di svago, con la televisione satellitare e un calcio balilla, Janette offrì una birra a Marcus e cercò di baciarlo.
La reazione di lui fu del tutto inaspettata. La bloccò mettendole una mano attorno al collo stringendo leggermente quasi a soffocarla senza dire una parola. Si limitò a guardarla profondamente negli occhi.
Lei si divincolò e scappò via scoppiando in lacrime.
Da quel momento non si erano più rivolti la parola. Janette non aveva capito quel gesto, mentre Marcus conosceva benissimo il motivo per cui si era comportato così.
Avrebbe fatto l'amore con quella donna per ore e ore, ma in quella situazione non poteva premettersi un coinvolgimento affettivo, sarebbe stata la mossa più stupida che avesse potuto compiere. Un solo mese e poi sarebbe tornato in Francia al suo normale lavoro. Tutto doveva andare liscio come l'olio.
Janette era appena entrata nella tenda laboratorio, dove Marcus stava effettuando alcune ricerche sul campione di sangue prelevato dall'uomo che era appena deceduto nella sala operatoria.
Lo guardò seccata, quando non c'erano emergenze da gestire lui era sempre lì ad analizzare campioni di sangue. Cosa mai ci trovasse di interessante doveva saperlo soltanto lui.
Per qualche istante Janette pensò che potesse essere una sorta di genetista in cerca di chissà quale caratteristica nel DNA di quel popolo. Lo aveva visto catalogare centinaia di campioni mettendone soltanto alcuni sotto ghiaccio per conservarli.
In quel momento stava estrapolando il gruppo sanguigno dal campione appena raccolto. AB positivo.
Non appena vide quel risultato Marcus inclinò la testa a destra e a sinistra per farsi scricchiolare le ossa del collo.
Si voltò a guardare Janette, ma non disse nulla.
Non l'aveva sentita entrare, ma aveva sentito il profumo del suo deodorante diffondersi nell'aria.
Lei si avvicinò per osservare meglio cosa stesse facendo, lo aveva già fatto altre volte e Marcus non le aveva negato il permesso di farlo, le aveva soltanto detto di non fare troppe domande, ma di limitarsi a guardare.
L'uomo afferrò un vetrino dal bancone e lasciò cadere su di esso una goccia di sangue dalla siringa che aveva nella mano destra. Poi lo posizionò nello strumento che aveva davanti a se. Stava confrontando il campione di sangue con il Database mondiale dei dati biometrici per verificare se il DNA di quell'individuo fosse mai stato schedato.
- NOT MATCH - . Il risultato fu negativo.
La stampante si mise in funzione e stampò il referto dell'analisi su quel campione di sangue.
Tra le tante informazioni che c'erano su quel foglio soltanto una attirò l'attenzione di Marcus. - Ceppo mediorientale - .
Finalmente lo aveva trovato.
Prese nuovamente la siringa e ne iniettò il contenuto all'interno di una boccetta sterile in vetro sigillandone il tappo.
Raccolse le altre tre boccette che erano nel freezer e le gettò nel contenitore per i rifiuti medici, poi posizionò al posto di quelle tre la boccetta che aveva appena sigillato.
Janette moriva dalla voglia di domandargli a cosa servisse quel sangue, ma già sapeva che non avrebbe mai ricevuto una risposta, quindi preferì restare zitta.
Raccolse dal frigorifero due lattine di birra.
Ne aprì una e la passò a Marcus, poi aprì la sua e fece un lungo sorso.
- Grazie - Marcus ringraziò la collega per la birra.
- Grazie a te per avermi aperto gli occhi sul paziente di prima. Avrei dovuto capirlo sin da subito che non ce l'avrebbe fatta. La sua situazione clinica era piuttosto chiara - .
- Si, ma non tutti sono cinici come me. Io vedo che in questo mestiere tu ci metti tutta te stessa. La tua è una vocazione, quindi rifiuti a prescindere la possibilità di classificare un moribondo come incurabile perché cercheresti di salvarlo fino a quando ha ancora un po' di aria nei polmoni - .
Janette si sentì lusingata da quelle parole. Era proprio quello che provava ogni volta che si trovava davanti ad un ferito. Fare il possibile per salvarlo fino all'ultima speranza.
- Domani partirò. Sarai tu la responsabile dell'ospedale fino a quando non arriverà il nuovo direttore - .
Janette rimase sconvolta da quelle parole. Non poteva essere possibile. Ora che stava provando a riavvicinarsi a quell'uomo avrebbe dovuto dirgli addio.
Si voltò e uscì all'esterno della tenda, stringendo nella mano destra la sua lattina di birra.
Marcus si alzò e la seguì all'esterno.
- Capisco il tuo stato d'animo, ma credimi se ti dico che il problema non sei tu. Non fartene una colpa - .
- Lo so. Ho una discreta capacità ad infilarmi in situazioni inspiegabili. Altrimenti non sarei qui in questo momento - .
Marcus sorrise. Aveva perfettamente ragione.
Improvvisamente alcune esplosioni in lontananza fecero tremare il terreno. Nuovi bombardamenti.
- Al diavolo! Quando la smetteranno con queste maledette bombe - Janette proprio non capiva quale fosse la necessità di martoriare in quel modo quel popolo - qui dovremmo essere al sicuro, questo quartiere lo hanno già tartassato abbastanza - .
Marcus la guardò dubbioso. Pensando fosse meglio spostarsi nel bunker dietro le tende dell'ospedale.
Un tonfo secco scosse l'edificio che si trovava ad una cinquantina di metri da loro.
- Nel bunker! Subito nel bunker! - Marcus urlò a squarciagola verso l'ospedale affinché gli altri medici e infermieri potessero sentirlo e mettersi subito al riparo.
Janette non si spiegava quel comportamento da parte di Marcus. Lei non si sentiva affatto minacciata. Non avrebbero certo bombardato quel quartiere già ridotto in frantumi.
Marcus la vide lì immobile. Corse verso di lei e l'afferrò dalla vita, portandola con la forza dietro l'ambulanza che si trovava a una decina di metri da loro. Gli altri avevano già guadagnato l'ingresso del bunker, mentre si sentiva il rombo di un bombardiere passare sopra la loro testa.
Ancora pochi secondi e un'enorme esplosione fece tremare la terra sotto il loro piedi. Ciò che restava dell'edificio di fronte a loro fu ridotto in frantumi da una bomba. Sassi e macerie si scagliarono su tutte le tende dell'ospedale e sull'ambulanza, mandando in frantumi il parabrezza e il finestrino del passeggero.
Janette guardò Marcus sconvolta. Quell'uomo non smetteva di sorprenderla.
Si alzarono in piedi e uscirono nuovamente allo scoperto.
- Come diavolo facevi a sapere che avrebbero bombardato quell'edificio?!? - Janette non nascose un po' di rabbia in quella domanda.
- E' una tecnica che usano gli israeliani per bombardare gli edifici dei palestinesi. Lanciano prima una bomba inerte sul tetto del palazzo affinché gli abitanti sappiano che quello è il bersaglio della prossima bomba, così danno loro la possibilità di evacuare prima che l'edificio collassi su se stesso. Dopo qualche secondo arriva la bomba che distrugge tutto. Proprio quello che è successo qui - .
- Ma qui non siamo nella Striscia di Gaza - .
- No, ma spesso le tecniche che vengono utilizzate in un conflitto vengono esportate anche negli teatri di guerra. Non c'è da meravigliarsi - .
- Hai molta esperienza nei teatri di guerra? - Janette stava commettendo nuovamente l'errore di entrare sul personale, Marcus non avrebbe gradito.
- Si. Ho molta esperienza nei teatri di guerra. Ma ora andiamo a recuperare gli altri medici e infermieri, che tra poco qui piomberanno un sacco di feriti. Dobbiamo rimettere in ordine le tende - .

. . .

Durante quella giornata portarono all'ospedale da campo 38 feriti, di cui 8 gravi e 30 di media gravità e lievi. 2 uomini e 2 donne morirono per le ferite riportate. Fu una giornata davvero intensa.
Erano quasi le 3 del mattino, Marcus aveva deciso di andare via con il favore del buio. Il suo compito laggiù era terminato. Ormai aveva raccolto il campione di sangue di cui aveva bisogno e poteva tornare al mondo civilizzato, senza correre il rischio che una bomba gli piombasse sulla testa.
Si recò nella tenda laboratorio e aprì lo sportello del freezer, dove aveva posizionato la boccetta con il campione di sangue. Vuoto.
- Ma che diavolo! Dov'è finita! - .
Fino a poche ore prima la boccetta si trovava esattamente in quel freezer, qualcuno doveva averla sottratta.
Marcus rimase a pensare per qualche secondo, poi un'ipotesi si delineò nella sua mente.
Uscì dalla tenda e si recò verso l'alloggio di Janette.
Cercò di fare meno rumore possibile, il frigorifero si trovava al di la del letto, con buone probabilità la boccetta si trovava proprio nello scompartimento freezer di quel frigorifero. Janette gli aveva giocato proprio un brutto scherzetto. Aveva capito che l'obbiettivo di quell'uomo era quella boccetta conservata nel freezer e sapeva che senza quell'oggetto il dottore non sarebbe potuto partire.
Marcus non fece difficoltà ad arrivare a quel frigorifero, ne aprì lo sportello e recuperò la boccetta che era stata conservata all'interno di una bacinella di ghiaccio prelevato dal freezer del laboratorio. Janette l'aveva studiata proprio bene.
Richiuse lo sportello e si diresse nuovamente verso l'uscita.
Nulla era andato storto. Janette non aveva neanche accennato a svegliarsi. Poteva andare via tranquillamente.
Rimase lì a pensarci qualche minuto. Immobile. Nell'aria il profumo del deodorante di Janette, i suoi vestiti sulla sedia accanto al letto.
Posò la boccetta con il campione di sangue sul comodino e fece qualche passo verso il letto, urtando il materasso. Janette aprì gli occhi e riconobbe nell'oscurità la sagoma del suo collega.

3)

Sant'Antioco, Sardegna, Italia

Le strade di quella cittadina che contava poco più di diecimila anime non erano molto affollate. Alcune signore cariche di buste della spesa percorrevano fugacemente il lastricato della piazza antistante la chiesa di Sant'Antioco Martire. La facciata di quel luogo di culto, di un colore rosso accesso, risplendeva sotto i raggi solari che riuscivano a farsi strada tra le nuvole che attraversavano il cielo.
Una frotta di bambini si affacciò dalla strada principale diretta proprio sulla Piazza della Parrocchia, accompagnati da alcune maestre si stavano preparando per la giornata della pulizia. Non era la prima volta che l'Agesp organizzava questa attività con le scolaresche dell'isola, con il duplice intento di ripulire le strade e le vicine spiagge dai rifiuti e dalle cicche di sigaretta che inquinavano ogni angolo delle aree turistiche e di svolgere attività ludiche con i bambini di tutte le scuole dell'isola.
Armati di guanti in lattice, buste biodegradabili e coni in plastica di colore giallo e blu si stavano radunando per poter cominciare insieme l'attività.
Una maestra si portò sui gradini della chiesa, in modo da poter essere vista e ascoltata da tutti.
- Un attimo di attenzione. Ragazzi sapete cosa sono questi coni gialli e rossi che ci hanno dato? - .
I ragazzini si guardavano dubbiosi e ipotizzavano a bassa voce quale fosse lo scopo di quegli arnesi.
- Coni gelato! - un ragazzino si lasciò andare a questa battuta infelice che fece ridere tutta la piazza.
- Ma no! Non sono dei coni per il gelato. Sono dei portacenere portatili. L'obbiettivo è regalarne uno a tutti i fumatori che incontriamo, in modo che si ricordino che non devono buttare le cicche di sigaretta a terra, ma buttarle all'interno del contenitore per non inquinare la città - .
Poco distante il preside della scuola elementare di via XXIV Maggio stava parlando con alcuni insegnanti e teneva tra le dita una Winston blu.
Un ragazzino gli si avvicinò e gli consegnò un cono giallo.
- Non si buttano le sigarette a terra. Si buttano nel cono - .
Il preside si mise a ridere e ringraziò il ragazzino per il gesto gentile.
Tra i tanti ragazzini ce n'era uno che non sembrava si stesse divertendo troppo, tra le sue mani non c'era alcuna busta, alcun guanto e neanche l'ombra di un cono colorato.
La mattina precedente aveva ricevuto disposizioni accurate su cosa avrebbe dovuto fare in quel luogo, deserto d'inverno e piuttosto affollato nella bella stagione.
Non lontano dalla piazza in cui tutti i ragazzini si stavano radunando, si trovava un museo alquanto singolare, l'ultimo in cui si poteva ammirare e apprendere l'arte della seta del mare.
Il museo del bisso.
Chiara, nonostante tutte le difficoltà legate alle autorizzazioni comunali, alle tasse e alle spese sulle utenze che doveva sobbarcarsi, riusciva ancora a mandare avanti quel tempio della tradizione.
La tessitura del bisso affondava le sue radici nella notte dei tempi ed era un'attività largamente diffusa nel Mediterraneo, particolarmente nelle zone in cui non era difficile imbattersi nelle cosiddette - nacchere - .
Quel mollusco marino, scientificamente conosciuto come Pinna nobilis si presentava come un'enorme cozza ancorata sul fondale marino delle acque che circondano la Sardegna.
Il filamento prodotto dal mollusco veniva accuratamente tagliato, in modo da non compromettere l'integrità delle valve, raccolto in enormi ceste e dissalato con continui risciacqui di acqua dolce, poi fatto essiccare disteso al sole, assumendo le sembianze di grovigli di canapa d'oro.
Dopo la cardatura e la filatura veniva utilizzato per realizzare tessuti molto pregiati e costosi, che, come recita Plinio nei suoi scritti, venivano pagati a peso d'oro dalle donne di rango.
Il ragazzino aspettava impaziente il momento in cui la folla di alunni si sarebbe incamminata verso il Lungomare Cristoforo Colombo per mettere in atto il piano accuratamente studiato.
Si guardava intorno scrutando gli insegnanti e gli alunni, cercando di capire cosa ci trovassero di così tanto divertente nell'attività che si apprestavano a compiere. Ripulire le spiagge e le strade dalla spazzatura abbandonata dai turisti maleducati. Troppo facile e conveniente per il Comune e per la ditta dei servizi ambientali. Un esercito di lavoratori che permettevano di risparmiare un sacco di ore di lavoro da assegnare ai precari assoldati ad hoc dal Comune. Fondi e risorse che sarebbero finite nelle tasche di chissacchì piuttosto che nelle mani di qualche onesto lavoratore.
Com'era semplice mascherare degli obbiettivi subdoli dietro iniziative sociali e divertenti, dove soltanto la stupidità umana non sarebbe riuscita ad arrivare.
Con le braccia conserte picchiettava il piede destro contro il lastricato, quasi a scandire il tempo di ogni secondo che passava, di ogni attimo che lo sottraeva dal poter portare a termine la sua successiva missione.
Finalmente i presidi delle scuole diedero il via all'iniziativa e l'orda cominciò a muoversi verso via Regina Margherita, esattamente come preventivato.
Il ragazzino si nascondeva in mezzo alla folla cercando di comportarsi come tutti gli altri, il volto sorridente e l'aria spensierata di qualcuno che si prepara a passare una bella mattinata in compagnia.
Il museo del bisso era a pochi metri di distanza, alcuni ragazzini furono attratti dall'insegna e dagli arnesi che erano stati posizionati fuori per invitare la gente ad entrare ed assaporare il gusto di un'arte millenaria.
Due maestre entrarono con i ragazzini, ben presto l'ampio locale che si estendeva sotto un arco in mattoni ed era delimitato da pareti in pietra viva si gremì di gente.
Chiara diede un occhiata verso l'ingresso per capire cosa fosse tutto quel frastuono. Sgranò gli occhi abbassando il capo per osservare al di sopra degli occhiali che portava sulla punta del naso.
I ragazzini delle scuole.
Sorridendo posò gli arnesi del mestiere e lasciò a metà il leone di bisso che stava ricamando sulla stoffa fissata nel telaio che aveva davanti al petto.
Si avvicinò ai ragazzini invitandoli ad entrare fino al fondo del locale.
Una delle maestre invitò tutti a fare silenzio per ascoltare cosa volesse dire loro la maestra del bisso.
- Buongiorno a tutti, giovani di Sant'Antioco. Il futuro di questa terra e di questa tradizione millenaria è nelle vostre mani. Cercate di non sciuparla e di non contaminarla con la sete di denaro come qualcuno ha fatto qualche tempo fa - .
Chiara ricordava ancora bene quando un bel giorno nel suo museo era piombata gente che veniva da lontano, che si era presentata come amica ma in realtà non voleva fare altro che rubare un'arte che può essere solo il frutto del lavoro delle mani dell'uomo. Un'arte che non si può affidare ad un macchinario perché il bisso non può nascere da un telaio senz'anima.
Lei aveva provato decine di volte a convincerli che non sarebbero mai riusciti a tessere il bisso su scala industriale, ma quegli uomini non si arresero. Si procurarono tutte le autorizzazioni a suon di quattrini e fecero rastrellare intere aree di fondale marino per raccogliere quanto più bisso possibile.
Ne portarono via quintali, per poi scoprire tristemente che nessun macchinario per la cardatura e la tessitura poteva resistere a lavorare le dure fibre della seta del mare per ore, senza cadere a pezzi.
Un'arte destinata a scomparire, perché si colloca proprio all'opposto del sistema industriale. Tanto duro lavoro per poter ricavare un brandello di tessuto che avrebbe un costo talmente alto da scoraggiare chiunque all'acquisto.
Questo Chiara lo sapeva bene, era proprio quello il motivo per cui i maestri del bisso fanno un giuramento quando si avvicinano all'arte della seta del mare. Non per lucro, ma per custodire una tradizione millenaria che nasce nella notte dei tempi ed incontra il Re Salomone nelle sale del Tempio.
Il ragazzino era entrato con gli altri e si trovava proprio lì, esattamente dove doveva essere, davanti agli attrezzi per la cardatura. Nessun occhio puntato su di lui e perfettamente invisibile al mondo. I bioccoli di bisso, alcuni ancora grezzi e alcuni già sbiondati, erano esposti insieme ad alcuni spezzoni già filati, ma a lui interessavano solo quelli già sbiondati. Tre bei batuffoli che stavano senza difficoltà all'interno di una mano.
Non si fece sfuggire l'occasione.
Un movimento invisibile, mentre gli occhi di tutti erano puntati sulle parole della maestra di bisso.
Lentamente riprese la sua posizione nella folla, sgattaiolando fuori sincerandosi di non essere stato visto.
Tutto liscio.
Dopo alcuni minuti una delle maestre entrò nel museo invitando tutti a raggiungere di nuovo il gruppo che già stava scendendo sul lungomare, li aspettava una dura giornata di lavoro e non c'era tempo da perdere.
Chiara salutò tutti e riprese posto davanti al telaio, afferrando nuovamente l'ago dov'era infilato il sottile filo d'oro del mare.
Proprio mentre stava ricominciando a ricamare il leone, avvertì una sensazione di inquietudine, come se qualcosa stesse accadendo sotto i suoi occhi senza che riuscisse a capirne l'entità.
Osservò tutti gli arnesi esposti nel museo.
Si alzò dal telaio.
I tre batuffoli di bisso già sbiondato erano spariti.
- Miriam. Quando rientri dal magazzino porta con te due bioccoli di bisso sbiondato - .
Miriam si avvicinò a Chiara.
- Perché? - .
Rimasero entrambe ad osservare il ripiano degli arnesi, proprio dove erano posizionati i tre bioccoli sbiondati.
- Li hanno portati via. Proprio oggi che avevi deciso di metterne tre piuttosto che due - .
Chiara sorrise.
- Sentivo che oggi qualcuno avrebbe avuto bisogno di quei batuffoli, per questo ne ho messo uno in più. L'unica cosa che mi dispiace è che se me li avessero chiesti, gliene avrei dati anche cento. Non c'è alcun bisogno di rubare qualcosa che è già di tutti - .
La giovane apprendista di Chiara la osservò intensamente. Era sempre più affascinata da quella donna, una forza di volontà, un coraggio ed una pazienza che non avevano limiti. Stava imparando quell'arte senza dovere in cambio neanche un soldo, perché quando si parla di bisso, si mette in gioco soltanto la vita.

4)

Al castello la situazione era tranquilla.
Il signor Guidotti aveva mandato tutti a godersi un periodo di meritato riposo. In quei giorni aveva immaginato spesso Marco, Paola, Elisa e Giovanna mentre facevano i turisti in chissà quale località vacanziera. Cappadocia, Egitto, forse Dubai. Aveva chiesto ai ragazzi di rivelargli la méta del loro soggiorno soltanto al termine del viaggio, quando nel giorno del loro ritorno, bussando ai battenti del grosso portone, sarebbero tornati al castello e si sarebbero ritrovati nella biblioteca per parlare di una questione molto delicata.
Quel giorno finalmente era arrivato. Di lì a poche ore le due auto che il signor Guidotti aveva mandato all'aeroporto di Fiumicino sarebbero tornate con i suoi ragazzi, eroi invisibili che soltanto pochi fortunati avevano avuto l'onore di conoscere.
L'ultima faccenda si era conclusa nel migliore dei modi, l'uomo che aveva pensato di poter mettere le mani sui sacri teli della morte e resurrezione di Cristo aveva avuto quello che meritava, unitamente a tutti gli altri che avevano pensato di aiutarlo. Le reliquie erano tornate al proprio posto con immenso giubilo di tutti i cristiani. Il fervore religioso ed il culto di quelle reliquie era tornato fiorente. Si sa, l'uomo si accorge di quello che ha soltanto quando rischia di perderlo.
Il colloquio con Papa Francesco era stato molto gioviale. Aver avuto l'onore di poterlo conoscere di persona li aveva resi orgogliosi. La stessa cosa era accaduta quando l'anno prima avevano avuto l'onore di essere accolti per la prima volta in Vaticano da Papa Benedetto XVI.
La pace e l'ordine mondiale erano stati ripristinati, ma purtroppo una piccola porta rimaneva ancora aperta e il signor Guidotti era estremamente preoccupato in quando ignorava del tutto cosa quella porta nascondesse. Sarebbe stato proprio quello l'argomento della loro prossima riunione in biblioteca.
La questione dei Sacri Teli aveva mietuto soltanto una vittima tra le file degli innocenti: il professor Morcaldi. Lo stesso uomo che aveva scritto di proprio pugno la lettera che ora il signor Guidotti stringeva tra le mani. Aveva pensato e ripensato a tutti quei numeri e quelle lettere, ma non era proprio riuscito a decifrarne il significato. Era riuscito soltanto a capire a cosa si riferissero i tre nomi scritti a cornice del codice: Dürer, Vigenère e Beale.
Il nome di un pittore e scultore il primo, e di individui che avevano inventato sistemi di cifratura gli altri due. Il problema di fondo era che entrambi i sistemi di cifratura Beale e Vigenère avevano bisogno di una chiave di lettura senza la quale i due codici rimanevano soltanto un mucchio di cifre senza senso.
Con l'aiuto dei suoi ragazzi sarebbe riuscito indubbiamente a decifrare il codice. Sarebbe stata soltanto una questione di tempo.
Il signor Guidotti si era assopito sulla sua poltrona in biblioteca, le poche gocce di sonnifero che Alfredo gli aveva messo nel tè avevano fatto effetto.
Anche per il fedele maggiordomo era arrivato il momento di mettersi all'opera.
Non appena vide gli occhi del Gran Maestro chiudersi infilò una mano in una tasca e tirò fuori una strana penna. Doveva fare in fretta, non aveva tempo da perdere. Si avvicinò al signor Guidotti e diede un'occhiata al foglio che aveva tra le mani. Dal momento in cui quel pezzo di carta era piombato nel castello, portato dalle anziane mani di Suor Blandina, la pace era cessata nuovamente.
Il signor Guidotti era sempre irrequieto.
Alfredo aveva capito che il suo ormai decennale amico aveva intuito quali fossero le informazioni celate in quel codice e voleva impossessarsene a tutti i costi. Per giorni Alfredo aveva tentato di mettere le mani su quel documento, ma non ne aveva mai avuto la possibilità, il Gran Maestro lo custodiva gelosamente e non permetteva neanche a lui di conoscerne il contenuto. Era la prima volta che si comportava in quel modo. Quali mai potevano essere le ragioni che lo avevano portato a riservare quello stranissimo comportamento nei confronti del suo fedelissimo maggiordomo?
Senza fare rumore si avvicinò alla poltroncina e usando la penna che aveva tra le mani fece alcune foto alla lettera. Un quadrato che conteneva delle serie numeriche, simboli che senza la giusta chiave di lettura non avrebbero mai potuto avere senso.
Finalmente aveva quello che voleva.
Si spostò nelle cucine e svitò la parte posteriore della penna, estraendo la micro SD che aveva al suo interno. Poi prese la scheda e la inserì nel suo palmare. Alfredo aveva sempre mostrato una certa riluttanza nell'uso delle nuove tecnologie che il signor Guidotti metteva a disposizione dei suoi uomini ed aveva sempre affermato di non capirne nulla e di volere continuare a farlo.
Da quel che sembrava in quei momenti Alfredo sembrava invece padroneggiare l'uso di quel dispositivo.
In pochi secondi aveva scaricato le foto dalla micro SD e le aveva inviate ad un indirizzo e-mail.
Anche lui aveva finalmente dimostrato di possedere una grande schiera di scheletri nell'armadio.

. . .

Ad un migliaio di chilometri di distanza un palmare cominciò a vibrare. Il messaggio aveva attraversato l'etere ed era giunto al suo destinatario.
Con la faccia soddisfatta l'uomo guardò quello strano insieme di numeri e figure, poi schiacciò un pulsante sulla consolle che aveva al lato della sua scrivania.
- Signorina, faccia chiamare Gabriel, devo parlargli con urgenza - .
La voce dall'altro lato rispose che lo avrebbe fatto chiamare immediatamente.
Passarono soltanto alcuni minuti, quando la voce della signorina tornò a farsi sentire sull'altoparlante della consolle.
- Signor Straatberg, Gabriel è arrivato. Lo faccio accomodare? - .
- Si. Lo faccia entrare - .
Dopo qualche secondo la porta cominciò ad aprirsi.
La robusta figura del responsabile della sicurezza si avvicinò con sguardo interessato. Proprio non conosceva il motivo per cui il capo lo avesse fatto chiamare con così tanta urgenza.
- E' il momento di cominciare. Finalmente i tempi sono maturi per portare a termine quello che abbiamo iniziato molto tempo fa - .
Gabriel abbozzò un sorriso. L'idea di mettere in atto il piano che per mesi avevano elaborato e analizzato in ogni minimo dettaglio lo rendeva soddisfatto.
- Oggi stesso avviserò il capo dell'inizio delle operazioni. Sappiamo già che manderà uno dei suoi uomini più fidati a tenerci sotto controllo, quindi vediamo di non commettere errori - .
Il capo della sicurezza si voltò senza proferire parola. Conosceva a menadito ogni singola mossa che avrebbe dovuto compiere da quel momento in poi. Chiuse la porta alle sue spalle e si diresse verso l'uscita dell'edificio.
La segretaria del signor Straatberg guardò quell'uomo con sguardo interessato. Il suo bel fisico tonico e il ciuffo biodo lo rendevano estremamente affascinante. Purtroppo le era sembrato fin troppo chiaro sin dal primo momento in cui lo aveva visto che quell'uomo non nutriva il benché minimo interesse per lei. Ogni volta che passava davanti a quella scrivania non la degnava neanche di un minimo sguardo.

. . .

I due fuoristrada neri cominciarono a solcare il viale che dava accesso al castello. Parcheggiarono proprio davanti alla scalinata.
Alfredo non tardò ad arrivare per aprire il portone e permettere ai ragazzi di accedere al castello.
Aldo, Antonio, Stefano e Lorenzo non li avevano seguiti fin lì. A Fiumicino avevano ripreso le loro strade ed erano tornati alle mansioni che ricoprivano per l'ordine prima di essere convocati a seguito della scomparsa dei Sacri Teli.
I quattro erano sorridenti, visibilmente riposati e rilassati. Rapidamente raccolsero i loro bagagli dalle auto e dopo aver salutato Alfredo, entrarono nel salone d'ingresso.
Il signor Guidotti già li aspettava in biblioteca.
Le tre ragazze si precipitarono da lui e cominciarono a raccontargli le vicende che avevano vissuto durante il loro soggiorno in Egitto. A cominciare da Il Cairo, dove al bazar di Khan el Khalili i ragazzi avevano pensato bene di separarsi dalle ragazze e lasciare che venissero assalite dai mercanti che cercavano di vendere loro qualunque tipo di merce, avevano persino proposto di barattarle per venti cammelli. In quella occasione Elisa non aveva tardato a mettere mano alla lama in teflon che aveva barattato poche centinaia di metri prima con un ciondolo di cui le aveva appena fatto dono un mercante al porto nel tentativo di approcciarla. Neanche il profumo inebriante e pungente delle centinaia di spezie diffuse in quell'ambiente da mille e una notte le avevano fatto dimenticare per un attimo chi fosse realmente. Marco ci provava in tutti i modi a farle vivere dei momenti da ragazza - normale - , ma non c'era nulla da fare. Era anche vero però che l'amicizia instaurata con Paola e Giovanna l'aveva cambiata radicalmente rispetto ai tempi in cui temeva di mettere il naso fuori dal rifugio senza i panni dell'assassina.
D'altro canto si sentiva confortato dal fatto che oltre a lui ci fosse un'altra persona sempre attenta a qualunque cosa accadesse loro attorno. Marco stesso aveva bloccato il polso di un ragazzino che cercava di mettere una mano nella borsa di Paola mentre Elisa senza difficoltà e senza essere scoperta recuperava dalla tasca di quel piccolo furfante il portafogli di uno sventurato turista francese. Per poi consegnarlo pochi metri dopo a due agenti della polizia locale con la promessa di portarlo al più vicino ufficio degli oggetti smarriti e diffondere la notizia del ritrovamento nelle navi da crociera e in tutti gli alberghi della zona. Il loro obiettivo non era sicuramente quello di permettere al turista di recuperare il contante, ma quantomeno i documenti.
Passarono una buona mezzora a parlare delle loro esperienze e delle cavalcate nel deserto sul dorso di cammelli, poi Marco notò il volto cupo del signor Guidotti e invitò le tre ragazze a lasciargli un po' di respiro.
Il Gran Maestro si scusò per il comportamento poco gioviale ma spiegò che la motivazione era piuttosto grave.
Invitò tutti a prendere posto sulle poltrone della biblioteca e a mettersi tranquilli con le orecchie ben aperte. Fece cenno di avvicinarsi anche ad Alfredo.
- Ragazzi miei, pensavamo di aver restaurato la pace con il ritrovamento dei Sacri Teli e io stesso lo speravo intensamente, ma purtroppo durante la vostra assenza ho ricevuto una lettera piuttosto preoccupante. Ho evitato di mostrarla persino ad Alfredo per attendere il momento in cui tutti foste qui e parlarne insieme - afferrò il foglio che era sul tavolino accanto alla poltrona e lo mostrò ai ragazzi. Si trattava di una fotocopia dell'originale che mostrava soltanto il codice e non la lettera alla quale era connessa quella figura, per il momento non voleva rivelare il processo attraverso il quale si era impressa l'immagine sulla Sindone.
Marco lo guardò per primo, Elisa e Giovanna immediatamente si portarono alle sue spalle. Paola rimase al suo posto, sapeva di poter fare ben poco per decifrare un codice, ma era estremamente curiosa di dargli un'occhiata, almeno per scoprire come fosse fatto.
Marco, Elisa e Giovanna riconobbero immediatamente il quadrato 4x4 di Dürer, presente in un suo famoso quadro dal significato riccamente esoterico e tempestato di simboli massonici. Giovanna girò il capo prima verso destra, poi verso sinistra. Marco ed Elisa ricordavano di aver già sentito quei nomi, Beale e Vigenère ma il loro impegno nella crittografia non era stato intensissimo, avendo preferito l'azione allo studio. Al contrario Giovanna aveva preferito proprio quella branca ed era esperta in simbolismo e crittografia; per lei quei due nomi erano piuttosto chiari.
Fu la prima a prendere la parola.
- Si tratta di una doppia crittografia. Prima però ho bisogno di sapere da dove viene. E' importante per trovare le chiavi di lettura - .
Gli altri tre ragazzi restarono in silenzio, anch'essi interessati alla risposta che il signor Guidotti stava per dare. Alfredo cercò di nascondere il suo interesse per quella risposta, ma sapeva benissimo che quella informazione rappresentava un dato vitale per fare passi in avanti nella soluzione dell'enigma.
- Questa lettera mi è stata portata da una carissima amica che voi tutti conoscete, almeno per sentito dire. Si tratta di Suor Blandina Schlomer - .
- La custode del Volto Santo di Manoppello - Elisa non riuscì a trattenersi.
- E lei come ne è venuta in possesso? - questa volta fu Marco a manifestare il suo interesse.
- Le è arrivata attraverso una lettera, mandatale da un uomo che purtroppo non c'è più, ma che sapeva benissimo di essere in pericolo a causa delle cose che aveva scoperto: il professor Morcaldi - .
Elisa rimase a bocca aperta. L'unico uomo che aveva perso la vita nella faccenda dei Sacri Teli era strettamente legato a quell'enigma. Con tutta probabilità allora la sua morte non era avvenuta per caso.
- Questo vuol dire che è autentico e potrebbe contenere informazioni davvero importanti, che lui ha deciso di nascondere dietro un enigma per evitare che cadessero nelle mani sbagliate - .
- Il timbro postale è quello di Zurigo e la data risale al giorno prima che noi e gli uomini di Lamech facessimo irruzione nella villa dell'Antigua Tau. Quindi è stata spedita proprio nel giorno in cui lui è morto - .
Il signor Guidotti era molto serio; insieme ai suoi ragazzi cercava di ricostruire gli ultimi giorni di vita del professor Morcaldi per cercare di capire quale fosse la chiave di lettura del codice e cosa potesse nascondere.
Giovanna riprese la parola.
- Ha prodotto il codice all'interno del laboratorio in cui erano stati rinchiusi gli studiosi, quindi la prima chiave di lettura si trova ancora li - .
- Che cosa vuoi dire con - si trova ancora li - ? - .
- Vedete gli enigmi di questo tipo, puramente metodico e non grafico o misto si compongono dall'alto verso il basso, e da sinistra verso destra. Questo vuol dire che la soluzione deve avvenire a ritroso, da destra verso sinistra e dal basso verso l'alto. Quindi il primo passo è quello di risolvere la parte relativa a Beale - .
Paola sorrise ed attirò l'attenzione di Marco.
- Cosa ci trovi di divertente? - .
- Nulla, il fatto è che sembra che tutti siate esperti di enigmi, mentre io non ci capisco nulla. Mi stavo chiedendo cosa fosse Beale - .
- Hai ragione. Siamo stati un po' egoisti. Giovanna sarà bravissima a spiegarci chi era Beale - .
Senza esitare Giovanna corse verso la camera segreta, l'ausilio di un libro l'avrebbe aiutata a far capire meglio di cosa si trattava.
Tornò dopo pochi secondi portando un libro tra le mani.
- Beale era un mandriano della Virginia, negli attuali Stati Uniti. La leggenda vuole che, mentre con il suo gruppo di 30 uomini stavano inseguendo una mandria di bufali nel Nuovo Messico, si imbatterono in un filone di materiali preziosi, oro, argento e pietre. Scavarono per diversi mesi e raccolsero diverse tonnellate di materiali, che, ad intervalli regolari di tempo andavano a seppellire in un posto che loro conoscevano in Virginia - .
- Diverse tonnellate hai detto? Beh con quello che oggi è il valore dell'oro una famiglia starebbe tranquilla per diverse generazioni - Paola sorrise.
- Ma non è tutto. Dopo l'ennesimo viaggio in Virginia, e l'ennesimo carico di materiali seppellito, Beale scrisse alcune lettere crittografate che indicavano il luogo in cui si trovava il nascondiglio e le consegnò in una cassetta chiusa ad un suo onestissimo amico oste, con l'impegno di aprirla soltanto se non fosse tornato per almeno dieci anni - .
- E l'oste cosa fece? - .
- L'oste aspettò. Dopo dieci anni che il suo amico non si faceva vivo aprì la cassetta e trovò tre lettere crittografate. Per anni provò a decifrarle fino a quando con l'aiuto di un suo amico, riuscì a decifrare quella numerata come seconda, che indicava le caratteristiche del tesoro sepolto. Scoprì che ogni numero della serie, rappresentava una parola della Dichiarazione di Indipendenza americana e che ad ogni numero doveva essere sostituita la lettera iniziale della parola. Il primo e il terzo documento restano a tutt'oggi non decifrati - .
- Quindi il nostro compito sarà scoprire qual è il testo attraverso il quale è stato decifrato questo messaggio - .
- Esatto. Ma come? - .
Elisa cominciò a passeggiare per la stanza nervosamente. Nel breve dialogo che aveva avuto con i dottori alla sede dell'ordine dell'Antigua Tau le avevano detto che per giorni erano stati rinchiusi in un laboratorio e che probabilmente il professor Morcaldi aveva effettuato importanti scoperte riguardanti la Sindone, forse persino il modo in cui si era formata l'immagine sul telo.
- Dobbiamo trovare il laboratorio in cui sono stati rinchiusi per effettuare le ricerche sui teli. Se erano stati isolati dall'esterno il documento che lui ha utilizzato deve essere per forza lì. Potrebbe aver nascosto in quel codice il modo in cui l'immagine si è impressa sulla Sindone. Lui era un esperto di datazioni al radiocarbonio - Elisa aveva trovato una pista da seguire.
Il signor Guidotti la interruppe.
- Mia cara Elisa. Quello che dici è vero. Ma in quell'enigma purtroppo non è celato il modo in cui si è formata l'immagine sul telo - .
Dicendo queste parole, il signor Guidotti raccolse un altro foglio da una cartellina che era sul tavolino e lo mostrò ai ragazzi.
Rapidamente lo lessero e restarono a guardare il Gran Maestro, che intanto aveva poggiato la testa allo schienale della poltrona e aveva lo sguardo rivolto al cielo.
I ragazzi tornarono a sedersi sconvolti.
- Una reazione esotermica tra il bisso e l'aceto. Possibile che siamo stati così ciechi per secoli da non mettere insieme le due cose? La Bibbia lo dice così esplicitamente. Prima di morire Gesù venne abbeverato con dell'aceto e il suo corpo non fu lavato per via della parasceve. E poi la questione del bafometto. In pratica il professor Morcaldi in quel laboratorio ha mandato in fumo centinaia di anni di ricerche inutili e ha trovato la soluzione a due grandi enigmi della storia - Marco era stato pervaso da un senso di ammirazione per quell'uomo che purtroppo in quella vicenda aveva trovato la morte.
- L'enigma allora cosa riguarda? - .
- Ho paura che il professor Morcaldi in quel laboratorio abbia risolto tre grandi enigmi della storia - le parole del Gran Maestro erano molto pacate, ma sapeva che dal momento in cui avrebbe pronunciato quelle parole il caos sarebbe tornato a pervadere le mura di quel castello.
- E quale sarebbe il terzo? - .
- Il Santo Graal. Temo proprio che il professor Morcaldi abbia intuito dove si trova il Santo Graal ed abbia composto quell'enigma per dircelo senza permettere ad altri di poter raggiungere l'informazione - .
Marco si abbandonò allo schienale della poltrona su cui era seduto.
- Il Santo Graal. Il calice che intere generazioni hanno cercato in lungo e in largo per il mondo e a cui interi eserciti hanno cercato di arrivare in uno dei capitoli più oscuri della storia dell'uomo. Se l'informazione si diffondesse sarebbe il caos - .
- Sicuramente. Dobbiamo stare molto attenti e non lasciar trapelare notizie - .
Il volto di Alfredo era estremamente soddisfatto. Sapeva perfettamente che quella informazione avrebbe fatto comodo all'uomo a cui aveva inviato il codice poche ore prima.
Quella notizia non avrebbe dovuto abbandonare quelle quattro mura, ma il maggiordomo sapeva perfettamente che non avrebbe assecondato quella richiesta del Gran Maestro.

Lanfranco Pesci

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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