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Autore: Alessandra Parrilla
L'esiliata
Romanzo Storico
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L'esiliata
- Sai cosa significa il mio nome, nobile Giulia? - Sebastiano le poggiava una mano sulla testa abbandonata accanto a lui.
La donna fece cenno di 'no' mentre con le mani tentava di asciugare le lacrime e ricomporsi.
- Augusto. - proseguì lui - In greco il mio nome significa Augusto, venerato.
Non trovi sia curioso? Tuo padre e io spesso ci soffermavamo su questa coincidenza. -
- Perché non mi hai mai detto di conoscerlo? - Finalmente Giulia aveva trovato il coraggio di chiederlo chiaramente.
- Perché non me lo hai mai chiesto. -
Giulia si guardò le mani in grembo e sorrise: ma certo, non lo aveva chiesto. Semplice. Un'altra occasione sprecata.
- La domanda è...perché te lo racconto ora? - Il vecchio stava utilizzando le ultime forze che la malattia gli concedeva: si schiarì la voce prima di ricominciare a parlare - Anche io ho deluso mia figlia. Si può dire che il suo amore per me l'ha uccisa. Quando mia moglie morì, decisi di cambiare vita e chiesi in prestito del denaro per avviare un'attività di commercio. La nave che trasportava il mio futuro affondò durante una tempesta e io mi salvai, ma il carico no. Sarei finito schiavo. Mi fu offerto di scambiare la mia libertà con la vita di mia figlia e io accettai. Irene mi amava molto, non si sarebbe mai ribellata al mio volere e così la promisi in sposa al mio creditore, pur sapendo che collezionava giovani amanti che, a suo piacimento, picchiava. Il destino volle che quella ragazza, bella e sana fino a quel momento, si ammalasse gravemente e che la bestia che si era impossessata del suo corpo fosse fulminea nell'attacco morta- le. - Il vecchio fu scosso dalle lacrime e il racconto proseguì con maggiore fatica. - Ho sempre pensato che la morte fosse stata più pietosa di me: il male l'ha salvata dal destino infelice che io le avevo riservato. Morì in pochi giorni, Irene, io finii schiavo per debiti subito dopo. -
Stavolta ci volle una lunga pausa prima che Sebastiano riuscisse a riprendere il discorso.
- Ed eccomi qui, con te che ogni istante mi ricordi mia figlia, col tuo sguardo che ogni giorno mi ha rammentato quanto male ho inflitto a quella creatura che mi adorava. Come tu adori tuo padre, Giulia. Non pentirtene mai e, se puoi, perdonalo perché lui, credimi, sono certo che non si dà pace. -
Giulia era ormai un fiume inarrestabile di lacrime piene del dolore che per tutti questi anni aveva tenuto dentro: era finalmente libera di piangere di fronte a qualcuno e aveva così tanta pena per se stessa. E per quel suo buon amico...
Si alzò, Giulia, si inchinò fino a sedersi sulle ginocchia e abbracciò Sebastiano, bagnando il mantello del vecchio con le lacrime che non riusciva a fermare e che si mischiavano a quelle dello schiavo.
Rimasero così, abbracciati e affranti per molto tempo, fino a perdere il senso dei minuti, o forse delle ore, che trascorrevano indifferenti.
- Giulia, mia cara, dolce, nobile padrona. Voglio dirti un'ultima cosa. - sussurrò Sebastiano.
- Dimmi, ti ascolto. - La donna sedette, le gambe tremanti: si asciugò viso e naso col proprio mantello e si sistemò qualche ciocca di capelli sfuggita alla pettinatura.
- Sesto. -
Giulia guardò il vecchio con aria interrogativa.
- Sesto? - ripetè.
- Sì, mia nobile padrona. Quel giovane non si dà pace per averti delusa. - Sebastiano ora si sforzava di parlare con tono deciso: voleva essere capito bene.
- Non è per difenderlo, ma lui non comprende nel profondo cosa ferisce una persona sensibile e intelligente come te. - Il vecchio la scrutò intensamente: fuori il vento non accennava a calmarsi e Giulia lo coprì meglio per proteggerlo dalla temperatura, troppo bassa per un malato. - Ora riposati. - Sussurrò dolce.
- No, devi sapere. Lui ti vuole bene, come tutti noi: fin dal giorno in cui sei arrivata, hai rischiarato le nostre giornate e ci hai completamente soggiogati con la tua grazia e gentilezza. Sesto non sa esprimere la devozione che ha per te, devi capirlo. Credi a questo vecchio morente quando ti dice che quel ragazzo non ha compreso quanto male ti ha fatto un gesto apparentemente innocuo, neanche dopo che lo hai rimproverato. Ha accettato le tue decisioni, ma solo perché tu sei la padrona, lui lo schiavo. -
Giulia chinò il capo.
- Non riuscivo a muovermi, Sebastiano. Non ci riuscivo. Anche per questo non sono più venuta a trovarti. - abbassò la voce - Ora me ne pento ma ero immobilizzata dalla paura, dal rancore, dalla rabbia: il mio destino di esule non è facile da accettare, non volevo più nessuno a consolarmi. -
- Ma io lo so, padrona, non devi darmi spiegazioni. Io e te ci siamo sempre capiti. - Sebastiano allungò la mano per carezzarle la guancia ma non ci arrivò e Giulia si fece in avanti per facilitarlo: il tocco era gentile, caldo, confortante. Lo schiavo proseguì. - Io ti ho capita fin dall'inizio. L'amore ti ha sempre tradita e tu hai chiuso il tuo cuore per non rischiare di romperlo. Ma non serve, non è mai servito. Fra poco io non correrò più alcun rischio, ma solo perché sarò morto. Tu sei viva, non puoi fuggire. -
Giulia sospirò, stanca anche di piangere.
- Ho capito, Sebastiano, ma sono stanca. -
- Sesto deve dirti una cosa importante. Ha paura di sbagliare ancora una volta, ma un tuo cenno gli restituirà fiducia. E non ho finito. - Sebastiano fece una pausa per riprendere fiato. - Damiano. -
- Damiano? -
- Ti ama. Lo sai, vero? Tienilo stretto al tuo fianco, soprattutto quando non ci sarò più. -
Giulia aggrottò le sopracciglia e sospirò rumorosamente. Trascorse il resto del tempo in silenzio, ascoltando i racconti di Sebastiano che non smetteva più di parlare nonostante l'affanno e la tosse.
Lei non si allontanò dal letto del moribondo e non sentì stanchezza, fame o sete, né corse fuori da Sesto per sapere cosa volesse dirgli, nonostante la curiosità si fosse insinuata nella sua mente. Non voleva lasciare Sebastiano, non finché non vi fosse stata costretta.
Alla fine l'uomo si addormentò, stanco e domo dalla malattia: l'unica cosa che si sentiva nella stanza era il rumore basso e sordo del suo respiro mentre fuori anche il vento si era calmato e sembrava in attesa di qualcosa.
L'alba arrivò e il vecchio, finalmente, tornò nelle braccia della sua Irene. Giulia ne ebbe conferma quando sul viso di Sebastiano apparve il sorriso di chi, dopo molto tempo, ha trovato finalmente la pace.

Notizie da Roma

La morte di Sebastiano fu per Giulia un dolore profondo, sordo ad ogni tentativo di consolazione.
La donna aveva voluto occuparsi personalmente del funerale del servo: si era fatta spiegare da Damiano quali fossero le usanze dei greci e aveva celebrato il rito nei minimi dettagli perché il caro amico compisse l'ultimo viaggio nel modo più degno e solenne che fosse possibile.
Per due giorni e due notti Giulia aveva vegliato il corpo di Sebastiano, poi lo aveva fatto lavare da Celia; infine aveva chiesto a sua madre degli unguenti profumati da spargere personalmente sul corpo del vecchio prima di bendarlo. Nonostante le lacrime che velavano gli occhi e il dolore che ottundeva la mente, Giulia si era persa nei racconti di Damiano che descrivevano il viaggio dell'anima nell'Erebo, quel luogo di tenebre generato da Notte, padre di quelle Moire di cui Sebastiano le aveva parlato.
Giulia pose solennemente delle monete sugli occhi e sulla bocca del defunto per consentire il trapasso. Damiano le aveva raccontato dei cinque fiumi degli inferi: Stige, il fiume dell'odio, Cocito, il fiume dei pianti, Acheronte, il fiume del dolore, Flegetonte, il fiume del fuoco e Lete, il fiume dell'oblio che serviva a far dimenticare la vita precedente alle anime ormai purificate prima del ritorno sulla terra. Attraversato l'Acheronte, il defunto con quelle monete avrebbe pagato Caronte con un obolo e si sarebbe presentato al cospetto di tre giudici, Minosse, Eaco e Radamante per essere giudicato. Mentre Giulia compiva i riti funebri, un sorriso la sorprese a fior di labbra al pensiero di Sebastiano che veniva perdonato di fronte al tribunale infernale per il peccato che lo aveva logorato tutta la vita.
Fu con grande compostezza che il corpo senza vita venne adagiato sul giaciglio di legno, i piedi rivolti verso la porta: deposto l'amico nella cassa di legno, Giulia guardò negli occhi ciascuno dei suoi servitori, in ultimo sua madre, poi fece un cenno di consenso alla chiusura definitiva di Sebastiano nella cassa e lo salutò con un inchino rispettoso e promettendogli, in cuor suo, che avrebbe seguito i suoi consigli e non lo avrebbe mai dimenticato. Con solennità il corteo, piccolo ma perfettamente ordinato, offrì l'ultimo saluto a colui che, nonostante la riservatezza, era un faro per tutti.

Alessandra Parrilla

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