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Autore: Michele Scalini
Prossimi all'estinzione
Romanzo
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Prossimi all'estinzione
Avevo da poco finito di fare colazione e presto sarei dovuto uscire di casa per andare al lavoro.
Come ero solito fare ogni mattina, prima di uscire di casa, sistemai l'angolo cucina pulendo tutto quello che avevo usato.
In seguito, mi avvicinai alla vetrata, che offriva una splendida vista sul resto della città, intanto che bevevo a piccoli sorsi dalla mia tazza di caffè.
Osservavo quegli edifici, i quali venivano celati leggermente da uno strato di nebbia provocato dalla sabbia tirata in aria dal vento caldo che bruciava il nostro mondo.
Puntai lo sguardo in lontananza, oltre i confini della città, dove si estendeva il deserto causato dalla siccità che stava distruggendo il nostro mondo.
Decenni prima, infatti, l'umanità aveva dichiarato guerra a quel fenomeno che all'epoca veniva chiamato riscaldamento globale.
Intenzionati nel porre un rimedio all'aumento delle temperature, che purtroppo non era così evidente come dicevano a quei tempi, decisero di ridurre le emissioni di anidride carbonica.
Ma, purtroppo per loro, nonostante avessero tutte le buone intenzioni, commisero un grave errore.
Infatti, la drastica riduzione dell'anidride carbonica nell'atmosfera terrestre uccise la maggior parte delle foreste e indusse l'intero pianeta in una condizione di siccità perenne alla quale non si riusciva più a porre rimedio.
E pensare che in quegli anni ci fu uno scienziato, un certo Patrick Moore, che lamentava il fatto che l'anidride carbonica fosse in scarsa quantità in quell'epoca e che andava aumentata.
Non andava diminuita!
Purtroppo, quello scienziato non venne ascoltato e noi tutti ne stavamo pagando le conseguenze nel nostro presente.
Quello che la gente di quel tempo non riusciva a comprendere era che l'anidride carbonica era fondamentale per permettere alla vegetazione di resistere alla siccità.
Inoltre, quell'elemento era necessario per la fotosintesi clorofilliana, cosa che si studiava a scuola fin dalla tenera età.
Attraverso quel processo, infatti, le piante riuscivano a generare ossigeno, elemento fondamentale per la vita sul nostro pianeta.
Ma quegli insegnamenti non servirono a molto!
Quello scienziato aveva tentato di avvisarli riguardo all'importanza di quel prezioso elemento, chiamato da lui stesso il gas della vita, ma risero di lui e proseguirono col loro macabro piano non curandosi affatto dei suoi tanti appelli.
Nel frattempo che la siccità si impossessava del pianeta, le aree più meridionali vennero completamente abbandonate dagli esseri umani, i quali cercavano scampo andando a rifugiarsi in quelle più settentrionali.
Ma anche in quelle zone arrivò la siccità e la desertificazione, come se non volesse abbandonare quell'umanità che stava morendo a causa dei propri errori.
Ogni giorno morivano milioni di persone per il caldo, e per la riduzione dell'ossigeno, elemento fondamentale per l'esistenza sia umana che vegetale sul pianeta.
Anche il cibo, e di conseguenza l'acqua, iniziò a scarseggiare negli ultimi decenni.
L'amministrazione della città fu costretta ad attuare piani per razionare il cibo, in modo da permettere a tutti di averne a sufficienza per vivere e per non intaccare le scorte che erano sempre meno.
Quando iniziarono a ridurre le emissioni di anidride carbonica si contavano otto miliardi di persone sulla Terra.
Ma nel mio tempo, quello che stavo affrontando nel migliore dei modi, erano rimasti poco meno di mezzo miliardo di individui.
Rimanevamo in pochi sulla Terra e dovevamo lottare ogni giorno per poter sopravvivere.
Mentre osservavo l'orizzonte, la vasta distesa di sabbia che si estendeva oltre la città, notai la presenza di un filo di fumo nero che saliva alto in cielo.
Non mi fu difficile capire cosa stava causando quel fumo.
Da quelle parti, oltre i confini della città, dove nessuno guardava mai, bruciavano i cadaveri che venivano raccolti dalle strade o dalle abitazioni.
Ormai, i cadaveri non venivano più portati nei cimiteri, i quali non esistevano più da tempo.
Venivano lasciati alcune ore in compagnia dei familiari, se ne avevano, in modo da permettere loro di dargli l'ultimo addio.
In seguito, venivano infilati all'interno di un sacco nero e venivano portati alla discarica, dove venivano bruciati nel vano tentativo di ripristinare la presenza di anidride carbonica nell'atmosfera.
Ma tutti quegli sforzi non servivano a nulla!
Quel gesto non sarebbe servito a ripristinare quell'elemento nell'atmosfera e noi tutti lo sapevamo benissimo, come lo sapeva l'amministrazione stessa.
Continuai ad osservare fuori da quella vetrata, sorseggiando il caffè e cercando di evitare di pensare alle condizioni in cui ci eravamo ridotti a causa degli errori del passato.
- Agente Sullivan - fece la voce metallica del sistema informatico che gestiva la mia abitazione, e la mia vita, per richiamare la mia attenzione.
- Ti informo che all'esterno la temperatura è superiore ai trentotto gradi e sta arrivando una tempesta di sabbia... arrivo previsto in tre minuti - fece poi.
Mi voltai di lato per vedere cosa stava accadendo e notai un immenso muro di sabbia che si stava avvicinando alla città.
- Chiudi le tapparelle, Jane, e avvisa la centrale che andrò una volta passata la tempesta! - risposi a quel computer.
Le tempeste di sabbia si erano intensificate negli ultimi anni.
A causa di manipolazioni climatiche che vennero fatte in passato, per poter porre un rimedio a quel dannato riscaldamento climatico che vedevano solo loro, riuscirono a distruggere l'intero equilibrio climatico del pianeta.
Mi allontanai leggermente dalla vetrata, intanto che le tapparelle metalliche venivano chiuse, per andare poi a sedere sul divano, dove avrei atteso che quella tempesta fosse passata.
Continuai a bere dalla tazza del caffè, quando mi accorsi che il vento stava aumentando di intensità.
Rivolsi lo sguardo verso la vetrata, oscurata da quella tapparella di metallo nero che stava leggermente vibrando a causa di quel vento.
Le vibrazioni aumentarono man mano che la tempesta passava attraverso la città, come aumentava il sibilo del vento che infuriava all'esterno della mia abitazione.
D'un tratto, anche il mio divano iniziò a vibrare leggermente a causa di quel vento che stava scuotendo l'intero edificio in cui mi trovavo.
Essendo al cinquantesimo piano, di un edificio di ottanta, le vibrazioni causate da quella tempesta erano piuttosto accentuate e mi obbligarono ad appoggiare entrambe le mani sui cuscini del divano per cercare di stare fermo.
- Agente Sullivan! Ho avvisato la centrale... la tempesta sta raggiungendo la sua massima forza proprio ora! - fece la voce del computer.
- Lo avevo capito! Grazie per avermi confermato! - urlai rivolgendomi a Jane.
Le vibrazioni aumentarono drasticamente, come aumentò il rumore del vento, e della sabbia, che si scagliava contro le tapparelle di metallo che si stavano piegando per quanto fosse forte.
Cercavo di aggrapparmi ai cuscini del divano, che vibrava anch'esso sotto di me, quando la luce elettrica cessò di illuminare il mio soggiorno lasciandomi completamente al buio.
Rimasi seduto con gli occhi spalancati e rivolti verso il buio che si era impossessato del mio appartamento, il quale veniva interrotto solamente da alcuni lampi di luce che si infiltravano sotto le tapparelle, intanto che quella tempesta continuava ad attraversare la città, portando con sé sabbia e vento.
Il rumore proveniente dall'esterno stava inondando il mio appartamento e mi costrinse ad avvicinare le mani alle orecchie per coprirle.
Quelle tempeste erano divenute anche più violente.
Un tempo, quando ero un ragazzino, non sarebbero riuscite a scuotere un edificio costruito in cemento armato come quello in cui vivevo.
Mentre nel presente, riuscivano a farlo e riuscivano anche a compromettere i sistemi informatici, ed elettrici, dell'intero stabile, a causa di scariche elettriche che si manifestavano al loro interno.
Dopo diversi minuti, la tempesta iniziò a diminuire la sua intensità.
Le vibrazioni dello stabile iniziarono a diminuire come il rumore del vento che infuriava all'esterno.
Le lampade, dopo aver lampeggiato per diversi secondi, tornarono ad illuminare il soggiorno ed io abbassai le mani per tornare a rilassarmi sul mio divano.
- Jane! Sei operativa? - domandai al sistema informatico che gestiva il mio appartamento.
Quel computer non rispose alla mia domanda.
In fondo avrei dovuto aspettarmelo.
Quello sbalzo di tensione, provocato dalla tempesta, aveva sicuramente spento quell'intelligenza artificiale e, tornata l'energia elettrica, avrebbe dovuto riavviarsi prima di essere nuovamente operativa.
Intanto che aspettavo il riavvio di Jane, mi alzai dal divano per dirigermi verso la vetrata in modo da riaprire manualmente le tapparelle.
Azionai il comando posto sulla parete tra le due vetrate per aprire quelle tapparelle che iniziarono a salire permettendo alla luce solare di entrare nel mio appartamento.

Michele Scalini

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