Il MIO nome - Demiyen (5° volume della serie)
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Layla.
Non avrei mai immaginato d'arrivare a tanto. Sento il peso dell'oggetto che ho in tasca come se fosse un fardello insopportabile da sostenere. Non credevo sarebbe riuscito a farmi raggiungere il punto di rottura, convincendomi che la violenza è giustificabile e cancellando tutti gli insegnamenti ricevuti. La presenza di questa cosa sembra in grado di corrodere il tessuto che la ospita, infilo la mano e la sfioro con un dito. Un brivido gelido s'irradia lungo il mio braccio per la freddezza del metallo di cui è fatta. Ma è la malvagità che porta con sé a infettare tutto quello che tocca fino a raggiungere il mio stomaco, che sembra contrarsi su se stesso per non assistere a ciò che sto per fare. Appoggio la testa al muro e strizzo forte gli occhi per superare la voglia di vomitare, cercando al contempo il coraggio di proseguire con il piano. Dannazione, che cosa ci faccio in questo vicolo lurido e buio? Come ho potuto consentirgli di trascinarmi nella sua corruzione? No... non posso permetterlo. Non posso farlo. Mi stacco dalla parete che mi ha sorretto immobile e solida fino a quel momento e mi volto decisa ad andarmene, ma è troppo tardi: Demiyen svolta l'angolo proprio in quell'istante e si blocca in mezzo alla strada quando mi riconosce. Barcollo, come se la sua presenza fosse in grado di togliermi la capacità di stare in piedi, e appoggio una mano al muro che però non sembra più fatto di mattoni e cemento, ma di gomma, infatti, pare muoversi sotto il mio palmo, facendomi traballare e aumentare la sensazione di nausea. − Che cazzo ci fai qui, Layla?− sibila, guardandomi con gli occhi stretti in una fessura minacciosa. Le persone dietro di lui si fermano e mi osservano con curiosità e sospetto. Uno di loro infila una mano sotto la giacca, ma Demiyen fa un gesto imperioso con la mano e l'energumeno la ritira senza prendere nulla. Ora è il mio turno di ficcare la mano in tasca e incredibilmente l'impugnatura della pistola mi dà la determinazione necessaria per portare a termine il mio proposito. − Sono stufa dei tuoi giochetti− sbraito, ritrovando l'equilibrio, sia mentale sia fisico. − Stanca e stufa di tutte le tue bugie− aggiungo, facendo un passo con le gambe ancora malferme ma molto più salde di qualche attimo prima. Per un momento l'espressione di Demiyen è pervasa dall'incredulità, ma è solo una frazione di secondo, un battito di ciglia e poi la sua solita irriverenza e insolenza tornano a dipingere sul suo viso il sorriso storto che detesto. − Quali giochetti, dorogoy? Sto per rispondergli, gettandogli addosso tutte le crudeltà mentali di cui sono stata vittima, quando l'unica femmina del gruppo alle sue spalle, gli si avvicina e dopo averlo affiancato, lo abbraccia, avvinghiandosi al suo torace come se stesse marcando il territorio. − Chi è la troietta, Dem?− gli domanda la bionda con una pronuncia imprecisa e senza curarsi che io possa sentire il suo epiteto. − Nessuno d'importante, Galina. − Allora sbarazzati di lei o lo faranno le mie guardie del corpo. Detto questo, la donna mi lancia un'occhiata sprezzante, poi afferra il viso di Demiyen e, alzandosi sulle punte dei piedi, lo bacia con avidità. Stritolo il calcio fino a farmi male alle dita, ma non è nulla in confronto a ciò che quella scena causa al centro del mio petto, è ben poca cosa a paragone di tutto il dolore che ho sofferto e che continuo a patire per colpa sua e del suo bisogno di portarsi a letto una ragazza diversa ogni notte. Per un attimo, l'idea di puntarla addosso a lei e non a lui mi sfiora la mente, ma sarebbe inutile... Quando le loro bocche si separano, faccio un respiro profondo per cercare di calmare il tumulto che mi dilania e poi, mentre lei si allontana di qualche metro, ancheggiando tronfia come una cagna in calore, mi sposto in mezzo al vicolo per affrontarlo. − Sei uno stronzo, Dem. − Mai detto il contrario− afferma, pulendosi le labbra dalle tracce di rossetto lasciate dalla zoccola. − Il tuo bisogno di scoparti tutte le donne che incroci, è patetico− gli dico, guardandolo con tutto il disprezzo che riesco a racimolare. Vedo Galina sogghignare mentre un uomo alto quasi due metri si china per sussurrarle qualcosa all'orecchio che la fa ridere sguaiatamente. − Non ti ho mai promesso nulla, Layla, tantomeno la mia fedeltà. Nella sua voce vibra l'indignazione per il mio insulto e il bisogno di infierire ancora più pesantemente sbaraglia ogni mio pensiero, la necessità di farlo stare male come me in questo momento, mi acceca. − Solo perché la vita non è stata clemente con te, non hai il diritto di trattare le persone come se non valessero nulla, come se non avessero sentimenti che puoi ferire, come se non avessero il diritto di pensarla diversamente da te. − Ti avviso, Layla, stai passando il segno. Si avvicina di un passo e tutta la sua postura conferma le sue parole: la sua espressione, come ogni suo muscolo, è tesa per l'ira, ma non è nulla in confronto a quello che ribolle nel mio sangue. − Tu il segno l'hai passato già da tempo− urlo, estraendo la pistola. Non credevo d'essere capace di farlo, non pensavo d'avere tanta rabbia repressa dentro di me e in questo istante lasciarla straripare è bellissimo quanto atroce. − Ed è giunto il momento che qualcuno ti fermi− dichiaro, puntandogliela in faccia. Siamo ancora separati da alcuni metri e, per quanto il vicolo non sia ben illuminato, riesco a vedere lo scintillio nei suoi occhi con estrema nitidezza. È stupito più dalla furia che sto esternando che dall'arma con cui lo sto minacciando. − E saresti tu quella persona?− mi domanda, accorciando la distanza che ci separa. Fa di nuovo segno alle persone che sono entrate nel vicolo con lui di non intervenire. − Chi meglio di me?−gli chiedo mentre la pistola che stringo trema e pesa a tal punto che sono costretta ad afferrarla con entrambe le mani per non rischiare di farla cadere. − Io ti conosco meglio di tutte le altre− aggiungo quando ormai è pochi centimetri oltre le mie braccia tese. − Credi davvero di conoscermi, dorogoy? − Non chiamarmi così, io non ti sono mai stata veramente “cara”, io per te non conto nulla, proprio come le altre. Respingo le lacrime che cercano di riempirmi gli occhi, deglutendole. − Tu per me hai contato tantissimo fin dal primo istante che ti ho vista. − Sei un bugiardo. Una lacrima sfugge al mio controllo. − Mi sei entrata nel cuore da subito. Rotola sul mio viso accompagnata da un singhiozzo strozzato. − Tu non hai un cuore. Solleva lentamente le mani e circonda le mie, facendo scendere la pistola fino a puntarsela al centro del torace. − Allora premi il grilletto, Layla, e se hai ragione, e non possiedo un cuore che batte per te, non morirò. Fa un altro passo in modo che la canna prema contro il suo petto. I suoi occhi sono così limpidi, così sinceri che mi sembra di soffocare, annegandoci dentro. − Dem... Il calore delle sue mani sulle mie mi scotta la pelle, facendomi sentire la sua vicinanza fino nel profondo dell'anima. − Ti prego... Le sue labbra sono così piene, così morbide che la sensazione di quello che sanno dare, mi strappa un gemito soffocato. − Forza, Layla, spara o vattene e svanisci per sempre dalla mia vista. Un'ombra di gelo passa nel suo sguardo prima di arretrare di qualche millimetro. Per impedirglielo faccio uno scatto in avanti e un frastuono ci sorprende, raggelandoci. I suoi bellissimi occhi si chiudono mentre i miei si riempiono di sgomento. Le sue mani scivolano via dalle mie che tremano scosse dalla forza dell'esplosione. Crollando ai miei piedi, un debole gemito gli sfugge dalle labbra e una macchia scarlatta si allarga sulla sua camicia.
Demiyen
Qualche giorno prima. Parlare con mia sorella mi ha aperto gli occhi, mi ha fatto capire che ho un problema. Un dilemma di nome Layla Gesti. Cassandra ha ragione: il motivo per il quale sono così deluso e incazzato con quella splendida giornalista è perché è riuscita a scavarsi una nicchia nella mia sfera affettiva e questo è intollerabile, ma soprattutto è pericoloso. Nel mondo in cui sono cresciuto, le informazioni sono il bene più prezioso. La cosa per la quale ogni membro della mafia è disposto a uccidere, più del denaro, più del gioiello più prezioso, più di qualsiasi patrimonio. Sapere è potere. Ci sono tanti modi per utilizzare questo tipo di conoscenza: capire bene il proprio avversario vuol dire tenerlo per i coglioni, sapere di che cosa ha bisogno una persona e concedergliela, lo renderà fedele per il resto della sua esistenza. La giusta informazione è tutto ciò che serve per arrivare là dove hai intenzione di giungere ed io sono stato bravo a raccoglierne, ma soprattutto sono impareggiabile nel saperle immagazzinare senza doverle scrivere, senza archiviarle in un dispositivo elettronico che, se rubato, renderebbe vano il lavoro di una vita. Anche se non tutto può essere affidato alla memoria, a volte le accuse devono essere supportate da prove inconfutabili, altrimenti difficilmente si riuscirebbe a tenere sotto scacco le persone. Per questo motivo, oltre ai miei rivali dell'Obsina o della Bratva, considero le forze dell'ordine, gli investigatori privati, i curiosi e i giornalisti come fumo negli occhi. Come un pericolo da schivare accuratamente. Come un nemico da combattere strenuamente. Loro lavorano per acquisire informazioni e renderle di dominio pubblico. Io vivo grazie al fatto che quelle notizie siano conosciute solo da me e da chi non vuole che siano divulgate. Due mondi in contrapposizione che non possono coesistere, esattamente come Layla ed io, noi siamo incompatibili ed è per questo che ho cercato in tutti i modi di allontanarla. Grazie a Cassandra ora so di non esserci riuscito. La missione che mi ha imposto Ferri per trarre d'impaccio la Diamorg da un potenziale disastro, non è servita solo a mia sorella e ai suoi uomini, ma anche a me. Ancora una volta le mie informazioni sono state decisive per evitare il peggio: in un batter d'occhio ho scoperto che la donna di Unpercento voleva entrare in possesso di un codice scritto da mia sorella per consegnarlo nelle mani dell'hacker che l'ha aiutata a bypassare la sicurezza della Torre e che l'avrebbe venduto al miglior offerente, mettendo Cassandra nei guai e la Diamorg in ginocchio. Fortunatamente, quella donna era solo un'incapace in cerca di vendetta per quello che la task force ha fatto al suo uomo e all'intero branco di motociclisti da lui capeggiato. Quando, grazie ai miei informatori, è stata smascherata e fermata dal Maggiore Ferri, ha inveito contro l'ingiustizia della vita. Povera illusa... la vita non è mai giusta. Ovviamente Dominic, Steven e Jason si sono guardati bene dall'ammettere che aver infiltrato del personale nell'azienda per proteggere Cass gli ha salvato il culo per l'ennesima volta. Mi sarebbe bastato un grazie, un misero “ben fatto”... ma non importa perché ora mi sono debitori. La conoscenza è il mio bene più grande e da sempre ho fatto in modo che nessuno si avvicinasse tanto da riuscire a farmi abbassare le difese ed estorcermi le informazioni che non voglio divulgare. Questa era la mia convinzione fino a qualche giorno fa. Perché ora so che Cassandra ha ragione. È inutile fingere che le cose non mi stiano sfuggendo di mano. Non è da me ignorare i campanelli d'allarme. Layla è riuscita ad avvicinarsi troppo. La mia dorogoy ha sbaragliato le mie difese. La mia cara compagna di prigionia, è diventata importante come l'aria che respiro. E sarà difficile ricostruire i muri che lei ha abbattuto, ma dovrò riuscirci a ogni costo.
Cara Valli
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