Sabato.
Lo squillo del cellulare gli scoppiò nella testa, inaspettato sia per il sonno profondo in corso, sia per la consapevolezza interiore che non fosse giorno di lavoro e che quindi, secondo regola e giustizia, non dovesse esserci sveglia alcuna prima della mattinata avanzata. Francesco impiegò tempo a realizzare che fosse una chiamata telefonica quella in corso e non la sveglia, poi per trovare la forza di afferrare il cellulare sul comodino e rispondere. - Buongiorno Francesco. - Una bella voce femminile squillante e ben sveglia gli rimbombò nell'orecchio. - Sono le sette di una splendida mattinata romana. Mi dici il tuo indirizzo esatto? - Marie Danielle. La sua voce. All'alba. Il suo indirizzo. Troppo puerile chiederne il motivo. Lo diede. - Preparati. Massimo venti minuti e sono sotto il tuo palazzo. Abbiamo l'aereo alle nove e trenta. Ho già fatto il biglietto anche per te. Parigi ci aspetta. - E riattaccò. Questa è pazza, disse tra sé, reso completamente lucido dall'irrazionalità degli ordini ricevuti. Intanto, il tono imperativo. Non era avvezzo ormai da decenni a ricevere ordini, gli ultimi erano stati quelli dei suoi genitori da bambino. Anche nelle aziende, pur nella gerarchia delle organizzazioni più tradizionali, i capi non danno più ordini. I capi danno indicazioni su quello che c'è da fare, individuano obiettivi, coinvolgono, manifestano necessità e strategie, usano la prima persona plurale e motivano i collaboratori, certamente lungi dall'essere definiti sottoposti. Sono poi tanto più bravi capi quanto meglio riescono in questa difficile arte della leadership e della persuasione. E Parigi, poi. Di punto in bianco, dopo essersi scambiati poche ore prima non più di qualche parola e un numero di telefono. Mica facciamo una gita fuori porta, andiamo al lago di Castel Gandolfo o a fare un giro a Fregene. Un aereo fra due ore e mezza, con biglietto già pronto. Non che lui fosse per le cose pianificate con largo anticipo, ma neanche per le improvvisate, di quella natura poi. Il primo impulso fu quello di silenziare il telefono e richiudere gli occhi. Poi gli ricomparvero nell'ordine gli occhi di Marie Danielle, il suo viso, i capelli biondi, la siluette del tubino nero e le sue gambe. In meno di venti minuti era già in strada sotto casa, con il suo zaino da palestra in spalla, in attesa. Arrivò un taxi. Marie Danielle gli fece un cenno con la mano dal finestrino, mentre il tassista scendeva, prendeva lo zaino e lo sistemava nel portabagagli. Salì dalla parte posteriore, in corrispondenza del posto libero e ricevette un bacio su una guancia, come si fa con i vecchi amici. - A che devo questo invito inaspettato e, lo confesso, insolito? - - Insolito te lo concedo, ma inaspettato non direi. Non ci siamo forse scambiati i nomi e i numeri di telefono? Non dirmi che sei sempre stato tu a chiamare per primo in casi come questo. O forse l'iniziativa da parte di una donna ti disorienta? - - Ma figurati. È che una telefonata all'alba con annessa gita a Parigi, dopo che lo scambio dei numeri è avvenuto solo qualche ora prima, è una cosa che non mi era mai successa, lo ammetto. - - C'è sempre una prima volta, mettiamola così allora. Oggi devo essere a Parigi per un impegno di lavoro, così ieri sera tornata a casa mi sono detta che poteva essere carino unire l'utile al dilettevole, passare il weekend insieme alla persona che un paio d'ore prima mi aveva colpito per il suo fascino. Per la verità avevo l'aereo alle undici e trenta, ma su quello non c'era più posto, così ho spostato la mia prenotazione sul volo delle nove e trenta, dove c'erano ancora diversi posti disponibili, e ho fatto il biglietto anche per te. Il fatto che tu ora sia qui con me dimostra che non mi ero sbagliata sull'ipotesi del soggiorno dilettevole. - - Ti ringrazio per l'accredito del fascino, che detto poi da una bella donna come te ha più valore. Anche per l'anticipo del costo del volo. Quanto dilettevole potrà essere il soggiorno lo scopriremo insieme. Sei solita lavorare anche il weekend? - - Faccio un lavoro di pubbliche relazioni. In questo lavoro non si timbra il cartellino e non c'è distinzione tra giorni feriali e festivi. Mi piace anche per questo. Intanto il taxi stava percorrendo via della Magliana diretto verso la Roma-Fiumicino. Di sabato mattino, per di più a quest'ora, il tragitto da Monteverde fino all'aeroporto non richiede più di venti, venticinque minuti. Francesco si mostrava sicuro e disinvolto, senza menzione alcuna dell'iniziale incertezza e della tentazione avuta di rimettersi a dormire. La vista di Marie Danielle, con un abitino a maniche corte a righe oblique diseguali bianche e nere, terminante ben sopra al ginocchio, fascia nera alla vita con due svolazzi pendenti, gambe accavallate e i capelli biondi raccolti sulla nuca, lo confortava nell'aver preso la decisione giusta. Ringraziava il cielo anche per la decisione presa riguardo al suo look, sportivo ma sull'elegante. Però in merito alla modalità del coinvolgimento qualche perplessità ancora gli restava. - - Il tuo accompagnatore di ieri sera era impossibilitato ad accompagnarti questo weekend? - - Solo un vecchio amico. - Fece lei con un sorriso. - Non certo un accompagnatore abituale. Sei mai stato a Parigi? - - Certo, ma solo per lavoro, diverse volte. L'ho girata un po' con i colleghi. - Stava mentendo. Su una precisazione non richiesta, per di più. Non avrebbe però saputo dire esattamente il perché. Una difesa inconscia, dettata dalla cautela di non aprirsi subito e del tutto con una donna conosciuta solo da pochissimo? Un tentativo di giocare con un basso profilo, senza vantare trascorsi da playboy? Una remora nel parlare di una storia ormai vecchia, ma che qualche traccia l'aveva lasciata? La verità era che a Parigi c'era stato anche per motivi diversi dal lavoro, sentimentali, più o meno quattro anni prima. Una delle pochissime relazioni più impegnative nelle quali si era avventurato. Forse quella nella quale si era sentito più coinvolto, in realtà. Lei si chiamava Mina. Per meglio dire, si faceva chiamare Mina, ma il suo nome esatto, come lui aveva appreso solo tempo dopo, quando tra loro si era già stabilita una certa intimità, era Adelma, quindi Mina come variante del diminutivo Adelmina. Il nome Adelma non le era mai piaciuto, aveva confessato. Probabilmente non era mai piaciuto più di tanto neanche ai suoi genitori, che si erano evidentemente sentiti in obbligo di rinnovare il nome della nonna paterna, ma che fin da bambina l'avevano sempre chiamata Mina. Con Mina a Parigi era stato un viaggio piacevolissimo, una settimana di vacanza intensa e divertente. Molte situazione e molti luoghi di Parigi gli ricordavano quel viaggio e quella sua relazione. La reggia di Versailles, per esempio, che nel giorno nel quale erano andati a visitarla, l'ultimo della loro gita a Parigi, avevano trovato chiusa ai visitatori. Ci erano rimasti malissimo entrambi, avevano potuto visitare solo i parterre e i boschetti. Alla fine se li erano fatti bastare, erano bellissimi e valeva comunque la pena essere andati a vederli. La stessa torre Eiffel, ovviamente. Si erano messi in fida per salirvi su con gli ascensori, una coda lunghissima. Erano arrivati a buon punto, quando lei aveva ammesso di non sentirsela di salire sulla torre, causa la sua claustrofobia per gli ascensori, soprattutto se molto affollati. E di salire per gli interminabili gradini non se ne parlava nemmeno. Di punto in bianco aveva abbandonato la fila e si era allontanata poco distante. Lui, sorpreso e leggermente irritato, per dirla un po' eufemisticamente, l'aveva seguita. Aveva sentito le sue ragioni e aveva cercato di rassicurala, con calma e sapientemente. L'aveva convinta e si erano rimessi in fila, di nuovo in fondo. Arrivati all'ascensore erano entrati, stipati come sardine. Non appena quello si era messo in movimento, nel suo moto inizialmente obliquo tra il piano terra e il primo piano, lei aveva cominciato ad agitarsi, dicendo di non riuscire a respirare e di avere paura, di voler scendere Arrivati al primo piano la porta si era aperta e lui, costretto a capitolare, aveva cercato di aprirsi la strada verso la porta di uscita per portarla fuori dell'ascensore. Purtroppo, o per fortuna, la gente in cabina era tanta e altri visitatori stavano entrando a loro volta per salire più su, così che non era stato possibile uscire prima che la porta si richiudesse. L'ascensore era ripartito. Lei aveva dato in escandescenze, gridava, stava forse davvero male. In qualche modo, tra l'imbarazzo e la preoccupazione di lui, i lamenti e il malore di lei, erano arrivati al secondo piano e, questa volta in maniera più che irruenta, si erano proiettati verso l'uscita. Una volta finalmente fuori dall'ascensore, lei era rinata. Si era ripresa, rasserenata, si era divertita un mondo ad ammirare e fotografare il panorama, ad aggirarsi lungo il percorso fotografico e celebrativo sulla storia della torre. Avevano anche mangiato qualcosa allo snack bar. Naturalmente, non era stato possibile salire fino al terzo piano, una cosa che a lui era dispiaciuta molto ed era rimasta ancora da fare. Perché era finita tra loro, quasi sei mesi dopo? All'epoca, dopo molte discussioni e litigate, lui aveva dato la colpa al fatto che lei fosse eccessivamente gelosa, asfissiante e oppressiva, mentre lei l'aveva accusato di essere insensibile e non maturo. Col tempo, lui aveva però concluso che la verità vera era che non si era sentito pronto a legarsi stabilmente, ad assumersi responsabilità quasi familiari. Era fuggito.
Luigi Arcari
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