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Autore: Michele Cristino
La curiosità uccise il gatto
Thriller Noir
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La curiosità uccise il gatto
Il gelataio.

Fuori dalla porta di quella stanza ci fu un rumore strano.
Era un rumore così tanto strano che spezzò le redini di quel silenzio nel quale Michele signor C. si era andato a immergere forse per trovare un po' di pace.
Ma una volta barricatosi là dentro anche dopo aver dietro di sé chiuso la porta, in quello studio cadde un buio così tanto pesto che a un certo punto non si riusciva a vedere una beneamata minchia.
La signora delle pulizie di quel così tanto scalcinato palazzaccio abitava allora in quell'appartamento che aveva sin già da anni oramai preso presuntuosamente la gola di tutto quanto il vicinato.
Una casa che stava però alla sinistra rispetto a quella sua e situata quindi alla destra di un arrugginito e scricchiolante ascensore dalle caratteristiche in ferro battuto.
Ancora più a destra rispetto a quello nel quale c'era lui, quindi viveva un'allegra famigliuola direttamente coordinata da una moglie presa in sposa da un sedicente bancario anni addietro.
Ed era forse ma forse proprio da là che arrivavano metallici certi sinistri rumori per i quali qualsivoglia qualche d'un altro stava battendo battibaleno i pugni contro i muri.
Lui, seee proprio lui, era schisciato proprio in mezzo.
Ma da uno di quegli appartamenti distribuiti lungo quel così tanto buio e lungimirante corridoio si spalancò di schianto la porta d'ingresso che prese in piena faccia qualcuno.
Era costui allora un qualsivoglia qualcuno che se ne doveva essere uscito da casa propria quasi controvoglia e magari noncurante del fatto che nella fattispecie là fuori la vita fosse molto più frettolosa di quanto si aspettasse.
Con addosso un paio di stivali da cowboy di colore nero e uno strampalato impermeabile di colore giallo e proprio da una delle sue così integerrime tasche interne che fece uscire una corda di pianoforte.
Le luci si accesero proprio un attimo prima di veder coinvolto in prima persona un signore che dalle scale stava scendendo le scale a bordo di un triciclo.
Anche se già da diversi giorni era oramai immerso in un'oscura penombra quel così tanto lungo corridoio del cazzo nascondeva forse dentro di sé un terribile segreto.
Qualcuno si era alzato di buona lena dal proprio letto soltanto per andare a sostituire le lampadine che nuove erano state da veramente poco messe con delle altre di caratura più bassa.
E anche se lui però non era comunque del mestiere, le aveva avvitate lo stesso un po' alla cazzo.
Fu proprio con tutta probabilità quando indossò quel paio di cuffie con il quale si mise ad ascoltare la colonna sonora di un Mulholland Drive qualsiasi che decisamente pensò di mettersi a lavorare al romanzo.
Inserì allora la segreteria telefonica al proprio cellulare.
Mise quindi la segreteria telefonica al proprio cellulare proprio quando uno sconosciuto andò ad accendere la luce di quel corridoio soltanto perché gli andava di farlo.
Farfugliò qualcosa che nessuno era stato in grado di stabilire e dal piano di sotto di quello stabile qualche d'un altro disse proprio a costui:
“Vattene.”
Sarebbe caduto il gelo su tutta quanta Milano quando l'indomani mattina quella stessa signora delle pulizie avrebbe trovato indomabile il cadavere di uno sconosciuto con un cono gelato nel culo.
Pensò lui, seee proprio lui allora di sganciare la cornetta del telefono dello studio ma in quel mentre venne investito da un secondo rumore.
Era quello sì un rumore ma che proveniva quasi con tutta probabilità dalle cucine di un appartamento del piano di sotto.
Forse apparteneva al fatto che sussisteva soltanto quando qualcuno andando a svitare la caffettiera la separava ciascuna delle sue parti.
Si accorse che la musica era troppo bassa quando avvertì qualche istante dopo il rumore di una coppia di piedi scalzi avanzare sul parquet.
Stava percorrendo quelle stanze un po' come se conoscesse tutti quei meandri all'interno dei quali si stava spostando.
Sbuffò forte, scocciato.
Qualcuno stava fortemente scombinando tutti quanti i suoi piani.
Prima di rimettersi a lavorare però, allora alzò il volume della musica e soltanto dopo decise di cominciare da dove aveva lasciato il lavoro il giorno prima.

Aveva appena lasciato una tazza di colore nero sul marmo della cucina.
Tazza dalla quale aveva bevuto del caffè.
Aveva telefonato a casa di un'amica anche un po' per sentire come cazzo stava ma dall'altra parte della cornetta rispose invece che lei la madre.
Quella stessa signora che le disse in merito al fatto che figlia fosse appena andata all'università.
Forse, per non farsi più ritelefonare, aggiunse che non sapeva quando questa sarebbe tornata e forse era più indicato il caso di mandarle un messaggio sul telefonino.
Si accese una sigaretta ma fu soltanto proprio in quel preciso momento che ebbe il bisogno di rivolgere la propria persona verso il cesso.
Verso quello stesso cesso che lo stava chiamando in maniera impellente già da un quarto d'ora buono.

L'ombra entrò da sotto la porta fermandosi proprio là davanti.
La luce nel corridoio era accesa nonostante fosse giorno anche se lui, apparentemente, non fece caso a tutto questo.
Ci fu un sospiro leggero, lei prima guardò da una parte un po' come se fosse stata attratto da un rumore molesto ma quando questo cessò allora tornò a guardare dritto davanti a sé.
Quella porta lentamente scricchiolò sui cardini sotto la spinta della mano destra.
Si aprì quel tanto che bastava a portare dentro un bavero di luce che però non riuscì a illuminare per intero la figura di un tizio con addosso un impermeabile di colore giallo.
Un tizio che in quel momento ancora non si sapeva molto bene cosa stesse facendo a casa sua.
Pensò di averlo distratto.
Al tempo stesso però sapeva bene anche il fatto suo e conosceva anche fin troppo bene i suoi polli.
Sapeva che stava cacando fortemente e pesante dalla puzza di merda che aleggiava sinistramente nauseante per tutto quanto quel condominiale corridoio.
Qualcuno doveva aver aperto la porta di casa sua e lo doveva aver fatto a sua insaputa.
Lo guardò dritto in faccia e rimanendo in silenzio, allora disse:
“Il gelataio è morto.”

Nel frattempo.

Uno scricchiolio quasi del tutto inavvertito dall'udito ma fu quando il dolore gli prese in pieno il cervello che ci mancò veramente poco che per un attimo fu vittima di un coccolone atroce e tremendo.
Lui però se ne stava seduto là a farsi i cazzi propri e non ne voleva assolutamente sapere di quello che accadeva nelle altrui case.
Quell'ombra si chiese per un attimo da che parte fosse uscito quel poster che Michele signor C. si era fatto autografare dal batterista dei Motorhead.
Se ne stava dritta con la schiena, le braccia le scendevano lungo i fianchi e tra le dita della mano destra c'era una sigaretta.
Il gatto scodinzolando e con uno scatto rapidissimo, entrò prima nel cesso per andare poi a mettersi ai piedi della poltrona che troneggiava proprio al centro di uno dell'unico angolo morto del salotto.

Erano le dieci di una mattina di un qualsiasi giorno di Ottobre e nonostante là fuori facesse un freddo caino, in quella stanza era entrato il sole nonostante le tapparelle abbassate.
Riecheggiò da un'altra parte però un respiro sommesso.
Il telefono lampeggiò con quella così fievole luce rossa che riuscì a illuminare soltanto la faccia con un tetro tremore.
E se era vero il fatto che qualcuno stava cercando di sistemare la propria casa grazie a un trapano, al tempo stesso però un respiro sommesso sembrava volerlo istigare a fargli dire a tutti i costi qualcosa.
L'alito di quell'ombra si trasformava con il passare dei secondi in uno strano vapore freddo, come se in quella casa ci fosse un freddo allucinante.
Infastidito, decise di sfruttare un paio di cuffie wirless usando il sistema che era presente nel portatile.
Portatile che utilizzava principalmente per lavorare al suo nuovo romanzo e ad alcune raccolte di racconti che in quel periodo stava scrivendo neanche se la sua ispirazione avesse un'incontenibile diarrea.

Il buon Michele signor C. sarebbe stato via tutto il giorno anche se prima di pulirsi il culo dagli avanzi di tutta quanta quella merda che aveva appena finito di cacare duro, aveva guardato che ore fossero.

Intanto.

Era la quarta volta nel giro di un quarto d'ora che Marco chiamava il nostro così tanto caro e adorabile Michele signor C.
Quarto d'ora subito dopo il quale ebbe il geniale intuito di esser là a ricevere congratulazioni e bonifici vari sul proprio IBAN grazie al fatto che avesse appena terminato quel suo nuovo e impareggiabile romanzo.
“Uè ciao grandissimo! E alooora? Cosa ne pensi di quel mio progettino geniale che ti ho mandato via mail?”
“Non ho ancora controllato la posta ma ho preso in considerazione il fatto di guardarla entro l'ora di pranzo... ma dov'è che sei?”
“Eh Michele signor C... è successa una cosa molto spiacevole, i miei mi hanno appena sbattuto fuori di casa.”
“Cosa? Cosa? Cosa?”
Grazie proprio a quella telefonata, quel giorno stava cominciando a prendere una certa piega.
“Eh niente, è mia madre che ieri sera è saltata fuori con robe del tipo: hai trent'anni, un lavoro, sei indipendente... e vola. Vola fuori dai coglioni da qua!”
“E' stata tua madre a dire una roba del genere?” Per come conosceva quella signora, roba da non crederci.
“No, mio padre.”
“Se vuoi ci parlo un attimo io con tuo padre.” Disse fermo, anche se a dirla tutta non aspettava altro che quei due se lo levassero dai coglioni perché il proprio figliolo la smettesse con certi atteggiamenti da viziato.
“Ma se è stato proprio lui a cogliere la palla al balzo... sembrava non aspettasse altro...”
“Senti ma adesso dov'è che sei?”
“Sono al solito parcheggio...” Michele signor C., sebbene Marco avesse sottolineato la parola parcheggio, non aveva la più pallida idea a quale parcheggio stesse facendo riferimento “a vedere un attimo una roba. Senti un attimo una cosa...”
“No.”
“Non ti stavo chiedendo questo e neanche quello. Sai mica un posto dove posso mettere la mia roba in attesa di trovare casa?”
“Ti posso affittare il mio box. Due gambe al mese e tre mesi anticipati. Affare fatto?”
“Se non c'è altra soluzione...”
“Taaac e scatta la libidine...! Dai che ti aspetto.”
“Ascolta un po' baluba...”
“Baluba a me? Ma lo sai con chi stai parlando?”
“Con te, faccia da pirla. Sarebbe meglio se vieni un attimo tu. Prendi quella cazzo di catorcio e muovi il culo che nel frattempo avrei altri lavori da fare.”

E allora quindi, a un certo punto accadde una cosa forse ma forse del tutto irrilevante ai più ma anche ai posteri.

Se ne stava seduto sul divano in salotto a guardare un programma di cucina alla televisione e questo sebbene ci fosse da considerare una cosa.
Sebbene ci fosse da considerare il fatto che avesse lasciato il romanzo al quale stava lavorando a un punto morto, fu quando vide la pubblicità che ne approfittò per andare di volata verso il cesso.
Nel frattempo i figli dei suoi vicini di casa stavano litigando tra di loro per l'ennesima volta nonostante lui stava cercando di capire cosa stesse facendo quel tale con addosso un impermeabile giallo dietro quell'albero.
Forse stava semplicemente pisciando o forse, ancora più semplicemente, stava sgozzando qualcuno con un falcetto manco fosse un capretto.
Quella sua personale considerazione decise di scriverla su di un post-it che trovò abbandonato da Silvia sull'altro divano.
Forse quella roba gli poteva tornare utile per il romanzo ma prima voleva vedere un po' come andava a finire.
Poi, andando a rileggere con più attenzione e senza fretta quel messaggio e fu proprio allora che capì.
Capì che il Rivabella Paolo detto Il Paolino aveva invitato sia lui che la Silvia a casa sua.
C'erano in ballo un paio di chili di spaghetti aglio, olio e peperoncino e allora, quindi, mandò a fare in culo per l'occasione anche un bel po' di persone e personaggi.

Michele Cristino

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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