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Autore: Andrea Ceradini
Fuga da Caporetto - Nostos padano
Romanzo Storico
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Fuga da Caporetto - Nostos padano
Martini osservava Caterina. Fino a allora si era comportata bene, aveva superato delle prove molto dure. Si chiedeva se avesse fatto bene a trascinarla con loro, forse avrebbe fatto meglio a convincerla a rimanere nella sua villa di Udine.
Uscì dalla casa e si sedette su una pietra cercando un mozzicone di toscano che aveva in una tasca e che i tedeschi non gli avevano portato via. Un vento gelido soffiava da nord e trascinava via le nubi. Aveva smesso di piovere, stava rasserenando e una piccola falce di luna compariva ad ovest insieme a qualche timida stella appuntata nel cielo d'inchiostro. Erano stati giorni memorabili, passati come una tempesta su migliaia di vite, pensava, vite che non sarebbero state mai più le stesse.
- Un soldo per i suoi pensieri, maggiore. -
Si era accovacciata al suo fianco, una sciarpa dorata, sicuramente dono del turco, sopra i capelli scompigliati dal vento. Le sue labbra cercavano di sorridere ma i suoi occhi facevano resistenza.
- Mi spiace di non aver insistito abbastanza perché lei rimanesse con sua nonna: mi sento un poco responsabile di quel che è accaduto oggi, - disse Martini.
- Non si preoccupi, non è colpa sua. A me dispiace di non averla ascoltata una settimana fa. Fossimo partite allora ... Sono preoccupata per me stessa, per lei, per Festina. Come è potuto succedere tutto questo? -
- Non lo so. Forse non eravamo preparati ad affrontare truppe così forti e efficienti. Forse i nostri soldati erano stanchi e noi non l'abbiamo compreso. Stanchi di essere impiegati come numeri e non come uomini. Stanchi di morire a migliaia senza avanzare di un metro verso quelle Trento e Trieste che la maggior parte di loro non sa nemmeno dove sono. Ho visto la rotta tra Cividale e Udine, la sindrome della sconfitta, tutti se ne volevano andare a casa, ma nessuno ha dato a quegli uomini una vera alternativa. -
- Sono rimasta colpita dalle sue parole, quella sera a casa mia, lei sembrava aver visto meglio e più a fondo del generale. Che speranze abbiamo, maggiore? -
- Non so cosa risponderle, Caterina. Non so se il nostro esercito si fermerà sul Tagliamento o sul Piave, nel qual caso dovremo attraversare due fiumi, gonfiati dalle piogge di questi giorni. Non voglio pensare invece se non si fermerà: allora anche Venezia diventerebbe un sogno inutile. Per me e per Fiacca, se ci prendono, c'è il campo di Mauthausen, o peggio un plotone d'esecuzione, come aveva in mente quello zelante tenente tedesco al convento. Ma lei non rischia niente, se decidesse di tornare indietro. -
- Non tornerò indietro. Lo so che lei vede in me un'aristocratica ricca e viziata, che vive in un mondo luminoso dove i servi lucidano gli ottoni e spazzano i marciapiedi al mattino, che calza guanti di capretto e cappellini alla moda, sprovveduta e incapace di badare a se stessa al di fuori del suo ambiente. Ma le assicuro che non è così. La vita non è stata sempre generosa con me. Piuttosto non voglio essere un peso, o peggio ancora un rischio per lei. Saprò cavarmela anche da sola, lei ha già fatto molto per me e gliene sono grata. -
Martini ascoltava la bella voce, armoniosa, calma, sicura. Non poteva vedere i suoi occhi ma quella donna gli piaceva sempre di più. Lei continuò:
- Ho visto molte cose in questi giorni. Qui non si tratta più di frivole discussioni da salotto tra interventismo e neutralismo. Io sono cattolica e non ho mai approvato questa follia ma questo è il mio paese: non ci avevo mai pensato così profondamente. Un paese oggi invaso, calpestato. Le cose possono cambiare, anche durante una guerra. I sentimenti possono cambiare. Un inutile strage può diventare improvvisamente il riscatto della libertà. Siamo perduti dentro questa follia, maggiore, ma non possiamo stare a guardare. Lei dirà: cosa può fare una donna sola in mezzo a questa tempesta? La risposta è: giungere a Venezia, insieme al mio cavallo. Non cedere, non arrendersi. -
Una violenta raffica di vento trascinò via le sue ultime parole.
- Domani sarà bora - disse Martini inalando l'ultima boccata di fumo, - e Venezia può essere molto lontana. Cerchiamo di dormire almeno un po'. -

La donna si alzò, prese un asciugamano da un cassetto, un catino d'acqua da una pentola accanto al fuoco, si avvicinò a Caterina e le sfiorò il braccio sussurrando:
- Vignes signora - e la condusse nella camera. Appoggiò il catino sul comodino. Caterina guardò i pagliericci sul pavimento e l'unico letto matrimoniale di ferro: la donna se ne accorse, le sue guance avvamparono, abbassò lo sguardo e uscì di corsa chiudendo la porta.
L'uomo prese una scatola di latta scolorita che un tempo lontano doveva aver contenuto caramelle, la posò al centro del tavolo e la aprì: conteneva del tabacco scuro e delle cartine. Il primo a servirsene con un ampio sorriso fu Özgür che si arrotolò con destrezza una sigaretta. Martini ci provò e riprovò, ma fumava quasi solo toscani e non era mai stato capace di farlo decentemente. Il turco e Fiacca sorrisero, poi il carabiniere ne confezionò una per il suo superiore.
L'uomo accese una lanterna a petrolio e disse al gruppo di seguirlo nella stalla. Spiegò che non aveva coperte ma che sarebbero stati ugualmente al caldo se si coprivano con il fieno.
Una vacca color castagna e tre capre grige erano legate a un lato. Sull'altro era steso un mucchio di fieno. L'uomo lasciò la lampada e se ne andò. Martini uscì nell'aia e dopo essersi svuotato la vescica si accese la sigaretta e assaporò la prima boccata. Fumava con la brace nascosta nel cavo della mano, come si impara presto a fare in trincea. Osservò il fumo che saliva in morbide spirali contro il cielo notturno, profondo e scuro come la memoria e punteggiato di stelle. L'aria era quasi calda, un libeccio che portava con sé il sapore del mare.
Vide Caterina uscire dalla casa avvolta in un pesante scialle nero e dirigersi, con passo prudente perché la notte era senza luna, verso di lui. Si sedette su un basso muretto al suo fianco. Martini, con un gesto istintivo che mille volte al fronte aveva compiuto le passò la sigaretta e subito se ne pentì, ma lei la prese e fece due piccole boccate prima di restituirgliela.
- Cerca di scoprire un tumultuoso futuro nelle stelle, maggiore? - Si strinse nello scialle e contemplò il cielo. Di lui vedeva quasi solo la brace della sigaretta.
- Credo non ci sia bisogno di cercarlo nelle stelle. -
- È sposato? Di dove è? C'è qualcuno che l'aspetta al suo paese? -
- Sono di Livorno. Non sono sposato e non c'è nessuno. Non credo sia giusto di questi tempi dare a qualcuno un pegno che forse non si potrà mantenere. Ho visto troppe separazioni brutali, senza futuro, che lasciano sconcertati i soldati che soffrono due volte, per loro e per i propri cari. -
- Già, niente attese trepidanti, niente lettere strazianti, niente lacrime. Io ci sono passata. Sono stata sposata per quattro anni e avrò trascorso con mio marito forse quattro mesi. Poi un bel giorno è arrivata una lettera di un ammiraglio che mi annunciava la sua morte in un ospedale di Valona, in Albania. È sepolto là, da qualche parte. Non sono riuscita a piangere, la sola cosa che mi sono detta è stata: “E adesso cosa faccio?”. Non mi fraintenda, il nostro non era un semplice matrimonio d'interesse, era un'unione di quelle che si fanno nel nostro mondo. Ero affezionata ad Alvise, un uomo dalla vita specchiata, ma che forse era priva di veri slanci emotivi, semplicemente non c'è stato il tempo per conoscerci veramente. Ho scoperto fin troppo presto che la vita è fatta di compromessi. Ora ho ventinove anni, sono votata a un'eterna e onorata vedovanza e profuga in mezzo a nemici. Mia nonna dice, e probabilmente ha ragione, che ho una natura un po' triste e sognatrice, che cerca di evitare il lato irritante e falso della realtà e che, aggiungo io, si barcamena tra l'aridità delle sue notti e la banalità semplice dei suoi giorni. Quella donna là dentro è vedova anche lei e dorme con il cognato. Davanti a me se ne è vergognata ma io non mi sento minimamente di giudicarla e meno che meno di biasimarla. E lei? Chi è lei? -
- L'insignificante membro di una compagine derelitta di cui tutti i giorni una parte finisce con la bocca colma di terra mentre l'altra, incatenata all'impotenza e alla paura, aspetta paziente che venga il suo turno. Chi sono? - Continuò, - Un soldato e un poliziotto. In questo mondo di orchi sanguinari io ho una puerile esigenza di ristabilire un ordine e una logica. Una volta un uomo che si uccise davanti a me mi disse che non ero un vero soldato, solo uno sbirro, perché ero troppo amante della giustizia. A quel tempo lo credevo anch'io, ora più che un integerrimo tutore dell'ordine mi sento solo un dilettante, molto spesso perdente, pieno di dubbi e quasi sempre masochisticamente critico con il potere costituito. Purtroppo sento spegnersi ogni patriottismo e ogni fede nella vittoria. Trento e Trieste? Mi sembrano luoghi lontani, immaginari. Forse hanno ragione quei soldati che abbiamo incontrato, forse dovremmo tornarcene tutti a casa. -
- Credo che dentro di lei ci sia molto di più. Certo si coglie il suo orrore per l'auto illusione, che la spinge a scegliere, nel dubbio l'interpretazione peggiore. Mi lasci dire che lei sembra un po' irrigidito nella disciplina, ma io vedo in lei anche un lato sensibile che lascia germogliare affetti profondi, combinato, perché no, a un'indole passionale, unita alla tendenza ad andare fino in fondo a se stesso. Un uomo che sa vedere con realismo nel futuro ma che non rinuncia a certi slanci, a certi rifiuti propri della giovinezza. Lei sembra una persona che sa rimanere fedele alla propria etica e a sé stesso, non tradisce facilmente la sua vera essenza, la sua stima di sé. -
Martini vedeva solo la pallida ombra del suo viso ma sentiva il suo odore accanto a sé:
- Già, la morale kantiana, “fa il tuo dovere per il dovere”. Non nego che sia quella che funzioni meglio nella vita, ma qui? Qui l'orrore trascende ogni nostra comprensione e il vero dovere sarebbe quello di ribellarsi. - Fece una pausa poi continuò:
- Una parte di me sa cosa vuole e sa il prezzo che si paga per averlo. È pronta a cogliere l'attimo fuggente. Ma una zona del mio essere è ermeticamente chiusa, piena di buio denso, in movimento, come acqua sotterranea. Una specie di disordine interiore. Poi c'è questo orrore e ci sono le parole non pronunciate, le sensazioni che non diventano parole, le promesse dimenticate, le speranze irrealizzate, le aspirazioni andate smarrite. - Non aveva mai detto a nessuno quelle cose e se ne meravigliò.
- Getti un ponte tra la calma e il disordine, fra il chiaro e l'oscuro. Questo orrore finirà. -
Quella conversazione si era spinta un po' troppo oltre, non rispose e gettò il mozzicone lontano. La brace disegnò una parabola di luce.
- Andiamo, cerchiamo di dormire. -
.....
La barca procedeva lenta, il tempo sembrava essersi fermato, i maiali grugnivano e attaccavano briga, spinti dalla fame, Festina dormiva, il collo abbandonato, appoggiata su tre gambe, Özgür russava.
Il cielo si arrossò, come ferro in una forgia. Sorse un pallido e freddo sole che allungava le loro ombre sull'argine quando spuntarono all'improvviso: sei cavalli in fila, che procedevano al passo, ancora molto lontani, una fila di sagome scure contro il sole. L'ombra dei gelsi li inghiottì per un momento, poi ricomparvero, inesorabili. Li vide per primo il muto e li indicò a Fiacca che subito estrasse il suo Scheibler e lo passò a Martini. La sagoma dell'elmo dei cavalieri, la czapka, comparve nitida nel cerchio del cannocchiale: ulani, cavalleria austriaca.
Si dirigevano verso un ponte che comparve a circa trecento metri di distanza.
“Pensare! Pensare!” Si disse Martini mordendosi le labbra mentre il Tessa cominciava ad agitarsi:
- 'Orca madosca, 'orca de una madosca, proprio adesso che l'ere quasi fatta! Propit cumò! -
- Quel ponte! È l'ultimo o ce ne sono altri? - Urlò Martini.
- È l'ultimo. -
- Bene! Se attraversano ci sparano come alle anatre. Dobbiamo passare prima noi e provare a fermarli di là. Io scendo e cerco di bloccarli sul ponte ma tu, Calogero, devi fermarne almeno un paio, soprattutto il sottufficiale che sicuramente li guida. Se facciamo fuori lui probabilmente non ci inseguiranno. Voi proseguite alla massima velocità, io mi sgancerò e cercherò di raggiungervi in qualche modo. -
- Maggiore, è una follia non può farcela da solo, la uccideranno! - Disse Caterina con la paura negli occhi.
- Venissi pure io con vossia! -
- No, Calogero! Tu mi servi sulla barca. Ti lascio la responsabilità di tutti. Stendi quel sottufficiale, mi raccomando, altrimenti me la vedrò veramente brutta. Adesso accostate, là dove ci sono quegli alberi. -
I cavalieri vennero avanti lentamente, sembrò non si fossero ancora accorti della barca che accostò alla riva senza fermarsi e Martini balzò sull'argine. Si mise a correre freneticamente, curvo e riparato da una siepe. Ben presto sopravanzò la barca e nella corsa si accorse di avere ancora il tubo con il Giorgione appeso al collo. Si maledisse per la sua stupidità ma non rallentò. Arrivò alla spalla del ponte con il cuore in gola. La barca era ancora lontana, gli austriaci più vicini, e dovevano averla vista perché accelerarono in un trotto per fortuna non ancora convinto, ma che li avrebbe condotti per primi sul ponte.
Il primo del gruppo, che portava i gradi di sergente, era già presso la spalla opposta del ponte quando gridò un “Alt!” rivolto alla barca che ormai sopraggiungeva con un forte abbrivio. Portava una lunga spada al fianco e un corto moschetto infilato in un fodero appeso alla sella. Montava un grande baio e con il caratteristico elmo sulla testa, la czapka dalla punta quadra ricoperta di feltro sormontata da una lunga coda di cavallo, era davvero imponente. Gli altri avevano lunghe lance con una fiamma bianca con l'Aquila Bicipite.

Andrea Ceradini

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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