Il tempo passava e noi accumulavamo esperienza, forza e determinazione. I ruoli che ci accumunavano al branco sembrava ci si cucissero addosso senza neppure faticare. Sapevamo chi di noi fosse il Tester o l'Omega, chi di noi ricoprisse ruoli secondari ma sempre determinanti per il branco. Eravamo lupi.
* * *
Anche quel giorno l'avevamo passato per intero nel bosco, all'inizio tutti assieme, in seguito Alex e io c'eravamo appartati. Quando tornammo al punto di ritrovo erano ancora tutti lì. Ci aspettavano poiché avevo accennato loro che volevo parlargli. Noi: nove menti in fermento, nove corpi trepidanti. Alex lasciò la mia mano spingendomi in avanti verso un rialzo del terreno dove giunsi da sola. Lui era rimasto indietro. Mi guardava incedere. Scelsi di fermarmi in un punto in cui un rilievo mi permetteva di avere una visione dall'alto. Un fruscio attirò la mia attenzione: erano i lupi che si prepara-vano all'arrivo della sera. Per noi invece era quasi arrivato il momento di rincasare se non volevamo destare sospetti, ma prima, volevo dire a tutti qualcosa che da tempo mi faceva vibrare l'anima. Volevo instillare in loro quel seme di speranza che in me aveva già affondato le radici e stava già fiorendo. Lambii con lo sguardo ognuno di loro e la mente caracollò tra pensieri, ricordi e riflessioni. In quegli ultimi mesi avevo osservato così tanto i lupi e riversato su noi, come mi aveva consigliato Jack, tutte le loro consuetudini. Avevo imparato davvero tanto: sull'Alfa e il suo potere, sul Beta che proprio perché è il più forte non usa la sua forza in quanto a lui è sufficiente emettere un ringhio per riportare l'ordine nel branco. E così cercavo di essere io; così era Jack. Ma il mio compagno Alfa non sarebbe stato Jack, benché fosse lui il più appropriato. Io amavo Alex. In quel periodo tutti e nove avevamo capito quali erano le attitudini di ognuno di noi, e queste ci avevano portato ad essere un unico corpo, un vero branco. Avevamo imparato a cadere silenziosamente da un rialzo, da un albero; a udire i rumori più lontani; a percepire gli odori degli animali. I nostri sensi si erano affinati, li stimolavamo al massimo.
Dopo un lungo silenzio in cui le parole sembravano sospese come spettri, la voce di Jack tuonò, mentre i suoi occhi color pece sfilavano su quelli di tutti gli altri. Parlò a tutti come solo un capo sa fare. Per me il capo era lui. “C'è una cosa importante che voglio dirvi stasera prima che Aura vi parli. Abbiamo imparato molto dai lupi e molti di voi lo hanno fatto anche in fretta. Non manca tanto alla partenza ed è bene che a tutti sia chiara la lezione più difficile ma più ovvia: se il branco si trova in pericolo, si protegge l'Alfa a tutti i costi. La nostra Alfa, Aura, dovrà essere salvaguardata anche quando lei non lo vorrà, sennò ogni sacrificio fatto finora e che dovremo affrontare sarà vano. Lia, sia con me sia in una delle sue lettere è stata chiara: è Aura la chiave che aprirà la porta per il settore rosso. Di che porta si tratti, se reale o metaforica, e come si dovrà aprire non c'è ancora chiaro, ma di certo c'è che è lei quella che deve arrivare a destinazione. Aura deve essere protetta a costo della nostra stessa vita. Tutti noi possiamo essere sacrificati e sacrificabili, lei no! E lei, anche se dovesse restare da sola dovrà adempiere al suo compito e arrivare fino in fondo se non vorrà rendere vano il nostro sacrificio.”
IDEALI DI RIVOLTA
Ero già in piedi, ma drizzai la schiena per dare più forza alle mie parole. Volevo che dall'alto scendessero verso di loro. Perché Lia attraverso le sue lettere mi aveva insegnato quale forza di persuasione avessero se usate nella giusta maniera. Un vento tiepido mi scompigliò i capelli e girandomi per raccogliere alcune ciocche dietro all'orecchio sinistro vidi il sole in procinto di essere inghiottito dietro alle spalle delle montagne. Avevo guardato quel sole mille volte ma solo adesso ero in grado di vederne colori e sfumature. Da quella visione raccolsi quanto mi occorreva. E le parole uscirono da sé. “Quello che sto per dirvi avrà un effetto irrevocabile. In quanto, qualunque sia la vostra decisione, non potrete più tornare indietro. Dovrete scegliere se mantenere nel vostro petto un cuore paludato, affogato nel nutrio; oppure bonificarlo per poi incendiarlo con quanto di più eletto alberga in ognuno di voi. Se così farete... Se mi seguirete... Rivelerete che avete compreso che noi non siamo semplici individui in lotta contro un sistema di governo che abusa di noi e che ci ritiene utili solo per essere sfruttati dalla nascita alla morte; ben-sì, che noi siamo prima di tutto persone pensanti e decidenti e che siamo disposti a morire per i nostri ideali... Ideali che fanno di noi la vera umanità. Innanzitutto, dobbiamo smascherare la campagna di menzogne che il settore rosso, oppressivo e totalitario, ci vende come uniche verità. Dobbiamo smetterla di baciare queste catene. Ci hanno costretto a dimenticare il passato, etichettandolo co-me un progresso che ci ha disumanizzato; mentre il loro obiettivo era sganciarci da esso e dagli ideali che in precedenza ci avevano resi liberi da governi anch'essi totalitari. Perché questo mondo, che ci hanno preconfezionato e nel quale ci hanno collocati con ossessiva programmazione, è il seguito di precedenti tentativi non riusciti. Ma questa volta, chi ha ordito tutto ciò, non ha voluto rischiare di fallire. Per questo ci hanno annebbiato la mente. Lì, dove l'epurazione non è stata fisica con la grande esplosione, hanno usato il nutrio, offuscandoci la mente e poi in seguito manipolandola con il plagio nelle scuole. Luogo in cui abbiamo im-parato a non fare domande, a fingere di aver capito e di apprezzare ciò che ci veniva offerto dal settore rosso: casa, abiti, cibo. Non dobbiamo dimenticare che ci sono ‘pretese' che si nascondono dietro a un gesto che chi lo compie ha un solo scopo, an-che se lo definisce solidarietà. L'elemosina è spesso un atto che vincola chi la riceve a una sorta di schiavitù: perché ci si sente comprati... non assistiti. Sarà nostro dovere trovare il modo di liberare tutti dal vincolo del nutrio e far sì che, chi a differenza nostra è nato prima della grande esplosione e ha una memoria storica, ci racconti ogni cosa. Solo così potremo liberare anche gli altri da quel sorriso plastificato che adorna i loro volti immobili, fatti di sguardi vacui che esprimono la sterilità dei loro animi. Mia madre Lia, prima di sparire, mi ha lasciato degli scritti, ma non sono sufficienti per capire come affrontare chi ha architettato tutto. La cosa chiara è che hanno annientato le nostre identità, relegandoci ai margini della società; il tutto avvalorato da una raggelante motivazione: mantenere la pace. Mentre l'unico scopo, che solo ora ci è stato permesso comprendere, era quello di condurci in un futuro anacronistico che di sicuro non combacia con il loro. Ci siamo fatti convincere che per garantire pace e giustizia fosse necessario rinunciare alla libertà; fino a farci togliere tutto, anche l'individualità. Per questo abbiamo bisogno degli anziani... dei più anziani. Loro potranno raccontarci com'era un tempo. Nessun albero getta tante fronde in cielo se non ha il doppio delle radici piantate nella terra. Noi siamo come alberi, se vogliamo appropriarci del futuro dobbiamo gettare le radici nel passato. In seguito dovremo farci portatori di quello che per ora è un sogno, una visione che straordinariamente è passata dalle mani di Lia, mia madre, a noi. Dobbiamo avere fede nella nostra morale e prenderla come impegno nei nostri confronti, per ridare il giusto valore alla persona... a noi persone e a chi verrà dopo di noi. Appena il nutrio uscirà del tutto dal nostro corpo e di chi vorrà unirsi a noi, ogni cosa ci parrà più chiara. Solo, dovremo cercare di non far prevalere quegli istinti che anch'essi fanno parte di noi... evitiamo i pregiudizi e facciamo sì che a guidarci siano idee ricche di ideali. Questi diventeranno i potenti archetipi che marceranno a braccetto con il nostro desiderio di libertà. Oggi, ognuno di noi è chiamato a posare sulla propria schiena il peso della scelta. Quindi, scegliete!”. LA SCELTA
Un applauso cadenzato a ritmo lento, giunse inaspettato, col-mando il silenzio lasciato dopo il mio discorso. “Wow!” Pronunciò Danny. Era stato lui ad applaudire. Al suo battere le mani si era unito quello di tutti gli altri. Jack mi guardò soddisfatto facendomi l'occhiolino. “Avete scelto?” La voce mi uscì un po' rauca, forse perché l'avevo alzata per sovrastare gli applausi; o forse no... era forte e decisa. Come volevo fosse la loro scelta. Un sì mescolò le loro voci. Erano tutti con me. “Però adesso tutti a casa sennò i vecchi si insospettiranno” disse Jack facendo cenno di raccogliere le nostre cose e di portar via un po' di acqua e viveri. L'indomani mattina avremmo avuto il necessario per fare un po' di colazione. “Cercate di mangiare, dobbiamo metterci in forze velocemente. La scelta è fatta. Adesso dobbiamo sbrigarci a raggiungere gli obiettivi che ci permetteranno di intraprendere il viaggio.” “Quando pensi che saremo pronti, Jack?” “Guarda Melanie, secondo me ci vorrà ancora un po', tipo un carico di viveri.” Fece una pausa e poi riprese. “Non solo saremo pronti fisicamente tutti noi... così facendo avremo modo di partire con una stagione più mite, quando sbocciano i fiori.” “In primavera!” Aggiunsi io. “Non ho mai visto i fiori sbocciare” pigolò Emily. “Questa volta li vedrai” rispose Jack. “Anch'io li vedrò per la prima volta” dissi espirando. “Davvero?” “È Jack quello che non prende il nutrio da anni. Io non sono molto più avanti di voi.” “Non lo avrei mai detto Aura. Pensavo avessi smesso da tempo anche tu. Corri così veloce... persino più di Jack.” “Aura è nata per correre.” Un sorriso adornò il volto compia-ciuto di Jack. Ero davvero nata per correre. Fino al punto che sembrava lo avessi fatto da sempre. “Anche tua madre era molto veloce” mi sussurrò nell'orecchio. “Ma non quanto te. Tu sei veloce come il vento.” Lo guardai e lui riprese a parlarmi sottovoce. “Sembri nata per vivere nei boschi, per cacciare e per... comandarci tutti.” Le sue parole mi sorpresero a tal punto che non riuscii a ribattere. Ma non erano state solo le sue affermazioni a bloccarmi sulla punta della lingua quanto avrei voluto rispondergli. Bensì era stata la frase che aveva detto. Questa, mi aveva riportato alla mente una scena che avevo vissuto con mia madre; o almeno mi sembrava. Era come se metà del mio cervello si trovasse in un sogno e l'altra parte in una realtà impalpabile e fuori dal tempo. Mia madre era piuttosto giovane e io mi vedevo piccola. Eravamo vestite con i soliti abiti viola e quindi ero certa ci trovassimo nel nostro setto-re, più precisamente in una radura simile a quella in cui eravamo i miei amici e io in quel momento. Lia mi chiedeva di correre e io lo facevo nonostante sentissi le gambe pesanti. Lei mi incitava a fare sempre meglio e mi diceva che un giorno tutta questa fatica mi sarebbe tornata utile. Quel giorno mi aveva detto: ‘Appena sarà uscita quella roba dal tuo sangue nulla potrà fermarti. L'allenamento che stai facendo adesso, con tutti i blocchi che hai, ti tornerà utile più avanti mia piccola Aura.' Poi si era accovacciata davanti a me e mi aveva detto: ‘Sai cosa vuol dire Aura?' Io risposi di no e lei riprese dicendomi ‘Veloce come il vento.' Sorrisi tra me e me. Finalmente ero in grado di spiegare a Jack il perché del mio nome. Finalmente lo capivo anch'io.
L'ULTIMA NOTTE NEL SETTORE VIOLA
Un crepuscolo cremisi fece riaffiorare un ricordo, giungeva come un tenue bisbiglio da un antro buio e spaventoso, intensificato dalle similitudini che mi circondavano. Il passato si mischiava al presente e a un futuro troppo prossimo: odioso e pauroso. Talmente pauroso da prendere la forma di ombre e sussurri. Ma quando il bisbiglio si trasformò nella voce di Lia, mi scrollai di dosso ogni cosa e mi ripetei più volte che piuttosto di tornare alla realtà preconfezionata di prima mi sarei fatta ammazzare. Il bisbiglio era in realtà una riflessione di Lia che mi stava ronzando nelle orecchie. E sussurrava questo: Basta dormire senza sogni, riflettere senza pensieri, tacere per non disturbare il silenzio. Tutto ciò ha il sapore amaro della sconfitta... di chi offre un pregevole salvacondotto agli ingiusti, agli scaltri e ai ruffiani. Il nutrio ha il sapore amaro di chi alla fine preferisce sottomettersi annullando se stesso piuttosto che insorgere e combattere.
Attraverso le sue parole, attraverso le sue pagine, avevo conosciuto una Lia del tutto nuova; la sua natura più intima: onesta, sincera, caparbia, amante della giustizia e dell'equità. Peccato che tutto questo avesse finito per dividere il mio cuore in due: una parte di esso era sfociato in odio feroce, mentre l'altra la ammirava ed amava profondamente. Aggrappata all'ultima luce rossastra di tramonto mi sentii immersa in un silenzio ingordo dei miei pensieri; li fagocitava tutti: tutti tranne uno. Le parole di Lia erano svanite divorate dal nulla, lasciandomi però un'immagine vivida di lei, agguerrita e ostinata. Non indossava gli abiti viola del nostro settore ma una tuta nera e attillata: la stessa che portava la notte in cui mi lasciò per an-dare a ‘respirare un po' di vento' e per non tornare mai più. Il passato mi rigettava nel presente concedendomi una visione del futuro. Immaginavo il percorso da affrontare. Mi vedevo percorrerlo di corsa, ed era così reale che mi sembrava di sentire l'aria scontrarmi il viso. Non mi ero mai sentita così vicina a Lia. Anche lei aveva scavalcato i muri. Gli stessi che mi aveva descritto seppur approssimativamente e che anch'io sentivo di dover scavalcare: per porre fine a questa vita senza senso, ma anche per provare a ritrovarla... lei, e pure la vita. Il silenzio dilagava ancora tra tutti noi e ci univa con una sorta di linguaggio muto che infarciva così abbondantemente le nostre menti da far traboccare ogni singola parola fuori da ognuno, e queste giungevano al mio cospetto come un grido taciuto ma disperatamente robusto e chiaro. Mi ero voltata verso di loro e il mio sguardo aveva toccato i volti acerbi dei miei compagni di viaggio e in essi avevo letto speranza e caparbietà. La stessa che albergava in me e che seguiva quel filo invisibile che Lia aveva dipanato per me: per tutti. La notte copriva i nostri passi e confondeva le nostre ombre con quelle degli alberi. Intanto controllavamo per l'ennesima volta il percorso che la notte dopo avremo dovuto attraversare. Il tempo a disposizione per uscire dal settore viola ed allontanarci il più possibile non era molto e dovevamo sfruttarlo al meglio. Per questo nell'ultimo periodo avevamo diviso in tratte tutto il percorso, in modo da studiarlo attentamente e organizzare la copertura delle nostre tracce una volta passati. Ogni notte diventavamo sempre più rapidi nell'attraversare le prime tratte e aggiungevamo le successive. Così facendo avevamo avuto modo di memorizzare ogni passaggio e l'ultima notte, cioè l'indomani, avremmo percorso tutto il tragitto ricordandone ogni anfratto.
“Adesso rientriamo e andiamo a riposare. Controllate che sia tutto in ordine per la partenza. Domani pomeriggio dopo esserci visti come di consueto rientreremo a casa un po' prima. Faremo tutto come al solito. Poi ci ritroveremo tutti qui. Inizieremo il percorso come lo abbiamo organizzato. Ma dovete sapere ancora una cosa.” Feci una pausa perché quello che stavo per dire lo avevamo deciso Alex, Jack e io, gli altri non sapevano ancora nulla, e non sapevo come l'avrebbero presa. “Mel degli Scoff si unirà a noi.” “Mel?” domandò Abbie con voce atterrita. “E quando si sarebbe addestrato?” Anche Danny era preoccupato. Intervenne Alex a sedare gli animi e a spiegare ogni cosa. “Mel verrà prelevato da casa sua da Jack e me.” “Quindi lui non sa nulla di...” “Fatemi finire.” Alex alzò la voce. “Se continuerete a inter-rompermi perderemo solo del tempo. Dunque, ora vi spiego. La famiglia di Mel e la mia sono quelle deputate al controllo e alla denuncia di eventuali disordini. E questo già lo sapete... Par-tendo da questo, un po' di tempo fa, considerai che l'assenza di tutti noi avrebbe creato un gran casino tra i vecchi. E chi avrebbe denunciato la nostra scomparsa ai rossi? Be' riflettendoci un po' pensai che la mia assenza avrebbe portato i miei a non farlo per un motivo: li avrebbe fermati il timore che io potessi essere consenziente e quindi potessi essere considerato dai rossi un cattivo cittadino come voi e quindi giustiziato con voi. A quel punto mi domandai come si sarebbe comportata la famiglia di Mel. Loro, non avendo alcun impedimento avrebbero denunciato subito la nostra sparizione al settore rosso e avrebbero iniziato subito a darci la caccia. Ero certo di questo! E lo sono tutt'ora! Quindi, dovevo trovare un modo per fermarli. Parlai subito con Aura e Jake e insieme decidemmo che non re-stava altro da fare che far entrare nel nostro gruppo anche Mel. Ma c'era un problema... Lui non appartiene alla nostra classe essendo più piccolo di due anni e con noi non ha mai avuto niente a che fa-re. Avrebbe destato sospetti la sua presenza assidua, giornaliera con noi. Non è mai successo che un ragazzo di un altro anno lasciasse il suo gruppo per unirsi ad un altro. Dopo averci ragionato a lungo decidemmo che avremmo aspettato l'ultimo giorno, lo avremmo preso e portato con noi.” “Ma lui non vorrà... e poi... non riuscirà a camminare tanto quanto noi, e inoltre non conosce nulla del percorso e poi...” Alex interruppe Geson. “Mel verrà stordito e portato in spalla da noi a turno.” “Ahh! Ecco perché ci avete fatto camminare con quel sacco sulle spalle per giornate intere.” Alex e Jack si guardarono ridendo. “Non lo abbiamo fatto per cattiveria, è che non sapevamo se dirvelo. Temevamo che questa problematica influisse negativamente sulla vostra scelta. Noi tre siamo convinti che Mel diventerà dei nostri appena sospenderà il nutrio, e avendolo con noi la sua famiglia non si azzarderà a far nulla. Anzi, secondo noi, si organizzeranno con i miei genitori per insabbiare tutto. Poi si incontreranno con i genitori di tutti noi e questo porterà tutte le famiglie ad agire allo stesso modo. L'unica incognita saranno le famiglie di coloro che non sono coinvolti, ma non si azzarderanno ad andare contro agli Scoff e i Grovel.” Il piano fu chiaro a tutti dopo che Alex ne spiegò i particolari. La parte più rischiosa sarebbe toccata a lui. Si sarebbe introdotto in casa degli Scoff con la scusa di chiedere a Mel se aveva nota-to qualcosa di strano tra alcuni ragazzini della sua età. Era una prassi per loro. Il problema sarebbe stato portarlo via senza che i suoi genitori se ne accorgessero.
MEL
Quando un'ombra di polvere si sollevava dal selciato di cemento polveroso, sapevo già che si trattava di Mel. Lo vedevo spostarsi col suo gruppetto di quindicenni ed era evidente che volesse spiccare tra loro, come a far notare che dimostrava più della sua età. Lui, di tanto in tanto, sputava. Come se fosse schifato da qualcosa. E lo faceva con una forza tale, da far sollevare la polvere quando lo sputo toccava terra. Non so da quanto tempo lo facesse, io lo avevo notato solo da che non prendevo più il nutrio. Non prenderlo mi aveva permesso di percepire anche questi piccoli particolari. Adesso vivevo di dettagli. E questo, anticipava l'arrivo dei suoi occhi stranamente grigi e vivaci, e i suoi capelli lunghi e biondi. Non solo il comportamento, anche il fisico esprimeva un'età più avanzata e il suo continuo osservare Jack mi aveva dato idea che cercasse di imitarlo. Soprattutto quando indicando una certa fretta si legava i capelli: non lunghi come quelli di Jack ma quasi.
“Ciao Alex.” Quando Mel aprì la porta di casa sua ad Alex che aveva bussa-to, non sembrò per nulla stupito. “Posso entrare?” “Certo!” “Disturbo?” “Figurati Alex.” Rispose la madre di Mel guadando il viso del marito per verificare se fosse d'accordo anche lui. “Volevo chiedere una cosa a Mel...” “Vieni...” Mel indicò ad Alex l'ingresso della sua camera. La solita consuetudine. “Cosa volevi sapere? Hai notato qualcosa di strano?” “Niente di particolare Mel, ma volevo sentire il tuo parere su una faccenda.” “Dimmi!” Lo sguardo sbigottito di Mel palesò ad Alex qualcosa. Entrò in allerta tanto più che non aveva molto tempo a disposizione. Chiuse dietro di sé la porta della camera e il silenzio li avvolse. Ciò che Alex doveva fare non era semplice e soprattutto non dovevano accorgersene i suoi genitori. Sapeva che la camera di Mel aveva una finestra su un lato buio dove attraverso i vetri aveva già controllato che Jack fosse appo-stato correttamente. Doveva fargli aprire quella finestra con una scusa, poi, Jack attraverso la stessa, lo avrebbe afferrato, tirato fuori e tappato la bocca. In seguito Alex sarebbe uscito salutando i genitori di Mel e riferendo loro che il figlio si era messo a dormire. “Fa freddo qui!” La voce di Alex simulò un tremito. “Dici?” “Caspita!” Alex si sfregò le braccia per rendere più credibile la sua affermazione. Si avvicinò alla finestra e afferrò la maniglia. “Non è che è chiusa male?” Aggiunse. “Penso di no.” Mel si avvicinò ad Alex e alla finestra. L'atteggiamento confuso. Alex fece per aprirla giustificando con parole posticce il motivo per cui stava per farlo. “Sei qui per parlarmi o per controllare la mia finestra?” Do-mandò Mel. Nella sua domanda una punta di aggressività. Alex proseguì. Aveva un compito e voleva eseguirlo senza sbavature. Ma fu colto da una sorta di stupore notando la rapidità con la quale Mel si era spostato verso di lui. “Io non ho...” Mel si bloccò come se quello che stava per dire e fare potesse essere usato contro di lui. “Tu cosa?...” Alex capì che stava per succedere qualcosa che non aveva previsto. La mano di Mel era più forte di quello che aveva immaginato e stava riuscendo a rallentare la sua azione. Uno sguardo indagatore perforò gli occhi di Mel. Anche lui era all'impasse. Alex non poteva più aspettare. Afferrò la sua mano e la spostò, agguantò la maniglia e la ruotò per aprirla. Parole e rumori intanto si accavallavano. In quello stesso istante Jack riuscì a spingere dall'esterno la finestra che Alex era riuscito a sbloccare. Il piano stava subendo una variazione. Jack aveva notato che tra Alex e Mel stava accadendo qualcosa di inaspettato. Per questo con un balzo entrò dentro la camera. Mel bofonchiò qualcosa alzando la voce. Non capiva cosa stesse accadendo e per quale motivo lo stessero aggredendo. Prima che chiamasse i suoi genitori in aiuto Jack lo afferrò da dietro e gli tappò la bocca. “Taci! Non vogliamo farti del male.” “Sì Mel, fa' come dice Jack. Ora ti spieghiamo tutto, così capi-rai.” Ribadì Alex nella speranza di tranquillizzarlo. Ma lui si dimenò ancora. Era forte, e riuscì a colpire una sedia che andò a sbatterle contro il tavolo per poi finire per terra. Alex riuscì a trattenerla mentre cadeva e attenuò il rumore ma già troppo ne era stato fatto. Nonostante la bocca tappata, mugolii e insulti tra i denti riuscirono a passare la porta della sua camera. Jack e Alex si guardarono negli occhi consapevoli che dovevano colpire Mel in modo tale da stordirlo e portarlo via in fretta. Rischiava di saltare tutto il piano. Peccato che nello stesso istante in cui stavano per portare a termine il loro intento avevano fatto breccia nella camera i genitori di Mel ed erano armati. “Lasciate immediatamente mio figlio!” Il tono imperativo del padre di Mel poteva essere anche ignora-to ma non l'arma che teneva tra le braccia. “Siamo nella merda” borbottò Alex. “Forse no...” rispose Jack lasciando immediatamente Mel che prontamente era passato accanto ai suoi. “Voi... il nutrio...” riprese a dire a voce più alta e rivolgendosi ai genitori di Mel. “...voi siete come noi!” Il tono stupito passò a serio e imperativo. Gli occhi di Jack e del padre di Mel si scrutarono mentre i corpi si avvicinavano. “Credo proprio di sì... come voi due del resto” rispose il padre di Mel, il quale nel frattempo aveva abbassato l'arma ma era avanzato ancora. Ora, erano uno di fronte all'altro. Il padre di Mel appoggiò una mano sulla spalla di Jack. “Sai, ho avuto un paio di volte il sospetto che tu non prendessi il nutrio, ma poi... Sei bravo a fingere.” Jack puntò gli occhi sulla famiglia di Mel. “Anche voi non scherzate però. Da quanto tempo non lo bevete?” “Praticamente da sempre. E Mel mai.” “Papà, aspetta un attimo. Forse non conviene dirgli tutto... Alex...” “Alex è come te figlio mio. Ma i suoi genitori no, e questa cosa di stasera ce la dovete spiegare.” Alex e Jack si guadarono cercando di capire cosa del loro piano poteva essere svelato e cosa no. “No aspettate!” Intervenne la madre di Mel. “Non diteci nulla... forse è meglio che noi non si sappia più di tanto.” “Lo penso anch'io” affermò Jack. “Rischiamo di far fallire ogni cosa. È meglio che certe cose le ignoriate.” “Diteci solo cosa volevate da Mel.” Il tono sommesso. Di chi sa già la risposta ma ne ha paura e gioia insieme. “Volevamo Mel... che si unisse a noi e che venisse via con noi.” “Ha due anni meno di voi. È ancora piccolo.” “Lo avremmo protetto se è per quello... Comunque la necessità di portarlo con noi non sussiste più. La nostra idea era di rapirlo in previsione della nostra fuga e... voi come i genitori di Alex non avreste certo denunciato la scomparsa di nessuno di noi visto che anche i vostri figli sarebbero mancati. Se io sparisco non ho nessuno a proteggermi dai rossi, ma se a sparire è uno Scoff o un Grovel le cose cambiano... Giusto?” “Giusto Jack.” “Alex si è reso conto che era necessario. E anche secondo me lo è. Anzi, per come si sono messe le cose... lo era.” “Ma io voglio andare con loro papà. Ora che ho capito che andiamo dai rossi. Perché andiamo a rimettere le cose a posto, vero?” L'entusiasmo di Mel era trascinante ma adesso la decisione stava facendo perdere tempo prezioso. “Noi dobbiamo andare. Gli altri ci stanno aspettando. Non possiamo perdere tempo. Queste sono ore preziose e ogni cosa è stabilita e studiata nei particolari. Ciao Mel e scusa per lo spaven-to.” “Non potete lasciarmi qui. Io vengo con voi... papà, mamma, diteglielo che siete d'accordo anche voi. Io non bevo il nutrio e mi alleno da anni per essere forte perché anche voi...” I genitori di Mel si guardarono e poi si abbracciarono incollando a loro il figlio. Le lacrime scesero senza trovar ostacoli e si raccolsero sulle labbra tremanti della madre che dicevano. “Va' figlio mio, e fa' quello per cui in questi anni ti sei preparato.” “Sì! Non vi deluderò.” La madre di Mel uscì dalla stanza e ritornò poco dopo con una sacca. La porse al figlio mentre Alex si apprestava a liberare la lama del suo coltello: “Sta' fermo Mel!” disse tagliandogli via i rilevatori dalla casacca e dai pantaloni viola. “...cosa pensavi? Che volessi affettare te.” Mel rise. “Per un attimo sì.” Poi si rivolse alla madre. “Cosa c'è qui?” le chiese mentre afferrava la sacca. “Le tue cose” rispose. Le parole le tremarono sulle labbra. “Tipo?” “Lo stretto necessario figlio mio.” “Anche le armi?” A quel punto intervenne Jack. “Non sono come quelle che ha tuo padre ma un po' di armi le abbiamo anche noi. Il viaggio sarà lungo e dobbiamo essere leggeri. Quelle che abbiamo ci permetteranno di raggiungere lo scopo, senza far rumore e dire a tutti dove siamo. Vedrai!” “Ora dobbiamo proprio andare” intervenne Alex. “Sì!” Annuirono i genitori di Mel. Le mani inumidite da alcune lacrime si erano definitivamente lasciate. Dopo una ventina di metri Mel si era voltato. I suoi genitori erano ancora lì. Una carrellata di immagini invase la sua mente: i suoi genitori e lui. Ora si apriva un nuovo ciclo. Non era più con loro... ma loro erano con lui.
Il cuore di Mel fece un sobbalzo quando, ormai lontani dalle luci delle case, si sentì avvolto dalle grinfie della notte. Le ombre erano sparite, fagocitate dal buio profondo. Un automatismo fece arrivare la sua mano alla casacca di Jack. “Non vedremo nulla così...” La voce di Mel era un sussurro. “Sono mesi che ci prepariamo per questo giorno... per questa impresa. Conosciamo la strada a memoria. Seguici senza timori.” “Okay” rispose con un sorriso nascosto dall'oscurità. “Non so cosa accadrà ma noi siamo tutti determinati. Ce la metteremo tutta e... e dopo torneremo qua a liberare tutti.”
Manuela Stangoni
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