Due volte, nella vita, ho dovuto ricominciare da zero, e davanti vedevo solo un intenso buio. Ma Tu hai fatto breccia nella foschia, coi tuoi occhi luminosi, per mostrarmi una strada nuova. Due volte l'umana cattiveria si è stagliata su di me. Ma Tu mi hai messo in salvo tra le nuvole, stringendomi con le tue zampe a pois. Due volte l'uragano mi ha strappato i vestiti. Ma Tu mi hai coperto con un velo di stelle e mi hai mostrato la bellezza dei tuoni dall'alto. Due volte hanno bombardato la terra sotto i miei piedi. Ma Tu mi hai insegnato quanto è bello danzare su un prato bollente. Due volte qualcuno ha cercato di spegnere il mio sorriso. Ma Tu hai tenuto viva la mia fiamma, scodinzolando. Due volte ho temuto di aver perso tutto, invece c'eri Tu a insegnarmi a vivere.
Cani e gatti ci salvano da una prospettiva sbagliata che ci rende infelici. Ci salvano dagli schemi mentali frutto dell'egoismo, dalla noncuranza verso il mondo, dall'egocentrismo, dalla solitudine e dalla disillusione. Io, tutto questo, lo chiamo Amore.
In una società in cui l'odio fa da sovrano, accompagnato da quella grave forma di indifferenza postmoderna che ci rende spettatori passivi dei peggiori crimini come fossero show, ci scandalizziamo quando incontriamo qualcuno che dichiara, senza remore, un amore incondizionato verso gli animali, come se quell'amore offendesse le nostre coscienze avvizzite. Se si destina a un animale un amore dai connotati così immensi, pari all'amore filiale, significa che si reputa quell'animale meritevole quanto l'uomo, e ciò non può essere accettato dall'umana arroganza. Radicata nell'inconscio, infatti, vige la concezione antropocentrica, secondo cui l'anthrōpos, superiore alle altre specie, è il centro del creato, l'unico dotato di anima e, quindi, diritti talmente estesi da annientare quelli degli altri viventi. A conferma, sentiamo ripetere come un mantra: - L'uomo è l'essere più intelligente - . La crudeltà delle contingenze, dalle guerre alle devastazioni climatiche, dimostra invece che l'umanità è la sola specie autolesionista e distruttiva. Nessun animale, infatti, baratterebbe la propria vita o quella dei suoi simili per qualche moneta. L'uomo lo fa con costanza. Questo mondo si sta logorando solo grazie alla sua presenza massiva, che agisce al pari dell'erba infestante in uno splendido giardino dove prima vigeva la spudorata armonia della Natura. Se le società umane, così come finora sono state strutturate, scomparissero dal pianeta, quest'ultimo non ne trarrebbe danni, anzi, riprenderebbe a respirare in modo sano e pulito, consentendo a tante specie, che sono più utili all'ecosistema, di ripristinare il loro habitat naturale e le loro funzioni. Il ciclo virtuoso ripartirebbe in toto, e l'umanità diventerebbe un triste ricordo per la Madre Terra.
Con questo non voglio certo augurare l'estinzione dell'umanità, tantomeno negare che essa sia fautrice di immense bellezze da un punto di vista culturale e artistico, ma tali creazioni hanno valore solo per la stessa società umana, e non certo per la Natura che ragiona in un'ottica globale, dunque se ne infischia della maestosità del Colosseo, delle chiese gotiche o dei moderni grattacieli, se non nei termini dell'impatto ambientale che hanno avuto quando sono stati edificati. Quando giungerà il verdetto sulla opportunità della nostra sopravvivenza, la Natura non ci farà sconti di sorta perché abbiamo creato cose che ci piacciono molto. Essa mira all'equilibrio e bisogna aspettarsi che, prima o poi, si ribelli a una condizione di sfruttamento insostenibile e ingiusta.
Inutile perdersi in scongiuri, urge piuttosto una profonda riflessione, orientata a un modus vivendi più virtuoso, con l'obiettivo di trasformare l'attuale “cancro del pianeta” nel suo elemento propulsivo. È un percorso lungo e insidioso quello che conduce a tale presa di consapevolezza, che passa dal ricostruire la concezione l'uomo ha di se stesso e del suo rapporto con la Natura e col Regno Animale, ma è l'unico capace di indirizzarci verso un cambiamento indispensabile.
In quest'ottica si muovono molte nuove correnti di pensiero, come quelle che mirano alla ecocompatibilità e al vegan. Tale progetto non può tuttavia restare di nicchia, e rischia di diventare utopistico se non coinvolgerà rapidamente quei Paesi produttori di agenti inquinanti. I danni che stiamo producendo, infatti, corrono con maggior velocità rispetto ai rimedi posti dal risveglio di poche coscienze. Sperimentare una nuova modalità di intendere noi stessi e gli altri viventi, anche senza pretesa di riuscita, è nostro dovere per fornire un infinitesimale contributo in questa direzione.
Le vie della felicità Il vortice di apatia e cecità in cui siamo calati è capace di annientare non solo la nostra salute fisica, ma anche quella mentale. Abbiamo intrapreso la via dell' autodistruzione perché ci siamo convinti che abitiamo un'esistenza triste e che la felicità non appartiene a questo mondo, trasformato nel regno dell'avidità, dell'arrivismo e del malessere. Il concetto di “felicità”, passato di moda al pari dei capelli cotonati, è invece il nostro principale dovere in questa vita, giacché una persona felice vive in armonia con se stessa e con l'universo intero, ha una forma mentis propositiva e porta beneficio al mondo che la circonda. È necessario però comprendere cos'è davvero la felicità, per sintonizzarci sulle sue frequenze e vivere una vita gratificante, piuttosto che un'esistenza spenta, preda delle delusioni. La felicità è senz'altro un percorso personale, ma ci sono almeno due vie che possono aiutarci a individuare quello adatto al nostro “Io” più autentico.
La prima strada è un'approfondita ricerca filosofica. In fondo, tutta la filosofia ragiona sulla felicità e ha come scopo stimolare una vita conscia, nell'ottica di aiutarci a trovare la nostra dimensione. Chi vuole percorrere questa via, si affaccerà sugli incantevoli scenari della Filosofia “postantropocentrica”, che suggerisce di spodestare l'uomo dal centro dell'universo, per ricollocarlo nel giusto ruolo. Egli è infatti soltanto uno degli anelli della Natura: né il custode, né il padrone. È anche ora che si tolga di dosso l'etichetta di “Signore Macellante della Creazione” con licenza di uccidere tutto ciò che respira. Germoglia una diversa concezione del rapporto da instaurare tra l'umanità e le biodiversità, che non devono essere considerate come assoggettate alle nostre mere esigenze e capricci, ma come dotate di pari dignità, diritti e utilità, nell'immane catena vivente che ci ingloba.
Prenderne coscienza, ci fa riflettere anche sulle dinamiche prevaricatrici, più o meno palesi, che reggono le relazioni coi nostri simili. Sorgono spontanee tante domande. Perché siamo incapaci di convivere con serenità? Perché continuiamo a tradirci e renderci infelici? Perché sviluppiamo rancore verso chi sorride alla vita? Perché, quando apriamo bocca, lo facciamo per criticare, offendere, annientare? Il bisogno di sentirci migliori di qualcuno, per accreditarci a noi stessi, ci logora e ci rende indegni. Non riusciamo a godere dei rapporti con gli altri e finiamo per ferire chi ci sta accanto, piombando nell'invidia rancorosa. Essa consegna brevi vittorie a chi ne fa uso, ma alla lunga conduce alla miseria. Quale peggior condanna, se non lasciar inaridire il proprio giardino, perché impegnati a scrutare in quello del vicino? Abbiamo puntato sull'autocelebrazione, sul bisogno di emergere dal gruppo, di arrivare in alto. Invece cadiamo nell'abisso della mortificazione. Ammettere che la vita non ci conduce da nessuna parte, ma ci chiede solo di continuare a respirare, significa comprendere che, per rincorrere il nulla, abbiamo sprecato il poco tempo che l'esistenza ci ha concesso. Siamo preda delle ansie e, comunque vada, siamo travolti dall'inadeguatezza che ci fa sentire falliti. Siamo corde tese, non per emettere melodie, ma per gemere di rancore. Viviamo nell'ossessione di ottenere una rivincita su chi ha provato a schiacciarci, e intanto perdiamo di vista l'unica possibile gratificazione: offrire al mondo la versione più autentica di noi stessi. Idiozia umana, limitatezza emozionale, incapacità di andare oltre gli schemi emotivi imposti: questi sono i paletti culturali dai quali discendono l'intolleranza, l'odio, il disadattamento, insomma, la bruttezza del vivere. Ecco la sintesi di una civiltà concentrata sull'istinto distruttivo, sul Thanatos, che relega l'Eros al solo istinto sessuale usa e getta, e si arrende a un'idea triste: i piaceri durano un istante, dunque vanno accumulati con impazienza, in un sistema consumistico che mercifica ogni cosa, anche i rapporti affettivi. Per uscire da questo vortice impietoso, occorre ammettere il fallimento della competizione come valore, e ripensare i legami sociali sulla base della cooperazione, così come sperimentato in tutte le altre società animali. Questo concetto apre la strada al vivere armonioso e al principio dell' accontentarsi, che, lungi dal significare una resa di fronte alla vita, o la fine di ogni stimolo, ha lo straordinario significato di “essere contenti di quel che si ha”, partendo da questo per costruire un'esistenza felice e serena.
La seconda strada di accesso alla felicità è emotiva, e scaturisce dal contatto ravvicinato col mondo animale. Il tema del rapporto con gli animali non è secondario, né appannaggio dei soli animalisti, ma è un vero problema filosofico di impatto globale. È uno specchio di come ci collochiamo rispetto alla vita e all' universo. È la base per apprendere chi siamo e dove abbiamo sbagliato per secoli. Per esperienza personale di filosofa, posso asserire con convinzione che gli insegnamenti più inaspettati mi sono giunti proprio dalla convivenza con gli animali, foriera di nuovi orizzonti che nessuno avrebbe potuto mostrarmi in maniera così diretta e incisiva, nemmeno i testi di studio. Da bambina ho avuto un pessimo rapporto con i quadrupedi. In famiglia non mi avevano stimolato a conoscerli, anzi, ero stata tenuta alla larga da qualunque creatura non umana, incluse quelle d'affezione, quasi come se fossero tutte potenziali mostri di Loch Ness, pronti a sbranare gli avventurieri. Durante l'adolescenza, invece, mi sono trovata a relazionarmi con i cani e, da allora, si è aperto un varco sorprendente, ricco di spunti di riflessione. Ho compreso quanto egoismo e inutili paure si celano nell'impedire a un bambino di fare esperienza del giusto rapporto con gli animali, ma anche quanto è sbagliato ritenerci superiori a loro, dunque autorizzati a sfruttarli, finanche a maltrattarli. Ponendo attenzione alle loro peculiarità, allo spiccato intuito, al coraggio, allo spirito di gruppo, alla capacità di adattamento, alle qualità olfattive, visive, sensoriali e perfino, potremmo dire, “sensitive”, ci rendiamo conto della illogicità del nostro ego, rispetto alle nostre reali capacità. In poche cose eccelle davvero la specie umana, e comunque le vanifica esasperando le negatività; in molte altre, invece, gli animali ci superano di gran lunga. C'è da imparare, con estrema umiltà.
Se solo imparassimo dagli animali, saremmo curiosi come i gatti, fiduciosi come i cani, lungimiranti come le aquile, giocosi come i delfini, operosi come le api, capaci di volteggiare come le farfalle. Invece impariamo soltanto dagli uomini e viviamo infelici.
Carmen Trigiante
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