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Autore: Franco Alesci
La forma del caos
Thriller
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La forma del caos
C'è stata una tempesta di vermi nella provincia cinese di Liaoning. Proprio così. Piovevano dall'alto fitti e insidiosi come chicchi di grandine, e alla gente per strada non è rimasto che proteggersi con gli ombrelli. I giornalisti, dopo aver sentito l'opinione degli scienziati, hanno scritto che il fenomeno è stato causato dal vento forte e insolito, che ha fatto volare i vermi in alto nel cielo come calabroni.
Succede anche questo nell'epoca del Covid-19, cos'altro ancora dovremo aspettarci?

Entrai nella fioreria sollevandomi la mascherina FFP2, secondo il movimento compulsivo di “alza e abbassa” al quale c'eravamo abituati dopo anni di Covid-19 con tutte le numerose varianti: alfa, beta, gamma... specificate con una lettera greca. Ma superato l'ingresso, anziché avvertire un senso di armonia e una piacevole nuvola di fragranza, percepii netto l'odore dell'adrenalina e guardandomi intorno provai un senso di smarrimento. C'era un disastro nel negozio, mi sembrava d'essere piombato dentro la scena di un attentato dinamitardo, tanto che stavo per chiedere se qualche pazzo avesse fatto scoppiare una bomba.
Squadrai le persone dentro il negozio: avevano gli occhi spalancati e “stavano incatenate nella morsa delle loro braccia conserte”, silenziose e immobili come statue di cera.
– C'è appena stata una rissa, – mi disse Fernando, il giovane proprietario della fioreria, intuendo il mio smarrimento, – anzi una super rissa, ma a breve il negozio riprenderà regolarmente l'attività. Caro Nicolò, chi si ferma è perduto, – aggiunse ripetendo la frase attribuita a Benito Mussolini, a cui replicai per sdrammatizzare con quella del comico Alessandro Bergonzoni:
– Non sempre chi si ferma è perduto, a volte è semplicemente arrivato.
Riuscii a strappargli un breve sorriso.
Fui colpito per come mi avesse riconosciuto immediatamente, nonostante portassi la mascherina, un berretto con la visiera e non andassi in negozio da qualche tempo.
– Come sei riuscito a capire che sono io?
– Ormai ho imparato a riconoscere tutti i clienti, anche se indossano la mascherina.

Si erano picchiati ferocemente: le tracce di sangue che andavano dal pavimento alle pareti lo testimoniavano. Sembrava di essere all'interno di un mattatoio.
– La rissa è avvenuta tutta qui dentro?
– No, solo all'inizio, poi è continuata fuori, coinvolgendo una decina di persone e...
– E cosa?
Fernando deglutì, senza riuscire a finire la frase. Infine, dopo aver respirato a fondo, riprese a parlare: – Un uomo è morto, qui fuori a pochi passi da noi.
– A causa dei colpi presi?
– Sì, mi sono affacciato un attimo a guardare e, dalla sua figura e per come vestiva, credo fosse un ragazzo di vent'anni o poco più.
– Devono averlo picchiato molto duramente.
– Io non ho mai visto tanta rabbia e violenza, si colpivano senza freni, come se desiderassero uccidersi. Sembra che mentre lui era steso a terra esanime, una persona, dopo aver preso la rincorsa, gli sia saltata a piedi uniti sul petto.

Mi trovavo nel tempio dei fiori, dove gli aromi si diffondevano nell'aria come fluidi magici e la delicatezza dei colori portava serenità all'anima: come potevano nascere pensieri assassini in questo luogo? Ma che razza di gente c'era in giro oggigiorno? Se una rissa così violenta accadeva in una fioreria allora poteva capitare ovunque anche in una chiesa, edificio sacro e dispensatore di messaggi di pace e amore fraterno. M'immaginavo i fedeli che si prendevano selvaggiamente a pugni e si lanciavano contro le ostie come stelle ninja o strappavano i crocefissi appesi alle pareti per colpirsi alla testa.
Di certo i ripetuti lockdown causati dal Covid-19, l'obbligo del green pass e le mille difficoltà sociali ed economiche che duravano da quando era scoppiata l'epidemia, avevano creato tanta frustrazione e aggressività nella gente, facendo emergere gli istinti peggiori. Le persone erano come candelotti di dinamite, bastava poco perché esplodessero.
E adesso, con l'invasione russa dell'Ucraina, si sommava angoscia ad angoscia: su tutti pendeva una spada di Damocle, che ogni giorno calava un poco di più sul collo come la mannaia del boia.
L'umanità era in balia di due grossi cigni neri che l'avevano ghermita come avvoltoi, e la stavano portando in un inarrestabile viaggio a ritroso nel tempo: le lancette della storia stavano scivolando sempre più indietro.
Cigno nero: una locuzione potentemente evocativa che descrive un evento imprevedibile, raro e con effetti devastanti sulla vita di tutti.
E, straordinaria coincidenza, a distanza di un secolo la storia si ripeteva: proprio cento anni fa c'erano stati due cigni neri uguali a quelli di oggi, dei quali cambiava solo l'ordine, nel 1915–1918 c'era stata la Prima guerra mondiale e nel 1918 l'influenza spagnola, che si portò via decine di milioni d'esseri umani. Una guerra e poi un'epidemia.
Adesso, nel 2022 a tre anni dall'inizio del Covid-19, era cominciata la guerra tra Russia e Ucraina, e dunque all'epidemia del Covid-19 era seguita una guerra.
Le persone più fragili venivano a galla come pezzi di sughero immersi nell'acqua, la foto di questo tempo era quella del relitto d'una nave sul fondo del mare dalla quale emergevano detriti, oggetti vari, parti di mobili, carburante e olio, alcuni sopravvissuti e moltitudini di cadaveri. Cattiveria e rabbia sembrava di percepirle dappertutto, c'era tanta intolleranza che si manifestava con scatti violenti e voglia di fare del male agli altri.
Intanto nel negozio parecchie persone, come avevo fatto anch'io, s'erano messe ordinatamente in coda ad attendere la ripresa del servizio e il proprio turno.
Stavo osservando i rivoli di sangue ormai coagulati sull'ampia vetrina frantumata, che si affacciava sul marciapiede esterno, quando la mia attenzione fu catturata da un frammento rosaceo sul pavimento al centro del negozio, grande quanto una moneta da dieci centesimi e con delle sbavature rosse.
– C'è il lobo d'un orecchio sul pavimento! – dissi.
Ci fu silenzio, nessuno sembrò aver sentito.
– Ho detto che c'è un pezzo di orecchio sul pavimento, – ripetei a voce alta.
– Sì, è possibile, durante la rissa si sono anche morsi come scimmie, – intervenne Fernando.
Allora espressi un pensiero a voce alta: – Bisognerebbe metterlo in una busta con del ghiaccio e portarlo in ospedale, magari riescono a riattaccarlo alla vittima.
– Fallo tu, se ci tieni, – disse qualcuno.
Erano tutti intontiti, assenti e poco ben disposti.
– Torno subito, io sono dopo la signora, – dissi, indicando la mia posizione in coda per non perdere il turno.
Raccolsi il lobo con un fazzolettino di carta e mi diressi verso l'ambulanza che sostava appena fuori, allungando la reliquia a uno degli infermieri dell'equipaggio, che mi ringraziò con grande enfasi come se quel pezzo di orecchio fosse stato suo e lo stesse cercando.
Poco distante da loro, sul marciapiede dov'era stato ucciso l'uomo, avevano disegnato delle linee col gesso bianco attorno alla sua sagoma. Sembrava di essere sulla scena dell'omicidio di un film giallo e, intanto, poco più in là alcuni negozianti stavano gettando secchi d'acqua sul selciato per ripulirlo dal sangue.
Quando ritornai in fioreria, mi si avvicinò un uomo smilzo che non avevo notato prima: dopo essersi qualificato come pubblicista della rivista Libere Notizie Online, – mai sentita nominare – iniziò a raccontarmi i dettagli della rissa alla quale diceva di avere assistito. E mentre mi parlava non smetteva di scattare foto ai segni del disastro appena provocato.
– Lei lo sa che i morsi umani possono essere più pericolosi di quelli di cani e gatti?
– Sì, la saliva umana contiene tanti batteri, come ad esempio lo streptococco, che possono causare infezioni lievi come tonsilliti o più gravi come polmonite, meningite e tanto altro. Certo, cani e gatti attraverso i loro morsi potrebbero trasmettere la rabbia ma è anche vero che, se sono animali domestici, dovrebbero essere stati vaccinati.
– Di solito questi dettagli non li conosce nessuno.
– Mi dica, che genere di persone erano i partecipanti alla rissa?
– Apparentemente normali, tra loro non c'era neanche un ubriaco o un drogato, nessun balordo e neppure zingari o clandestini. Si sono create due fazioni che hanno iniziato a colpirsi come dei gladiatori nell'arena. Pensi che alla rissa forse hanno partecipato anche due donne.
– Perché dice: “forse hanno partecipato anche due donne”.
– Di una sono sicuro che fosse una donna: era grande, grossa e con un seno abbondante, credo non giovanissima, dotata di una corporatura massiccia con gambe possenti, e caricava i contendenti come un bufalo inferocito. Ho pensato che potesse essere stata una lanciatrice di peso o disco, infatti è stata proprio lei che ha scaraventato un ometto contro la vetrina frantumandola e facendo finire il malcapitato fuori sul marciapiede.
– E l'altra presunta donna com'era?
– Longilinea, agile come un gatto e dalle lunghe gambe che usava per colpire. Calciava velocissima sui volti degli avversari, come se stesse eseguendo una danza. Oltre alla mascherina portava un berretto nero con la visiera, dentro il quale presumo avesse raccolto i capelli. Non era dotata di un seno evidente ma, dalle proporzioni del corpo, ho pensato fosse una donna.
– Una cintura nera di taekwondo! – dissi.
– Non so, non me ne intendo di arti marziali giapponesi.
– È un'arte marziale coreana, non giapponese, che si basa prevalentemente sull'utilizzo dei calci. Erano tutti italiani?
– No, ma più che parlare picchiavano. Comunque sia la ragazza che il donnone hanno detto qualcosa in una lingua che potrebbe essere ucraino.
– Ha capito cosa ha scatenato questa follia collettiva?
– La guerra Russo-Ucraina.
– Che cosa c'entra?
– Quando dentro il negozio sono entrati alcuni russi è scoppiato il finimondo. A loro si sono aggiunti degli italiani, che apparentemente non c'entravano nulla, ma che si sono schierati da entrambe le parti.
– Lei sa distinguere la lingua ucraina dalla russa?
– No, è stata una mia deduzione. Ad ogni modo non sono riuscito a seguire la rissa in tutte le sue fasi, perché a un certo punto il caos e i colpi sono diventati così furiosi e veloci che se non mi fossi precipitato fuori dal negozio, avrei rischiato di prenderle anch'io. I calci e i pugni volavano numerosi come le gocce d'acqua d'una pioggia tropicale.
– Lei è il capitano Cinquepalmi dei carabinieri? – mi chiede improvvisamente.
– No, è che quando voglio capire i fatti sembro un carabiniere che sta scrivendo un verbale.
– Ha la stessa voce e fisicamente gli assomiglia.
– Con le mascherine indosso è facile sbagliarsi, comunque, non ho mai visto niente del genere, sembra proprio di essere in un campo di battaglia... dopo la battaglia.
– Già! Tutti i partecipanti erano mascherati durante la rissa e saranno difficilmente identificabili. In questi tempi le mascherine sono la manna dal cielo per malintenzionati, ladri e violenti che restano anonimi e dunque le loro malefatte rimangono impunite. Vuole vedere il video che sono riuscito a fare?
– Sì.
Rimasi impressionato dallo sfondamento della vetrina di cui mi aveva parlato: il donnone, dopo aver agguantato l'ometto, se l'era caricato sulle spalle e, attraversando il negozio di corsa, l'aveva lanciato contro la vetrina, che non aveva retto al terribile urto e si era completamente frantumata.
Il pubblicista aveva filmato tutto quello che poteva, di tanto in tanto zoomando e facendo dei primi piani.
Fui molto sorpreso dall'esperto di taekwondo, lo osservai attentamente mentre sferrava i calci: con uno dei quali, dopo aver colpito al volto il suo avversario, lo aveva mandato a tappeto. Portava pantaloni neri molto comodi, sembravano quelli che si usano durante un allenamento di arti marziali. Sì, era una donna, non c'erano dubbi, dotata di uno splendido corpo e, probabilmente, doveva esserlo anche il volto che aveva nascosto da una mascherina FFP2, nera anche quella. Quanta bellezza e quanta violenza insieme: era come se in quelle scene si fossero mescolati acqua e fuoco.
– Un momento, – dissi, fermando il video che stavo guardando – ha notato il tatuaggio che ha sul collo quest'uomo.
Aveva tatuato sul lato destro del collo il numero 14 e sul lato sinistro il numero 88.
– Sarà la data di nascita, – mi rispose.
– Ma quale data di nascita [...]

Franco Alesci

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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