Le domeniche passate dai nonni erano per noi un vero e proprio rito. Mi riferisco agli anni Ottanta e Novanta, un periodo in cui la domenica era ancora considerato un giorno di riposo per tutti, interamente dedicato alla famiglia e al relax. La famiglia di mia madre è davvero numerosa, composta da otto fratelli. Inoltre, bisogna tenere conto delle rispettive famiglie di ognuno, con mogli, mariti e una media di due figli per nucleo familiare. Ogni domenica mattina si partiva alla volta del Capannone, un soprannome affettuoso per la casa dei nonni, chiamata così perché, oltre ad essere immersa nei boschi, confinava con il capannone dove il nonno svolgeva la sua attività. Il suo lavoro principale era la lavorazione del ferro battuto, un'arte che abbracciava la creazione di una vasta gamma di oggetti, dai portavasi ai cancelli, dalle sedie alle strutture per i letti, e persi- no meravigliosi candelabri, tutti realizzati a mano. Anche se definire il ferro battuto il suo “lavoro principale” sarebbe riduttivo, perché fondamentalmente il nonno era un vero e proprio inventore. Aveva la straordinaria capacità di ideare di tutto, ma curiosamente non ha mai pensato di brevettare nulla. Perciò, solamente noi, i suoi cari, sappiamo quanto fosse eccezionale la sua creatività. Lui fu l'artefice del riciclo della plastica, ben prima che diventasse una pratica diffusa. Le bottiglie d'acqua, per esempio, non venivano mai gettate via, il nonno le sfruttava per una miriade di scopi. Le utilizzava come vasi per le piantine di fragole, posizionandole ovunque in giardino, e noi bambini ogni domenica andavamo a controllare se i frutti fossero abbastanza maturi per essere raccolti e gustati. Inoltre, queste bottiglie venivano anche riciclate per creare degli acchiappa insetti. Il procedimento per realizzarli era abbastanza semplice: si prendeva una bottiglia e si riempiva di un intruglio, la cui ricetta rimaneva un segreto ben custodito, sebbene sembra contenesse semplicemente acqua e zucchero, non lo sapremo mai. Il collo della bottiglia veniva legato con uno spago in modo da poterla appenderle in grande quantità sopra al tavolo durante i nostri pasti all'aperto. Gli insetti, come mosche, api e zanzare vengono, venivano at- tratti dalla dolcezza dell'intruglio, entravano curiosi ma non riuscivano più ad uscire. Si trattava di metodi artigianali, naturali e persino vegani di una volta, sebbene non fossero particolarmente belli da vedere, svolge- vano il loro compito in modo efficace. Ci sono molte altre invenzioni e idee geniali del nonno Pasquale di cui parlerò più avanti. Tornando all'atmosfera del Capannone, ogni domenica ci si riuniva tutti, ma proprio tutti, insieme a pranzo dai nonni. Eravamo una comunità numerosa, con almeno 30-40 persone, e a volte si aggiungevano amici, suoceri e altri parenti che si auto-invitavano per condividere una giornata in compagnia. Ripensando adesso alle situazioni vissute al Capannone, noi bambini di allora, dovremmo essere tutti malconci, feriti, malati o persino peggio. Il motivo? Beh, da bambini giocavamo in questo vecchio Capannone, tra aste di ferro, talvolta persino arrugginite. Durante l'estate facevamo il bagno in una piscina improvvisata, costruita dal nonno con mattoni di cemento, altamente graffianti. Altre volte ci avventuravamo da soli nei boschi circostanti, un'attività che, a pensarci oggi, ci avrebbe potuto portare a smarrirci e non ritrovare più la strada (anche se in verità una volta mio padre si perse effettivamente in quei boschi, ma quella è un'altra storia). Nonostante queste avventure potenzialmente pericolose, siamo cresciuti rinforzati e senza eccessive paure. Tuttavia, la cosa più straordinaria è che siamo cresciuti conservando il nostro forte legame di amicizia. Anche ora che siamo diventati adulti, ci siamo allontanati, abbiamo formato le nostre famiglie e preso strade diverse, continuiamo a rimanere in contatto ed a organizzare incontri ogni volta che ne abbiamo l'opportunità. Vorrei solo dire che esiste un gruppo WhatsApp in cui una trentina di membri della famiglia Urrico si scambiano il buongiorno e la buonanotte ogni giorno, condividendo gli eventi della propria giornata. Siamo una vera e propria comunità, una famiglia unita, come tante altre forse, ma con un affiatamento speciale. Perché immagino che siano tante le famiglie legate come noi, con così tanti ricordi insieme, ma io, devo dire la verità, con questo affiatamento non ne conosco. È per questo motivo che ho deciso di raccogliere in un libro gli aneddoti e le storie che tutti gli “Urrichi” (come ci siamo soprannominati) ricordano di quelle incredibili domeniche passate dai nonni. Per preservarle e non dimenticarle, e per condividerle con co- loro che magari non credono che un periodo così meraviglioso, senza smartphone o Netflix, sia mai esistito. Un'epoca in cui la domenica mattina avevamo un solo scopo: raggiungere il Capannone e gustare le crocchette di patate appena fritte della nonna Maria, quelle che nessuno è mai riuscito a replicare con successo. Sì, perché qualsiasi ora tu scegliessi per arrivare al Capannone, c'era sempre la nonna pronta ad accoglierti con le sue deliziose crocchette filanti, e un bacio in cambio di una di esse. Subito dopo andavamo a cercare il nonno Pasquale per salutarlo e ricevere il suo bacio sulla fronte, sicuramente il più intimo e memorabile che ricorderemo tutti noi nipoti per sempre, e che ci ha accompagnato per tutta la nostra infanzia.
1. Il capannone
La casa dei nonni era letteralmente immersa nei boschi piemontesi, nella zona dell'ovest Ticino. Per raggiungerla bisognava percorrere una strada tortuosa, la maggior parte della quale asfaltata e piena di curve, ma con un ultimo tratto di strada sterrata, priva di pavimentazione, costituita solo da terriccio e sassi. Era una casa così isolata che ci si chiede ancora adesso come i nonni facessero a dormire sonni tranquilli. Era il tipo di luogo che spesso si vede nei film dell'orrore, ma agli occhi dei nonni era il paradiso sulla terra. Il parcheggio si trovava su uno spiazzo di terreno davvero enorme proprio di fronte alla grande casa. Quest'ultima era collegata ad un “capannone” in cemento arma- to, destinato all'azienda di ferro battuto di cui il nonno era titolare e in cui lavorava con alcuni dei suoi figli. Tra il piazzale e la casa, c'era una veranda, molto grande, dove era stato allestito, o meglio ancora realizzato sempre da nonno Pasquale, un tavolo lunghissimo, almeno quattro metri, completato da panche di legno. Era un luogo perfetto per riunirsi nelle domeniche primaverili ed estive. La veranda era circondata da una moltitudine di fiori e alcune piante, un dondolo realizzato completamente a mano in ferro bat- tuto veniva utilizzato a turno per rilassarsi. A prima vista, sembrava davvero un angolo di paradiso, ma in realtà, c'erano sempre oggetti e cose sparse all'aperto nella zona dove si mangiava in estate. Bisognava stare attenti a tutto quello che era stato posizionato qui: scatoloni contenenti elettrodomestici rotti o inutilizzati, sedie a sdraio che sembravano pronte a crollare; infatti, non si sapeva mai se fossero funzionanti o se c'era il rischio di cadere a terra sedendosi. Niente sembrava mai essere al suo posto, tuttavia, era proprio questo caos apparente che rendeva questo posto così speciale e ci faceva sentire nel posto giusto. Non c'era un posto migliore dove stare se non al Capannone, così chiamavamo tutti noi la casa dei nonni. Era un luogo dove la famiglia si riuniva e si condividevano risate e ricordi; ci si sentiva davvero a casa, nonostante il disordine apparente. Continuando questo viaggio nei ricordi, vale la pena racconta- re l'ambientazione unica che tutti noi porteremo per sempre nella mente. Di fianco a casa, sulla sinistra, c'era l'azienda del nonno, mentre a destra invece il nonno aveva organizzato una piccola fattoria, perché ogni volta che faceva qualcosa, doveva farla sempre meglio degli altri. Inizialmente c'era un orto, ma dopo qualche tempo, il nonno si rese conto che il mal di schiena non gli permetteva di occuparsene come avrebbe voluto. Tuttavia, nonno Pasquale non era uno che si lasciava scoraggia- re, anzi risolveva ogni problema con la sua mente geniale e creativa. Infatti, fu tra i primi ad inventare l'orto rialzato, sollevando la struttura delle aiuole del terreno per ridurre lo sforzo fisico. Questa innovazione non solo facilita il lavoro nel giardino, ma permette anche di coltivare su terreno poco fertili e sassosi. Magari nel mondo di oggi è una pratica utilizzata abitualmente, ma negli anni Ottanta non se ne vedevano molti e il nonno lo inventò di sana pianta. Oltre all'orto, la piccola fattoria era il luogo in cui si potevano trovare una varietà di animali nel corso degli anni. Noi bambini e ragazzi della famiglia abbiamo visti passare di tutto: galli e galline, papere e oche, tacchini, conigli e caprette. Nel mezzo di questo terreno adibito a piccola fattoria e orto, il nonno Pasquale aveva persino costruito un laghetto artificiale, fatto di sassi e cemento. Il laghetto forniva un rifugio rinfrescante per gli animali da cortile, dove potevano scorrazzare nell'acqua e vivere serenamente. Con il tempo però tutti compresero che alcuni di questi animali vennero presi per poi farli diventare cibo da servire a tavola. Nessuno, ma proprio nessuno della famiglia, aveva il coraggio di dare il colpo di grazia agli animali da cortile. Si sono susseguite domeniche da comiche, con persone che in- seguivano animali e viceversa. Noi bambini in queste situazioni venivamo invitati a rimanere nella camera da letto dei nonni con la scusa di giocare, per non traumatizzarci, ma ricordiamo tutto ancora oggi. Entriamo finalmente in casa dei nonni, attraverso un lungo e stretto corridoio a L, che ci porta in diverse stanze ricche di ricordi. La prima stanza sulla sinistra, che inizialmente era adibita a ufficio, diventò la camera da letto dopo il pensionamento del nonno. Dopo il gomito del corridoio, sulla destra, troviamo quella che fu la prima camera da letto dei nonni e poi venne trasformata in una grande sala da pranzo. Questo è il luogo in cui conserviamo i ricordi delle più recenti vigilie di Natale, tra le tante riunioni degli Urrico. Proprio a fianco di questo locale c'era la cucina/salotto, niente di moderno e innovativo, ma locale di autentica tradizione. Un lavandino di marmo, una cucina a gas, tra le più semplici e tradizionali, un mobile completo di ogni tipo di pentolame per preparare le deliziose prelibatezze che la nonna ci serviva ogni domenica. Un tavolo quadrato che si apriva all'occorrenza per accogliere tutti i membri della famiglia, anche se spesso bisognava portare tavolini o cavalletti con una tavola di legno per fare spazio a tutti. In quella casa c'era il tocco personale di Nonno Pasquale ovunque. Aveva aggiunto delle ruote ad un classico mobile da soggiorno per poterlo spostare facilmente senza fatica. Il divano, realizzato con le sue mani in ferro battuto, era un'opera d'arte a sé stante. C'erano due elementi in quella casa che ricorderemo per tutta la vita. Il primo era il poster di Amalfi appeso accanto alla finestra della cucina. Era un poster fotografico che raffigurava la sua costa, il paese d'origine del nonno e della sua famiglia. Questo poster rimase appeso lì per anni, fino a quando la nonna Maria e il nonno Pasquale rimasero a vivere al Capannone. Il secondo elemento era la stufa a legna in ghisa, piccola ma potente, con una porta larga basculante per la legna. Era un oggetto affascinante, ma al contempo pericoloso, soprattutto per noi ragazzi. Sopra alla stufa la nonna riscaldava tutto, dal pane ai pentoloni di pasta, dall'arrosto alla torta di riso dolce prima di servirla.
Sara Bontempi
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