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Autore: Livio Ciancarella
Intrigo in Afghanistan
Narrativa Contemporanea
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Intrigo in Afghanistan
Nel silenzio granuloso che appartiene alla fine sabbia silicea delle steppe dell'Asia centrale, i componenti del WIT (Weapon Intelligence Team – squadra investigativa sull'armamento) stavano esaminando i resti dell'elicottero italiano, un CH47 Chinook, sul luogo dello schianto.
Erano soldati esperti, ne avevano viste di tutti i colori nelle numerose e lunghe missioni dove erano chiamati ad analizzare gli elementi di un attentato per risalirne agli autori e in qualche caso ai mandanti, eppure la loro gola era secca e nessuno sentiva il bisogno di parlare davanti alla scena di desolazione e morte che si stagliava davanti ai loro occhi: stavano portando via i caduti, o meglio ciò che ne restava, una cosa molto simile ai fagotti dei loro bagagli nella indistinguibile livrea policroma delle loro tute. Il fatto era che con quella gente ci avevi scherzato e bevuto la sera prima e quando conosci qualcuno, tutto cambia.
L'aeromobile era andato completamente distrutto al suolo, spargendo rottami, parti di carico e passeggeri su un'area ellittica di circa duecento metri di diametro con l'asse maggiore evidentemente orientato lungo la sua rotta finale, alcuni pezzi emanavano ancora nero e acre fumo, altri erano freddi e muti nel loro scintillante metallo aguzzo, portato a nudo in cuspidi taglientissime di longheroni tranciati. Tutto puzzava di odori diversi da quelli del deserto, dal kerosene combusto alla gomma bruciata, dal metallo tagliato all'inconfondibile lezzo ferruginoso del sangue.
Bisognava pur fare il lavoro per il quale erano stati chiamati, per questo si muovevano rapidamente e professionalmente, animati da sentimenti intensi e diversi come rabbia, sorpresa, nervosismo, paura, impotenza e dolore.
Appurato che non c'erano sopravvissuti da soccorrere, altri elicotteri stavano portando via i corpi man mano che venivano ricomposti e infilati nei sacchi dalle molte forme e colori; infatti avevano dovuto chiederne in prestito una certa quantità ad altri contingenti alleati visto il numero elevato dei caduti. Poi sarebbe toccato a loro svolgere il compito tecnico sul quale si erano specializzati.
Poco prima era atterrato un plotone di fanteria speciale che doveva garantire un perimetro sicuro intorno a loro e aveva segnalato il corpo di un Afgano ucciso: il capo del WIT, tenente del Genio Francesco Broili, stava cominciando proprio da lì.
C'erano già gli agenti dell'ANP (Afghan National Police), la polizia afgana, che avevano giurisdizione sui loro connazionali. Spesso, come in questo caso, erano in tre, baffuti e scuri di carnagione, neri di capelli (probabilmente erano tagiki) che portavano in maniera disinvolta, come spesso accadeva, le uniformi che gli erano capitate, fossero queste russe, americane di una volta o indiane.
La loro presenza non era sempre un buon segno perché tendevano a contaminare la scena e le prove.
Si spostò a fatica, oberato dagli oltre quindici chili di equipaggiamento composto da panciotto antiproiettile, elmetto, fucile con sette caricatori, pistola con quattro, binocolo e radio. Tale fardello lo faceva somigliare a una tartaruga ninja, ma, negli oltre 40 gradi del clima asiatico, rendeva anche difficile respirare, tranne per chi, come lui, era allenato da sette precedenti turni in missione. A ogni modo si recò sul punto col suo vice e dopo una veloce occhiata gli domandò:
- Che ne pensi Marco? -
- Mmmmh...Presto per dirlo. Ma costui potrebbe essere coinvolto nello schianto. È stato colpito da proiettili di grosso calibro, forse di mitragliatrice MG, ma non ha armi, il che è strano ed è ancora più strano che sia solo - .
La cosa si complicava e c'erano elementi che non tornavano.
Si diressero verso i rottami mentre il resto del team fremeva per intervenire, conscio che le ore di luce erano poche e in breve il sito sarebbe stato sgomberato, senza più possibilità di esaminare luogo e prove. Per cui occorreva fare presto, tanto li attendeva una lunga nottata a riempire scartoffie, come sempre.
Radunò il gruppo:
- Allora gente, ci sono tre ipotesi: guasto, missile e SAF (Small Arms Fire – fuoco di armi leggere). Cercate pezzi forati o troncati in maniera strana, anormale. Quando li trovate, raccogliete i campioni di frammenti e polveri. Tutto chiaro? Avete due ore, poi adunata qui - .
- Tenente! -
- Sì, Marco? -
- Se l'elicottero era in rotta per la base ed era prossimo all'avvicinamento, quindi forse si era già abbassato passando tra quelle due creste - .
- E allora? -
- No, niente, ma se io volessi tirare a un elicottero mi metterei proprio su quell'altura - .
- Potresti aver ragione, ma siamo qui per cercare prove. Vai ora - .
Il suo Sergente aveva acceso la lampadina nella sua mente, si delineavano già molte ipotesi, i successivi minuti sarebbero stati determinanti per capire il “come”, difficilmente avrebbero detto “chi” e “perché”. A meno di una botta di fortuna, ma questo succedeva solo nelle serie televisive.
- Marco, vieni con me, torniamo sul cadavere - .
Lui era ancora lì, con quello strano sguardo spento verso il cielo e quella smorfia ai lati della bocca come se non avesse provato dolore o fosse stato liberato dalle sofferenze terrene. Curioso. Ispezionando la postazione dell'Afgano, magro e cencioso, non trovarono bossoli o elementi riconducibili ad armi di alcun tipo, ma quelli dell'ANP avrebbero potuto fregare tutto un attimo prima del loro arrivo, vai a sapere.
Chiese loro:
- Did you find any weapon or RPG (avete trovato armi o RPG)? -
Il Tenente Broili si riferiva alla celeberrima granata anticarro spalleggiabile di fabbricazione russa estremamente diffusa in molti teatri di guerra e guerriglia grazie al suo basso costo. La sigla stessa РПГ- Pучной противотанковый гранатомёт (RPG-Ruchnai Prativatankovi Granatamiot) significava in russo “granata controcarro portatile”. Basata sui progetti dei Panzerfaust tedeschi della fine del secondo conflitto mondiale, consisteva in un tubo lanciagranate riutilizzabile che conteneva il razzo/granata vero e proprio che a sua volta si componeva di un asta con il propellente per scagliarla contro il bersaglio e una testata esplosiva denominata “a carica cava”: una forma particolare di cono metallico rovescio che alla detonazione formava un getto di plasma incandescente capace di perforare anche le corazze più spesse oltre a generare molte schegge minori. Leggera e rustica era un'arma economica ed efficace nota col suo acronimo “errepigì” e apprezzata in tutto il mondo.
Dovette ripetere la domanda perché gli sguardi inebetiti dei suoi interlocutori locali gli palesavano che non avevano capito una parola.
Quindi ricordò che molti parlottavano russo più che masticare l'inglese.
- Ty nashel oruzhiye? RPG –Ar-pe-ghe (avete trovato armi? RPG?) -
Dopo tre turni nel Paese tutti imparavano qualche parola di russo, ma Broili era un veterano alla sua quinta “tacca”.
- Niet, tavarish Leitnant (no, compagno Tenente) - .
E quando mai...Però il suo grado lo avevano riconosciuto.
- Ma...Non sarà che qualcuno ha colpito per sbaglio uno che non c'entrava? -
Tornarono indietro e aiutarono il team nella ricerca. Non era come nei film dove un investigatore attento scopre un dettaglio illuminante che spiega per filo e per segno la dinamica del fatto, piuttosto si trattava di un lento e meticoloso lavoro di raccolta di campioni per farli analizzare da qualcun altro.
Come si dice, il diavolo è nei dettagli e ci volevano settimane per le analisi dei campioni che dovevano essere mandati a Civitavecchia.
Ripensò alla dinamica dell'incidente:
- Può trattarsi di un guasto, o di una manovra errata dei piloti, ma anche di un conflitto a fuoco nel quale i cattivi avevano avuto fortuna - .
Se così fosse stato, di fortuna gli insorgenti (chissà perché non li si poteva chiamare semplicemente “il nemico”) ne avevano avuta parecchia, abbattendo un nostro elicottero carico fino all'orlo di uomini e materiali, ma non tornavano la posizione e la presenza dell'Afgano morto. Perché era solo? E disarmato?
Mentre si poneva queste domande spronava i suoi uomini a raccogliere campioni e indizi che potevano portare a ricomporre -se non tutto- almeno parte della sequenza di eventi che avevano portato al macabro schianto. Non era un lavoro semplice: si trattava di individuare i pezzi in grado di dare risposte agli inquirenti in termini di chimica, con le tracce di esplosivo, di meccanica, con i segni di schegge penetrare dall'esterno o di malfunzionamenti, come per esempio i particolari meccanici bloccati. Era estremamente difficile individuare i dettagli potenzialmente interessanti da quelli conseguenti alla normale deformazione e combustione dei complessivi e delle altre parti.
- Marco! - chiamò il suo vice.
- Sì, signor Tenente? -
- Ricorda ai tuoi di controllare anche i fori sui cadaveri - .
- Signorsì! -
Il suo Sergente aveva temuto quell'ordine, non perché i suoi uomini e donne non se la sarebbero sentita di eseguirlo, ma per il richiamo a una realtà tragica che nessuno voleva accettare, visto che i caduti erano compatrioti. I suoi sottoposti, non certo novellini alle prime armi, ma veterani delle procedure e della missione, avevano comunque già svolto quell'ingrato compito.
Il loro lavoro sul posto era terminato ed era tempo di tornare alla base di Herat.
La terza città del Paese che già si era chiamata Artacoana prima della distruzione a opera dei Macedoni invasori nel IV secolo a. C. era sede di un comando a guida italiana di ISAF, la missione NATO in Afghanistan. Alessandro aveva voluto punire i sostenitori dei suoi nemici e dare una lezione cruenta, ma esemplare e aveva infine ricostruito la città poco distante rinominandola Alexandria Ariana.
Nonostante la professionalità e l'esperienza che caratterizzavano gli investigatori, che pure ne avevano viste tante, contemplare la scena degli effetti personali dei caduti sparsi fuori dagli zaini proiettati dallo schianto, sporchi di sangue e olio e seminati per mezzo Afghanistan, era una visione che feriva il cuore, che fermava l'aria, che toglieva il respiro e rendeva il cielo di ghiaccio.
Sempre.
Alcuni tra i caduti erano amici, colleghi, conoscenze fatte da molti anni o alla mensa della base pochi giorni prima, inevitabilmente il pensiero andava alla disgustosa sensazione di impotenza di fronte alla morte e all'indicibile strazio delle famiglie disperate e, più cupamente, andava anche alla nefasta possibilità, terribile, di potersi trovare al posto loro.
Quindi i loro occhi si inumidirono e solo allora si accorsero di quel cielo terso e azzurrissimo nel quale erano volati per l'ultima volta i compagni.

Livio Ciancarella

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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