Fantasmi e Ombre tra le rovine dell'isola di Poveglia.
L' Annuncio sul Giornale.
Filmmaker cerca collaboratori e finanziatori per Film su Attività Paranormale nell'isola di Poveglia (Ve). Si garantiscono buoni guadagni dalla Pubblicazione, e proprietà dell'attrezzatura scientifica necessaria. Matteo aveva messo un annuncio sul giornale per cercare dei soci finanziatori per una ricerca paranormale nell'isola di Poveglia. La ricerca si riprometteva di dimostrare scientificamente la Leggenda secondo cui l'isola sarebbe infestata dai fantasmi degli appestati lì sepolti. Entrando direttamente in contatto con le entità che vi risiedono, si promettevano lauti guadagni dalla vendita del materiale raccolto con la pubblicazione del video, oltre ai diritti d'autore riservati, e naturalmente alla proprietà proporzionale delle costose strumentazioni necessarie. Malgrado avesse a più riprese sponsorizzato l'annuncio su vari giornali il tempo passava, e si presentavano solamente o curiosi squattrinati, o ragazzini improvvisati; tutte persone a cui finora non aveva dato nessun credito, visto che la ricerca doveva essere scientifica e di alto livello. Perciò Matteo fu costretto, suo malgrado, a cambiare strategia: cioè, avrebbe preso in considerazione anche proposte meno sicure, in cambio di un adeguato controvalore finanziario, che avrebbe potuto comunque rendere possibile l'impresa. A più riprese, aveva ricevuto la proposta di collaborazione di un certo Francy che asseriva di essere l'organizzatore tuttofare di una ricca signora di Milano: una delle tante mogli di uno Sceicco gli aveva spiegato, che annoiata e curiosa, avrebbe potuto contribuire in maniera cospicua all'impresa. Non era certo il tipo di collaboratore che cercava, e inizialmente aveva lasciato perdere rinviando, ma ad oggi, non avendo più altre alternative valide, accettò comunque d'incontrarlo, dandogli appuntamento in un locale del Centro di Milano, e riservandosi per dopo l'eventuale decisione finale. Seduto al tavolino del bar Matteo, sui trent'anni e vestito alla moda, aspettava questo misterioso personaggio con pazienza, e un certo scetticismo. Cercava con lo sguardo tra la folla indaffarata di individuarlo per tempo, riconoscendolo magari dall'abito o l'atteggiamento. - Ma come diavolo può essere vestito un organizzatore di intrattenimenti per ricche signore mussulmane? - si domandava. Magari è un tipo alla James Bond con occhiali neri e vestito bianco? Oppure è un eunuco grassoccio ed effemminato? E che età poteva avere? Davvero, non se lo riusciva ad immaginare. Ed effettivamente, rendendosi conto della stranezza di quell'incontro, doveva ammetterlo con sé stesso, aveva anche accettato questo appuntamento, non tanto perché credeva che un accordo fosse possibile, ma soprattutto per pura curiosità personale. E poi, in fin dei conti, quando si cercano finanziatori bisogna ascoltare tutti senza troppe preclusioni, si diceva mormorando tra sé, e convincendosi ancora più della bontà di quella sua disponibilità a incontrarlo. Vagando distratto con lo sguardo tra il brusio cittadino, neppure si accorse che un ragazzo, forse di qualche anno più giovane di lui, si era seduto al tavolino avanzando da dietro, senza nemmeno chiedergli il permesso di sedersi. - Matteo? Giusto? Sono Francy - gli disse porgendogli la mano. E Matteo ricambiò alzandosi, e rimanendo ancor più stupito da quel ragazzo tipicamente "Nerd" milanese, con gli occhiali spessi e il ciuffo un po' ribelle, tanto curato nel vestire firmato, quanto nell'esibire una dichiarata eccentricità nell'atteggiamento. Dopo aver ordinato da bere al premuroso cameriere che s'era affrettato a raggiungerli al tavolo, e dopo le necessarie presentazioni di rito, Matteo puntò diretto all'obiettivo e senza troppi preamboli o compromessi di sorta, gli disse schietto: - Senti Francy... ho accettato di incontrarti volentieri, anche se non credo purtroppo, che siamo sulla stessa frequenza... cioè io infatti, voglio fare un'indagine davvero seria su questa leggenda dei fantasmi... una ricerca direi quasi scientifica, insomma... non posso e non voglio farla diventare una cosa eccentrica alla moda... e mi pare che la signora che tu rappresenti... e a cui tu sei alle dipendenze sia della Milano bene...annoiata come mi dicevi... - Francy lo guardò a lungo quasi ironico, poi soppesando la risposta: - Ma non è la Signora che verrebbe, lei figurati! controllata com'è dallo Sceicco! Nemmeno potrebbe... è sua figlia Elena che viene, con cui io sono segretamente fidanzato. È lei che parteciperebbe, non la madre! - concluse Francy. Matteo rimase in silenzio pensieroso, sorseggiando l'aperitivo come se lo stesse valutando, poi invitando Francy ad imitarlo con un tintinnio del calice, ripose il bicchiere sul tavolino e mormorò: - Capisco...capisco... - poi cambiando angolazione, e cercando di incrociargli gli occhi sotto gli occhiali, quasi a voler sottolineare quello che stava per dire, riprese schietto: - Francy, francamente, qui servono almeno trentamila euro, capisci? Non tutti subito ovviamente... ma si tratta di apparecchiature molto costose... c'è poi tutta l'organizzazione, il nolo della barca e... ed inoltre... non ti nascondo che l'isola è deserta, ma comunque interdetta, Vietato l'Accesso! In altri termini, andiamo a fare qualcosa che non potremmo, e questo richiede che ognuno si debba prendere le sue responsabilità personali, sono stato abbastanza chiaro? - concluse determinato Matteo. Francy, fece per raddrizzarsi sulla sedia, e appoggiandosi comodo allo schienale, sorrise accattivante: - Ma è proprio per questo che io ed Elena vogliamo partecipare! Il brivido! Ben inteso, lei così tanti soldi liquidi subito non li ha immediatamente, ma ne girano tanti in quella casa, e trentamila euro non sono certo un problema. Diciamo che Elena li prenderà in prestito per poi restituirli a sua madre, tanto da quel che ho capito, tu hai già l'acquirente per il filmato! Quindi quando incassiamo, li restituiremo senza che nessuno si accorgerà mai di nulla. - Matteo lo guardava riflettendo se poteva fidarsi di quella bizzarra proposta, e proseguì rispondendogli: - È vero quello che dici riguardo i possibili acquirenti, anzi ho già diverse proposte. Vedi, avendo lavorato in America, ho conosciuto diversi specialisti, e se il filmato sarà di qualità, non solo lo manderanno in onda, ma penso tu possa immaginare i guadagni che proverranno da tutto l'indotto! Poi, con queste nuove apparecchiature che andiamo ad usare, sarà davvero un grande successo! - concluse Matteo orgoglioso. Francy era visibilmente eccitato, e anticipando i tempi balzando in piedi, gli tese la mano dicendo: - Allora, affare fatto? Ti verso subito domani diecimila euro come acconto, d'accordo? E il resto ad avanzamento sul progetto, fino a trentamila, ti va bene Matteo? - Matteo si mise a ridere per tanta intraprendenza a cui non era abituato, ma stringendogli la mano tesa d'istinto, aveva già di fatto suggellato l'intesa: - Francy, non è che andiamo a metterci nei guai? Mio padre, che è avvocato mi ucciderebbe se sapesse cosa stiamo per fare con questo accordo... - disse Matteo con lo sguardo di chi vuol essere rassicurato. - Ma che dici! Quali guai, quelli hanno soldi dappertutto, e nemmeno se ne accorgono per chi sa quanto tempo, se sparisce un po' di contante... e soprattutto poi li rimetteremo al loro posto, mica li rubiamo! - rispose deciso Francy al titubante Matteo, che dopo aver riflettuto un attimo, mormorò quasi a sé stesso: - Beh, in fin dei conti, io non sono tenuto a sapere da dove vengono i soldi... è un affare vostro e basta - concluse. Francy senza mollargli la stretta di mano, con l'altra gli diede una pacca sulla spalla: - Infatti! Quello dei soldi è un discorso tutto nostro, e vedrai che ti piacerà la mia fidanzata Elena, e poi lei ha la nostra età. Ti chiedo solo di pazientare se qualche volta faremo anche un po' di festa... cioè, puoi immaginare cosa vuol dire essere figlia di uno Sceicco, lei è diversa... le piace la vita, ballare, bere; insomma è italiana come noi - concluse Francy entusiasta. Poi notando un certo disappunto nello sguardo di Matteo a quelle sue ultime parole, si corresse spiegando meglio: - Non mi son spiegato bene, questo non influirà assolutamente sulle attività paranormali che andiamo a fare, ma lo faremo eventualmente solo nelle pause delle riprese. Giusto per attirarla un po' di più al nostro progetto, in fin dei conti, è lei che finanzierà quasi tutta l'impresa, non vuoi permetterle di farsi qualche Selfie alla moda? - concluse scherzoso. Ma notando che Matteo rimaneva dubbioso, allora Francy proseguì: - Fattelo dire fratello... io di lavoro organizzo Party e ricevimenti sia ufficiali che non ufficiali, mi intendi? In questo lavoro, bisogna spesso far buon viso a cattivo gioco, ed è così in tutti i Set del mondo! È il Produttore che ci mette i soldi, e ha le sue esigenze, che devono essere accontentate... capisci? Non troverai mai nessuno che ti finanzia senza alcuna condizione - concluse Francy. Matteo, taciturno, doveva ammettere che in effetti è sempre così, e lo sapeva bene. Da sempre gli artisti hanno dovuto scendere a compromessi con i loro committenti. E fu così, che alla fine, l'accordo tra i due fu messo nero su bianco, con tanto di documento di manleva per eventuali conseguenze legali indesiderate, e limitazioni precise per i concordati periodi ricreativi, fuori dall'orario di ripresa. Brindarono di nuovo all'intesa raggiunta, poi Francy, dopo aver degustato al palato il bicchiere, chiese a Matteo: - E gli altri? chi sono gli altri soci? - domandò curioso. Matteo, lì per lì, fece una smorfia tra il dubbioso e il perplesso, poi aprendo le braccia aggiunse: - Guarda, è gente particolare... comunque in gamba: c'è una Signora di nome Carlotta che è una ex insegnante di Storia dell'Arte. È una tipa strana, sui cinquanta, che dice di essere una sensitiva. Vedova da poco, è fissata con un Pittore quattrocentesco veneziano: il Giorgione di Castelfranco. Ma è molto determinata, ci mette diecimila euro addirittura! - . A quelle parole, Francy ricambiò con un'altrettanta espressione enigmatica, implicitamente ammettendo che effettivamente lui, di Storia dell'Arte, non ne sapeva assolutamente nulla. E Matteo continuò: - Poi c'è un certo Tommaso, uno Psichiatra di successo, che è interessato soprattutto alla storia dell'ex manicomio di Poveglia. Lui dice che agli Spiriti non ci crede assolutamente, ma vuole verificare alcune leggende che circolano sull'isola. Infatti, qui ufficialmente dal 1922 c'era solo una casa di riposo per anziani, chiusa poi nel 1968. Ma la leggenda dice che c'era anche un reparto di psichiatria segreto, dove un dottore svizzero, un certo Sarles, fece le prime asportazioni chirurgiche di parte del cervello, la lobotomia, per vedere se poteva guarire i pazienti dalle allucinazioni degli Spettri degli appestati che li perseguitavano giorno e notte sull'isola... to be continued Capitolo 7 – La Peste nella Mente - Francy ho paura in questo posto, stammi vicino - gli chiese Elena guardandosi intorno nell'oscurità della boscaglia intricata e non avendo la minima idea di dove si trovasse. I rovi li toccavano, talvolta graffiandoli nel loro opporsi al loro avanzamento a tentoni. La visibilità era limitata a qualche metro, e tutto quello che non cascava nel fascio della piccola pila tascabile di Francy, appariva talmente omogeneo da sembrare quasi bidimensionale, con le poche variazioni di tonalità confuse. Avanzando circospetti, i ragazzi potevano sentire la grande quantità di rumori che popolavano l'isola di notte. Addentrandosi verso l'interno, lo sciabordio delle onde era sparito lasciando la preminenza al rumore della vegetazione al loro passaggio. E se talvolta ancora sentivano l'eco dei motori marini che crescevano e diminuivano d'intensità e frequenza, un po' come succede al passaggio di un elicottero che si allontana, ora era la vita notturna dell'isola che percepivano vicina. C'erano uccelli notturni dai versi lugubri e misteriosi, oppure l'annaspare svelto di roditori, o il serpeggiare frusciante di bisce o di semplici animali stanati al loro passaggio ... e poi, sempre presente, c'era quell'impressione di essere sempre segretamente fissati e osservati, da piccoli occhi neri che quasi gli pareva di scorgere sullo sfondo nero di quella selva impenetrabile. Elena era sempre più inquietata. - Tranquilla amore mio, non c'è pericolo. Ma era l'unico modo per gabbare quel tuo Body Guard che ti pedina sempre - le disse Francy giustificandosi. Ma Elena era sempre più impaurita e si fece abbracciare, rannicchiandosi con le braccia sul suo petto: - Lo so Francy, ma questo posto mi fa troppa paura, rinunciamo...e torniamo con gli altri - lo implorò lei tremante. Ma lui invece si fece ancora più spavaldo, e alzandosi sulle punte dei piedi e scrutando intorno per accertarsi di non essere seguito le disse con fare complice: - Ascolta Elena, non puoi ancora tenere quei soldi presi a tua madre in borsetta, cerchiamo un posto per nasconderli e torniamo lì da loro - . Ma Elena era troppo terrorizzata da quel posto: - Ascolta Francy, perché nascondere i soldi? Preferisco darli subito a Matteo, e poi confesserò tutto a Bertrand che capirà. Tanto a breve Matteo ce li restituirà con la vendita dei filmati, e potrò restituirli a mia Madre prima che se ne accorga. Tutto andrà a posto, ma adesso torniamo... - , lo pregò ancora Elena che voleva assolutamente andarsene da quel posto. Francy cominciava a seccarsi e con voce acuta e nervosa le rispose: - Ma perché vuoi darglieli subito e addirittura parlare con Bertrand? Per me Bertrand non deve sapere assolutamente niente, e questo stronzetto di Matteo avrà i suoi soldi solo quando ci garantirà di guadagnare abbastanza per poter andarcene via insieme e sposarci. Solo allora si terrà la sua parte che ha anticipato - . Elena era talmente spaventata e ansiosa, che inizialmente non capì bene le ultime parole di Francy, poi riprendendosi, affermò decisa: - Come? io non ho mai parlato di sposarci, Francy ci conosciamo appena... e mi avevi promesso che avremmo potuto inventarci un lavoro insieme, tutto qui... - concluse lei disorientata. Poi Elena lo guardò con uno sguardo talmente bruciante e supplichevole, da forare la penombra che le copriva il suo volto: - Ti prego Francy, a questo punto, fermiamoci qua... I soldi li devo restituire comunque a mia madre, lo sai che... se mio padre ci scopre rischiamo davvero tanto! voglio tornare al Campo Base e andarmene - . Concluse lei quasi piangendo e insistendo ancora. Francy adesso era adirato: - Non ti devi preoccupare di quel Matteo! È figlio di un avvocato pieno di soldi, e appena pubblica il video guadagnerà talmente tanto... A noi invece i soldi servono adesso per sposarci, per una nuova vita insieme. Fidati di me amore... - e le strappò la borsetta di mano, estraendo il malloppo di soldi avvolto in una borsetta della spesa. - Ma che fai Francy? - Le disse lei indignata riprendendosi la borsetta vuota. Lui la spinse allontanandola e tenendosi i soldi ben stretti in mano: - Adesso devo cercare un qualche posto sicuro dove nasconderli, un posto riconoscibile e ritrovabile - , disse allontanandosi. Elena cercò di trattenerlo protestando: - Basta, non ci sto più, non voglio ingannare Matteo e soprattutto non voglio sposarti! Voglio tornare indietro e riportare i soldi a casa, spiegherò tutto a Bertrand, che ci aiuterà, vedrai - . A quel punto Francy si infuriò talmente tanto da tirarle un ceffone in piena faccia, poi prendendola per un braccio le disse: - Ormai siamo in ballo e balleremo, dammi la torcia! Svelta! E aspettami qui per un attimo - , le disse strappandole la pila di mano, e allontanandosi nella sterpaglia sparendo dopo pochi metri. Elena era rimasta sola e al buio in quel posto lugubre. Cercò di farsi coraggio mentre cercava di ragionare su quanto stava accadendo. Provò a chiamarlo un paio di volte, e lui gli rispose di aspettare paziente che era solo questione di poco. Dalla voce era chiaro che si stava allontanando, e cominciò a capire... che forse si era cacciata in un grosso guaio e che Francy le aveva inspiegabilmente voltato la faccia. Infine, lo sentì esclamare in lontananza: - È perfetto l'ho trovato, sto tornando amore mio - . A quelle parole si sentì almeno rassicurata di non essere stata abbandonata, e anche se quell'ultimo "amore mio" le suonò stonato e stridente, rimase tranquilla aspettando che lui tornasse. Francy, non visto da Elena, aveva trovato un cippo di marmo che spuntava da terra: - È perfetto, vicino alla riva, ed è unico e isolato, quindi lo posso ritrovare! - pensò tra sé, e si mise a scavare aiutandosi con un ramo. Scavò per circa una trentina di centimetri, poi ci posò dentro la mazzetta di soldi avvolta nella busta di nylon, e stava già per interrare il tutto, quando alla luce della torcia apparve della stoffa lacera e insabbiata. Francy tirò con forza dissodando una zolla di terreno, che si staccò di scatto facendo emergere la testa di un femore umano, avvolto in dei vestiti laceri e scoloriti. Incurante del ritrovamento, interrò subito con cura il denaro nascondendo ogni traccia, poi tornò da Elena fiero, con quel trofeo umano tra le mani: - Guarda cosa ti ho portato amore mio! - disse a Elena che si portò le mani alla bocca per soffocare un grido che non riuscì a trattenere. - Zitta per carità! Che ci sentono. Tanto i morti son morti - . Poi gettandole il femore tra le braccia e divertendosi ad impaurirla, notò che dalla stoffa una moneta luccicante emerse tra le sue mani. Elena era talmente raccapricciata che non lasciò neppure cadere quel femore a terra trattenendolo paralizzata. Guardava Francy con l'orrore di chi intuisce di aver di fronte qualcuno di cui si fidava, e che invece adesso mostrava il suo lato oscuro più folle e squilibrato. - Guarda Elena! Sarà il nostro porta fortuna! - le disse portandole la moneta fin sotto gli occhi, a lei che indietreggiava, cercando di non darlo a vedere, per non peggiorare la situazione vista l'imprevedibilità di Francy. Cercando di far buon viso a cattivo gioco, Elena gli sorrise nervosamente cercando di rispondergli con calma: - Che bella moneta davvero, hai ragione, sarà il nostro portafortuna - , gli confermò con i muscoli facciali tesi e la bocca serrata. Lui la prese come una conferma della sua complicità, e avvicinandosi le mormorò da vicino: - E adesso bellezza mia, facciamo l'amore! Spogliati che non abbiamo molto tempo prima che il tuo Bertrand ci trovi! - , esclamò Francy passandole direttamente le mani dalle cosce fino agli slip più in alto. Elena sobbalzò all'indietro: - Ma che fai? Sei pazzo? Da di qua voglio solo andar via, e subito! - , esclamò lei respingendolo con forza. Ma lui eccitato, divenne ancora più aggressivo bloccandola con un braccio alla vita, mentre con l'altro armeggiava sotto il suo vestito leggero. Lei continuava a divincolarsi cercando di riacquistare spazio da quella sua presa sempre più intensa e ravvicinata, ma lui sempre più divertito, le strappò il femore dalle braccia, facendoglielo passare da dietro tra le natiche fin davanti sul pube, e urlandole: - Preferisci questo, bellezza? - . Elena si liberò con la forza dell'orrore, urlando forte, e lui fortunatamente desistette gettandolo via ridendo. Inaspettatamente provò a scherzare e a lasciarla andare allentando la forza, poi tentò ancora di coinvolgerla scherzando, mentre insisteva a continuare metterle le mani addosso. Ed Elena cercò ancora di calmarlo, scherzando e sdrammatizzando, cercò perfino di evocare quella tenerezza di un tempo che sembrava scomparsa dai suoi occhi, ma poi infine, non ottenendo risultati, cominciò a difendersi scalciando e graffiando. Fu qui che lui divenne oltremodo violento. Non erano più strattoni o bloccaggi con le mani o con il peso del corpo, adesso la stava schiaffeggiando spingendola violentemente a terra, e impedendole di alzarsi con il peso del suo corpo seduto sopra di lei. Stava per rinunciare a lottare, quando accadde qualcosa di davvero incredibile. Francy che stava sopra di lei con tutto il peso del corpo schiacciandola, fu come risucchiato in alto e all'indietro da una forza misteriosa, tanto repentinamente che la sua testa rimbalzò all'indietro per il contraccolpo dell'accelerazione verso l'alto... to be continued Capitolo 8 L'incontro di Gladiola Gladiola rimaneva adesso sola a guardia di Elena sdraiata e che riposava addormentata. Il suo sguardo assente nell'attesa ricadeva sulla lapide che ricordava l'ultima peste della sua città, quella del 1700. Quella peste non fu di certo grave come quella 1575, alla cui fine i veneziani costruirono per festeggiare la basilica del Redentore. C'era silenzio in quell'angolo di radura, e mentre Elena si riposava, Gladiola aveva l'impressione di trovarsi proprio sul limite tra l'oscuro e misterioso interno, e lo scintillio della luna sulla laguna che infondeva pace e tranquillità. La sua mente nell'attesa che Elena si risvegliasse, vagava nel passato ricordando una voce nota: - E ricordati bene Gladiola che la peste del Redentore ha fatto 50.000 morti nel 1570, e i veneziani non si aspettavano che tornasse 1630, quando poi costruirono la Basilica della Salute. Prova a immaginare Gladiola! La gente moriva per strada come le mosche! e c'era chi si rinchiudeva da qualche parte per evitare il contagio, mentre altri cercavano di godere a più non posso della vita che sfuggiva. Mangiando e bevendo magari, o accoppiandosi sfrenati, come facciamo io e te adesso! Gladiola bella - . Così le diceva il suo amante Antonio, il Professore universitario di Ca' Foscari, toccandole il seno nudo a letto dopo l'amore: - Tu sei la mia onorevole Cortigiana Gladiola! Sai che c'era un Albo delle oneste cortigiane a Venezia? È un onore esserlo, sai? Erano donne molto importanti! - le diceva lui, appoggiando con discrezione il suo generoso compenso sul comodino. - Già... onorevole puttana, stronzo! - pensava tra sé tornando nel presente del silenzio di quella notte misteriosa. Quanti uomini nella sua vita o, meglio, quanti amici come pretendevano essere chiamati. Tanti espedienti e favori, che però non avevano certo potuto cambiare la sua esistenza! E il ricordo correva all'adolescenza passata nei quartieri più degradati di Marghera, là dove aveva imparato fin da piccola a difendersi dai maschi e dai troppi bulli del quartiere. - Già il quartiere la Rana di Marghera... - mormorò tra sé... era come vivere a Venezia per le malelingue, e come vivere nel Bronx invece, per quel che riguardava il degrado di quell'ambiente. Un quartiere che fu un tempo un onesto quartiere operaio e che ora era quel che sopravviveva, allo smantellamento di Porto Marghera con il degrado sociale che ne è conseguito. - Puttanella - la chiamavano già dalle Scuole Medie, e non perché lo fosse davvero, ma perché lo era stata sua madre; come dicevano i compagni più malevoli. Lei non volle mai saperlo con certezza, ma certo alla notte rimaneva spesso da sola a casa ad aspettarla fin tardi, e suo padre... beh, lui non lo aveva mai conosciuto, e sua madre non volle mai raccontarle nulla... tanto che da allora, non le era mai neppure più importato, di saperlo... Così, una volta adolescente, scorrazzava libera per il quartiere di notte per sfuggire alla solitudine di una casa deserta, incurante del pericolo, e protetta dalle piccole gang di quartiere che la conoscevano bene. Chi vive per strada, impara presto a mostrarsi spavaldo o remissivo all'evenienza, calibrando il comportamento a seconda di chi incontra di volta in volta. Così si sopravvive ai più forti e si protegge il proprio ruolo nella comunità. Contrariamente a quel che si pensa, la promiscuità sessuale di quell'ambiente difficile, interessava poco a quegli adolescenti più interessati a cercarsi un ruolo sociale, mentre i genitori assenti erano spesso impegnati in altrettante ambigue attività. Insomma, la maggior parte delle volte la lasciavano in pace, se non quando il più codardo di turno non la costringeva ad agire, provocandola. Allora lei reagiva con improperi a sfondo sessuale, fino a quando quello desisteva, umiliato nella sua virilità, davanti ai suoi compagni divertiti e sghignazzanti. - Quella lì te lo taglia l'uccello! Stai attento Coglione! - gli dicevano gli altri sapendolo debole, e lei, in quelle occasioni, mostrava il suo lato più spavaldo. Improvvisamente Elena si girò su un fianco accorgendosi di Gladiola al suo fianco, lei ricambiò lo sguardo accarezzandola, e si fermò pensosa guardando alla luna, mentre Elena tornava a dormire profondamente... poi ebbe un gesto di stizza improvvisa, e sputò in terra al riemergere di certi ricordi. Non era sempre andata così... il rispetto in certi posti te lo devi conquistare... e te lo conquisti dimostrando di poter sopportare il dolore più di qualunque altro... Quando la violentarono la prima volta, non pianse nemmeno una sola lacrima. Non disse assolutamente niente a nessuno, ma seppe andare da quelli del suo quartiere, gridando in faccia al loro Boss di turno: - Razza di impotenti! Lasciate che quelli degli altri quartieri vi freghino le donne? Nel vostro territorio? Che razza di uomini siete? Non avete le palle! - , mentre con un bastone nascosto dietro la schiena, gli diede una violenta mazzata su un braccio, tanto forte da farlo reagire tra il dolore e all'umiliazione, e costringendolo di fatto a ordinare una immediata rappresaglia, che degenerò poi ovviamente, in una rissa furiosa con tanto di intervento delle Forze dell'Ordine... to be continued... ...Della musica ad alto volume la riportò per un attimo al presente. Guardandosi intorno circospetta nell'oscurità dell'isola, constatò che proveniva dal Tezon, ma non fece a tempo ad allarmarsi che dopo pochi minuti sparì del tutto, e lei tornò a riflettere all'indietro, tranquilla. Già... musica, discoteche, divertimenti... Non poteva certo dire di avere veri amici, né tanto meno amiche visto i suoi trascorsi inconfessabili! Così, in società, viveva in maniera più o meno promiscua le relazioni, accettando volentieri persone che l'avrebbero potuta comunque aiutare, o semplicemente perché ne era attratta, godendone senza troppe illusioni, e senza mai dar a nessuno l'esclusiva del suo cuore. - Io sono tanto vaga, e con tanto mio diletto converso con coloro che sanno... - sentì Gladiola da una voce femminile in sogno: - Per avere occasione ancora d'imparare... - continuò la voce misteriosa sommessamente nel silenzio della sua mente, via via sempre più reale e vicina alle sue orecchie. Gladiola alzò il capo svegliandosi e stropicciandosi gli occhi assonnata. Controllò che non fosse stata Elena addormentata ad aver parlato, e ritornò a dormire con la testa tra le ginocchia pensando d'aver sognato. - Mi chiamo Veronica Franco, e sono stata "honesta" cortigiana della Repubblica Serenissima. Benché di umili origini ho intrattenuto prelati, nobili e Re, come Enrico III di Valois, dipinto insieme a me da Andrea Michieli detto il Vicentino, a Palazzo ducale stesso, nella Sala delle quattro porte. Come te, ho goduto della mia bellezza traendone vantaggio e facendomi tanto colta da riscattarmi dall'ambiente in cui ero nata - , continuò la voce suscitando in lei una reazione stupita e allarmata. Non c'era assolutamente nessuno ed Elena riposava silenziosamente. Lei si sentiva la testa offuscata e stanca, e ricadendo in quello strano dormiveglia, la voce riprese mormorando: - Ma l'amore profano, proprio come il contagio della Peste, divora le anime, e se non ben soppesato, porta all'infamia e all'inquisizione. Di cui caddi vittima anch'io... e pur sapendomi ben difendere fino all'assoluzione, non potei tuttavia riscattarmi appieno, a causa della paura che suscitavano i miei segreti, nei miei potenti amanti del Clero e della Nobiltà... perciò mi abbandonarono tutti! - . Gladiola si alzò in piedi faticosamente, si accorse che barcollava stordita, e risedendosi spossata, la voce riprese: - Tu non sei una meretrice e nemmeno una puttana, e anche se il vestito giallo delle cortigiane ben ti si addice, non hai ancora trovato la tua via. L'arte amorosa prospera nei segreti che condividi con uomini influenti, ma... la tua parabola è sfiorita, e qui nell'isola, o troverai il vero amore o troverai la morte. Quindi... Riscattati o morrai! - ... to be continued Capitolo 9 Bertrand incontra un Maestro Bertrand ... Assorto, corse con la Mente alla sua ultima guerra in Afghanistan nel 2009, sentì chiamare: - Bertrand Dupont - diceva il Caporale all'appello prima dell'imbarco sul C130. - Honneur et Fidélité Legio Patria Nostra - gridò lui rispondendo allo sbrigativo saluto militare, che l'ufficiale gli faceva in tenuta estiva con il tipico berretto bianco della Legione Straniera francese. E si mise prontamente in coda, nella lunga fila di paracadutisti che dal piazzale dell'aeroporto, procedeva lenta all'imbarco, inghiottita dalla rampa posteriore dell'areo con i motori accesi... Operazione Colpo di Spada (Khanjar) si ripeteva tra sé, quasi a voler entrare ancor più nel ruolo che gli era affidato in quella famosa missione internazionale. Un aereo militare non è davvero un aereo civile, e se non fosse per la fusoliera ovalizzata, assomiglierebbe più a un container in lamiera che a un aeroplano. Per altri aspetti poi, è come uno di quegli ascensori affollati che ci mette troppo tempo per arrivare al piano... un ascensore dove tutti si evitano o si cercano solo per educazione sociale, temendo che l'altro possa capire qualcosa di sé... qualcosa che si è decisi a non voler assolutamente mostrare. E così accade sempre, che aspettando distingui ad un solo sguardo le reclute dai veterani. C'è l'ultimo arrivato spavaldo che fa il gradasso, mentre magari cerca di nascosto di carpirti una conferma che tutto andrà bene... e ci sono poi i bravi ragazzi, quelli che cercano lo spirito di corpo e l'intesa, nel cercare di indovinare se una volta a terra, sarai proprio tu quello in grado di proteggerlo... Perché anche loro lo capiscono che sei un anziano della Legione... E ancora come sempre ancora... tu sai, da veterano, che non devi assolutamente cogliere quegli sguardi, perché se lo farai... te ne potresti pentire amaramente, tra i rimorsi di vite spezzate, che non hai saputo garantire e proteggere. - Bravi ragazzi - pensò Bertrand tra sé inseguendo la memoria. Sorrise tra sé a quei ricordi lontani. In fin dei conti c'era già davvero lo Spirito di Corpo a proteggerci tra noi, non serviva altro. E poi principalmente c'è la Legione Straniera al di sopra di tutto, i rapporti umani tra commilitoni, sono un'altra cosa... Quindi, dovevi solo aspettare che la luce rossa si accendesse, quella che stava proprio a fianco dello sportellone... là dove finisce e ricomincia il Mondo intero, al suono del Click metallico, che ti conferma l'aggancio del moschettone di lancio, e poi... giù con il salto nel vuoto. Già, proprio così ... e sognava e vedeva nel passato, Bertrand imprigionato tra le rovine nel dormiveglia ... vedeva quella luce rossa intermittente, con a fianco l'Ufficiale in comando, quello che ti dava una pacca sulla spalla d'incoraggiamento, mentre tu ti lasciavi andare, lanciandoti nel vuoto, sicuro. Quante volte s'era accesa per lui la luce rossa? Tante... e di certo, quella, era quell'una di troppo. Socchiudendo gli occhi, gli sembrava che anche la nebbia a Poveglia fosse diventata rossa, ma non poteva certo essere così. Pensò allora che probabilmente fossero altri ricordi che riemergevano a galla; come quando si operava in una delle tante missioni lampo di Fanteria leggera, quando si avanzava rapidi coperti dai fumogeni rossi appunto... e riprese a dormire dolcemente, semicosciente. L'obiettivo dell'operazione Khanjar era quella di allontanare i Talebani dai villaggi della valle di Helmand, un'operazione necessaria in vista delle elezioni farsa del 20 agosto 2009, e che sarebbe stata per lui l'ultima, per le ferite riportate. Congedandolo successivamente, la Legione lo aveva premiato provvedendo a dargli una nuova identità francese, oltre all'ingaggio del lavoro attuale, come Bodyguard a Milano. - Soldato io non ho avuto la tua stessa fortuna in quelle terre d'Oriente, e non sono sopravvissuto alle ferite di guerra - , sentì una voce maschile sussurragli alle spalle. Bertrand si voltò di scatto cercando di difendersi come poteva con le braccia, visto che dalla cintola in giù era bloccato. Ma le torsioni da entrambi i lati gli erano impossibili, impedendogli di potersi girare completamente di spalle e lasciando un angolo buio proprio dietro di lui, da cui proveniva quella voce. - Non temere, apparteniamo a Mondi diversi sia per Vita che per Morte - , continuò la voce riprendendo ancora: - Sono qui per parlarti non per ucciderti, è la tua stessa coscienza che mi evoca, e io son qui venuto a risponderti - . Bertrand si sentiva stralunato, come in preda ad una forte agitazione interiore indefinita. Da soldato, sapeva bene che si trattava di un fenomeno allucinatorio dovuto allo scampato pericolo di morte. In questi casi spesso i sensi e i riflessi sono talmente all'erta, che tutte le normali percezioni esterne vanno in secondo piano alla coscienza alterata. Proprio perché fisiologicamente tutte le energie sono riservate per l'eventuale difesa, quell'effetto contemporaneamente iper-lucido e sfocato, era dovuto sia all'adrenalina nel sangue, che dal corrispondente effetto psicologico allucinatorio che ti protegge dall'angoscia del reale. Così, spesso la mente confonde il passato con il presente. E in effetti, quante volte aveva visto i compagni feriti parlare con la madre, o chiedere di passargli oggetti inesistenti, o addirittura attribuirgli altre identità; con espressioni trasfigurate in volto che annunciavano l'imminente perdita dei sensi. Bertrand sapeva cosa significa uccidere in un corpo a corpo, aveva provato di persona lo sguardo dell'avversario vinto... che nella lotta impari gli pareva improvvisamente di riconoscere... magari con quel suo compagno di scuola... mentre quello gli agguantava la blusa con le dita disperate... come se lui avesse potuto trattenerlo da quel baratro nero, in cui la sua stessa baionetta trattenuta al petto lo stava precipitando... Mentre con l'altra mano... con l'altra mano, gli soffocava la parola... certo per aiutarlo a morire... o forse meglio... per non volerlo più sentire e vedere... Altri tempi, altra età. Ma adesso qui, bloccato e impotente, incapace di liberarsi da solo, non correva un rischio imminente. Non c'era l'atroce guerra crudele, e non c'era neppure l'esaltazione della battaglia o la commiserazione patetica o eroica che fosse, nel contare i defunti... e non era nemmeno l'orgoglio della Legione o il senso dell'onore del proprio operato... era completamente solo e dimenticato. - Capitano di Ventura, credi che io non sappia cosa stai provando? - , continuò la voce dietro di lui che ormai Bertrand sapeva irreale. - Ben quattro anni durò l'assedio di Costantinopoli, ma noi non prevedemmo che i Turchi, alla fine, avrebbero usato il cannone per abbattere quelle mura che credevamo invincibili. A uno a uno ho visto i miei compagni morire decimati negli assalti, e alla fine morii anch'io. Fu per onore? Per maestria? No, davvero! e tu lo sai bene - . Bertrand rimaneva in ascolto senza neppure più cercare di vederlo, guardando in alto la luna pensoso, gli rispose assorto: - Si, hai ragione. L'alito della morte vicina scioglie ogni ragione personale, e allora appare lucida e leggera la visione di un Senso che possa unire contemporaneamente, te stesso bambino a giocare a biglie, con quel tuo te stesso adolescente, che non baciò quella ragazza innamorata e che forse ti avrebbe donato un'altra vita... E soprattutto te stesso oggi, maturo qui... a parlar con te Fantasma: dei morti di ieri, e... di oggi... - . Chiese allora ispirato e rassegnato Bertrand alla luna: - Dimmi, sto forse morendo? - gli venne da domandare. Ma intorno gli rispose solo il ticchettio del picchio e il richiamo di un gufo lontano. Seguì un lungo silenzio in cui Bertrand cominciò ad osservarsi le mani, sentiva come l'esigenza di capirle... nelle loro pieghe e callosità. Intorno, poteva solo intravedere attraverso quella nebbia rossa che fluiva turbinando dal suolo verso l'alto, e rimase nuovamente in ascolto. - Io non sono un Fantasma, ma un'Ombra di quest'isola. Per Vita mi chiamavo: Giovanni Giustiniani Longo, e fui Capitano di Ventura al soldo dell'imperatore Costantino Paleologo. Chiamato per la difesa di Costantinopoli nel quindicesimo secolo, morii per mano turca per ferite riportate nella difesa dei Bastoni della città assediata. Come Ombra, io ti voglio aiutare proprio da quei fantasmi che ti abitano la mente, e che anch'io come tutti avemmo durante tutta la vita... to be continued Capitolo 13 La Fuga Alvise, nel frattempo, se la dormiva della grossa a bordo della sua barca. Cullato dalla bassa marea riposava sdraiato ascoltando una radio locale. A circa un metro e mezzo più in basso rispetto al pontile, si riparava dalla nebbia e dall'umidità raggomitolato nel sacco a pelo sdraiato sul paiolo. Ad un tratto, respirando nelle narici la nebbia sottile, ebbe un sussulto interiore. Una sorta di sensazione d'allarme, che lo fece alzare in piedi a cercare con lo sguardo un qualche indizio, che confermasse quella sua sensazione improvvisa. La nebbia stava diventando rossa! Si guardava intorno incredulo, e non capiva. Era di certo una foschia notturna come se ne vedono tante di notte o all'alba scivolare da barena a barena, ma c'erano anche delle zone in cui sembrava che un fumo rosso, proveniente da un'altra sorgente, si mescolasse a quella nebbia. Lo si capiva dal vorticare di quel colore nella nebbia chiara, come quando si versa qualcosa di diversa densità in un bicchier d'acqua. Che cosa poteva essere? Davvero non aveva mai visto niente del genere. Oltretutto, quella nebbia aveva un odore acre, anche se non sgradevole. Alzandosi in piedi sulla fiancata della barca ormeggiata, si sporse sopra la pavimentazione con la testa per poter guardare in lontananza verso l'accampamento dei compagni. Solo allora, voltandosi, si rese conto che si era addormentato senza aspettare il ritorno di Gladiola, il cui sacco a pelo vuoto rimaneva a terra aperto e scomposto: - Ma come ho fatto ad addormentarmi così? E che cavolo sta succedendo? - , si domandò cercando di far leva sulle braccia per poter saltare sul pontile a dare un'occhiata meglio tutt'intorno. Ma con sua sorpresa non ci riuscì, e non tanto perché gli mancasse la forza, ma piuttosto la voglia... Il suo corpo alla richiesta di imprimere quello slancio consueto per un marinaio, si era come opposto, adagiandosi all'indietro tranquillamente. Con i piedi ancora sulla sponda della barca e la testa a livello della banchina, si ritrovava adesso incantato a contemplare un piccolo arbusto affiorante tra le pietre. Forse sarà stata la distanza ravvicinata o forse l'essersi appena svegliato, ma quell'arbusto... gli parve la cosa più meravigliosa del mondo: era fantastico nelle sue fattezze! e nella notte mal illuminata, gli pareva quasi di percepire e di vedere la vita che palpitava nella linfa all'interno di quel fusto fragile. Poi Alvise alzò gli occhi verso il cielo, e fu come se fosse inghiottito da un enorme sospiro che si espandeva nella volta celeste, in un turbinare fumoso di nebbia e fumo, che doveva avere un qualche senso misterioso: - Dio mio, quanto è meraviglioso! Tutto vive intorno a me, tutto partecipa... - , cominciò a sussurrare tra Sé, mentre con le mani cercava di afferrare alcune figure, che gli pareva la nebbia facesse tutto intorno a lui. Era una sensazione stupefacente, ed era meravigliosa anche quella musica che arrivava dalla radio, e che non sapeva comunque ben distinguere. Le foglie e le pietre sembravano celebrare nell'oscurità di quella notte misteriosa, la dea Luna stessa, che gli appariva adesso come un benevolo occhio celeste, che lo osservava facendosi spazio tra le nuvole. Il suono grave del - Corno da Nebbia - di una vicina Nave lo fece sobbalzare. - Ma come? Qui non passano navi - , disse rigirandosi verso il canale cercando di individuare da dove proveniva quella sirena. Con sua grande sorpresa il relitto del "Marinaretto": una ex nave scuola abbandonata lì da anni, sembrava illuminato all'interno. Cercò di stropicciarsi gli occhi rendendosi conto che vedeva tutto sfocato. Il Marinaretto giaceva lì in disarmo da decenni, e spoglio di qualsiasi dotazione di bordo, motore compreso; non poteva essere stato lui a suonare la sirena. La nebbia adesso era rossissima, e Alvise non capiva se ci fosse un'imbarcazione dietro al Marinaretto che lo illuminava con i motori e le luci accese, o se fosse davvero l'abbandonato Marinaretto, che era tornato attivo e pronto per la navigazione. Tornò a bordo mettendo istintivamente in moto il motore e accendendo il faro di prua che puntò dritto verso il relitto. Ma la forte luce direzionale veniva rifranta da quella nebbia filare che da pel d'acqua stagnante risale striandosi verso l'alto, facendo quasi sembrare l'acqua sul punto di bollire evaporando. E quel faro esaltava quei lunghi filamenti, che rimanevano ancor più visibili e distinti l'un dall'altro, fornendo una visione prospettica ascensionale, dalla profondità vaga e sbiadita. - Ma che cavolo ti sta succedendo? - , si domandò da solo, mentre notava un'onda avanzare regolare e lenta dal canale, come se davvero una imbarcazione fosse davvero transitata poco distante. L'onda frangendo sul fondale più basso, fece ondeggiare la barca nel riavvolgersi della risacca, e ... sentì distintamente una voce: - Alvise! Alvise... sto venendo da te... - sentì dire da sopra il molo. Ad Alvise si raggelò il sangue nelle vene e cominciò a guardarsi intorno in quella nebbia rossastra, che dall'alto della sponda sembrava precipitare apposta verso di lui più in basso. Cercò di calmarsi ma una profonda angoscia gli nasceva dal di dentro. Non era solo paura, ma l'ossessiva e progressiva sensazione di non essere più al centro delle proprie emozioni. Era come se anche l'acqua avesse uno spirito... come se anche la vegetazione scura trasbordante dalle rive si inchinasse sotto il peso della rossa nebbia sudata. Le sue stesse mani adesso apparivano dilatate e gonfie, incredibilmente frastagliate di rughe mai notate prima. Aveva la pelle d'oca e i peli ritti sulle braccia, che sembravano erigersi richiamati dalla luce argentea della luna, per poi sparire nell'oscurità rossastra. Di nuovo una voce, netta, nitida ancor più reale! - Alvise! Alvise... sto venendo da te...aiutami - e dei gemiti a circa un metro sopra di lui, proprio in alto sul pontile sopra la sua testa. Avrebbe potuto guardare subito... avrebbe dovuto... controllare la fonte di quei lamenti... ma non poteva farlo. Era paralizzato e il suo corpo stava tremando come se stesse cercando di scollarsi via qualcosa che lo stava opprimendo. Stette qualche secondo così fermo immobile, quasi cercando una buona ragione con sé stesso per non approfondire. Ma più cercava di pensare ad altro... più quella sensazione si espandeva allucinandone le percezioni: vedeva volti nella foschia, vedeva tentacoli espandersi nella nebbia filiforme che, come arti scomposti, lo chiamavano a sé con la stessa forza, con cui la vertigine attira l'inesperto alpinista verso il precipizio... Adesso li sentiva, Mio Dio li sentiva! Dei passi strascicanti e cadenzati da gemiti e dal battere imperioso di una mazza a terra. Erano proprio lì sopra, a pochi metri oltre quel bordo di cemento, che non avrebbe potuto più proteggerlo a lungo. E fu un attimo, si alzò con uno slancio sporgendosi a guardare, e non lo avesse mai fatto! Stagliandosi oltre i bagliori lontani del Campo Base in fondo, c'era una creatura orrenda, dalle sembianze vagamente umane, che avanzava nel buio verso di lui. La luce argentea della luna improvvisa, colpì la sagoma marmorizzandola, era un essere infangato e seminudo, completamente graffiato ed escoriato sulle braccia. Dalla bocca gli usciva una schiuma giallognola, mentre con le mani farneticava nell'aria reggendo minacciosamente un pesante randello. Quell'immagine non poteva che rimandarlo al famigerato Manicomio dell'isola... e gli si spense un grido soffocato in gola. - Chi sei? Cosa vuoi da me? - , cercò di gridare con la voce strozzata. Ma quello in tutta risposta, fece un gesto scomposto, e sbilanciandosi ancora in avanti ben oltre il limite del marciapiede, gli diede una randellata in testa talmente forte da stordirlo; poi la creatura si inclinò su un fianco cercando di rimanere in equilibrio, aiutandosi con le sole mani roteanti. - Vattene, vattene creatura maledetta! - urlò Alvise dolorante, ormai sempre più all'indietro e in procinto di rifugiarsi sulla barca. La luna riapparsa ne svelò ancora l'intera figura, e fu lì che notò... mio Dio notò... che stava avanzando con un piede rivolto all'indietro, al contrario! L'orrore della repulsione lo invase stringendogli lo stomaco, alzò le mani al cielo per fermare quell'orrenda apparizione, ma quello inciampando sui suoi stessi piedi, gli cadde letteralmente addosso, passandogli sopra la testa e cadendo oltre di lui, sull'altra fiancata della barca per poi finire a mare prono, con la testa in giù nell'acqua svenuto. Alvise non ci pensò un attimo di più, slegò rapido la sagola d'ormeggio, e schiacciando l'acceleratore al massimo, fuggi in planata con la prua al cielo, alzando una colonna d'acqua a poppa, che si biforcava schiumeggiante verso le rive, agitando ancor più la cupa quiete di quel canale semi abbandonato. Capitolo 17 I sogni del futuro Gladiola lo guardò cercando il suo contatto titubante, poi arrossendo in volto gli sussurrò: - Bertrand io... anch'io ho avuto tanti uomini... e non sei il primo - concluse timidamente. Bertrand le sorrise prendendole il volto tra le mani, e baciandola, aggiustandole i capelli con cura le rispose: - Vorrà dire che per me, lo sarai! o meglio, che da questo momento tu sarai la prima vera donna della mia vita, tutti gli altri... non contano - concluse. Poi si cercarono baciandosi sul collo, sulle labbra fin giù sul corpo, totalmente incuranti di tutto e tutti, inclusi Elena e Matteo che rannicchiati a poca distanza nell'altra stanza, forse stavano facendo lo stesso. Si amarono con la forza del desiderio esausto che viene quando si è sfiorata la morte, quasi fossero sulla linea di confine tra la più nera disperazione e la più impetuosa volontà di vivere, di godere, di dimenticare sé stessi nel piacere dell'orgasmo. E si abbandonarono senza più pensare o giudicarsi, e senza individuarsi in niente altro che in quella natura selvaggia che divorava quell'isola, con la sua vegetazione avvolgente: che sradicava gli edifici dalle sue fondamenta e che... probabilmente traeva la sua forza, proprio dalle ceneri stesse di chi lì c'era morto. Perché sentivano che le Ombre della Peste sicuramente adesso li stavano guardando, come testimoni immobili di un altro Mondo, che fu un tempo vivo e vegeto. Nel cercare i loro organi sessuali, nel loro assaggiarsi e graffiarsi, tutta la forza della vita che vuole esistere si materializzò nella luce dell'alba, che filtrando dalle finestre sventrate, illuminava i loro corpi congiunti nell'orgasmo. Lui crollò su di lei, mentre lei lo stringeva ancor più a sé con le braccia e con le gambe intrecciate sopra le sue cosce. Poi lei cercò ancora la sua bocca baciandola: - Ti voglio Bertrand - disse lei spettinandogli i capelli: - Ti amo Gladiola, fin da quando ti ho vista, o forse da quando ti ho vista con quel machete o forse... - , le rispose lui confusamente fissandola intenso negli occhi e riprendendo: - O forse semplicemente perché con te, non ho più bisogno di mentire. Ti prego Gladiola, non farlo mai con me - ... to be continued
Roberto Tizian
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