Fin da bambina, India assumeva sempre la stessa posizione mentre ascoltava li cunti di nonna Serafina che tutti chiamavano Fina: col busto in avanti, le mani al volto, i gomiti sulle ginocchia, il mento tra i palmi. Nei pomeriggi uggiosi d'inverno con tè, biscotti fatti in casa e tv spenta o nel silenzio orlato del fresco delle sere di fine estate, India assorbiva parole e immagini come rapita da un sogno. Durante la brutta stagione dalla finestra che si affacciava sul giardino si scorgevano passerotti raminghi disorientati dal freddo, d'estate invece nuvole alla deriva attraverso l'azzurro mentre il sole faceva danzare nell'aria un pulviscolo dorato. Ma lo sguardo di India frugava incuriosito tra le pieghe dei ricordi di sua nonna. Mentre ella raccontava, India immaginava di ritrovarsi tra regnanti, regine, principesse, orfanelle, fate dei fiori e giganti buoni, castelli e cavalieri, immersi in una natura ridente rigata da acque magiche che facevano miracoli. India si sentiva fortunata perché lei era l'unica tra le sue amiche a conoscere quelle favole. Erano fiabe o leggende, definite cunti da nonna Fina che aveva imparato nella sua carriera scolastica terminata in terza elementare e ascoltando le vecchiette del paese che d'inverno riunivano i bambini del vicinato intorno al loro focolare ad arrostire castagne e intanto si dilettavano a cuntari favole ma anche vicende e gesta avvenute nei tempi antichi nella loro Terra. Quando India divenne adolescente mostrò un fervido interesse per quel lontano paesino calabrese, dov'era nata e cresciuta sua nonna e che lei non aveva mai conosciuto, persuadendola a narrarle di fatti e persone di quel luogo che la nonna definiva “una terra dimenticata anche da Dio”. - Nonna, ti piacerebbe ritornarci? - le chiese un giorno curiosa. - Nemmeno da morta! E non me lo chiedere più, sennò finisco di cuntari - le intimò lei. C'erano cunti che impedivano a India di addormentarsi, narrazioni che facevano esplodere in lei tutte le sfumature della paura. Come lu cuntu del boscaiolo ubriaco che perse la vita, stecchito da una scarica elettrica vicino all'albero carbonizzato e spezzato in due da un fulmine. Qualche ora prima, l'uomo aveva squartato con un'accetta sua moglie in un impeto di gelosia sotto gli occhi dei loro cinque bambini. I fumi dell'alcol gli avevano fatto credere che la moglie lo tradisse con il mugnaio che secondo le sue intenzioni doveva essere la sua seconda vittima. Con il viso, le mani e gli indumenti imbrattati di sangue, era scappato nel bosco lasciando dietro di sé le urla dei figli e la casa che sembrava una macelleria messicana. Ma alla fine si era addormentato all'ombra delle foglie del castagno e lì aveva incontrato il suo destino. - Era impaziente di ricongiungersi alla povera Serafina - disse sarcasticamente nonna Fina e si fece il segno della croce scrollando il capo. - Oddio nonna! - rabbrividì India e poi le domandò - Ma tu, quindi conoscevi l'uomo e sua moglie? - - Il paese era minuscolo, si conoscevano una per una anche le pietre delle vie. E adesso, finiscila di domandare! Lu cuntu è finito - sospirò nonna Fina. E si soffermò sulla pericolosità dei fulmini ponendo fine alla macabra storia: - Quando tuona bisogna stare in casa, chiudere le finestre e astutare la luce e che Santa Barbara ci protegga! - - E perché proprio Santa Barbara, nonnina? - chiese India evitando di fare ulteriori domande sul boscaiolo assassino. Non c'era bisogno di aggiungere altro su quella vicenda per turbarla oltremodo e la nonna non sarebbe stata comunque disposta ad assecondare la sua curiosità, perché le cose brutte le interrompeva bruscamente e le sapeva dribblare con abilità: - Bisogna fare cose belle. Bisogna pensare cose belle. Bisogna dire parole belle! - era una delle tante massime di nonna Fina. - Santa Barbara ha le chiavi dei fulmini e del cielo. Ma a scuola non vi insegnano niente?! - si scandalizzò. India corrugò la fronte illuminata da un pensiero, si alzò e ritornò subito con un libro Santa Barbara dei Fulmini di Jorge Amado e glielo poggiò sul grembo. - E questo libro cos'è, che c'entra coi fulmini? - la rimbrottò scrollando le spalle. - L'ho preso dalla libreria di mamma. - Udendo quella risposta, nonna Fina inforcò gli occhiali da presbite per leggere il titolo e sorrise: - Ah Lisa, questa benedetta figlia mia, mi ha sempre sorpresa! - Lisa aveva ereditato il nome della nonna materna. - Vuoi che lo leggiamo insieme? - propose India. Nonna Fina declinò l'idea della nipote facendo un segno di diniego con la mano e con lentezza si alzò dalla sua poltrona imbottita, dall'ampia seduta e lo schienale alto, foderata in lino bianco e ornata di piccolissimi fiori rosa. - Ora vado a preparare un ciambellone e basta cuntari, non mi carminare la testa, poi ascolterò la musica dei tempi miei: Primo amore di Milva. Oh, che belle le canzoni di una volta! Parlano sempre d'amore e nella vita tutto ciò che conta e ciò che resta è solo l'amore - chiosò. India la seguì fino in cucina rubando con gli occhi i gesti sapienti della nonna che indossato il grembiule creò in poche mosse un ciambellone di cui a sera non arrivò nemmeno una briciola. - Non essere ingorda. Ti buscherai un mal di pancia e poi tua madre come sempre darà la colpa a me! - la redarguì. India per rabbonirla, con le sue esili e lunghe braccia le cinse il corpo morbido e le schioccò un bacio sulla guancia rugosa ma liscia che profumava di acqua di rose. - Non sono più una bambina. A giugno farò gli esami di maturità - le soffiò nell'orecchio. - Per me, sarai sempre una bambina. Vai a lavarti le mani adesso sennò sporchi tutto e non leccarti le dita. Solo i gatti si puliscono leccandosi! E ricorda che la pulizia è la prima cosa per non buscarsi qualche brutta malattia - la rimbrottò. Per India erano poesia quei pomeriggi trascorsi all'ombra di quella che considerava la sua antica quercia dalla chioma soffice e bianca come una nuvola, in quei suoi occhi azzurri acquosi, dallo sguardo dolcissimo con un lieve strabismo di Venere, galleggiavano rimembranze di giorni lontani: nonna Fina favoleggiava sui bei tempi andati ma in realtà non erano stati poi tanto belli, almeno non tutti, e di tanto in tanto si tacitava facendo affiorare un riso amaro. Tra quegli innumerevoli cunti, alcuni erano immaginari altri erano fatti realmente accaduti. India spesso non capiva quali fossero le leggende e quali le storie vere. Nonna sosteneva che erano tutti fatti veri avvenuti nel suo paese natio. - Sulla faccia della terra succede di tutto anche le cose più strambe, cose dell'altro mondo e anche di peggio - asseriva nonna Fina. - Ma nonna non è possibile che una capra nasconda in un dirupo un baule pieno di monete d'oro e che un piccolo mandriano di pecore lo ritrovi dopo molti secoli realizzando il suo sogno di diventare ricco - le disse facendole notare la bizzarria di un cuntu appena narrato. - Cosa ritieni sia impossibile, che una capra nasconda un tesoro o che un pastorello lo ritrovi? - la sfidò. - Entrambe le cose, nonna! È pura fantasia! - - Allora non hai capito niente! Non hai inteso chi è la capra e perché il pastorello ritrova quei denari? - India fece spallucce e i suoi occhi si sgranarono di stupore ascoltando la spiegazione. - La capra è la brutta bestia! - rivelò la nonna, diffondendo un senso di mistero nella stanza. - E chi è la brutta bestia? E tu hai conosciuto il pastorello? - India si grattò la testa confusa. - Il diavolo, la capra è il diavolo, la brutta bestia! E il pastorello aveva venduto la sua anima a “quello fuori di qui”, alla brutta bestia. Ecco perché era riuscito a trovare il baule. No, non conoscevo il pastorello, perché la storia è successa prima della mia nascita - replicò segnandosi col segno della croce. - Ah! - sospirò immediatamente India e poi aggiunse - Ho capito è una leggenda. - - Leggenda o non leggenda, la storia è vera. Non mi contraddire come fa sempre tua madre. Che brutto vizio! - sentenziò la nonna zittendola. A quel punto, India iniziò a ridere a crepapelle abbandonandosi alle morbide coccole della nonna che contrariamente alle donne della sua generazione manifestava i suoi sentimenti, mostrando la sua affettuosità. Abbracciava e baciava spesso la nipote e lo stesso faceva con Lisa anche se quella sovente la respingeva. - Nel mio paese, si diceva che i figli vanno baciati solo quando dormono affinché non crescano viziati. Che stupidaggine! L'amore va mostrato. -
Maria Franzè
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