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Autore: Katia Quaranta
La donna delle sabbie
Avventura
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La donna delle sabbie
La luna piena splendeva sull'Erg Admer, illuminando quella notte di inizio luglio e facendo impallidire le stelle che erano solite indossare i loro abiti più sfavillanti nelle notti sahariane.
La temperatura era mite, ma pur sempre rigenerante, durante il giorno, infatti, aveva superato i quaranta gradi, resa ancora più opprimente dal Simun che aveva tormentato uomini e animali. Tuttavia, ora, non un alito increspava la superficie gibbosa di quell'immensa distesa di sabbia.
L'anziano targhi seduto intorno al bivacco, con il volto interamente coperto dalla tagelmust che lasciava intravedere solo gli occhi scuri e penetranti, attese pazientemente che la cerimonia del tè terminasse. Gli uomini accorsi erano almeno una trentina, tuareg della sua e di altre tribù, berberi e arabi, e pendevano dalle sue labbra.
“Domani notte è la notte” cominciò. E tutti i congiurati si fecero più attenti per catturare ogni singola parola che si apprestava a pronunciare.
Fasciata nel suo abito monospalla lungo color panna, con i capelli neri sciolti sulle spalle abbronzate, Sabrina era in attesa dell'ascensore per raggiungere la hall. Quando le porte si aprirono, due occhi scuri e incredibilmente belli catturarono i suoi di colore verde intenso.
L'uomo era alto e indossava un elegante completo di foggia occidentale, tuttavia gli occhi incastonati nel volto virile, la carnagione olivastra e la barba scura, corta e ben curata tradivano origini mediorientali. C'erano due uomini insieme a lui dalla pelle più scura, altrettanto alti, ma con il volto lungo e affilato, che avevano tutta l'aria di essere guardie del corpo.
“As-salamu alaikum” la salutò facendole posto, senza mai staccare lo sguardo da lei.
“Wa aleikom as-salam” rispose Sabrina, ponendosi alla sua destra.
Lui sorrise. Imbarazzata, si affrettò a volgere lo sguardo verso le porte ormai chiuse, ma l'uomo pareva tutt'altro che intenzionato a lasciarla sola con i propri pensieri.
“Anche lei è invitata al cocktail party di Sir Nigel Cavendish?” le chiese, continuando la conversazione in arabo.
“Sì” rispose Sabrina nella stessa lingua.
“Immagino abbia già un accompagnatore... non potrebbe essere altrimenti.”
“Sono con dei colleghi” rispose lei, sperando che non si accorgesse di quanto fosse turbata.
Nel frattempo erano giunti nell'abbacinante candore della hall del Waldorf Astoria Amsterdam, raffinato connubio di lusso antico e moderno, ricavato all'interno di sei palazzi monumentali del XVII secolo e smagliante nella sua veste serale.
“Mi perdoni, spero di non essere stato inopportuno” si scusò lui.
“Per nulla...”
“Allora posso chiederle il suo nome?”
“Sabrina”, rispose, poi, intuendo i suoi pensieri, aggiunse: “Sono italiana”.
“Sabrina”, ripeté lui, “qualcuno potrebbe facilmente scambiarla per una donna maghrebina. Molti berberi hanno gli occhi verdi anche se nessuno di mia conoscenza li ha belli come i suoi.” Sorrise di nuovo vedendola abbassare lo sguardo con impalpabile timidezza. “Ahmed ag Zayd” si presentò infine.
Una delle guardie del corpo si avvicinò per comunicargli qualcosa all'orecchio. Fu una comunicazione breve, ma sufficiente a spezzare l'incantesimo.
Quando si rivolse di nuovo a Sabrina, l'espressione improvvisamente accigliata ancora non aveva abbandonato il suo volto. “Purtroppo, uno spiacevole inconveniente mi reclama altrove. Non so dirle quanto vorrei...” non completò la frase. Le prese la mano con un gesto galante e si attardò qualche istante, come se gli costasse fatica lasciarla andare, per salutarla infine con un ultimo sguardo intenso ed eloquente. “Addio” disse soltanto, e insieme ai suoi uomini si allontanò a passo rapido verso l'uscita che dava sul canale Herengracht.
Sabrina riprese a respirare normalmente, pur non sentendosi sollevata.
Si diresse verso il Vault Bar, l'esclusivo lounge bar dell'hotel, che sorgeva all'interno di quello che un tempo era stato il caveau di una prestigiosa banca, dove era attesa dagli altri due membri dell'equipaggio.
Uno strano senso di vertigine si era impadronito di lei e sperava che non si notasse. Sedette con i colleghi, fingendo di apprezzare la compagnia e la particolarità delle cassette di sicurezza numerate, che facevano da sfondo a una discreta varietà di bottiglie di liquore e al bancone di legno scuro, dietro il quale il barman si esibiva in tutta la sua maestria.
L'atmosfera era lussuosa e accogliente, ma Sabrina aveva la testa altrove. La telefonata di Sir Nigel la riportò alla realtà.
“Ragazzi”, esordì al termine rivolta ai suoi colleghi, “mi spiace di dovervi rovinare la festa. Sir Nigel ha deciso di partire per Parigi. Per noi niente cocktail party questa sera, si decolla domattina presto.”
Come era prevedibile, Doug e Phil si abbandonarono a una lieve protesta, ma non c'era tempo da perdere: dovevano organizzare tutto perché l'aereo fosse pronto per il decollo il prima possibile. Sir Nigel, come sempre, non le aveva comunicato il motivo di quell'improvviso cambio di programma.
Guardò l'anello d'oro bianco con lo stemma della Compagnia, un grifone dorato, che tutti i membri dell'equipaggio erano tenuti a indossare. Lei lo portava all'anulare destro. A volte le ricordava un braccialetto per detenuti.
Era andata via dall'Italia da meno di un anno, tuttavia, pur senza rimpianti, si ritrovava ancora a non sapere cosa fare della sua vita. E questo fatto la rendeva inquieta.
Inaspettatamente, il suo pensiero tornò a lui, l'uomo appena incontrato. Attraente, affascinante, con un che di selvaggio nello sguardo, proprio il tipo d'uomo che avrebbe potuto farle perdere la testa e dal quale di solito si teneva a distanza. Eppure la sua dolcezza l'aveva subito conquistata; si era sentita avvolta, accarezzata. Purtroppo, l'indomani sarebbero ripartiti e non lo avrebbe rivisto mai più.
Per quanto si sforzasse di capire se stessa, non giungeva mai a una conclusione definitiva. Non aveva mai avuto una famiglia e durante l'infanzia e l'adolescenza aveva pensato che tutto ciò che potesse desiderare fosse averne una tutta sua. Paradossalmente, spesso le sue decisioni si erano mosse in direzione opposta a cominciare dalla scelta della sua professione.
Da circa sei mesi era entrata a far parte dell'equipaggio del jet privato di un milionario inglese, Sir Nigel Cavendish per l'appunto, e della sua sgradevole figlia Lady Celia; il che la portava a viaggiare moltissimo e ad avere poco tempo per socializzare. In più, Lady Celia era una vera spina nel fianco, in perenne competizione con lei, e questo le impediva anche la più piccola interazione durante i loro spostamenti. Se Celia avesse messo gli occhi su Ahmed ag Zayd, per Sabrina sarebbe stato impossibile riuscire a scambiare qualche parola con lui.
Non che Celia avesse motivo di invidiarla. Era l'erede di un'immensa fortuna, per giunta bellissima, con un padre che la adorava. Sulla trentina, di pochi anni più giovane di Sabrina, aveva capelli biondi, occhi azzurri e un personale molto attraente, eppure nulla sembrava bastarle.
Sabrina cominciava a sentirsi in gabbia, pur viaggiando in lungo e in largo per il mondo.
Decise di rimandare la questione. Devo solo avere pazienza, si disse, troverò la mia strada.
In quel momento, però, avrebbe dato chissà cosa per poter rivedere quell'uomo.
Ahmed Ag Zayd era impaziente, anche se nessuno meglio di lui era in grado di dissimulare i propri stati d'animo. Inaspettatamente, si era presentata una soluzione più che accettabile, che gli aveva consentito di prendere parte al cocktail party di Sir Nigel.
In quel momento si trovava nell'elegante sala ricevimenti del Waldorf Astoria, fingendo di sorseggiare champagne e di trovare interessante quello che Lady Celia stava dicendo. Una donna bellissima, quello era innegabile, ma insopportabilmente viziata.
Lo sguardo di Ahmed vagava per la sala dalle pareti chiare e dalle altissime finestre, incorniciate da pesanti drappi color tortora, che affacciavano sul cortile privato dell'hotel. In un angolo, seduto a un pianoforte bianco, un pianista ondeggiava sulla tastiera con trasporto, offrendo agli ospiti un leggero sottofondo musicale. Tutt'intorno cascate di fiori, specchi, luci sfavillanti e facoltosi ospiti via via sempre più numerosi, ma di Sabrina non c'era traccia.
Trascorsa un'ora dall'inizio del ricevimento, Ahmed si rassegnò all'idea che lei non sarebbe più arrivata. Avrebbe voluto fare qualcosa, cercarla in qualche modo, tuttavia sentiva che non sarebbe stato corretto da parte sua, dal momento che sapeva così poco di lei. E ben presto l'impazienza si trasformò in delusione.
Non sapeva dire cosa l'avesse stregato di lei, forse il profumo, la sua pelle ambrata, i capelli neri che le lambivano le spalle, le labbra piene o quegli occhi verde scuro che per un attimo gli avevano ricordato un'oasi nel deserto, la sua terra.
Una donna colta, affascinante e riservata. E, dal momento in cui aveva posato gli occhi su di lei, non aveva desiderato altro che scoprirne ogni minimo particolare.
Quella sera, il destino aveva pensato bene di giocargli uno scherzo dopo l'altro. Prima quel problema che aveva rischiato di mandare all'aria l'intero scopo del suo viaggio e, quando sembrava tutto risolto, si era recato al ricevimento soltanto per rivedere lei, e lei non c'era. Che le fosse accaduto qualcosa? Che avesse incontrato un altro?
Era fin troppo consapevole dell'importanza di quel viaggio in Europa. Si trovava lì allo scopo di individuare soluzioni concrete ai problemi della sua gente. Niente avrebbe dovuto distoglierlo dai suoi obiettivi, eppure non riusciva a togliersela dalla testa, benché non ne comprendesse appieno il motivo. Di donne bellissime ne aveva conosciute diverse; non che fosse un donnaiolo, ma era pur sempre un uomo. Un uomo di trentotto anni con un piede nel passato e uno nel futuro. Ma c'era qualcosa, in Sabrina, che lo aveva colpito profondamente. Ahmed era consapevole che perdersi in lei avrebbe complicato ancora di più la sua intera esistenza, e avrebbe voluto essere capace di rallegrarsi del fatto che il destino avesse scelto per lui, ma era abbastanza sicuro che quegli occhi sarebbero tornati spesso a popolare i suoi sogni.
I suoi sogni e non solo, perché il giorno seguente, non appena varcata la soglia del business jet Dassault Falcon 7X di proprietà di Sir Nigel Cavendish, gli occhi di Ahmed ancora reduci dalla delusione della sera precedente, insperatamente incontrarono quelli di Sabrina e ne furono nuovamente ammaliati. Lo stupore di Ahmed si trasformò in autentica meraviglia, quando si rese conto che lei indossava una divisa da pilota, mentre i suoi fluenti capelli di seta erano raccolti sulla nuca in un severo chignon. Per quanto nel complesso avesse un'aria maschile e impersonale, era ancora innegabilmente bellissima.
Anche lei parve alquanto sorpresa e impiegò qualche attimo prima di riuscire ad articolare un sommesso: “Benvenuto a bordo...”
Ahmed sorrise, scuotendo leggermente la testa, come se volesse assicurarsi di non essere preda di un'allucinazione. Sarebbe rimasto fermo di fronte a lei all'infinito, se Sir Nigel non si fosse avvicinato per fare le presentazioni: cosa che sorprese Sabrina, moltissimo.
“Ahmed, le presento Miss Sabrina Satriani, il nostro comandante.” Quindi, rivolto a lei: “L'amenokal Ahmed ag Zayd, nostro graditissimo ospite”.
“Ho già avuto il piacere di fare la conoscenza di Miss Satriani” disse lui, senza mai smettere di guardarla.
Sabrina ricambiava lo sguardo, evitando volutamente di incrociare quello livido di Lady Celia, che nel frattempo era salita a bordo. “Spero che abbia risolto il problema che la angustiava” gli chiese in arabo senza preoccuparsi degli altri, che non avrebbero capito nulla.
“Nel modo più piacevole e sorprendente, a quanto pare” rispose lui nella stessa lingua, con una luce divertita nello sguardo. Poi proseguì in inglese. “I meccanici hanno riscontrato un problema al motore del mio aereo. Se non fosse stato per Sir Nigel, probabilmente avrei avuto grande difficoltà a trovare un modo per giungere a Parigi in tempo.” Adesso riusciva a spiegarsi come mai lei non fosse presente al party.
“Appunto cara Sabrina”, sibilò Lady Celia con malcelata impazienza, “non credi che sia ora di scaldare i motori e partire?”
“Certo.” Sabrina fece un lieve inchino del capo. “Vi auguro buon viaggio.” E si ritirò in cabina di pilotaggio. Gli altri tre si accomodarono nelle confortevoli poltrone di una delle aree lounge di cui era dotato il velivolo, mentre le due guardie del corpo presero posto in un'altra.
“Una creatura affascinante, non trova? In ogni caso, non ha nulla da temere”, lo rassicurò Sir Nigel, mal interpretando i pensieri del suo ospite, “è un pilota eccellente. È stata in Afghanistan, sa?” Era visibilmente compiaciuto dell'ottimo affare che aveva fatto prendendola a lavorare con sé, mentre Lady Celia, imbronciata, manteneva lo sguardo fisso fuori dal finestrino, benché l'aereo fosse ancora fermo.
Si sentì la voce di Sabrina attraverso l'altoparlante. Poco dopo vennero accesi i motori e iniziò il rullaggio. Ancora turbato dall'ennesimo tiro mancino che il destino aveva deciso di giocargli, Ahmed dirottò il discorso sugli argomenti preferiti dai Cavendish. Meglio tenere occupati Sir Nigel e Lady Celia con le loro battute di caccia, partite di polo e ricevimenti all'aperto con il gotha dell'aristocrazia britannica. In quel modo non sarebbe stato costretto a parlare più del dovuto e avrebbe potuto continuare a pensare a lei, Sabrina, che a pochi passi da lui stava apprestandosi al decollo di un jet da cinquanta milioni di dollari, con la naturalezza con cui Lady Celia avrebbe dato lo smalto alle unghie.
Quando l'aereo atterrò, Ahmed addusse come pretesto la sua usanza di ringraziare il pilota dell'ottimo volo per scambiare qualche parola con Sabrina. Lady Celia aveva sfacciatamente tentato di accodarsi alla spedizione di Ahmed nella cabina di pilotaggio, ma Sir Nigel, trattenendola per un braccio, una volta tanto le aveva impedito di fare come le pareva.
“Sabrina, posso rubarle un attimo?” chiese Ahmed facendo capolino nell'abitacolo.
Sabrina fece cenno a Phil, il copilota, di lasciarli soli. Si alzò dalla sua postazione, ma si pentì immediatamente di averlo fatto, perché la cabina le parve improvvisamente minuscola.

Katia Quaranta

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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