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Autore: Giulia De Nisco
Elsa
Narrativa Sentimentale
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Elsa
Il giorno del mio compleanno, il venti dicembre, ne avrei compiuti ventitré, ero a Londra. Noah stava lavorando lì negli ultimi giorni, studiava con un vocal coach di fama mondiale che lo aiutava a rimettersi in sesto dopo l'affaticamento del tour estivo e in previsione delle ospitate natalizie, ovviamente ad alcune lezioni portò anche me e il maestro si mise le mani nei capelli, quei pochi che aveva, appena mi sentì cantare. Purtroppo la mia voce era stata rotta da una brutta laringite conseguente ad un'influenza presa a causa dello stress emotivo ricevuto dagli ultimi avvenimenti. Grazie anche a delle cure e alla riabilitazione, ero in ripresa, ma lenta e snervante che mi demoralizzava.
Quella mattina mi svegliai, ero sola nel letto, probabilmente era tardi, ma per la prima volta dopo due settimane avevo dormito bene.
Rimettendomi gli occhiali, posati sul comodino la sera prima, notai che accanto al mio telefono c'era un biglietto scritto a mano:

Buongiorno amore!
Sono andato a correre, poi passerò in C.D., è pronto l'arrangiamento dell'ultima incisione, sono impaziente di ascoltarlo. Oh, devo andare al negozio di musica a comprare le corde per le chitarre, pensavo di averle invece le ho finite.
Passerà Queen in tarda mattinata a portare la spesa e a preparare il pranzo.
A più tardi
G.

PS: credo di aver lasciato una cosa importante sul tavolo nel salotto. Mi controlli se c'è?
Grazie

Aggrottai la fronte leggendo il post scriptum, non era un sms, era un biglietto di carta, perché mai dopo averlo scritto non aveva controllato lui stesso?
Forse era stata Queen a scriverlo sotto dettatura di Gabriel? Be', anche fosse sarebbe stato uguale, poteva controllare lei, no? Pensai mentre scendevo le scale dirigendomi in salotto.
Era vero, c'era qualcosa sul tavolo: un altro biglietto poggiato sopra una scatolina di cartone.

Tanti auguri amore mio!
Queste sono per te.
Love
G.

Mi scattò spontaneo un sorriso a mille denti. Aprii la scatola e dentro c'erano delle chiavi, quelle di casa sua. Le sollevai, il messaggio proseguiva: “Ora è anche casa tua. Ricorda: devi vivere la tua vita”
Il disegno di un cuore al posto del punto.
Era passato troppo poco tempo da quando mio padre mi aveva buttato fuori casa ma grazie a Gabriel sentivo che potevo riacquistare la mia felicità.
Feci una doccia veloce, mi preparai ed uscii, emozionata quando chiusi la porta con le mie chiavi. Non avevo una destinazione precisa, volevo solo passeggiare sotto il sole. Londra, così misteriosa e fredda, mi stava regalando un cielo bellissimo, nemmeno una nuvola e la mia voce stava decisamente meglio.
Leo mi videochiamò che ero per strada e mi fece compagnia nel mio giro di relax. Mi mancava ma lo avrei rivisto presto e mi tenni stretta quel pensiero per non piangere, mi ero ripromessa di non farlo quel giorno. Da Clelia ricevetti una mail, dispiaciuta e basita da ciò che le avevo comunicato nella lettera, oltre agli auguri mi scriveva buona fortuna. Non era più all'agriturismo, aveva lasciato la suite per tornarsene in Svizzera e passare il Natale con suo marito – con le ceneri di suo marito – come faceva ogni anno da quando era mancato. Doveva averlo amato veramente tanto, mi fece tenerezza. Ad anno nuovo sarebbe ripartita per i suoi viaggi. Anche Greta mi aveva scritto, inviandomi un collage di foto con tutti i nostri animali che mi “auguravano” buon compleanno. Nessun messaggio invece da parte di mio padre. Ci speravo, sì, ma sapevo benissimo che non sarebbe mai arrivato.
Una volta a casa, il pranzo che la domestica ci aveva cucinato divenne una merenda, io e Gabriel passammo il pomeriggio a letto a fare l'amore e giocare a punzecchiarci, riusciva a sedurmi, a farmi ridere e spazzava via ogni brutto pensiero.
- Vieni, dobbiamo andare in un posto - disse enigmatico, cogliendomi impreparata. Era sera inoltrata, non sapevo cosa avesse in mente, mi fidavo nonostante la sua bocca cucita.
- Wow! Dimmi che... - esclamai affascinata, contemplando quella struttura circolare e dall'aspetto medievale davanti a noi.
- Sì, il Globe Theatre - .
Salii gli scalini per arrivare al cancello, era chiuso quindi mi limitai a guardarlo attraverso i riccioli di ferro. Da fuori era bellissimo, immaginai che dentro potesse essere ancora più magico, non capivo però perché Gabriel mi avesse portato lì sapendo di non poterci entrare. Quando mi raggiunse, fece pressione sull'inferriata e questa si aprì.
- Oh, guarda... è aperto! - esclamò disinvolto guardandomi con aria furba.
- Sì, e tu lo sapevi! -
Mi fece cenno di entrare e seguirlo.
- C'è uno spettacolo stasera? - chiesi guardandomi intorno, eravamo soli e continuavo a non capire. Lui non rispose, anzi mi fermò e disse: - Ora chiudi gli occhi - .
- Gabri...? -
- Dai! Non brontolare. Chiudili e basta - .
Lo fissai ancora qualche secondo e dopo un sospiro li chiusi. Mi prese per mano e mi lasciai guidare.
- Attenta! Ci sono delle scale. Esatto, così. Brava! - mi aiutò a salirle, poi mi disse di fermarmi, di contare fino a tre e di riaprirli.
Rimasi estasiata, ero al centro del palco, illuminato, e davanti a me si apriva la platea coi palchi sovrastanti nella penombra, e quella struttura, per lo più in legno, nonostante fosse all'aperto, mi rimandò un odore familiare che era quello del teatro. Annusai ancora e ancora intanto che i miei occhi brillavano di meraviglia.
- È... è pazzesco! Bellissimo! - esultai piena di energia, poi notai un pianoforte dietro di noi e un'asta con un microfono, a terra un impianto audio professionale.
- Che concerto c'è? - chiesi ingenua.
- Il tuo! - rispose lui sorridendo.
Risi. - Ma siamo solo io e te! -
- Sì, lo so, la platea è vuota, è un posto insolito, le luci sono scarse e fa freddo, ma... usa l'immaginazione - . Mi strinse a sé con un braccio, l'altro si allargava teatralmente verso il pubblico fino alle luci che arrivavano dall'alto.
Sentii un brivido emozionante partire dalla schiena e vibrare in tutto il corpo.
- Immagina le grida dei fan che chiamano il tuo nome, desiderosi di vederti. Sono lì per te, solo per te. Tu vivi di questo! Non senti gli strumenti dell'orchestra riscaldarsi? -
Stetti in ascolto, chiusi di nuovo gli occhi tentando di imitarlo, rimasi in silenzio immedesimandomi nelle sue parole. Fino a qualche mese fa ero dalla parte del pubblico, sapevo bene cosa significassero.
Gabriel mi prese una mano, se la portò alla bocca e baciandola chiese: - Ti va di cantare per me, Elsa? - .
Lentamente alzai lo sguardo nel vuoto: le luci si erano riempite colpendo anche il pubblico e mi mostrarono una sala gremita di fan eccitati e impazienti di ascoltarmi. Sorrisi, a stento trattenevo quel solletico che mi infastidiva lo stomaco, e una forza misteriosa aveva preso a scorrermi dentro, un'emozione che avevo già provato ma che avevo dimenticato. Era passato troppo tempo dall'ultima esibizione.
Aveva ragione lui: io vivevo di quello. Dello scambio di energia che si genera tra artista e pubblico. Esprimere ciò che provo attraverso la voce. Della musica che vibra in ogni angolo, nel cuore, nell'anima, in ogni atomo.
- Con molto piacere! Se sarai tu ad accompagnarmi... Noah! -
Mi avvicinai al microfono, lo presi sicura e scambiandomi un'occhiata complice con lui gli comunicai che ero pronta. Suonò per me. Io cantai per tutti. Per chi nei loro sogni, sotto le coperte o a casa davanti ad una tazza di tè, riusciva a sentire la mia fiamma crescere.
Passammo dai miei brani a brani più conosciuti di altri artisti. Non c'era niente di più straordinario. Ed eravamo solo noi due.
Almeno, era quello che credevo!
A risvegliarmi dall'incantesimo nella quale ero caduta, fu il suono di un battere di mani. Non ci feci molto caso, in fondo stavo immaginando, poi se ne aggiunse un altro, e un altro ancora.
Scossi la testa, il suono era vivo accompagnato da voci che gridavano - Brava! - con evidente accento inglese.
Mi voltai verso Noah facendo una smorfia interrogativa ma si limitò ad accennarmi con il mento di tornare a guardare i miei fan.
I miei fan?
Sparsi nei palchetti e toccati a malapena dalla luce che mi abbagliava, si fecero chiare le figure di Mika, Ed Sheeran e Adele.
Spaesata e incredula li fissai. Il cuore correva impazzito, lo sentivo nella testa e nel petto e stava per scoppiare. Mi portai le mani sul viso rimanendo immobile e disorientata, intanto che lacrime di gioia avevano dato il via alla loro danza sulle mie guance. Mi sentii afferrare da dietro, Gabriel mi dette un bacio sulla tempia per farmi sapere che era lì con me, orgoglioso. - Ecco chi sei! E mi dispiace per tuo padre che non l'ha ancora capito! -
Quando mi lasciò per andare dai suoi colleghi, lo osservai: non avevo fatto caso che era uscito come Noah e non come Gabriel, ormai non li distinguevo più e mentre pensavo che lo amavo davvero tanto mi chiamò. Timorosa li raggiunsi, strinsi le mani di quelli che per me sono sempre stati dei geni musicali, idoli da imitare e ai quali mi ispiravo spesso, e loro si complimentavano con me. Avevo sicuramente un'espressione inebetita, inconsapevole delle mie azioni. Neanche mi resi conto di stringergliele.
Il calore della mano che Noah intrecciò con la mia mi fece riprendere da quello stordimento. Era tutto vero! Stavo parlando con degli artisti di fama mondiale, scambiandoci idee, opinioni, consigli e critiche costruttive sul nostro lavoro.
- Fattene una ragione, Elsa - cominciò lui una volta che il mio pubblico se ne era andato, ognuno con i propri impegni, eppure erano riusciti a trovare un'oretta da dedicare ad una cantante emergente. - Sono tuoi colleghi adesso, non puoi rimanere basita ogni volta che ne incontri uno - mi scompigliò teneramente i capelli. Già, i capelli, il mio outfit! Sprovveduta, non mi ero neanche vestita in modo adeguato! Per lui era la normalità. Io dovevo ancora rendermene conto.
- Che carina che sei! - mi baciò sulla guancia.
Gabriel mi aveva fatto un regalo bellissimo. Riusciva sempre a sorprendermi e a rendermi felice. Mi sentivo crescere, sia come artista che come persona.
In prossimità del cancello, prima di uscire, lo fermai afferrandogli un polso, poi allentai la presa per scivolare nella sua mano, quelle mani sempre calde, morbide, curate e pronte a sostenermi. Sentii una scossa che veloce arrivò alla mia bocca, quindi lo guardai seriamente e dissi: - Ti amo! - .
- Elena... -
- No, dico sul serio: ti amo! -
Nessun ripensamento. Sentivo proprio l'urgenza di dirglielo, quindi continuai a tenere gli occhi incollati ai suoi, ora blu come Noah.
Non lo detti a vedere ma l'attesa di una sua reazione mi stava consumando, avevo il cuore a mille e quel meraviglioso viso che non traspariva alcuna emozione cominciò a spaventarmi. Mi aveva già detto apertamente quali erano i suoi sentimenti, me lo aveva dimostrato eppure avevo ancora bisogno della conferma.
I suoi occhi si alleggerirono e i muscoli del volto si rilassarono in un morbido sorriso. Senza lasciare la mia mano, si avvicinò e con l'altra mi spostò i capelli dietro le orecchie, poi risalì accarezzandomi la guancia e incurvandosi leggermente raggiunse la mia bocca. Mi baciò. Un bacio lungo e desiderato.
Mi alzai in punta dei piedi per mettergli le braccia al collo e stringerlo a me più che potevo, come a volerlo fondere nel mio corpo.
Una notte colma di emozioni...
Lasciai volare i pensieri verso il futuro, per una volta lo vedevo pieno di brillantini.

Giulia De Nisco

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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