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Autore: Sarah Maifredi
Il Diamante dei Creatori
Fantasy
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Il Diamante dei Creatori
...e i Cavalieri del Cristallo.

Lesse con calma. Comunicava che solo l'amore e la speranza di due mortali potevano riunire il Diamánti, perché anche se i popoli posseggono il libero arbitrio, la speranza è ciò che sostiene la vita.
Si soffermò. È quello che diceva sempre Tavi, pensò.
Proseguì la lettura. Riferiva che questo era l'unico modo per far sì che i mondi creati e quello degli dèi potessero trovare un punto d'incontro. La pagina ultimava con la dicitura che per tale compito avevano istituito un ordine nominato: I Cavalieri del Cristallo. Il cui simbolo preposto era l'infinito.
Negli occhi grigi apparve un bagliore. Chiuse il libro e lo prese con sé. Uscì di corsa dal tempio. Entrò nel pantheon chiamando il fratello. Girò nelle sale finché si soffermò davanti alla porta che dava alla terrazza. Attraverso il vetro vide Abrom seduto su una delle panche in pietra ai piedi delle colonne attorno all'altare. Aveva il volto alzato verso il cielo e lo osservava. Entrò. - Ho la soluzione! -
Lo guardò perplesso.
Eluc gli si accostò e si sedette al suo fianco. Aprì il libro e lo sfogliò fino a soffermarsi davanti alla pagina che gli interessava. Con un dito gli indicò un punto. - Dobbiamo trovare l'ordine di cui parla e aiutarli a far riunire il Diamánti, così salveremo Tavi. Le cose torneranno come in principio - .
- Ti rendi conto che se riportiamo il Diamánti a essere un unico insieme sarà impossibile distruggere i mondi? Aiutami. Poniamo fine a questa follia! -
- No - , - Così perderemo la possibilità di liberare nostra sorella - .
- Ci deve essere un altro sistema. Sono convinto che ciò che dico sia la strada migliore. Sai anche tu che rischiamo il declino definitivo - .
Si alzò con calma apparente, rosso in volto. - No. Seguendoti siamo arrivati a codesto risultato. Io porrò rimedio all'errore compiuto. Tu fai come vuoi - . Tornò all'interno del pantheon.
Abrom lo seguì con lo sguardo. Quando uscì balzò in piedi e sbuffò. Sei un maledetto cocciuto! Hai compiuto la tua scelta. Fermerò il tuo intento con ogni mezzo a disposizione, pensò. Si avvicinò alla figura di Tavi divenuta pietra. - Mi dispiace. È troppo rischioso - . Richiamò la sua nuvola e ci salì.
Eluc entrò nella sala del focolare magico. Poggiò il libro d'oro sul leggio posto a fianco del braciere dove le fiamme verdi ardevano alte. Si avvicinò alla parete di fondo e si soffermò difronte ai gradini che conducevano all'Anótati pýli; uno specchio che fungeva da portale per giungere nel mondo di Stinx nel pantheon principale delle divinità minori sul monte Onivid. Farò quanto è in mio potere per rimediare, pensò. Oltrepassò la superficie riflettente color delle acque.

Mondo di Stinx
Monte Onivid isola di Sidda
Eluc uscito dal pantheon percorse le distese erbose. Si soffermò dinnanzi alla Fontana della vittoria, una fonte di acqua limpida utilizzata per i rituali divini. Concentrò i suoi poteri dando vita a una piccola bolla, nella quale inserì una pergamena: la convocazione di Diánoia, dèa dell'intelletto e della giustizia. Effettuò un gesto della mano verso l'alto e la sfera levitò. Trasportata dal vento giunse a destinazione.
Un falco dalle ali dorate, qualche minuto dopo, sorvolava i templi del monte Onivid. Oltrepassò le verdeggianti pianure e il fiume cristallino sfiorandolo con la punta delle ali. Giunse alla fonte e atterrò davanti a Eluc. S'inchinò e prese forma di donna. - Sommo Eluc, mi avete convocato? - Rimase in ginocchio. Con un lieve movimento della mano scostò i lunghi capelli corvini, sistemò la cintura dov'era legato il fodero contenente la spada, attorcigliatosi nei veli rossi che ornavano la veste bianca.
La Somma divinità elfica con la mano effettuò cenno di alzarsi. - Ho un compito da affidarti. Trova dei mortali che portano il simbolo dell'infinito. Devi vegliare sul loro cammino - . Alzò lo sguardo verso il cielo, in direzione di Theíos. - L'evolversi della faccenda sarà complicata - .
La dèa chinò il capo. - Come desiderate - . Riprese sembianze di falco e con un battito d'ali potente spiccò il volo verso i territori percorsi dai popoli.

.:.

Mondo di Gabriel
Isola di Addis, Anno 2042
A notte inoltrata le urla ruppero il silenzio.
Un lampo.
Furono costretti a chiudere gli occhi. Il terreno svanì sotto i piedi.
Precipitarono.
L'angoscia, per la velocità di caduta, iniziò ad accrescere. Un bruciore avvolse i loro polsi sinistri. I sensi erano confusi, offuscati. Le immagini di ciò che avevano intorno giravano vorticose. Durò pochissimi istanti. Si arrestarono a mezz'aria a pochi centimetri dal suolo e fluttuarono fino a poggiare i piedi per terra.
Disorientati si guardarono intorno.

Nick uscito prima dal lavoro a passo svelto si diresse alla stazione per raggiungere il centro di Liteaget.
Quando scese dal treno, si ritrovò in un brulicare di persone. “Sempre casino c'è...” pensò irritato. Cercò con lo sguardo un punto in cui si potesse camminare senza rischiare di essere urtato o soffocato dal profumo di qualche passante. Uscì dalla stazione e guardò l'ora. “Devo sbrigarmi” si disse nella mente. Proseguì sul marciapiede che portava alla zona pedonale. Come la stazione anche le vie cittadine erano affollate. Camminava a testa bassa. Con la coda dell'occhio notò qualcuno che chiedeva informazioni e un anziano con un cagnolino al guinzaglio gliele forniva; con un volume di voce un po' troppo alto per interloquire con una persona a pochi centimetri di distanza.
Si avviò sotto i portici e prese un viale in san pietrini. Si ritrovò in mezzo a una folla intenta a osservare gli oggetti esposti sulle bancarelle. Alcuni erano impegnati in animate conversazioni, altri in contrattazioni.
Di sfuggita posava le iridi smeraldine sulla merce.
Arrivò in fondo al viale, dove rimanevano le ultime due bancarelle, un bagliore lo attirò. Proveniva da un banco spoglio in un angolo buio. Un leggero luccichio lo spinse ad avvicinarsi. Tirò indietro il ciuffo di capelli castani calato sugli occhi e rimase con la mano poggiata sulla testa. Osservò con attenzione: la luce proveniva da un piccolo oggetto, riposto in una scatoletta aperta di velluto blu. Un anello con diamante.
“Potrebbe piacerle” pensò “ed è arrivata l'ora di fare il prossimo passo.” Indicò il contenitore e si rivolse alla venditrice. - Scusi, quanto costa? -
La donna della bancarella portava un cappuccio scuro calato sul volto, che lasciava intravedere solo la bocca. Rimase con la testa bassa e gli rispose con un filo di voce.
- Scusi? -
Con un dito spostò un bigliettino in cartoncino sciupato, attaccato al velluto, con scritto il prezzo.
- Va bene. Lo acquisto - . Pagò. Lo mise in tasca e si voltò alla ricerca di una via che lo conducesse lontano dalle persone.
- Insieme c'è allegata questa. Prenda! -
Nick sussultò. Si voltò. - Ah, grazie - . Ripose anche la busta e si incamminò per la strada a ritroso. Svoltò nel primo vicolo stretto che lo condusse nelle vie secondarie. Nella tranquillità che accompagnava la notte era finalmente solo. Tirò un sospiro di sollievo, rallentò l'andatura e giunse alla stazione.
Il treno arrivò cinque minuti dopo.
Salì e cercò un posto accanto al finestrino in un vagone semi-deserto. Si sedette. “Chissà se sto facendo la cosa giusta... accetterà?” Estrasse il telefono, le mandò un messaggio dandole appuntamento per l'indomani difronte al cinema. Notò che sul display lampeggiava la notifica di alcune chiamate rimaste senza risposta. L'aprì. “Accidenti era Kirbo! Inutile che lo chiamo ora, tanto sto tornando.” Pensò.
Dopo mezz'ora arrivò nella zona del porto, uno dei tanti dell'isola di Addis. Scese dal treno. Il profumo delle acque salmastre dell'oceano di Ange lo inebriò. Rabbrividì per una folata di vento. Si strinse nel giubbotto in pelle nera e rimase un istante in ascolto del leggero rumore provocato dalle onde che s'infrangevano sulle sponde.
Si avviò verso casa. La quiete della periferia lo accompagnava col suo silenzio, l'oscurità era illuminata dalla luna piena e dai pochi lampioni presenti sulla strada avvolti da una fitta foschia.
Giunse sotto i gradini del condominio. Si soffermò a guardarlo. Nonostante fosse una costruzione recente, aveva evidenti crepe sull'intonaco della facciata dovute all'aria salmastra. Sembrava fatiscente, eppure faticava a adattarsi al paesaggio trascurato delle costruzioni presenti e spiccava con irruenza col suo colore verde acceso. Lo sguardo si arrestò sul vetro di una finestra del primo piano illuminata. “Come immaginavo dev'essere già a arrivato, ecco perché mi ha chiamato.” Pensò. Salì i gradini a due a due, si soffermò al portone d'ingresso e lo aprì. I cardini arrugginiti emisero un cigolio inquietante.
Quando arrivò difronte l'uscio di casa suonò il campanello.
Gli aprì la soglia la figura robusta e muscolosa di Kirbo. - Iniziavo a preoccuparmi, ti ho chiamato innumerevoli volte... -
Nick posò le chiavi e il cellulare sul mobile d'ingresso senza guardarlo in volto. - Scusami. Mi sono fermato a prendere un regalo per Selene. Uscito dal lavoro ho dimenticato di rimettere la suoneria al cellulare - .
L'amico era già sparito in cucina, - Ecco perché scattava la segreteria... un regalo? Cosa le hai preso? - sfornò le lasagne che erano quasi bruciate.
- Questo - Poggiò la scatolina sul ripiano.
Kirbo mise la teglia sui fornelli, ripose a lato la presina e prese il piccolo contenitore. Lo aprì. - È un regalo impegnativo un anello - . Gli occhi castani brillarono, fissò in viso l'amico e le labbra si inarcarono in un sorriso - Dai... vuoi farle la proposta? - il tono era un misto tra l'incredulo e il divertito.
Nick teneva la testa bassa e diventò paonazzo. - Lascia stare ridammelo! - Si avvicinò.
Lo evitò con un movimento veloce e gli passò accanto. - Aspetta, aspetta - . Si fermò in mezzo al soggiorno e alzò l'anello in direzione della luce emanata dal lampadario.
- Dai, restituiscimelo! - Il tono era irritato. Si avvicinò con il braccio teso.
- Il diamante ha un taglio perfetto -
Nonostante la corporatura magra e gracile, con un movimento fulmineo afferrò l'anello. Cercò di sfilarglielo dalle dita.
Un lampo scaturì dall'oggetto.
- Che succede? -
I due furono accecati e chiusero gli occhi. Il terreno mancò sotto i piedi.
Precipitarono nel vuoto.

Sarah Maifredi

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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