Camminai tra le nuvole. Non guardai più giù. Solo su, su tra le nuvole più alte, io salivo. Cento metri sopra il cielo! Al centro di tutto quell'azzurro, mi sentivo come un proiettile sparato in aria da una mano allegra, per gioco. Filavo dritto attraversando quel cielo limpido. Io, proiettile di cristallo. Io, trasparente e ricolmo di gioia. Io, Olek il proiettile di vetro che buca le nuvole. Io. Doveva essere il mio compleanno. Sì, il mio, il mio!
- Sei rientrato presto, amore - . Non ne avevo ancora presa così tanta tutta insieme, avevo il fiatone e digrignavo i denti con spasmi incon-trollabili della mandibola. Prima di voltarmi provai a contenermi, non volevo che se ne accorgesse. Eccola, sulla sua poltrona, con le belle gambe curate stese sopra la sedia, la gonna bianca a fiori che si abbandonava fino a terra, una spallina le era scesa fino al gomito. Si tolse gli occhiali con la montatura rossa e la catenella dorata. Con un gesto lento se li appoggiò sul petto. Leggeva un vecchio numero di Animazione Sociale. Non aveva an-cora preso le sue gocce? - Saro aveva da fare... non chiamarmi amore, mam-ma - , la voce faticava ad uscirmi dalla gola contratta, dovevo spingerla di petto e veniva fuori con un vibrato sospetto. Mia madre era una bella donna. Una bella donna che aveva scelto di vivere senza mai proteggersi né dagli al-tri né dai propri desideri. Una bella donna che aveva fat-to i suoi errori, uno dei quali così grosso che gli erano spuntate gambe, braccia e testa, e si era messo a giron-zolare lì attorno. Doveva piacergli Bologna, al mostri-ciattolo, perché in tutti gli specchi in cui guardavo lo vedevo affacciarsi e salutarmi. Bastardo... - Se hai fame ho fatto il merluzzo con le patate, è nel forno - disse tranquilla. Lei lo chiamava abbandonarsi al fluire degli eventi, ma anche non opporre resistenza alla vita che ti parla. Si era lasciata ingravidare da un caso umano che seguiva per lavoro, in circostanze sospette. Era l'agosto del 1997. Ero stato concepito nel suo ufficio ai servizi sociali in Via Anna Grassetti, quartiere San Vita-le. Chissà in quale posizione si era abbandonata al fluire di quell'evento? Sulla scrivania? Contro la porta chiusa a chiave? Sul pavimento? O forse da dietro, o a smorza candela, o... - No grazie, sono stanco, vado in camera mia - . Il figlio di puttana che forse si era approfittato di lei, da cui era uscito quel semino storto che le era entrato dentro, parlava a malapena italiano. Chissà se si era la-vato prima di penetrarla, forse era fatto duro in quel momento... proprio come me in questo momento... di quale droga? Eroina? Metanfetamina? Benzodiazepine? Metadone? Alcol? Chetamina? Cocaina? Avevamo gusti simili? Forse era stata proprio lei, invece, sotto l'effetto inebriante e psichedelico delle sue visioni utopistiche ad aver sedotto quell'insieme di ghiandole endocrine spa-nate che, innocentemente in fondo, non avevano fatto altro che funzionare e spruzzare la vita come da pro-grammazione biologica. - Aspetta - , disse alzandosi dalla poltrona. Mi venne incontro a piedi nudi, il suo passo era incerto, il suo sor-riso decisamente ebete. Sì, le aveva già prese le gocce. Tante. Non abortì. Portò avanti il discorso della vita, pro-seguì la gravidanza sperando in un mondo migliore, pre-gno del profumo dei fiori che le riempivano la testa al posto del cervello. Mia madre: una bella donna con gli occhi da bambina, i silenzi di un'amante e l'odore di una sorella. La bestia nervosa affamata che avevo nel petto re-clamava un'altra botta, adesso, subito. Lei era già lì, mi accarezzava la guancia lentamente. - Mamma - , dissi ten-tando di evitare la sua mano senza riuscirci. - Non mi racconti mai niente, Olek - disse con una voce così dolce che mi inchiodò al muro e mi fece senti-re insieme il figlio peggiore e più amato del mondo... un profondo sospiro, l'aria si infilò nel mio corpo teso co-me una corda di violino. Profumava di borotalco. Io pe-rò volevo tornare nel cielo terso di prima, da solo. Negli occhi il flash delle mie dita che aprivano la bustina e preparavano la riga, tirai su con il naso di riflesso. Le mie narici erano completamente anestetizzate. Volevo di nuovo sentire la goccia amara scendermi in gola. Staccarmi da terra e volare tra quegli spazi ancora e an-cora e ancora. Mi tremarono le mani. Strinsi i denti. - Adesso voglio stare solo... forse domani, mamma - . Mi voleva bene, mi cercava, esistevo solo io per lei. Mia madre era una bella donna sola. Non aveva più avuto nessuna relazione dopo avermi spremuto fuori nel mondo. Poveretta. Diceva di non aver più avuto contat-to con l'untore, quell'inseminatore straniero. Decise, pe-rò, di mantenere vivo il suo ricordo dandomi quel nome e insegnandomi qual era il suo cognome: - ti chiami Olek Fabbri, ma lui si chiama Borowski... devi saperlo, amore, quel che è giusto è giusto, lui è la tua radice - mi disse un giorno. La mia radice... lei, quindi, era la terra feconda in cui lui si infilò. Le gocce di sonnifero erano la pioggia. Io ci mettevo un cielo pieno di tante nuvole. Che bel paesaggio siamo, mamma, ci vorrebbe una cor-nice. Non smetteva di sorridere, anche se i suoi occhi era-no cambiati, adesso. Ecco lo sguardo che vedevo quan-do avevo la bottiglia in mano - come va al lavoro? Come sta Abdel? Andate d'accordo? Ti tratta bene? - chiese chiudendo gli occhi... ma quante gocce aveva preso? - Paga sempre puntuale... quindi è tutto ok - . - L'ambiente di lavoro è così importante, Olek, la maggior parte della giornata la spendiamo con i nostri colleghi - , sospirò adagio, mi prese la faccia tra le mani e mi baciò la fronte, - è importante, amore mio - quasi un gemito. Mi liberai dalla sua presa intorpidita e mi infilai le mani tasca. Con le dita iniziai a giocare con quello che restava delle due bustine. - Sto attento alle misure, faccio i tagli giusti, mescolo la colla e pulisco attrezzi e cantiere come si deve. Abdel pensa solo al Corano, prega anche mentre lavora, è un uomo per bene, è impossibile non andare d'accordo con lui - . - Ok - . - Mamma sto bene, sono solo un po' stanco, vado in camera - . - Va bene, amore mio, dormi bene, a domani - . Mi accarezzò il collo a sinistra, proprio lì, ripetuta-mente. Strofinò come per tentare di cancellarlo, come faceva ogni sera, prima di vedermi sparire nella mia ca-mera. - Notte, mamma - . Chiusa la porta, svuotai le due bustine sulla scrivania. Divisi a metà. Da una parte ne ricavai quattro righe. Dall'altra quattro cariche per la pipetta. Prima di un'ora finì tutto. Ero una mongolfiera che si staccava da terra. Mi venne così caldo che mi spogliai in mutande, presi la bottiglietta d'acqua e uscii sul balcone. In piedi, gambe divaricate, guardai il parco illuminato dai lampioni, pas-sò una macchina lenta, il cuore mi martellava dentro, mi sentivo indistruttibile. Grondavo di sudore. Mi rovesciai la bottiglietta d'acqua in faccia chiudendo gli occhi.
- Bella fra', cazzo ma sei sparito, oh! - . Ci abbracciammo. Io lo sapevo che ci volevamo be-ne, ma ogni volta che sentivo quell'affetto uscire dalla pelle, mi stupivo. Bonzo il mistico, l'ascetico, lo scia-mano delle nuvole, sacerdote che ti appoggiava l'ostia sulla bottiglia e te la porgeva con rispetto e devozione. Aveva una qualità straordinaria quell'uomo: ti metteva a tuo agio qualsiasi convinzione ti stesse passando per la testa, qualsiasi illusione ti stesse circolando nelle ve-ne. - Mi sono dato alle gozzoviglie, amico mio - . Sorrise, piegò la testa sempre fissandomi dritto negli occhi. - Lo avevo notato! - . Rimasi lì sospeso, non capendo bene cosa volesse dirmi. - Mi guardi confuso, ma non devi... sai quante volte ho fatto cazzate per quella merda - . Avevo ormai speso novecento euro in due sole setti-mane, prosciugando il salvadanaio iniziato per la mac-china che aveva bisogno di vedere un elettrauto il prima possibile. Li avevo in mano, erano lì... ma adesso non c'erano più. Abracadabra: volati via nel cielo blu, tra le nuvole bianche. - Già - , gli dissi distogliendo lo sguardo. Lui mi diede una pacca sulla spalla. - Perché credi che esistano i festini? Ci si aiuta a vi-cenda, si fa colletta, se non li hai oggi metti venti, la prossima volta metti settanta, funziona così, fra' - . - Faccio da solo, nessuno intorno a rompere i coglio-ni - . Mi guardò silenzioso. Senza volerlo lo avevo offeso. Arrivò la sua nuova ragazza, Melissa, tirai indietro una sedia appoggiata al tavolino per farle posto. Camminata strana. Si muoveva lentamente, con attenzione. Alzò la mano aperta in segno di gentile rifiuto, non voleva se-dersi, si appoggiò in una posizione contratta. - Le birre arrivano subito, ve le porta - , disse sorriden-do. Era bella. Come tutte le altre. Delicata, dentro un prendisole verde, cosce abbronzate, un seno abbondan-te, capelli tinti rosso rame, rossetto da battona. La guar-dai in quella posizione innaturale, si appoggiava al tavo-lo con l'anca e non con il sedere... poi capii. Bonzo aveva colpito ancora. Lui mi guardò, poi cercò Melissa e le accarezzò una mano. Si sorrisero teneramente. Ave-vano scopato tutta la notte. Poveretta. - Vado a farmi una giocata - , disse lei. Se ne andò con quel passo accorto, infilò la moneta, ma non si sedette, giocò in piedi. Una scusa per lasciarci soli. - Non mi hai più comprato erba, con chi mi hai tradi-to? - - Con nessuno, Bonzo, ho smesso di fumare - . - In che senso? - . - Nel senso che ho smesso di fumare, fratello - . - ... - aggrottò le sopracciglia, non mi credeva. - La bamba mi ha fatto passare la voglia. Se mi faccio a giorni alterni, non sento il bisogno dell'erba. All'inizio la usavo per abbassare la quota, quando ero troppo su, un cannino mi ridimensionava la botta. Poi ho smesso del tutto di fumarla - . Arrivò Angela, la barista, con le nostre birre. Teneva il vassoio all'altezza dell'ombelico. Mi ricordai di tutto quello che Bonzo mi aveva raccontato sull'orgia quella sera che era sbronzo. Fecero finta di non conoscersi, non si guardarono neppure. L'immagine di lei nuda a terra ubriaca mi balenò davanti. Abbassai le palpebre, con il pollice e l'indice mi massaggiai gli occhi. Quando li riaprii lei era tornata dietro al bancone. Alzammo le birre in aria. - Alla salute - . - Che sicuramente sarà incazzata nera con noi! - . Una risata stupida. Melissa si girò e mi sorrise. Voleva capire se poteva tornare da noi, che tipo di discorsi sta-vamo facendo adesso? Sembrava molto più compiacen-te dell'altra. - Che strano, fra', a me questa non sembra una ragaz-za stronza, non capisco - . - Melissa scopa bene, anche se ho dovuto insistere per certe cose... è figlia di un maresciallo della finanza che lavora nella tenenza di Molinella - . Allargai gli occhi e mi esplose una risata fragorosa fuori dalla bocca. Quasi gli sputai la birra addosso. An-che lui si mise a ridere. Si girarono tutti nel bar, io non riuscivo a smettere. - Ma che cazzo dici? - . - Ti giuro - . Continuai a ridere. Melissa da lontano ci guardava di-vertita. Andò a cambiare altri soldi, Angela appoggiò la tazza che stava asciugando, aprì la cassa e le diede una pila di monete in cambio di una banconota da... cinquan-ta euro? - . Smisi di ridere. Diventai serio. Guardai Bonzo. - La tua ragazza ha appena cambiato una cinquanta per il videopoker - . Anche lui si fece serio. Non la guardò. Lentamente prese il pacchetto di Marlboro fuori dal marsupio, cercò l'accendino. Si infilò una sigaretta tra le labbra e l'accese. Aspirò una grossa boccata che non soffiò fuori subito. - Ognuno ha i suoi difetti, Olek - , ad ogni sillaba che pronunciava, un po' del fumo di quella sigaretta fuggiva fuori dalle sue labbra. Si appoggiò allo schienale della sedia e fumò con boccate esagerate. - Beh, se ha i soldi, che cazzo ti metti dei problemi? - . - Melissa è al secondo anno di Economia e Commer-cio, frequenta a Bologna, dimmi tu... studia come fare soldi, gestirli e farli fruttare, ha il papà finanziere... e poi infila tutto là dentro... viene pure ai festini, sai, e devi vedere come si attacca alla bottiglia - . - Ecco... mi sembrava strano... adesso capisco... non ti sei smentito neanche questa volta, bravo Saruzzo! - . Fece la faccia incazzata, ma rivolgendosi al tavolo, non a me. - Melissa è una bella scopata, niente di più - . Non riuscì a mascherare una certa amarezza. Provava qualcosa per lei. Forse il mio amico Saro si era preso una cotta. - Le hai spiegato questa cosa? - . Si mise a ridere schietto, schiaffeggiò il dorso della mia mano tre volte di fila, a denti stretti. - Minchia, Olek, sei proprio un bambino, hai voglia provare di spiegarti certe cose... ma sei bello così - , mi pizzicò una guancia e mi diede una gran pacca sulla spalla. Bonzo mi voleva bene, era proprio contento di vedermi. - Stasera offro io, solo uno però, che domani si lavora, andiamo da me - . - Forse è meglio di no... uno in tre è troppo poco, poi va a finire che con la scimmia addosso, appena ci la-sciamo, faccio qualche cazzata per andarmene a prende-re un altro... dai, divertitevi voi, io passo, me ne vado a letto - . - Ma va là! Sai cosa? Adesso accompagniamo a casa Melissa. Se ne va a letto lei - . Scoppiai a ridere di nuovo, ma quanto mi era manca-to il mio amico Saro? - Ma no, dai, non puoi farlo: è la tua donna! - - Ascoltami - mi interruppe con vigore - adesso te lo spiego io che facciamo: le dico che mi devi accompa-gnare a Bologna al Pilastro per vendere un etto di erba. Così ce la togliamo dai coglioni subito e facciamo quel cazzo che ci pare a noi, Olek - . - ... - lo guardai contento all'idea di passare la serata con il mio amico. - Ci stai? - - Manifattura? - . - Manifattura, Manifattura - . - Mi sentirò uno stronzo, però - . - Tu non ti devi preoccupare - mi rassicurò, poi si vol-tò verso il videopoker: - Melissa vieni che dobbiamo an-dare! - . Ci alzammo dalle sedie. Andai a pagare le birre. Guardai Melissa che ascoltava la bugia dell'erba al Pila-stro. Si vedeva da lontano che non credeva a una paro-la. Bonzo ripeté e aggiunse dettagli, poi indicò me. Lei mi guardò e io annuii sentendomi un vero stronzo.
- Conosco questo nuovo spaccia, sempre disponibile, con cento euro ti da tre pezzi - . - Tre pezzi - . - Ti giuro! - . - Ma come... ma dai, saranno piccolissimi - . - Sì, ma non poi così piccoli, e poi non la taglia, fa le dosi direttamente con quella che compra, devi vedere che pietre che saltano fuori - . - Fammelo conoscere - . - Ti do il numero, lo chiamiamo Franco - . - Un italiano? - . - Ma che, è marocchino, chissà come cazzo si chiama davvero... e poi a noi ché ce frega, no? - - Dammi il numero, dopo, in Manifattura c'è un'aria strana - . - In che senso? - . - Secondo me non digeriscono la macchina uguale a quella dei finanzieri, quando arrivo io si dileguano - . - Ma tu glielo hai detto che... - . - Gli ho detto tutto quello che gli dovevo dire, che si devono ricordare la targa - lo interruppi. - Figuriamoci - . - C'è quello sempre incazzato che mi guarda cattivo - . - Quello magro con gli occhi da pazzo, dici? - Annuii. Arrivammo nel buio di quella strada. C'era più movimento del solito, quella sera. Alla vista della mia Punto grigia, le figure che servivano a noi si nascosero. - Ma dove cazzo si sono infilati? - . - Scendo io - . Bonzo si frugò nella tasca e mi mise in mano la cin-quanta. Aprii lo sportello in silenzio, guardandomi in-torno. Era pieno di gente, ma dov'era quello che aveva le mie bustine? Mentre osservavo quelle facce e tentavo di capire se al di là della recinzione ci fosse qualcuno, sentii il motore di uno scooter avvicinarsi. Comparve dietro di me e frenò. Era tutto nero, aveva il parabrezza pieno di insetti spiaccicati, la sella color caramello e i cerchioni e le leve dei freni cromate. - Cosa vuoi? - . Lo guardai, era scuro ma non sembrava marocchino, assomigliava di più ad un pachistano sotto il casco nero aperto, con il cinturino nero chiuso intorno al mento. - Bamba, ne hai? - . - Dammi soldi aspettare qui - . - No, prima me la vai a prendere, ti aspetto qui - . - Bisogna soldi se no senza bamba - . Lo guardai. Quella sera era tutto strano, in quel lato del mondo: ero confuso. Tirò la mano fuori dalla tasca, mi agitò sotto il naso un rotolo di banconote. - Io no bisogna rubare, fare così con tutti, tu dai soldi, io vado prendere e torno, tu aspetta qui - . Guardai la macchina, Bonzo litigava con l'autoradio, non mi guardò neppure. Gli allungai la cinquanta. Quel-lo afferrò e mise in tasca. - Tu aspettare qui, dieci minuti - . - Sì, ma fa alla svelta - . - Aspetta più in là, a sinistra, dieci minuti - . Partì a razzo e attraversò la strada, imboccò la cicla-bile, sparendo nella notte. Capii subito di aver fatto una gran cazzata. Aveva i soldi, non aveva motivo per tor-nare. La puttana della rotonda mi guardava dal marcia-piede. Quella sera aveva una minuscola borsetta nera laccata con la tracolla dorata. Non mi salutò. Iniziai a camminare avanti e indietro, avanti e indietro, guardan-do l'orologio. Guardai di nuovo la puttana. Canottiera arancione sopra una minigonna bianca, niente scarpe, aveva zoccoli di legno ai piedi. Avanti e indietro, avanti e indietro. Un breve colpo di clacson dalla mia macchi-na, Bonzo mi fece cenno, non capiva, che stava succe-dendo? Alzai una mano con un sorriso. Adesso arriva. Avanti e indietro, avanti e indietro. - Scusa, ma non ti puoi spostare da lì? - . Si avvicinò con la faccia incazzata. Era giovane, ave-va gli occhi strani, appuntiti e senza colore. - Sei troppo vicino, i clienti non si fermano se ti vedo-no lì - . Guardai la rotonda, il marciapiede, l'orologio. Erano passati venti minuti - quello stronzo non torna più - sus-surrai, - scusa, avevo bisogno di tenere d'occhio la stra-da - . - Spostati più in là, coglione - , mi disse tagliente. - Calma, ti ho già detto che ho bisogno di tenere d'occhio la strada - . - TI DEVI SPOSTARE! - , scoppiò urlando. - ... - . - Ma allora hai deciso di rompere le palle a me ‘sta se-ra! - . - Senti... - . - VA A FANCULO! SPOSTATI, SPOSTATI, SPO-STATI! - urlò a squarciagola. Afferrò la borsetta, aprì la cerniera con uno strappo, infilò la mano dentro ed estrasse un cellulare che impu-gnò come una pistola. - Io adesso chiamo Luca, gli dico di venire qui a farti un culo così! TOSSICO DI MERDA! - . Iniziò a strisciare le dita sullo schermo, in fretta, ne-vrotica. - Ma guarda te, era proprio serata di ritrovarsi un cre-tino che mi toglie il marciapiede per lavorare! - . Mi voltai e mi allontanai. Mi portai appena fuori dal cono di luce del lampione, dove avevo incontrato il grassone nelle ultime due settimane, venti metri più in là. Mi batteva forte il cuore, stinsi i denti. Adesso la risol-vo, tutta questa merda, ci penso io. - Oh... oh... ci sei cazzo... oh! - . - Cosa vuoi? - . - Bamba, ma prima ho due domande - . Venne fuori da una porta sfondata. Era quello sempre incazzato. Proprio lui, merda. Camminava su cartoni, bottiglie, lattine e siringhe. Mi guardava fisso mentre si avvicinava, attraverso la recinzione, un contenitore di rabbia liquida che traboccava dagli occhi. - Il tipo con lo scooter, è uno dei tuoi? - . Piegò la testa di lato - non capisco - . - Quello stronzo che mi ha rubato cinquanta euro, sta con te? - . Abbassò leggermente le palpebre e piegò la testa all'indietro. - Io non conosce lui, perché? - , disse lentamente. - Mi ha rubato dei soldi, li ha presi ed è scappato con lo scooter - . Strinse i denti, i muscoli che gli serravano la mandi-bola spuntavano ai lati della faccia, striati e solidi, sem-brava che volessero uscire fuori dalla pelle. - Io non so niente di lui - . Poi mi puntò il dito indice contro come fosse un col-tello, lo sguardo ancora più appuntito. - Tu vieni da me, solo da me, non dare soldi in giro, qui! - , indicò il cancello, - QUI! NO ALTRI, PORTI SOLDI QUI, SOLO QUI! DAMMI I SOLDI! QUAN-TI NE VUOI? - , urlò scandendo bene ogni sillaba. Brut-ta serata. Presi il portafogli dalla tasca, cercai e... sì, mi ricordavo bene, la cinquanta di emergenza nascosta sot-to la taschina dove tenevo la patente c'era ancora. Con due dita la infilai tra le sbarre. Lui me la strappò di ma-no, la guardò e mi fissò con disprezzo. - MA CHE CAZZO È QUESTO? MA CHE CAZ-ZO È? - . - SENTI MI HAI ROTTO LE PALLE, DAMMI IL MIO E VATTENE A FANCULO! - . - STRONZO IO NE VOGLIO SETTANTA DA TE, HAI CAPITO? - Ci guardavano tutti nel piazzale, la puttana osservava da lontano, aggrappata alla sua borsetta. Mi avvicinai senza paura, non ne avevo più. Gli dissi a voce bassa: - ma cos'è ‘sta storia adesso? - . - Mi devi dare settanta euro per un pezzo - disse avvi-cinandosi a sua volta. Eravamo a soli venti centimetri l'uno dall'altro. I suoi occhi neri e larghi erano duri co-me l'acciaio. - Perché? Un pezzo costa cinquanta, me li avete sem-pre dati per cinquanta, perché mi fai questo? - . - Per te e i tuoi amici - , indicò con l'indice in aria la macchina, - la bamba, qui, costa settanta euro al pezzo - . Mi restituì la cinquanta e capii tutto. L'afferrai, la mi-si in tasca. Un ultimo sguardo di disprezzo e senza dire niente mi voltai e tornai alla macchina sconfitto.
- Ci hanno allontanati - . Mi guardò e non disse niente. Io avviai il motore e in-granai la marcia senza guardarlo. Feci manovra piano, dimesso, arrivai alla rotonda e guardai la puttana infilar-si con la sua squallida minigonna in una Toyota infanga-ta. - Minchia, quanto ci hai messo, zio... te l'ha dato il pezzo? - . - No - . - Non t'ha dato il pezzo? - . - Merda, Bonzo, ma capisci? Ci hanno allontanati! - . - Ma che cazzo vuol dire ci hanno allontanati? - . - Ha detto che per noi, qui, costa settanta... non ci vogliono! - . - Ma che cazzo è successo? - . - Chiama Franco - . - Lo chiamo, lo chiamo - . Prese fuori il telefono. - Cosa voleva la puttana? - . - Mi ha chiesto di spostarmi che i clienti non si ferma-no con uno lì vicino - . - Urlava - . - Era fatta dura - . - Comunque una roba così non l'ho mai sentita, ma che cazzo vuol dire che non ci vogliono, oh, ma i nostri soldi sono come quelli degli altri... o no? - . - La macchina, mi hanno preso per un agente in bor-ghese... chiama Franco che ormai sono sui viali, dai! - . Bonzo teneva il telefono in mano ma guardava la strada, assorto in qualche ragionamento. Scuoteva la te-sta poi guardava le puttane attraverso il finestrino. - Io una roba così non l'ho mica mai sentita - , sussurrò, poi scuotendo la testa sbloccò lo schermo del telefono, an-dò sulla rubrica e scelse un numero. Portò la mano all'orecchio. - Ueh, fratello... bella... ci sei? Ok... dove? Dai, ma siamo vicini! Ok... tra mezz'ora al benzinaio sulla Fer-rarese... proprio lui, bravo, vicino ai pompieri, dai... ok... bella, a dopo, se arrivi fai uno squillo... ok - Feci manovra sui viali per tornare a prendere Via Sta-lingrado. - Hai capito, no? In fondo dopo la Dozza a sinistra - . Annuii. - Così mi presenti e gli dici che mi dai il suo numero - . Morto uno spacciatore, se ne fa un altro.
Gianluca Ottone
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