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Autore: Raffaele Tralice
Il vero nome
Giallo Thriller
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Il vero nome
Quel suono l'aveva salvata molte altre volte, distogliendola dal confronto con la sua anima. In certi momenti avrebbe voluto che suonasse tutto il giorno, voleva sfuggire dal peso del rimorso e dall'umiliazione per gli errori che aveva commesso nel passato. Avrebbe voluto nascondersi dalla vergogna, ma aveva deciso di rifugiarsi in un luogo dove avrebbe potuto continuare a vivere purificando, giorno dopo giorno, la sua esistenza.
Il suono sordo e costante le ricordava che il suo tempo non sarebbe durato in eterno e che, per espiare le sue colpe, avrebbe dovuto sacrificare la sua vita per un bene supremo, più grande anche dell'esistenza umana, più importante perfino della sua stessa vita.
La notte era ancor più amara del giorno: gli incubi si impossessavano dei suoi spazi, annientando la casa sacra in cui aveva scelto di vivere. In quegli istanti, la dimora di pace diventava l'angolo più buio, dal quale sarebbe solo voluta scappare.
Ma era proprio quel suono che si presentava dirompente, costante, che, come un risveglio dell'anima, le impediva di disobbedire al suo voto; era certa della misericordia del suo amato che, un giorno, le avrebbe concesso il diritto di vivere tra gli eletti.
Quella notte fu diversa dalle altre, il canto dei demoni si manifestò più potente di qualsiasi altro suono. Niente e nessuno avrebbe potuto distoglierla dai suoi più reconditi incubi e dai segreti celati nel suo cuore.
In quella piccola stanza non c'era spazio per i rimpianti; seduta sul letto, con il volto segnato dal dolore, guardava la sua immagine riflessa nello specchio.
Per un'istante, le sembrò di rivedere la sua giovinezza, i suoi ricordi vagavano confusi nella mente che si sforzava di ritornare nei luoghi dei primi anni della sua vita, dove la spensieratezza non lasciava spazio a nessun compromesso e la gioia di vivere aveva il sapore delle cose eterne. Ma, ben presto, quella percezione svanì, lasciando il posto ad immagini confuse, come se un vortice immenso risucchiasse tutto ciò che la vita le aveva regalato, portando via con sé anche quella sensazione di pura leggerezza che per un attimo era riuscita a conquistare.
Facendo leva sulle mani, si alzò dal giaciglio. Lentamente, si avvicinò alla finestra della sua cella e, all'ombra della luna, si inginocchiò e pianse.
Per le suore Domenicane di Pompei, le campane delle sette del mattino annunciavano l'ora delle lodi. Il timido rumore dei passi cominciava a riecheggiare nel convento, rompendo il silenzio che regnava nelle ore notturne.
Dalle loro celle, le monache si dirigevano verso la cappella per l'inizio delle celebrazioni che si sarebbero susseguite per l'intera giornata.
Suor Lucia, al secolo Margherita Dibassi, prese dall'armadio i suoi abiti e li ripose sulla sedia. Nella cella c'era un letto, un comodino, un armadio ed una piccola scrivania sulla quale era adagiato uno specchio. Sulle pareti spoglie erano presenti delle evidenti crepe che facevano da cornice ad un modesto crocifisso.
La luce filtrava da una piccola finestra che dava sul cortile interno del convento. Un raggio di luce illuminò la scrivania dove era riposto un vecchio tomo delle sacre scritture.
Gli abiti sulla sedia e la Bibbia fecero riaffiorare il ricordo del giorno della sua vestizione, quel giuramento solenne fatto dinanzi al Signore.
Inginocchiata davanti a Dio, con il volto rivolto a Cristo, aveva pronunciato i voti di obbedienza, povertà e castità.
In memoria di quel giuramento, Lucia prese i suoi abiti bianchi e, come un soldato di Cristo, li indossò; raccolse i capelli e adagiò lentamente il velo nero sul capo.
Con lo spirito in fiamme, adesso, era pronta per combattere la battaglia contro quei demoni che, continuamente, tormentavano la sua anima.
Mentre percorreva il corridoio che l'avrebbe portata verso la cappella, Lucia incrociò le sue sorelle, ma una in particolare fu attratta dalla cupezza del suo viso.
Suor Esterina era una donna anziana e minuta, la sua schiena ricurva era il segno di una vita dedicata alla preghiera e al duro lavoro nei campi; da quando era entrata in convento aveva svolto diverse mansioni, ma quella che riscuoteva più apprezzamenti da parte delle sue consorelle era la sua innata abilità ai fornelli.
Originaria del Brasile, era la quarta e ultima figlia di una modesta famiglia di contadini. Sin da bambina aveva vissuto tra i campi, dove aveva potuto ammirare la grandezza dell'opera divina. Gli orti, i frutteti e l'aria che aveva avuto la fortuna di respirare nelle immense distese della sua terra di origine erano stati, per molti anni, la sua ancora di salvezza e l'avevano distratta dall'angoscia che le provocava lo stato di precarietà e di povertà nella quale aveva vissuto la sua giovinezza.
La sua estrema sensibilità l'aveva spinta alla minuziosa conoscenza dei segreti delle materie prime che lei stessa raccoglieva. All'estremità del cortile interno al monastero c'era un orto che Suor Esterina custodiva gelosamente; nessuno poteva avvicinarsi senza il suo consenso. Nel suo piccolo mondo si rallegrava di ogni piccola vittoria: il profumo dei fiori, che costeggiavano il rudimentale recinto, la portavano in uno stato di quiete interiore tale da trasportarla in un mondo parallelo dove non c'era spazio per il dolore e la sofferenza. In questo mondo ritrovava l'amore per le cose semplici, rifugio della sua vera identità, con la consapevolezza di custodire gelosamente il segreto della eterna felicità.
Esterina, in cuor suo, era consapevole che la scelta di seguire i passi del Signore era stata questione di necessità, più che di spiritualità. Necessità di sfuggire da quella condizione di povertà che l'avrebbe resa vulnerabile nello spirito e schiava del suo corpo.
Con il tempo, la sua devozione le aveva garantito la riconciliazione con il suo Dio che, per ripagarla, le aveva fatto dono della capacità di leggere nel profondo l'animo delle persone. Molte sorelle evitavano di incrociare il suo sguardo per paura di dover affrontare, anche per un solo istante, le loro più segrete debolezze. Erano consapevoli che, al cospetto di Esterina, lo spirito avrebbe spinto così tanto la verità, che questa sarebbe esplosa dalla bocca come un'eruzione.
Ad Esterina, dunque, non passò inosservata l'inquietudine che si poteva leggere negli occhi verdi e spenti di Lucia. L'aveva notata altre volte, ma, quella volta, ebbe la sensazione che fosse successo qualcosa di molto più doloroso. Superando alcune sorelle, si affiancò alla destra di Lucia.
- Buongiorno Lucia, tutto bene? - , le chiese.
Lucia sobbalzò, distratta e disorientata dall'angoscia che l'aveva accompagnata quella notte.
- Buongiorno Esterina, scusami ma non ti avevo vista - , rispose facendo un lieve sospiro - sì, si, tutto bene, grazie. Perché me lo chiedi? - .
- Sai, è da un po' di tempo che ti vedo assente, sono un po' preoccupata - , rispose Esterina.
- Non ho niente, grazie. È solo un periodo molto faticoso - , disse Lucia, cercando di chiudere lì la conversazione.
- Sappi che, se e quando avrai bisogno, io ci sono e ci sarò sempre per te - .
Lucia, la guardò fissa negli occhi, d'un tratto fu tentata dalla disponibilità di Esterina, avrebbe voluto liberarsi di quel peso che portava da troppo tempo, consapevole che la bontà d'animo della sorella avrebbe, di sicuro, portato conforto al suo cuore. Quell'istinto durò solo pochi secondi prima che Lucia distogliesse lo sguardo, pensando che non era ancora giunto il momento.
- Scusami Esterina, credo sia ora, per noi, di raggiungere le nostre sorelle in cappella, dobbiamo pregare per tutte le anime bisognose - .
Nel corridoio era calato il silenzio, tutte le suore avevano raggiunto la cappella. Suor Esterina e Suor Lucia si scambiarono un ultimo sguardo prima di raggiungere le sorelle.
La Cappella era di dimensioni adeguate ad accogliere le ottanta monache del convento. Sulle pareti beige erano visibili delle piccole icone che riproponevano le tappe della passione di Cristo, intervallate da tre grandi finestre sul lato più lungo e due porte sull'altro lato. Sul pavimento, in stile classico, si ripeteva, per tutta l'estensione, un motivo che richiamava la forma di un fiore a croce. Le panche erano disposte parallelamente alla parete più piccola, lasciando spazio ad uno stretto corridoio centrale.
Il canto delle preghiere si propagò per tutto il monastero, portando sollievo alle monache inferme che non avrebbero potuto assistere alle celebrazioni.
- ......Dall'ira del giudizio liberaci, o Padre buono;
non togliere ai tuoi figli il segno della tua gloria.
Ricorda che ci plasmasti col soffio del tuo Spirito:
siam tua vigna, tuo popolo, e opera delle tue mani ...... -
Si udì un forte rumore proveniente dalla cappella e poi, il silenzio.

La fermata “Università”, della metropolitana di Napoli, è un'esplosione di colori. Sulle pareti, le innumerevoli forme si accavallano come un caleidoscopio, quasi a rappresentare il fermento accademico che si ritrova in quell'angolo della città.
Luca era incapace di immergersi in quell'alfabeto psichedelico, troppo abituato allo stile classico che, da sempre, lo affascinava e alimentava la sua professione.
Aveva vissuto gli anni della sua gioventù nel quartiere Materdei, dove aveva potuto conoscere, sin da subito, i pregi e i difetti di quella meravigliosa città.
Si riteneva uno dei tanti fortunati ad essere nato tra le mura di una casa di accademici. I suoi genitori gli avevano trasmesso, sin da piccolo, l'amore per la cultura che lui, successivamente, aveva trasferito nella conoscenza dell'arte figurativa.
Amava quel quartiere, nel quale l'anima, molto spesso, si perdeva nell'immensità della bellezza delle sue molteplici forme architettoniche. Palazzi in perfetto stile Barocco, si confondevano con le più sobrie architetture popolari. Per Luca quelle ambientazioni erano state lo scenario perfetto, nel quale aveva potuto stimolare la sua innata curiosità per l'arte.
Appena laureato, si era trasferito nel più elegante quartiere di Chiaia, in via del Parco Margherita. In quella casa, aveva vissuto il periodo più bello della sua vita e della sua crescita professionale.
Luca e Laura, dopo pochi mesi dal loro primo incontro, avevano deciso che quella sarebbe stata la fortezza nella quale avrebbero potuto custodire i loro più intimi segreti.
Da allora, quella unione di passioni aveva preso il sopravvento anche sul profumo di mare che, in alcuni momenti della giornata, veniva trasportato dalla leggera brezza proveniente dal Golfo di Napoli.
Luca, come ogni mattina, aveva raggiunto la fermata “Università”, avvalendosi della vicina stazione della metropolitana di piazza Amedeo; riusciva, così, ad evitare il traffico che, nelle prime ore del mattino, imbrigliava tutte le principali strade della città.
Prima di entrare in ateneo, non poteva mancare la solita sosta al Gran Caffè Mexico di corso Umberto I, dove l'accoglienza del barman era sempre calorosa.
- Professò buongiorno, le preparo il solito caffè? - .
- Caro Giovanni, buongiorno a te. Oggi macchiato, grazie - .
Il barman annuì e si mise subito all'opera districandosi tra la macina-chicchi e la macchina a pressione.
Nell'attesa che gli servissero il caffè al banco, a Luca non passò inosservata la notizia che stavano comunicando al telegiornale. Si voltò in direzione del televisore, che era posizionato sulla parete alle sue spalle.
La cronista stava annunciando che, quella mattina, un addetto al servizio di sorveglianza degli scavi di Pompei aveva rinvenuto il cadavere di un uomo, riverso a terra, nella villa dei Misteri.
“......non sono, per ora, chiare le cause della morte. Sul luogo è intervenuto il nucleo investigativo dei Carabinieri, coordinato dal colonnello De Fazio. Sono tutt'ora in corso le indagini, ma si propende decisamente per un omicidio...”.
- Professò, basta ca s'accirene tra di loro e lasciano in pace la brava gente - , disse il barista che, nel frattempo aveva poggiato la tazzina sul bancone, - pigliateve o' caffè, ca se fa fridd - .
- Ti ringrazio Giovanni - .
Luca avrebbe voluto spiegare che, per combattere la malavita, non ci si sarebbe dovuti necessariamente uniformare alle regole di vita adottate nel Far West, ma che esistevano delle modalità più idonee a garantire la sicurezza delle “brave persone” di quella città. Si rendeva conto, però, che quella precisazione avrebbe scatenato l'immediata reazione dei presenti ed una sequela di racconti, molto simili a quello del cavalluccio rosso di “Così parlò Bellavista” e quindi decise di soprassedere.
Sorseggiò il suo caffè, pagò e, uscito dal bar, si avviò verso l'ateneo.
La Facoltà di Lettere e Filosofia è ubicata in via Porta di Massa. Un tempo quei luoghi erano affollati dai marinai provenienti da Massa Lubrense, che cercavano ricovero nelle modeste osterie della zona o, taluni, tra le braccia di Maria “Mondezza”. Le numerose dominazioni, susseguitesi nel tempo, avevano caratterizzato e arricchito di nuovi elementi, artistici e architettonici, l'intero quartiere.
I segni del passaggio dei marinai dominavano indisturbati da secoli, ancora visibili nei volti dei ragazzi che popolavano il chiostro di San Pietro Martire: la paura di chi deve affrontare un lungo e faticoso viaggio, la disperazione di chi si è arreso e la gioia di chi, nella nebbia, intravede la meta dei propri sogni.
Il chiostro di San Pietro Martire è il cuore dell'intero complesso universitario e vi si accede dall'ingresso principale della facoltà di Via Porta di Massa. Otto arcate per ogni lato, fanno da cornice al porticato di forma quadrangolare, dal quale è possibile raggiungere le aule e gli uffici direzionali. Al centro del chiostro, c'è una grande fontana di forma ottagonale, risalente al XVI secolo.
L'edificio, che dal 1953 ospita la sede universitaria, e la chiesa adiacente di San Pietro Martire, furono realizzate, nel XIII secolo, per opera degli Angioni e, dopo la costruzione, donate ai frati Domenicani.
Nel XVII secolo, per volontà dei frati, nacque l'accademia di San Pietro Martire, nella quale confluirono molteplici illustri intellettuali del tempo. La struttura fu utilizzata come sede monastica, fino a quando, nel XIX secolo, fu soppressa e destinata alla produzione di tabacchi, per volontà di Giuseppe Bonaparte.
Dapprima da studente e poi da docente, Luca non si era mai abituato a quegli ambienti: provava sempre la stessa emozione nel varcare quel portale d'ingresso così maestoso.
Attraversò la moltitudine di ragazzi che affollava il chiostro e raggiunse il suo ufficio.
Mattia, il suo assistente, era già lì, quasi del tutto sommerso dagli innumerevoli fascicoli ammassati sulla scrivania.
Luca, dalla sua prospettiva, faceva fatica a riconoscerlo, riuscendo a malapena ad intravedere i bizzarri occhiali e parte della sua fronte stempiata. Provava molta ammirazione per quel ragazzo di provincia che, con tenacia e determinazione, aveva raggiunto i suoi obiettivi.
Mattia era cresciuto in una famiglia molto modesta e, per permettersi di proseguire gli studi, aveva iniziato a lavorare, molto giovane, dapprima come cameriere in diverse trattorie di Napoli e poi come commesso in una bottega d'antiquariato.
Amava l'arte ed aveva sfruttato al meglio la sua spiccata intelligenza così, alla fine, aveva realizzato, il traguardo accademico che desiderava.
Era per queste caratteristiche che Luca tollerava quella sua stravagante maniera di gestire il proprio lavoro.
- Buongiorno Mattia, almeno credo sia tu dietro tutte quelle cartacce! - .
Mattia, preso dal suo lavoro, non vide entrare Luca nella stanza e, nel sentire la sua voce, fece un sussulto. Il brusco movimento fece cadere alcuni fogli sul pavimento e Mattia si ritrovò ansimante con la schiena appoggiata alla sedia.
- Pro-professore buongiorno, non l'ho vista entrare - .
- Dovresti iniziare a organizzare meglio la tua scrivania, così eviterai rimproveri e, nella peggiore delle ipotesi, inutili infarti. Ho ancora bisogno di te, ricordalo - .
- Si Professore, adesso metto subito in ordine - .
Si alzò dalla sedia e cominciò a riporre alcuni documenti in un armadietto alla destra della sua scrivania.
La stanza era minuscola e illuminata solo da un piccolo lucernario perciò, quasi sempre, era indispensabile ricorrere alla luce artificiale. C'era giusto lo spazio per due scrivanie, un armadio, un mobile basso e una sedia per gli ospiti.
Luca appoggiò il suo zaino sul mobiletto e prese posizione alla sua scrivania. Accese il computer e attese che il sistema operativo si avviasse.
- Perdiamo molto più tempo ad aspettare che questi catorci si avviino, piuttosto che utilizzarli proficuamente - , disse Luca poggiando la schiena alla sua poltrona, - ecco i potenti mezzi messi a disposizione dal Ministero - , fece una breve pausa e continuò, - Mattia, scusami, hai completato quella ricerca sulla chiesa di San Giovanni a Carbonara? - .
- Professore, è quasi finita, vorrei approfondire il contenuto di alcune fonti che sono riuscito a rinvenire solo un paio di giorni fa. Se è urgente, gliela consegno domani - .
- Non ti preoccupare, cerca, però, di completarla per l'inizio della prossima settimana. Il 21 dicembre parteciperò ad un convegno sull'arte rinascimentale napoletana che si terrà all'hotel Vesuvio - .
- Certo Professore - .
In quell'istante, risuonò nella stanza il suono del telefono interno dell'ufficio. Mattia si mise alla ricerca del cordless che trovò, dopo un po', nascosto dietro allo schermo del suo computer. Prese il telefono e rispose.
- Ufficio del professor Manfredi - .
Luca notò subito lo stupore che traspariva dal volto di Mattia
- Un attimo, le passo subito il professore - .
Mattia si avvicinò a Luca e coprì con la mano destra il microfono del telefono.
- Professore, dice di essere il colonnello De Fazio e chiede di lei - .

La telefonata del Colonnello De Fazio l'aveva colto di sorpresa: mai e poi mai avrebbe potuto immaginare di doversi ritrovare in un luogo dove, qualche ora prima, era avvenuto un terribile omicidio. Gli appariva tutto come uno scherzo e non vedeva l'ora che qualcuno uscisse, da qualche angolo nascosto, per comunicargli che era tutto un bluff.
Dalla telefonata capì, sin da subito, che il suo coinvolgimento era il segno che l'omicidio, avvenuto nella Villa dei Misteri, non avesse le caratteristiche di un agguato malavitoso; diversamente da come era stato prefigurato da Giovanni, il barista. Doveva esserci qualcosa di insolito che aveva condotto gli inquirenti a chiedere assistenza ad un docente universitario in storia dell'arte.
Il Colonnello aveva chiesto al professor Manfredi di raggiungere l'ingresso del sito archeologico di Pompei; lì, ad attenderlo, avrebbe trovato il brigadiere Saviano che lo avrebbe, poi, condotto alla Villa dei Misteri.
Alla richiesta di Luca di approfondire i dettagli di quella inconsueta richiesta, il Colonnello, rigido e risoluto, aveva risposto che “il tempo è il primo nemico delle indagini”, “ci raggiunga presto!” e aveva, così, concluso la conversazione.
La strada che porta verso l'ingresso del sito archeologico, tra i più visitati al mondo, è quasi completamente lastricata e costeggiata, da un lato, da una fitta vegetazione che fa da cornice agli scavi. L'ingresso si trova in piazza Immacolata, dove trova fine via Plinio e inizia via Roma. Al centro della piazza, su una colonna in stile corinzio, si erge la statua della vergine Maria, quasi a voler rappresentare la vittoria del Cristianesimo sul paganesimo, oppure, in una diversa interpretazione, il sincretismo dei due culti, come fondamento nella divulgazione e diffusione della Chiesa Cattolica in gran parte dell'Impero Romano.
La vergine Maria veglia indisturbata l'ingresso degli scavi di Pompei, dove migliaia di visitatori si accalcano nella speranza di ritrovare, in quelle sorprendenti vestigia, la straordinarietà dell'opera creata dall'uomo, che si contrappone alla imprevedibile potenza distruttiva della natura.
Ad attendere Luca, come era previsto, c'era un giovane carabiniere di bassa statura e con qualche chilo di troppo. Impettito, camminava lungo l'ingresso come un soldato inglese durante il cambio della Guardia a Buckingham Palace.
Luca si avvicinò al carabiniere e, con garbo, disse - Buongiorno - .
- Buongiorno - , rispose lui sospendendo la sua falcata, - come posso aiutarla? - .
- Mi scusi, sto cercando il brigadiere Saviano, dovrebbe essere qui ad attendermi - .
- Sono io il brigadiere Saviano! Immagino che lei debba essere il Professor Manfredi - , chiese il carabiniere posizionandosi di fronte a Luca.
- Esatto, lieto di fare la sua conoscenza - , Luca tese la mano al carabiniere.
- Il piacere è il mio Professore, la prego mi segua, la accompagnerò dal Colonnello De Fazio che l'attende all'ingresso della Villa dei Misteri - , voltandosi di spalle continuò, - immagino che sia pratico degli scavi, vista la considerazione che le riserva il direttore del parco. - .
Luca, per un attimo, trasalì ricordando l'ultima volta che aveva visto Roberto Fortunato. Il risultato di quell'incontro non poteva, di certo, tradursi in un risultato di stima reciproca. Avevano finito per mandarsi a quel paese e per ritrovarsi, di tanto in tanto, solo nelle circostanze dove la loro presenza era un dovere più che un piacere.
Luca rispose, non nascondendo un certo imbarazzo.
- Si, si, certo. Ho avuto il privilegio di studiare gran parte dei reperti del parco archeologico - .
Luca e il brigadiere Saviano si avviarono verso la Villa Dei Misteri.
Percorrere quei viali intrisi di storia era un viaggio nel tempo unico nel suo genere. Le espressioni di entusiasmo che si vedevano impresse sul viso dei turisti erano la prova dell'unicità delle opere che si incrociavano lungo il percorso. Luca, per quanto avesse visto migliaia di volte quei luoghi, restava sempre estasiato alla vista di quella moltitudine di reperti.
Tra le strade, le case, l'anfiteatro, il foro e i resti delle botteghe si può ancora ascoltare il mormorio delle migliaia di persone che popolavano, un tempo, le strade di Pompei, ma anche l'orrore, la paura degli ultimi attimi di vita di coloro che non riuscirono a scappare dalla devastazione dell'eruzione.
La furia incontrollabile del Vesuvio, visto dagli abitanti come un grande e fertile monte, aveva trascinato con sé la vita di molti uomini, donne e bambini, ancora visibile nei calchi ricavati durante le operazioni di scavo.
Luca era consapevole che, senza quella catastrofe, nulla sarebbe potuto resistere dalla corrosione del tempo e dalle razzie umane. La coltre infuocata aveva preservato nei secoli l'anima della città, la si poteva cogliere nei meravigliosi affreschi, che evocano racconti di vita, nei solchi delle strade a servizio dei conducenti dei carri e nell'immensità di miti e leggende che aleggiavano indisturbate da millenni.
Durante il tragitto che li avrebbe portati verso il luogo dell'incontro stabilito dal Colonnello, sul viso del brigadiere Saviano era perfettamente visibile un senso di disorientamento dovuto, perlopiù, all'imbarazzo provocato dalla mancata conoscenza di quei luoghi storici e alla, non secondaria, vicinanza del professore Manfredi che gli provocava non poca agitazione.
- Brigadiere, mi scusi - , disse Luca, - mi chiedevo se fosse già stato qui altre volte - .
- Professore, certo - , rispose il brigadiere mostrando un certo imbarazzo, - l'ultima volta che sono venuto risale a molti anni fa, una gita scolastica forse. Non ricordo - .
- Non trova che si respiri un'aria diversa qui, come se il tempo fosse più lento? - .
- Si professore, è incredibile come sia rimasto tutto così intatto per tutti questi secoli - .
- Deve sapere che devo molto a questo posto. Anche, io come lei, sono venuto per la prima volta da piccolo. Ricordo che venivo in compagnia di mio padre, ed è stato grazie a quei momenti che ho potuto approfondire la mia passione per la storia e apprezzare la bellezza dell'arte” disse Luca immerso in quei ricordi, - ritornare è sempre un'emozione nuova, non si è mai preparati alla potenza che si percepisce. Ha proprio ragione quando afferma che è incredibile come sia rimasto tutto così intatto - .
Arrivati in prossimità della Villa, il professor Manfredi cominciò ad impensierirsi e il suo volto mutò notevolmente. Non sapeva cosa aspettarsi e, rivolgendosi al brigadiere, chiese.
- Lei sa qual è il vero motivo della mia convocazione? - .
- Mi dispiace professore, ma non sono autorizzato a darle questo tipo di informazioni - , rispose il brigadiere che si fermò di colpo e, guardando in direzione della Villa, proseguì - guardi, proprio lì, di fronte a noi, c'è il Colonnello De Fazio. Potrà avere le informazioni direttamente da lui - .
Il Colonnello De Fazio era un uomo sulla cinquantina, molto alto; la carnagione del viso era scura e sotto al berretto spuntavano capelli di colore nero intenso, quasi fossero tinti.
Era fermo, indossava la divisa nera di ordinanza e si trovava in prossimità della strada di accesso alla villa dei Misteri, aveva lo sguardo, serio ed immobile, puntato in direzione di Luca e del brigadiere e le mani incrociate dietro la schiena.
Quando furono vicini, Luca avvertì la rigidità e la riverenza con la quale il brigadiere si posizionò di fronte al suo colonnello, mostrando il saluto militare. Il colonnello ricambiò il saluto e subito voltò lo sguardo verso il professore.
Luca capì subito che il colonnello doveva appartenere alla corrente più tradizionalista, ligia alle regole militari e all'importanza della gerarchia.
- Buongiorno - , disse il colonnello allungando la mano, - sono Antonio De Fazio, capo del Nucleo Investigativo di Napoli, piacere di conoscerla professore - .
Luca avvertì tutta la forza della stretta energica della mano del colonnello, - il piacere è il mio - , rispose mentre con lo sguardo puntava in direzione dell'ingresso della villa dei Misteri, - perdonerà il mio imbarazzo, ma non sono solito trovarmi in questo tipo di situazioni. Non so nemmeno in che cosa potrei esservi utile - .
- Professore mi segua, è il caso di parlarne all'interno della villa. Capirà da solo - .

Raffaele Tralice

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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