I segreti di Villa Baxter
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L'ispettore Larry Langman stava salendo con lentezza le scale che dal seminterrato portavano nel salone dove tutti gli ispettori avevano le scrivanie. Aveva trascorso quella notte cercando di risolvere uno di quegli omicidi insoluti che venivano archiviati in quel buco, certi che le prove raccolte e le deposizioni sarebbero cadute nel dimenticatoio nel giro di pochi anni. Larry lo faceva spesso, perché non sopportava che a Londra, nella sua città, circolassero assassini. Che restavano impuniti solo per l'incapacità di qualche suo collega zelante. Zelante nell'archiviare il caso, ma non nello scoprire il colpevole, come aveva più volte constatato. L'ispettore era un bell'uomo di trentadue anni con i capelli neri, ma non aveva mai avuto relazioni serie. Superate le postazioni dei suoi colleghi, in quell'ampio spazio aperto, giunse presso la sua scrivania. Si lasciò cadere sulla poltroncina sdrucita e alzò lo sguardo verso l'orologio appeso al muro. Decise che aveva già lavorato abbastanza. Si alzò e si diresse verso lo spogliatoio, dove gli agenti si cambiavano e si lavavano. A volte. Nel suo armadietto conservava sempre abiti di ricambio, dato che il suo appartamento era distante dalla stazione di polizia e raggiungerlo gli avrebbe fatto perdere un sacco di tempo. In quel mentre entrò il sergente Nicholas Willoby, che alzò una mano in segno di saluto. Larry gli fece cenno di avvicinarsi. – Nick – sussurrò – ho risolto il caso Gleeson. Willoby aggrottò la fronte, nel tentativo di ricordare. – Parla dell'omicidio della proprietaria dello stabile in Elisworth Street? – Proprio quello, seguimi che ti spiego. I due entrarono nello spogliatoio e Larry iniziò a svestirsi. – Il colpevole è Ezra Welter, il titolare del negozio di fiori sottostante, che la signora Gleeson aveva deciso di sfrattare. Ho dovuto rileggermi tutte le deposizioni, ma incrociandole ho scoperto come ha fatto. Ho lasciato una nota sul tavolo dabbasso che dimostra la sua colpevolezza: manda qualcuno a recuperarla e provvedi a far arrestare quel delinquente. – Complimenti, signore – Willoby si allontanò di corsa per impartire le necessarie istruzioni agli agenti. Ogni volta che il suo amico risolveva un caso, Nicholas era felice anche se non vi aveva contribuito. Non essendo portato per lo studio, sapeva che non avrebbe mai oltrepassato il grado di sergente, ma a lui andava bene così. Gli piaceva aiutarlo, essere la sua spalla. Lo stimava molto, anche più di quanto Larry stimasse se stesso. Poco dopo l'ispettore uscì dallo spogliatoio rimesso a nuovo. Quasi. Chiuse gli occhi, cercando di valutare le opzioni. – Sono stanchissimo – si rivolse a Nicholas – prenderò la mattinata di permesso e andrò a fare acquisti in centro. – Il comandante Price ha chiesto di lei, signore. Larry prese cappotto, sciarpa e cappello, necessari nei primi giorni d'autunno per via dell'umidità, e si diresse verso l'ufficio del suo capo. Appena lo vide, l'espressione scura del suo volto non gli preannunciò nulla di buono. Capì che c'era un nuovo caso, ma in quel momento non ne aveva proprio voglia. Pensò in fretta a qualche scusa credibile. Ne scartò una dozzina, già utilizzate, e gliene rimasero solo un paio. Bastavano. – Langman, le devo assegnare un caso della massima importanza. Mi ha chiamato il Commissario Montfort, che ha già mandato tre squadre sul posto. Attendono solo lei per iniziare le indagini. – Signore, di solito non mi tiro indietro, ma ho risolto tre casi questa settimana e un altro questa notte. Sono in piedi da trenta ore e non ho la lucidità sufficiente per occuparmi di altro. Se l'ispettore Maynard – Larry si sporse e sbirciò attraverso la porta aperta che l'uomo fosse al suo posto – andasse a raccogliere le prime informazioni, credo che nel pomeriggio potrei raggiungerlo e insieme poi... Price lo interruppe. – Non vuole sapere il nome della vittima? Larry aveva la sensazione che se l'avesse saputo avrebbe accettato il caso nonostante si sentisse a pezzi. Se si era mosso il Commissario, si trattava di una persona importante. Un nobile sicuramente. C'erano già ben tre squadre di agenti in moto, quindi la casa era grande. La curiosità stava vincendo le ultime difese dell'ispettore, che appoggiò il cappotto e si sedette. – Ha fatto bene a sedersi, Langman – Price abbassò il tono della voce. – Hanno assassinato Lady Spencerton! Per Larry quel nome ebbe lo stesso effetto di un pugno nello stomaco. – Gladys? Non è possibile... non Gladys! – Larry si mise le mani nei capelli. Il cappello cadde a terra. – Mi dispiace, Langman, so che la conosceva. Larry scosse la testa. – L'ho conosciuta in gioventù, molti anni prima che sposasse Lord Spencerton e diventasse una contessa. Siamo coetanei e abbiamo frequentato lo stesso istituto. – La questione è delicata, lei è l'unico che può venirne a capo rapidamente. Montfort mi ha dato due giorni di tempo. Vuole che il caso sia risolto prima che i giornali si impadroniscano della notizia. – Non si può decidere a tavolino – Larry aggrottò la fronte – potrebbero volerci settimane. – Lei ce la può fare, Langman. Lo sappiamo entrambi. Lo faccia in memoria di Milady. Larry indurì lo sguardo. Poi si alzò di colpo, le palpebre a mezz'asta. La stanchezza era svanita, il corpo invaso da una scarica di adrenalina. Raccolse il cappello da terra, si infilò il cappotto al volo e uscì di corsa. Localizzò con gli occhi il sergente e urlò: – Nicholas, prendi il nécessaire e andiamo! Il nécessaire a cui si riferiva Larry era una piccola valigia dagli angoli esterni rinforzati con spessori in ottone. Al suo interno c'erano diversi scomparti, ma al posto di creme, polveri cosmetiche o profumi, Larry aveva sistemato barattoli per conservare le prove, pinze e spatole per raccoglierle, acidi e liquidi di vario tipo, corde, siringhe e anche carta e inchiostro, oltre a grimaldelli e attrezzi vari. Tutto quello, insomma, che poteva servire in un'indagine accurata. Erano i suoi ferri del mestiere, che periodicamente venivano sostituiti o integrati in base alle nuove scoperte. Come la polverina che permetteva di rivelare le impronte digitali e il nastro adesivo trasparente su cui poi venivano trasferite. Willoby era avvezzo a quel tipo di richiamo. Afferrò la valigia e lo seguì in strada, dove alcune carrozze della polizia erano sempre pronte a partire. Salirono su quella più vicina. Larry disse al cocchiere di andare a Villa Baxter. – Cocchiere, rallenta – Larry si rivolse all'agente che guidava la carrozza. – Lady Spencerton non ha fretta di incontrarmi. – Sì, ispettore. L'uomo alla guida del veicolo conosceva l'ispettore e da tempo aveva cessato di obiettare a quella richiesta. Larry prese una bottiglietta di metallo piatta da una tasca interna del cappotto e bevve un sorso. Non ne offrì a Willoby, che si guardò bene dal farglielo notare. Nessuno sapeva che liquido contenesse. Poteva trattarsi di Whisky scozzese, di pregiato Madeira oppure di Porto. Nicholas pensò che, dato che l'aveva visto bere spesso di mattina, poteva essere anche solo tè freddo. Per diversi minuti nella carrozza regnò il silenzio, rotto solo dagli zoccoli dei cavalli che colpivano il selciato. Il viso affranto di Larry rattristò anche il sergente. Il suo carattere irlandese gli diede il coraggio di affrontare l'argomento. – Ho sentito le parole del comandante, signore. Conosceva davvero la Contessa Spencerton? Larry annuì d'istinto. Poi scosse la testa come a pentirsi di quell'ammissione. – Non posso affermare di conoscerla, siamo solo stati nello stesso istituto per dieci mesi. Avevamo entrambi diciassette anni, si trattava del Redwood College. – Ne ho sentito parlare. Insegnano ai ragazzi di buona famiglia come comportarsi in società. Non immaginavo ci fosse stato pure lei. Larry annuì. – Mio padre era medico presso il Charing Cross Hospital, e lì aveva conosciuto mia madre Theresa, che faceva l'infermiera. Entrambi erano ben consci delle difficoltà e dei problemi del settore sanitario e desideravano che mio fratello ed io facessimo un mestiere diverso. Mia madre, in particolare, sperava che io entrassi nel corpo diplomatico e mi aveva iscritto in quell'istituto, dove frequentavo corsi di buone maniere, etichetta, oratoria e scrittura formale. È stato lì che ho incontrato Gladys Baxter. La ragazza più bella che avessi mai visto. Non ne avevo viste molte, ma bastava guardare le sue compagne per capire che lei era speciale. Sapeva comportarsi già da gran dama quando le altre incespicavano e balbettavano. Era la prima in qualsiasi corso. – Non sapevo che quello fosse un istituto misto. – I corsi erano separati, ma ce n'erano alcuni in cui insegnavano a comportarsi con decoro con l'altro sesso. Per il resto, tra ragazzi e ragazze si poteva scambiare qualche parola solo nelle ore di ricreazione e in quelle di studio in biblioteca. Tutti i miei compagni la adoravano da lontano; nessuno aveva il coraggio di parlare con lei. Quando la guardavo mi sorrideva sempre, ma se io mi avvicinavo lei si allontanava. Allora pensai fosse estremamente timida e mi accontentai degli sguardi a distanza e dei sorrisi. – A diciassette anni non si può fare altro. – Un giorno trovai un libro che le interessava. Non l'aveva visto perché era su un ripiano molto alto e lei non ci arrivava. Avevo pensato di portarglielo per avere l'occasione di parlarle e farmi conoscere meglio. Gladys era seduta in uno dei tavoli della sala di lettura con un'amica di nome Ethel; io ero nascosto da una scaffalatura. Aspettavo che l'amica se ne andasse per poter stare da solo con lei, e nel frattempo le osservavo attraverso gli spazi tra i volumi. A un certo punto hanno iniziato a parlare e io, involontariamente, ho sentito tutto.
Daniele Missiroli
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