I santi non esistono e gli eroi son tutti morti
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Mi chiamano Dax, non ho storie da raccontare, se ne avessi una dovrei ammettere che qualcosa è andato storto. La vita si può affrontare in tre modi: cercando di fare le cose bene, e si può sempre comunque fare meglio, farle male, e per quello ci vuole poco, o decidere di non fare niente. L'ultima è la scelta più comoda, per togliersi di dosso la paura di sbagliare basta lavarsi le mani e aspettare che qualcuno pensi a tutto per te. Ma io non sono mai stato così e forse è per questo che ho passato tanti guai. Sono stato in galera, nei manicomi criminali e ho lottato per strada con i peggiori soggetti, guadagnando il loro rispetto senza condividerne la vita. Sono sopravvissuto, uscendone a testa alta, almeno in parte, se consideriamo un successo riuscire a guardarsi allo specchio la mattina appena alzato. Perché io sia sprofondato nell'inferno dei reietti di questo mondo è una storia che non voglio raccontare, qui non ha importanza. Preferisco cercare di alleggerirmi la coscienza, la fedina penale resterà pesante in eterno ma, aiutando alcuni amici a migliorare la loro vita, ho compilato una lista di persone che mi hanno sostenuto nei momenti difficili e ho fatto qualcosa per ringraziarli in qualche modo. Perché loro e non qualche donna? Gli amori passano, gli amici restano. Ho scoperto che quelli veri non li conosci necessariamente da più anni, mi sono speso maggiormente per due persone che ho incontrato per caso e in tempi recenti. Domenico e Giulia: un alcolizzato distrutto dalla vita e una prostituta costretta a guadagnare per la sua famiglia. I fatti hanno dimostrato che sono loro due i più legati al mio ricordo, si sono rifatti una vita e questo è il regalo più grande che potessero farmi. Per troppo tempo ho avuto dei rospi in gola da vomitare, potevo continuare a farli uscire con rabbia e ribellione verso tutto e tutti, ma ho scelto infine di darmi pace. Quando esci dalla reclusione non sei mai migliore di prima ed è difficile che ti riesca qualcosa di buono, devi cercare di cambiare. Io ci ho provato, pur senza ottenere chissà quali enormi risultati: sono ancora ricercato dalla Polizia, ho una fedina penale lunga tre pagine e qualche annetto ancora da scontare in qualche cesso detentivo che loro chiamano, senza vergogna, rieducativo. Perché una volta fuori non ho messo la testa a posto? Ogni tentativo è stato rifiutato da questo mondo. Non mi crede nessuno, lo so, sono stato chiamato delirante, falsa vittima, delinquente pazzo e soggetto pericoloso. Per me vale un solo termine, che appartiene a tanti altri come me, a chi non si riconosce più in questa realtà: disadattato. Ed è tempo di partire, sto già facendo le prove di volo per un viaggio lontano e definitivo verso un sole chiamato serenità, dove la vita sarà più semplice e nessuno chiederà conto di niente, senza la paura di incrociare una volante o un posto di blocco dei Carabinieri. Sto preparandomi per andare in Ecuador e passare il resto dei miei giorni godendomi i due soldi messi da parte con le palle al sole. Lascio l'Italia e tutto quello che avevo e che avrei potuto costruire, vite come la mia non sono un orto che ti permette di raccogliere i frutti che vuoi. Sono Dax, un rifiuto di questa società, a cui io volevo tanto bene. Peccato.
Tra le quattro mura dell'appartamento, piccolo e mansardato al sesto piano della vecchia palazzina, Antonella scuoteva testa e corpo al ritmo rimbombato dei Cavalera Conspiracy: lo stereo pompava tanto forte che sembrava che suonassero lì dentro dal vivo. Riordinava la baraonda di abiti che aveva in casa, seminati ovunque, tra divano, sedie fino in cucina, costretta ad un riassetto che non le apparteneva, di cui nemmeno aveva voglia, dettato dall'esigenza di potersi muovere nella casa. Tirò su i jeans larghi e lisi, sistemò indietro i capelli lunghi e raggruppò tutti i flaconi di bagnoschiuma, creme cosmetiche e olii per la pelle nel piatto doccia, ben sapendo che li avrebbe buttati distrattamente fuori alla prima occasione, e cercò di fare una cernita dei vestiti da indossare da quelli messi più volte, l'odore di fumo di sigaretta e di cibo a cui erano stati esposti, sia in casa che nei locali che frequentava a ogni invito degli amici, obbligava a fare distinzioni. Quelli della sera prima, in particolare, li aveva nella birreria irlandese in cui si erano infilati, il padrone aveva avuto la brillante iniziativa di offrire a tutti piatti a base di cavolo e, letteralmente, col cavolo che poteva rindossarli. Senza contare i capelli, che ormai si stavano annodando, odorando anche loro di pub. Lavatrice? Per forza! E a breve anche una doccia. Così organizzata Antonella si sentiva la perfetta donna di casa che però, senza ritmo di musica e una birra sua compagna di lavoro, non avrebbe potuto impersonare al meglio. C'era la birra e la musica, dunque, e la maglia che scopriva una spalla non dava troppo fastidio. Era un appartamento piccolo, quasi un monolocale, se non fosse stato per la cucina abitabile, che poteva permettersi grazie a sua sorella Giulia. Con la pensione di invalidità pagava parte del resto: cibo, generi di conforto e trasporti. Finalmente una casa. Sì, prima di dimettersi dalla comunità aveva accettato: - Datemi questa fottuta pensione di invalidità. Se non perché sono invalida sul serio, almeno per gli anni e le opportunità che mi avete fatto perdere. - D'altronde si sa, da una comunità psichiatrica è più facile ottenere il via libera per una pensione, se fosse vissuta a casa sua non gliel'avrebbero mai concessa. Il rifiuto iniziale si era trasformato nella voglia di dimettersi per rifarsi una vita nel mondo esterno, che l'aveva ripudiata, per il quale bramava sempre di più voglia di riscatto. - Borderline - dicevano i medici che l'avevano visitata, - Bipolare a un livello difficilmente controllabile. - La famiglia aveva dato peso a qualche urlo risuonato nei litigi, ai posaceneri lanciati per rabbia durante i loro contrasti. Antonella non conosceva una vita regolare, aveva provato droghe, ogni tanto bevuto forte, ma cosa c'era di così male, in fondo? Era giovane, voleva divertirsi e non faceva niente di diverso dagli altri. E invece le avevano dato della pazza ed era finita in una comunità terapeutica, psichiatrica, ma non solo: c'erano ex tossici, gente in misura di sicurezza e svariate altre forme di soggetti a cui non era permesso di circolare liberamente. Quella comunità era una tortura, aveva accettato perché credeva di finire in un posto tranquillo, dove stare in pace e magari trovare un nuovo modo per fare qualcosa senza dare pensieri, facendo stare tranquilli i genitori in un ambiente sereno e produttivo. Invece era una gabbia, si doveva chiedere il permesso anche per pisciare, era tutto sporco e mal gestito, un posto in culo al mondo da cui non si poteva raggiungere facilmente la civiltà conosciuta e, pertanto, isolava da tutto, da tutti, dal mondo reale. E per quanto riguardava il reinserimento lavorativo... col cazzo! Il titolare della comunità, con i suoi prestanomi, gestiva delle cooperative che prendevano soldi dalla Regione e dai Comuni di appartenenza per lavoretti, inquadrati come tirocinio formativo, dove mandavano i pazienti per pochi spiccioli. Oltre lo sfruttamento, per ciascuno di essi era previsto un versamento dai cinquemila ai settemila euro al mese per il fantomatico reinserimento. Insomma, ci guadagnavano due volte, anche tre, e alle spalle di chi soffre. Antonella non sopportava di essere merce di scambio, lavorativa o meno che fosse, ottenendo solo assenze di libertà, serenità e gioia. Ma le cose erano cambiate ed era arrivata la felicità: una casa sua, da poter gestire, nell'ordine o nel casino. Certo, non aveva ancora un lavoro per mantenersi dignitosamente, con cui pagarsi tutto il bene che cercava nella vita... forse qualcuno poteva dire di averlo? Ci vuole tempo, pensava. - Io ho iniziato a lavorare seriamente a trent'anni. Il bello è arrivato dopo, ci vuole pazienza - le aveva confidato una tizia al bar la sera prima. Forse era davvero così. Ah, ecco, il bar: aveva un conto da pagare, oggi era meglio non andarci. Si grattò un polpaccio con l'altro piede, dovevano ancora arrivarle i soldi della sorella ma pensò comunque che fosse normale. Il CD dei Cavalera Conspiracy era terminato, andò su YouTube cercando un qualsiasi gruppo di southern rock, le capitarono i Lynyrd Skynyrd. - Ottima scelta - pensò. Musica vecchia, di altre generazioni ma a lei ogni tanto piaceva, così allegra e malinconica allo stesso tempo, un po' come sua sorella. Già, Giulia... l'aveva tirata fuori dalla comunità, dopo tanti anni in cui si era sacrificata per pagarle la retta, dicendo che aveva capito che non poteva farla felice lasciandola lì. Si sorprese a chiedersi come mai quel cambiamento repentino di idee: d'altronde, era la stessa Giulia che ce l'aveva mandata assieme ai genitori anni prima. A ben pensarci, era la prima volta che se lo chiedeva, analizzando le parole della sorella maggiore che dicevano tutto e il contrario di tutto. Nessun richiamo alla vera ragione, giusto un accenno a “momenti che ti cambiano la vita”, già sentiti e risentiti da mille bocche, e al fatto che “non sbagliare non vuol dire essere felici”. Queste ultime erano le parole che le disse in auto quando la venne a prendere alla trattoria vicina alla comunità, il giorno della liberazione, quando incontrò quel tipo strano che le fece un altrettanto strano effetto... Le ragioni di quel cambio di atteggiamento... si promise di approfondire mentre guardava i pavimenti lerci, pensando se dovesse prima togliere i fiocchi di polvere che danzavano a ogni suo passaggio o investirli con il mocio una volta e via. Quanti giorni mancavano al versamento di soldi della sorella? Ignorò la polvere e gettò sul divano letto, sempre aperto e con le lenzuola perennemente sfatte, e raccolse il cellulare dal tavolino impolverato che usava come comò. Soffiò sulla neve grigiastra appiccicata all'apparecchio, come si soffia sui fiori di tarassaco sfioriti e pieni di polline lanuginoso, e guardò la data: ventisei. Ancora due giorni per trovare sulla sua nuova carta ricaricabile la somma a disposizione per il suo sostentamento. Due giorni... Sembravano pochi, ma potevano anche essere troppi. Si diresse veloce in cucina, chiedendo mentalmente al frigo - Ehi, come sei messo? - per sentirsi rispondere - Da schifo, peggio per te - dal triste vuoto. Un vasetto di senape piangeva orfano la sua solitudine in quel vasto spazio desolato e faceva abbastanza pena vederla così. - Cazzola! - sussurrò lei - Due giorni mica ce li faccio, così - . Chiuse il frigo, si fermò a pensare fissando l'acchiappasogni appeso alla parete di fronte, un'altra grattatina al polpaccio con il piede destro, a tutte le possibilità a disposizione. Si morse anche il mignolo sinistro, in segno di forte perplessità. - Marcello? No, mi invita a cena ma vuole scopare per forza, e io non so se ne ho voglia. Cristina? Peggio che mai, mi chiede soldi lei. Arrigo? Bravo ragazzo, ma che noia... Il Trani degli operai qui di fianco? Sì, per un pasto a credito va bene, ma per gli altri? - Chinò il capo rimettendosi svogliata a riordinare indumenti a casaccio, spostando e rispostando cose, finanche passando vicino al piccolo scaffale in cui teneva, preziosamente custodito e nascosto, un piccolo ciuffo di marijuana sopravvissuto a una delle sere precedenti. Rifletté se consumarlo o meno, una parte di lei osservò che poi avrebbe avuto più fame e niente con cui saziarla. Tirò un sospiro con il mignolo in bocca e quasi si arrese al pensiero di dover chiamare la sorella. - Aspetta, posso venderlo a Geppo! - le venne in mente, sbuffando i capelli con le mani, e pensando al ciuffetto invitante si rianimò. Lo guardò, ne valutò peso e quantità e decise che sì, poteva far comodo. Afferrò risoluta il telefono e compose il numero. - Geppo, ciao! Lo fai un salto da me? - disse con voce allusiva. - Ah... è importante? Se no, sai, ho da lavorare. - La conversazione al telefono era ridotta al necessario o decisamente allegorica. Antonella disse: - Ho del vino buono, ma a me non serve. Magari lo vuoi tu per stapparlo con un'amica... Però vieni subito, altrimenti lo regalo a qualcun altro. - che significava - Ho della roba, ma non la fumo. La vuoi? - Geppo rispose: - Ah okay, posso tra venti minuti. Però poi devo scappare... - - Tranquillo - cinguettò Antonella - se ti piace te lo do, se no amen - Ovvero: valuta tu, o così o niente. Il bello di essere donne, pensò lei sorridendo, è che non ti dicono mai di no. Quale sia il motivo, ti danno più corda che se fossi maschio. Hanno un bel dire le femministe, se sei carina e civetti il giusto riesci ad ottenere quanto meno ascolto, anche per una cazzata, alla faccia delle benpensanti politically correct. Scacciò subito quel pensiero infastidito per concentrarsi sulla vendita della gangia, una stronzata da venti o trenta euro, poca roba ma era sempre meglio averli in tasca che non averli. - Che poi se voglio farmi una fumata trovo sempre qualcuno che offre, perciò a posto così per questi due giorni e sempre meglio che subirmi l'interrogatorio di Giulia, se posso evitarlo mi stresso meno. - Guardò il pavimento ancora polveroso, gli abiti ancora sparsi in giro, per quanto li avesse spostati ovunque e quindi da nessuna parte. Sospirò, pensando che fosse ora di far andare una lavatrice: i momenti di difficoltà riportano spesso alla razionalità.
Dario Villasanta
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