Sotto il cielo di Roma è un titolo perfetto. Raccoglie sette vitalissimi racconti che condividono lo sfondo eccezionale di una città piena di difetti ma senza eguali. In modo altrettanto perfetto, la raccolta avrebbe potuto intitolarsi Sotto il cielo, perché ogni racconto, pur essendo inserito con precisione nella realtà di Roma, ha in sé quelle caratteristiche umane che lo rendono universale. Se da una parte, infatti, l'utilizzo del dialetto romanesco dà colore ai dialoghi e ne circoscrive l'ambito, dall'altra i fatti narrati in ognuno dei testi hanno il battito della vita: la si riconosce ovunque. Tra le realtà che i racconti toccano – alcune tremende e basta, come lo stupro, il razzismo, la droga; altre tremende, sì, ma con tocchi di levità, quali le sfumature nella relazione tra uomo e donna, tra madre e figlia, tra sorelle –, spiccano a mio parere la venatura di ironia, a volte amara, spruzzata sul re dei sentimenti, l'amore; l'attenzione verso la vecchiaia; e quel caratteristico atteggiamento umano volto a modificare l'ordine delle cose, credendo di fare del bene. Riguardo a quest'ultimo, nel racconto “La Banda dei Fuochi” una madre cerca in tutti modi di sottrarre la figlia al degrado criminale in cui versa la borgata dove vivono. Nel fare questo, però, nonostante ogni azione sia dettata dall'amore, la donna mette in moto una spirale dai risvolti inaspettati. Cosa altro è, in fondo, tutto questo, se non lo spirito tragico cui ci hanno abituato i Greci? L'uomo che vortica su sé stesso cercando di sfuggire a un destino che lo spezzerà in ogni caso. Il tema della vecchiaia: il tema è sfiorato nel primo racconto, “Chloé”, ed è protagonista del quinto, “La scelta”. Una realtà con cui sempre più il mondo occidentale si trova a fare i conti è la necessità di qualcuno che si occupi della quotidianità dei nostri vecchi. Proprio attraverso la figura della “badante”, in primo piano in entrambi i racconti, l'Autrice ci mette in contatto ravvicinato con il pathos della vecchiaia. Esso è tessuto di piccole, innocenti ossessioni, come la ricerca frenetica di naftalina da parte dell'anziana Mina, e allo stesso tempo del desiderio di morte – causato dalla solitudine e dal senso di inutilità –, come nel caso del vecchio generale Adolfo. I due racconti, nella loro differente finalità, compongono un quadro coerente e completo di una fragilità che fatichiamo ad accettare, o addirittura neghiamo. E, infine, l'amore: la raccolta trabocca di amore, declinato in ogni suo aspetto. Ma la penna dell'Autrice riesce ogni volta a evidenziarne quegli aspetti pungenti che ne mitigano l'eccessiva dolcezza: ciò è evidente nell'ironico finale del “Trattore”, nella scelta coraggiosa di “Io e mia sorella”, nel tripudio di amore verso sé stessi de “La cassetta di sicurezza”, nel tenerissimo brivido di sollievo che oltrepassa ogni desolazione ne “Le culotte de cheval”. Sotto il cielo, senza sosta, la Vita continua a declinarsi e a brillare attraverso lo sguardo empatico e ricettivo della nostra Autrice. Ippolita Avanzini
La Banda dei fuochi
Quella notte la borgata pareva un disegno a carboncino: la luce fioca dei lampioni illuminava il manto venoso, a tratti sollevato dalle radici dei pini, lasciando in penombra le facciate fatiscenti dei palazzi. Spinta dal vento, una vecchia imposta urtava contro i graffiti che imbrattavano la parete scrostata di fianco. Una raffica di colpi fece sobbalzare il gatto accovacciato sul cofano di una Smart e un coro di ululati si levò dalle case. A una a una, come candele soffocate, si spensero le luci. Tra i palazzi silenziosi, la stanza di Mia restò l'unica a brillare. Con gli occhi acquerellati e il naso sul vetro, la ragazza guardava rapita la giostra di colori. - Mamma, nonna, venite a vedere i fuochi! - - Lascia in pace la nonna che ha mal di testa - , rispose Ambra dalla camera accanto. - Okay! Tu sbrigati, però, mamma! - Ambra si sorprese a sorridere: quella vocina era capace di esorcizzare i demoni del passato che i fuochi rievocavano. - Wow! Stelle d'argento e d'oro sono arrivate in alto in alto e poi giù, come una fontana! - - Mmmh, saranno state bellissime - , rispose la madre uscendo dalla camera, “era da un po' che mancavano gli Allucinogeni”. Mia la vide arrivare e le corse incontro. - Quante volte ti ho ripetuto che durante i fuochi devi spegnere le luci? - disse Ambra premendo l'interruttore. - Uffa! Ma perché? - - Perché lo dico io. - - Va bene, non ti arrabbiare. Vieni qui, dai - , replicò la ragazza, trascinando la madre alla finestra. Mia ammirava il cielo fiorire, Ambra lo stupore sulle sue labbra; aprì la vestaglia e le coprì le spalle minute. - Solo per cinque minuti, però. Domani devo svegliarmi presto. - Mia annuì. - Perché i primi che lanciano fanno solo rumore? - La donna eluse la domanda: non poteva certo dirle che la Banda usava i petardi per attirare l'attenzione prima di abbinare gli effetti coreografici alle sostanze. Poco dopo uscì dalla stanza e Mia corse a riaccendere la luce. La madre non si fece attendere. Abbassò la tapparella e urlò: - Non mi ascolti mai. Ti comporti come una bambina: hai dodici anni e ancora fai i dispetti! - A passi veloci si avviò verso la sua stanza. Mia si fermò sulla soglia. - Sei sempre nervosa... mica è colpa mia se papà se n'è andato, eh. Perché te la prendi con me? - - Ma finiscila, cosa c'entra papà? - La ragazza sbatté la porta della cameretta e si buttò sul letto. La madre sospirò. “Hai ragione, tesoro: ultimamente sono intrattabile. Non bastava tuo padre...” La recente separazione da Marco, il padre di Mia, aveva segnato la sua vita, ma ciò che più la rendeva inquieta era il ricordo ossessivo del brutto episodio vissuto con Angelo: il ragazzo esile e occhialuto del piano di sopra, che, nonostante i suoi consigli, si era dissociato dal clima omertoso della borgata e ne aveva pagato le conseguenze. Il mese prima, Angelo aveva deciso di manifestare il suo dissenso rimanendo affacciato alla finestra, mentre la banda era intenta a spacciare. La sentinella che presidiava l'entrata del portone di fronte aveva fischiato per richiamare la sua attenzione. - A quattrocchi, butta ‘sta sigaretta e vattene a dormì. - - Stai dicendo sul serio? - - Te pare che sto a ride? Quanno lavoramo dentro ‘sti palazzi, in finestra nun ce poi stà. - - A casa mia faccio quello che voglio. - L'uomo si era allontanato, per poi tornare con un sasso. - Si nun spegni ‘a luce e chiudi ‘sta cazzo de finestra, te ‘o tiro ‘n fronte. - - Non finisce qui... - aveva risposto Angelo, mentre tirava giù la tapparella. Il giorno dopo, il ragazzo si era confidato con Ambra. - Se vuoi vivere tranquillo devi obbedire - , aveva risposto lei, senza battere ciglio. - Ma ti senti? Sei come gli altri. Avessimo a che fare con la camorra ti capirei, ma questi sono quattro delinquenti che vogliono fare i padroni in casa nostra. - - Tu non sai di cosa parli: questa borgata è diventata una delle piazze di spaccio più importanti di Roma. - - Grazie agli omertosi come voi, - aveva ribattuto lui, - la Banda dei Fuochi... solo qui si vedono ‘ste cose. - - Ti sbagli, è una pratica diffusa in città. Comunque, loro garantiscono la privacy ai clienti e se tu... - - Se io, cosa? Io a questi li denuncio, altro che privacy. - Così era stato: alla prima occasione, la Squadra mobile e le unità cinofile avevano effettuato un blitz, ma i trafficanti si erano dileguati attraverso vie di fuga e abitazioni di persone compiacenti. La mattina successiva, Ambra e Angelo si erano incontrati nel garage sotterraneo. - Hai visto ieri notte che spiegamento di forze? - aveva chiesto lui, mentre apriva la porta basculante del box. - Dormivo, ma mi hanno raccontato. Occhio, che qui ci sono talpe ovunque. - Il rombo assordante di una Ducati echeggiò nei sotterranei. Il tempo d'indietreggiare e la moto aveva già inchiodato davanti ai loro piedi; ne erano scesi due uomini con caschi integrali sul capo. Il più nerboruto aveva estratto una pistola e intimato loro di entrare nel box. - Tu devi stà ‘ncollata a me. Muta - , aveva detto ad Ambra l'altro criminale. Teschi, cuori e filo spinato ricoprivano i bicipiti, anelli d'argento e pietre nere le mani ciclopiche. Intanto, il primo spintonava Angelo. - Accènni ‘a luce e chiudi ‘sta porta, ‘nfame! - - Che vuoi da me? Mi stai scambiando per qualcun altro... - biascicava tremante il ragazzo. L'energumeno aveva preso un paio di cesoie dalla tasca del gilet e avvicinato la bocca al suo orecchio. - Allora, si me fai vedé co' quale dito hai telefonato ai caramba, te tajo solo quello; s'invece conti-nui a fà ‘o gnorri, te tajo tutti li diti. Decidi tu! - Vedendo Ambra annuire in modo convulso, Angelo aveva sollevato l'indice, ma all'avvicinarsi delle lame lo aveva ritratto, lasciandosi cadere in ginocchio. - Ah, allora nun se semo capiti: io te manno in giro monco. Nun sto mica a scherzà, eh! - aveva urlato l'uomo, calciando le mani giunte di Angelo. Il ragazzo chiedeva tempo, mentre l'orina gli colava tra le cosce. - C'hai cinque secondi a partì da adesso - , aveva detto l'energumeno afferrandogli il braccio. - Quattro, tre, due... - senza premurarsi di concludere il conto alla rovescia, aveva stretto i manici delle cesoie. Tra le grida di Angelo e i conati di Ambra, i due si erano dileguati con la stessa rapidità con cui erano arrivati. I soccorritori li avevano trovati uno seduto accanto all'altra: lei in reggiseno, lui in canotta, imbrattato di sangue e orina. Sul moncone, le loro camicie. Quell'odore nauseabondo di ferro e ammoniaca, Ambra lo sentiva ancora sulla pelle e pareva non avesse nessuna intenzione di andarsene. Segue...
Sira Fonzi
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