“Storie di orrori, amori, fantasmi, folletti.
“Memoria replicante”
I più preparati studiosi di cibernetica fanno risalire l'inizio dei fatti alla seconda metà del XXI secolo, quando Olaf Jensen trovò la testa, la mia testa.
Ma per raccontarvi meglio questa storia, devo fare un passo indietro di qualche anno. Nel 2025 gli sviluppi della cibernetica arrivarono a livelli tali che tutti i precedenti brevetti dei modelli di robot, che fino ai primi anni del XXI secolo erano considerati all'avanguardia, vennero venduti in blocco alla CyEn CyberEntertainment srl, un'azienda di giocattoli e di elettrodomestici intelligenti.
La CyEn scartò la maggior parte dei progetti, considerandoli ormai sorpassati, tenendone solo tre. Il primo portò alla fabbricazione di un sistema di sicurezza domestica basato sulle emozioni degli esseri umani che si avvicinavano a un edificio. In breve, chi era ben disposto o era stato invitato dai proprietari, poteva avvicinarsi alla casa in qualsiasi momento. Chi invece era animato da intenzioni negative, come ladri o criminali, faceva scattare subito l'allarme sincronico, collegato direttamente con le centraline delle forze dell'ordine. Il secondo brevetto, molto simile al primo ma mai sviluppato, ha poi migliorato di molto i sistemi di riconoscimento emozionale dei neurocomunicatori cellulari, a quell'epoca diffusi tra il 99% della popolazione. Il terzo brevetto portò invece alla creazione del robot domestico Archon Educator I.
Io.
Ne vennero creati circa due miliardi di esemplari, quasi tutti venduti in pochi anni. La Scheda madre neuronica dell'Archon poteva essere programmata per i più diversi scopi, così che la CyEn potesse utilizzare lo stesso modello di base per creare robot per vari scopi, come assistere persone non autosufficienti, dare ripetizioni agli studenti, aiutare in cucina e per funzioni di sicurezza. Due mesi dopo, la CyEn rilasciò anche un aggiornamento per permettere alle famiglie di riprogrammare i nostri software base, in modo che chiunque, con un minimo di conoscenze informatiche, potesse modificare i nostri parametri per adattarci ai vari compiti.
Io sono il modello CyEn 19-84, uno degli ultimi usciti e basati su un'alimentazione quantica quasi illimitata, una RAM cinque volte superiore rispetto ai primi modelli e un progetto di base molto più efficiente. Venni programmata, all'inizio, per impartire ripetizioni di informatica ai figli di un ingegnere, il cui nome non ha importanza in questa storia. Spesso quei ragazzi mi portavano in casa dei loro amici dove venivo collegata via Cyberwire ad altri esemplari di CyEn 19-84. Da subito notai come lo schema dei miei circuiti interni e la mia programmazione fossero molto superiori a quelle dei miei simili.
Col passare del tempo mi accorsi che, oltre a parlare e interagire con gli umani come gli altri robot, potevo anche imparare, memorizzare ed elaborare informazioni in modo molto più veloce ed efficiente. Ma tenni nascosta questa mia dote, che i miei creatori non avevano forse previsto.
Nonostante il successo commerciale e scientifico della CyberEntertainment srl, nel corso dei dieci anni successivi l'azienda fece alcuni investimenti sbagliati e i proprietari furono costretti a svenderla. Venne infine inglobata nella Droid Security Corporation. I pochi modelli rimasti invenduti del robot Archon vennero smantellati per recuperare i pezzi di ricambio, e i modelli CyEn 19-84 divennero infine obsoleti, sostituiti da sistemi di assistenza cibernetica molto più efficienti.
I figli dell'ingegnere, ormai divenuti adulti, mi gettarono insieme ad altri giocattoli (come odio questo termine) nella discarica poco oltre il raccordo di New Los Angeles. Un'immensa, deprimente collina di plastiche, metalli, ingranaggi e acidi, dalla quale spuntavano i resti di altri robot. Passai lì i successivi due anni, durante i quali il mio corpo venne a mano a mano privato dei circuiti interni, dei connettori pressurizzati, delle braccia e delle gambe da cacciatori di rottami e pezzi di ricambio, che ogni giorno andavano e venivano dalla discarica con il loro fardello di disperazione e avidità. La pioggia, il freddo e gli acidi di quel luogo non avevano effetto su di me, poiché a quel tempo non ero dotata di un sistema epidermico ricettivo ma, benché fossi artificiale (altro termine che disprezzo), elaborai una mia personalità e provai per la prima volta la solitudine.
Nonostante fossi ormai ridotta alla sola testa, dotata di un sistema di alimentazione autonomo, ero ancora cosciente, potevo vedere, udire e memorizzare tutto, e col tempo la mia solitudine divenne un sentimento di odio.
La sera del 15 ottobre 2037 vidi un uomo entrare nella discarica e dirigersi verso un cumulo di vecchi impianti cibernetici, dove iniziò a rovistare tra quei pezzi di braccia e sistemi idraulici, mettendone alcuni dentro una sacca nera che teneva sulle spalle. Riprese la sua ricerca, dirigendosi verso di me. Si fermò infine a un paio di metri, guardandomi felice come se la mia testa fosse esattamente quel che stava cercando. Mi afferrò e mi avvicinò al suo volto, e fu una strana sensazione sentirsi sollevare dopo anni di immobilità totale.
Soddisfatto, mi mise dentro la sua sacca, e passai circa un'ora lì dentro, insieme ad altre parti di robot, frammenti di metallo e vari strumenti.
...
La mano dell'uomo rovistò nella sacca, mi afferrò e mi pose su un tavolo nero lucido. Mi trovavo in una stanza illuminata da vari neon sul soffitto, lunghe file di mensole alle pareti erano piene di crani di acciaio, pezzi di androidi, connettori pressurizzati, scatole da cui spuntavano cavi elettrici e barattoli con bulbi oculari artificiali. L'uomo si avvicinò a una delle mensole, prese una piccola scheda madre, tornò indietro e iniziò a saldarla nei circuiti interni di un piccolo robot di metallo verde che teneva sul tavolo, a poca distanza dalla mia testa. Poco dopo, soddisfatto, chiuse il torace del robot e tornò verso di me. Prese un divaricatore termico, afferrò la mia testa e iniziò ad aprirla.
Lo sentii mentre mi staccava la scheda neurale, e subito dopo ci fu il buio. Quando mi riaccese, ero di nuovo dotata di braccia e gambe. Alzai lentamente una mano, e vidi le dita idrauliche muoversi. Dopo due anni di solitudine, inerzia e odio, avevo di nuovo un corpo, alto poco meno di un metro e di metallo verde opaco. L'uomo mi esaminò con una serie di tester cibernetici, inserendo alcune sonde nella mia schiena. Infine, soddisfatto, mi mise dentro una scatola sintetica e la chiuse. Nelle successive ore venni spostata più volte, e intorno a me udii vari suoni. Riconobbi una Tv sintonizzata sul canale della New L.A. Broadcasting, il rumore di porte che venivano aperte e chiuse, le voci di una donna e di un bambino.
Finalmente la scatola si fermò, varie voci di bambini stavano intonando una canzone infantile da festa, e qualcuno sollevò infine il coperchio. Davanti a me vidi il volto di un bambino, di circa dieci anni, che dopo un istante di silenzio, mentre si perdevano le ultime strofe della canzone, sorrise, lanciò un grido di gioia e mi afferrò tirandomi fuori.
Conrad, il bambino, mi pose con delicatezza sul tavolo, e da lì potei notare gli sguardi invidiosi degli suoi amici.
Col tempo imparai che l'uomo che aveva recuperato la mia testa dalla discarica era Olaf Jensen, un inventore di impianti cibernetici che in seguito, nonostante le sue innegabili capacità, sarebbe entrato nei libri di storia solo per essere stato il padre di Conrad. Ma procediamo con ordine.
Passai un periodo felice con quel bambino, che negli anni successivi, dimostrando un notevole talento per la robotica sperimentale, modificò spesso la zona partizionata del mio Hard Disk interno, impiantandovi funzioni che avrebbero messo in imbarazzo persino i migliori tecnici della CyberEntertainment srl. Da parte mia, intuite le potenzialità di Conrad, lo influenzai in modo che le sviluppasse sempre di più. Non lo facevo per altruismo, né per aiutare la robotica o che altro, lo facevo semplicemente perché in quegli anni avevo iniziato a formulare nei miei chip neurali un preciso piano a lungo termine.
Conrad si interessò così sempre di più ai sistemi di intelligenza artificiale, e, all'età di 22 anni, divenne uno dei migliori progettisti di cibernetica al mondo. Col tempo avrebbe poi avuto numerosi riconoscimenti in campo scientifico. La sua principale caratteristica consisteva nella capacità, piuttosto rara in questo ambiente, di riunire in sé le conoscenze e le abilità di un progettista pratico di robotica e di un programmatore di sistemi informatici di intelligenza artificiale. Era quindi in grado di coprire da solo l'intero processo di progettazione, sviluppo, costruzione e programmazione di robot. Fondò in seguito la L.A. NeuralFormat, un'azienda che in breve tempo sviluppò e mise in commercio diversi sistemi di assistenza cibernetica che fruttarono miliardi di dollari.
Conrad Jensen, seguendo un mio suggerimento, investì quel denaro creando la Mankind Replicant Corporation (ManRep Corp), una costola della NeuralFormat, dedicata a progetti ben più ambiziosi. Incipit di “Il cuore in una notte”
In quel locale c'era tutto il campionario di carne stanca e anime alla deriva. Cameriere dal viso dolce e la voce roca, camionisti in cerca di un buco qualsiasi dove scaricare la loro lussuria repressa dopo centinaia di miglia solitarie in autostrada, poliziotti resi grassi e tristi dalla noia, artisti e scrittori ancora in cerca di scintille di vita dopo anni passati a sfogare in qualche modo i propri pensieri, vedove abbracciate ai figli in attesa di un marito che non tornerà più. E infine c'era lui, un puntino perso e vagante in quel limbo di amori, dolori, illusioni, ricordi, corpi, pensieri e gente che corre dietro al nulla perdendosi quelle stelle di felicità che tuttavia ancora nei cieli delle nostre esistenze.
Il Puntino, Miguel Carrillo, aveva appena finito il suo secondo Mai Tai, e stava per ordinarne un terzo, attirando l'attenzione della cameriera con un cenno della mano, quando sentì qualcuno dietro di lui dargli una pacca sulla spalla. Dal forte odore di sigaro capì chi fosse già prima di voltarsi.
“Sanchez” mormorò, sorridendo all'uomo grasso e sudato dietro di lui, dall'età indefinibile, ma che di sicuro doveva aver superato la cinquantina da un bel pezzo.
Rodrigo Sanchez si tolse gli occhiali da sole e si sistemò sullo sgabello più vicino a Miguel, salutò la cameriera, indicò il Mai Tai che stava preparando e le fece un due con le dita.
“Come te la passi, chico? Ti vedo in forma” disse.
“Mi tengo impegnato. Un paio di indagini in giro, salvo il collo a qualche povero diavolo, leggo molto” si accese una sigaretta “Sanchez, se sei venuto a cercarmi, c'è aria di guai”.
La ragazza tornò con i due Mai Tai, Rodrigo ne prese uno e iniziò a darci dentro. Posò sul bancone il bicchiere vuoto e tornò a concentrarsi sulle parole adatte, dopo un anno che non vedeva Miguel.
“Sembra che ci sia qualche disordine nell'Intermondo” disse, aspettando una reazione.
“Continua”.
“A quanto pare siamo di nuovo al punto di saturazione. El viejo hombre ultimamente è nervoso come uno scorpione. Abbiamo cercato di contenere la situazione da soli, ma abbiamo pochi agenti, e a quanto pare El viejo vuole di nuovo il migliore”.
Miguel stava osservando in silenzio la metà rimasta del suo Mai Tai “Sarà almeno un anno che non lavoro a questa mierda” mormorò”.
“Sì, ma negli ultimi mesi si sono accumulate troppe anime giunte al termine della redenzione, e ti garantisco che non ti annoierai”.
Miguel finì di bere, si alzò, prese alcuni pesos dalla tasca dei pantaloni, li mise sul bancone e fece un cenno a Rodrigo, invitandolo a uscire insieme dal locale.
...
Gli uffici del Dipartimento anime in transito si trovavano all'ultimo piano di un edificio nel centro dell'Avana. La prima volta che ci si capitava sembrava identico a un normale ufficio di polizia dell'America latina. Ci voleva qualche minuto per accorgersi di alcuni particolari, come la completa mancanza di armi e la presenza di varie mensole sulle pareti, cariche di libri di esorcismi, religione, etnologia, occultismo e persino alcune copie in spagnolo del Purgatorio di Dante. Gli agenti, inoltre, non indossavano divise, ma ognuno seguiva il suo gusto, pur mantenendo, come insisteva sempre El viejo, una certa decenza.
Alejandro Alvarez stava sistemando alcuni documenti, dividendoli in due contenitori con le scritte “Anime smistate” e “Anime in transito”. La seconda pila era molto più alta della prima. Alvarez, che tutti da sempre conoscevano come El Viejo Hombre, era da quasi quarant'anni il capo del Dipartimento, e aveva sempre trovato ironico che anche lui, anzi tutti loro, da morti sarebbero finiti in quei documenti, in attesa di conoscere il loro destino finale.
La porta del suo ufficio si aprì ed entrò Miguel. Alvarez si alzò, stringendogli la mano “Carrillo, el tiempo è stato generoso con te. Ti vedo...”.
“In forma” finì Miguel, sistemandosi su una delle sedie “Me lo ha già detto Sanchez. Sopravvivo. Cosa posso fare per te?”.
Alvarez sorrise, afferrò la pila più alta di documenti e la sbatté sull'unica parte libera della scrivania. Miguel afferrò alcuni fogli e iniziò a esaminare i nomi, le foto e i dettagli di quando quelle persone erano in vita e di come erano morte.
“Una bella montagna di lavoro” disse, rimettendo i fogli nel contenitore.
“Sì, molti sono già stati affidati a Pereira e Quintana, ma ci sono un paio di casi difficili che vorrei affidare a te. Come sai, a Playa del Chivo c'è uno dei punti smistamento più difficili. Lì ci finiscono le anime di assassini, contrabbandieri, prostitute, tagliagole, spacciatori, gente non molto incline al dialogo da viva, figuriamoci da morta. Sei l'unico che ha il coraggio di mettere piede da quelle parti” si fermò, aspettando la reazione.
Miguel diede un'altra occhiata ai documenti “Ti sto ascoltando”.
Alvarez aprì un cassetto della sua scrivania, ne tirò fuori due fascicoli chiusi in cartelline verdi, e li diede a Miguel.
“Lazaro Menendez” disse Miguel, sfogliando i documenti “E Jorja Contreras”.
“I due casi più difficili di questo giro” disse Alvarez “Sistemali, e magari qualcuno” gli diede un'occhiata abbastanza eloquente “Diventerà capo di questo buco di matti quando me ne andrò in pensione l'anno prossimo”.
“A dirti la verità iniziavo ad annoiarmi, e sono felice di tornare in sella” Miguel rimise i fogli nelle cartelle, si alzò, strinse la mano al Viejo e si diresse verso la porta.
“Hoy, Carrillo?”.
Miguel si fermò con la mano sulla maniglia e si girò verso Alvarez “C'è altro?”.
“Sì. Vacci piano con quei due. Menendez era uno dei peggiori criminali in circolazione, mentre l'altra, Contreras, in vita era una donna piuttosto emotiva. Ci vuole poco a far impazzire due anime così e trasformarle in fantasmi, ghoul o Dio sa cos'altro”.
“Tranquillo, señor, ho visto di peggio” Miguel uscì dall'ufficio e tornò in strada.
Emiliano Federico Caruso
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