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Autore: Stefania De Prai Sidoretti
Una canaglia senza speranza
Romance Storico
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Una canaglia senza speranza
Filippo fece uno sbuffo. Almeno il biglietto pagato dal religioso era di prima classe. Non era stato relegato nella stiva di terza, assieme ai pezzenti che, con le valige di cartone e i fagotti di stracci, emigravano per non morire di fame nel cosiddetto Bel Paese.
Si sistemò il monocolo d'oro sull'occhio destro e cominciò a guardare con interesse il via vai dei passeggeri del ponte di prima.
Soprattutto osservava la fauna femminile. All'andirivieni delle signore si toglieva la bombetta, si esibiva in ossequi e sfoderava il sorriso più fascinoso.
Era veloce a farsi subito una certa idea. Bastavano l'età, un dettaglio del vestito, il suo colore, gli anelli al dito, la postura, la camminata. E l'aspetto fisico, soprattutto quello. Lui era un intenditore della bellezza muliebre.
Basta piangersi addosso! Visto che aveva tutto il tempo della navigazione davanti, l'avrebbe occupato a rimorchiare donne. Il matrimonio poteva anche attendere. Nel frattempo avrebbe cercato allegramente di dimenticare il nodo scorsoio che l'aspettava all'arrivo a Toronto.
Ridette una nuova aggiustatina alla “caramella”.
Mmmm... Troppo vecchia. Sembrava una mummia.
E quell'altra era una ragazzetta insulsa, accompagnata dai genitori. Alla larga, per carità.
Però! Bionda ossigenata, di certo usava la lozione francese Eau de fontaine de jouvence dorée. Circa quaranta anni, piacente, vedova da poco. “Mi ha guardato allusiva e ha preso ad ancheggiare a mare forza cinque. Questa me la scopo quanto prima.”
Pure la prosperosa moglie di quel nobile aristocratico inglese che si stava pavoneggiando con un bastone dal pomo d'argento era veramente degna di nota. Due liquidi occhi neri da gran porca.
No, no, quella là invece no, faceva concorrenza alle balene nel mare. E con un consorte che se la teneva pure bella stretta al braccio, addirittura la fissava con sguardo amoroso. “Tranquillo, amico, la lascio tutta per te. I gusti sono i gusti.”
Ottimo! Rossa, formosa, anni intorno ai trenta appena passati. Accompagnata da un tizio di parecchio più anziano e dall'aria da cornuto patentato. “Mi ha fatto un risolino sornione. Me la darà di sicuro, non ci sono dubbi.”
Filippo chiuse gli occhi, beandosi nell'idea delle sconcezze che avrebbe potuto fare con quella ardente bellezza.
In quella si sentì scottare. Preso prima dalle cupe osservazioni e dopo dalle fantasie lascive, non si era accorto che la sigaretta era finita.
D'istinto, con un colpo secco delle dita, lanciò lontano il mozzicone.
- Ehi, fate attenzione, signore! – trillò una voce irata.
Alzato lo sguardo, Filippo si trovò a fissare una giovane che indossava un vestito a righe molto fini. Tentava di pulire dalla cenere della cicca che l'aveva colpito il grosso fiocco blu che stava alla fine della scollatura e che, per un soffio, non aveva preso fuoco.
La catalogò subito. I capelli di un ordinario castano medio, doveva avere la sua età o poco meno. E, vista l'assenza di anelli, era una zitella. Una spilungona con degli occhiali tartarugati posati su un naso importante. Mamma, quanto era brutta. Sembrava quasi una Pasqua Bbefanìa, quella che si festeggiava il sei gennaio a piazza Navona.
Fatte spallucce, ridacchiò insolente, arricciandosi i baffi.
- State attenta voi piuttosto, guardate dove passate – sibilò, con un ghigno compiaciuto stampato sulla faccia.
Pensava che l'insulsa zitellaccia avrebbe incassato il colpo e si sarebbe ritirata in buon ordine con la coda tra le gambe.
Invece quella si erse in tutta la sua altezza come una vipera. Sollevato un sopracciglio, lo fissò indomita dritto negli occhi e piegò le labbra carnose in un sorrisino beffardo.
- L'unico errore che ho compiuto è stato quello di avervi omaggiato dell'appellativo “signore”. Siete un insulso pavone, impomatato e maleducato. Anzi, pavone è pure troppo, un tacchino impettito e basta – rispose, con tono posato. L'inflessione, che aveva un tocco straniero, divenne più marcata.
Senza dargli modo di replicare, presa sottobraccio la signora sovrappeso che lui aveva visto, valutato e scartato in precedenza, si allontanò lungo il ponte con un passo lento e sicuro, pieno di dignità.
Filippo, colto di sorpresa, recuperato il monocolo che gli era sfuggito, pensò: “Megera e sfacciata, quanto la odio!”
2
UNA ZITELLA FUORI DALLE RIGHE

- Sbruffone e insolente, lo odio! – ringhiò all'orecchio dell'accompagnatrice la giovane, mentre procedeva battagliera.
- Caterina, cercate di contenervi. Siete una signorina di buona famiglia – ridacchiò la dama attempata, facendo sussultare il notevole seno nel tentativo di starle dietro il passo. – Di grazia, chetatevi e accomodiamoci un poco su quelle sdraio. Parliamo con calma, ché a corrervi dietro mi sta venendo il fiatone.
Sbuffando, la ragazza si sedette e incrociò le braccia con fare combattivo.
- Dite così, ma lo avete visto bene quella specie di manichino in ghingheri, signora Piazzolla? Si direbbe un romano, dall'inflessione della parlata.
- Certo, non sono mica con gli occhi foderati di prosciutto. Un gran bel pezzo di manzo: alto, moro con due occhi grigio ghiaccio da perderci la ragione – fece con tono allusivo la donna.
- Signora Gina, le rammento che è sposata!
- E felicemente col mio amato Vincenzo, ma non per questo sono diventata cieca. E quello è un maschio di prima qualità. Oddio, usa un po' troppa brillantina per i miei gusti, ma nessuno è perfetto.
- Altro che solo impomatato! Ma avete notato come quel figuro, col suo monocolo, osservava compiaciuto le donne che transitavano sul ponte di passeggiata? Sembrava spogliarle con lo sguardo. Un sultano intento a scegliere l'odalisca a cui farà l'alto onore di concedere i suoi favori durante la notte. Anzi, un sultano avrebbe maggiore discrezione. Presuntuoso! E scommetto poi che ci vede benissimo e che utilizza la caramella unicamente per darsi delle arie da navigato e raffinato viveur.
- Cara Rina, siete troppo suscettibile. Tutti i maschi sono fatti così: un po' mascalzoni. Decisi a classificarci e a inserirci nella loro personale graduatoria di gradimento. Ricordo i miei fratelli che, dopo la messa, si riunivano con gli amici e stilavano certi commenti al vetriolo, di fronte ai quali il nostro bel sconosciuto diventa un tenero Little Lord Fauntleroy.
La ragazza scoppiò a ridere, anche lei conosceva bene il romanzo della scrittrice Frances Hodgson Burnett, uscito più di una decina d'anni prima.
- Più che al Piccolo Lord, quel leccato buzzurro assomiglia per certi aspetti del carattere a suo nonno, il vecchio conte di Dorincourt: altezzoso, scostante e indisponente. Qui ci sarebbe da aggiungere pure libertino, vanitoso e arrogante. Un uomo che si appaga della sua aria di superiorità e che probabilmente usa le donne come se fossero fazzoletti. Dopo una soffiatina, via in lavanderia e avanti il prossimo. Un ceffo da evitare.
- Ma resta comunque un bel ceffo. Che vi ha molto colpita, dal modo animato in cui ne parlate. Non ho mai vista agitarvi così con nessun altro uomo che avete avuto finora la ventura d'incontrare.
- Perché questo li batte tutti quanti messi assieme! Non lo sposerei nemmeno con un coltello alla gola. Odioso e strafottente. Si crede un pavone, ma sotto le penne nasconde un comune culo da pollo.
- Non mentite a voi stessa, quello che cela sotto gli abiti il tizio mi sa che è invece un fondo schiena da leccarsi i baffi – controbatté maliziosa la donna, ridacchiando allusiva. – Come siete categorica, mia cara. Sfido che questo viaggio alla ricerca di uno sposo è naufragato miseramente. E adesso rientrate a Toronto con le pive nel sacco.
- Piuttosto che cadere nella bisaccia di certi tizi, meglio così. Credevo che a Sesto Fiorentino, paese natale dei miei genitori, avrei potuto trovare qualcuno di decente con cui istaurare almeno un rapporto di civile amicizia. D'altronde non si dice: “Mogli e buoi dei paesi tuoi”? Pensavo valesse pure per i mariti. Invece...
- Invece a ogni pretendente avete trovato un difetto insormontabile. C'era Nanni il farmacista. Era garbato ed educato e tanto desideroso di sposarsi per fare felice la madre.
- Sì, per fare piacere a mammà sua, mentre invece preferiva i maschietti. Ho scoperto che la sera s'infrattava in certi portoni a farsi “strapazzare” da qualche rude carrettiere. Non ho niente contro di loro, ma io voglio un marito vero. Non intendo servire come paravento e diventare una sposa di facciata.
- Bontà divina, e voi come lo avete scoperto?
- Sono andata a fare vedere i miei infusi e le creme di bellezza alle sorelle Fraschini e loro sono informatissime su certe questioni.
La Gina sbiancò in volto.
- Oh icchè tu dici? Cosa dite, quelle sorelle Fraschini? Nella loro “rinomata casa” ... – La signora riesumò altre antiche esclamazioni della Toscana, sua terra d'origine prima di emigrare in Canada.
- Sì.
- Dio bono! E se qualcuno vi avesse vista?
- Ci sono andata di mattino e sono entrata dalla porta di servizio, quella per i negozianti. Mi ero vestita da contadina e portavo un fazzolettone sul capo che mi nascondeva il viso. Inoltre avevo una grossa cesta, come se fossi stata davvero una delle tante fornitrici di merci. E, in fondo, era vero: vendevo prodotti di cosmesi. Anzi, vi dirò che ho strappato alla coppia di sorelle un contratto niente male per il futuro.
- Lasciamo perdere i belletti, lo so che siete una diavola negli affari. Piuttosto ditemi, è vero che nel salone delle Fraschini ci sono tanti specchi dorati e tende damascate e che le ragazze indossano solo piume di struzzo?
- Vista l'ora quasi antelucana, le “signorine” erano in vestaglia. E sì, il salone era un aureo tripudio di ostentata pacchianeria. D'interessante c'era un pianoforte su cui era poggiato un violino. Pare che ci facciano anche intermezzi musicali e danzanti. Non si balla solo nei letti, evidentemente. – La ragazza si fece una risata. – Vendere i miei ritrovati tonici e le creme mi ha permesso di far luce su un mondo che non conoscevo. È stato molto esaustivo.
- Maremma maial...! – esclamò la donna scandalizzata, trattenendosi dal completare l'epiteto che le era fiorito sulle labbra. – Che intendete per... esaustivo?
- Nel senso che ho approfondito non solamente il lato nascosto dei miei pretendenti, ma mi sono fatta spiegare pure tutte le altre faccende.
- Tremo solo al domandarvelo, che faccende?
- Ma quelle che nelle lenzuola avvengono tra uomo e donna. Soprattutto le pratiche che preferiscono i maschi, quelle che li fanno uscire di senno, a detta loro. Quando è morta mia madre avevo appena dodici anni e lei non ha fatto in tempo a dirmi quasi nulla. E, visto che devo sposarmi, volevo capire almeno a cosa andrò incontro.
- Potevo spiegarvelo io. In fondo non sono la vostra accompagnatrice in questo viaggio?
- Si, ma mi è capitata quest'occasione e non me la sono fatta sfuggire.
- Ed è così che avete saputo del farmacista... mammoletta
- Già, ha anche una storiella con il pianista della maison, che è pure lui uno dell'altra sponda. Inoltre, ho scoperto che il figlio del merciaio si era vantato con le “signorine” di volermi sposare solo per emigrare in Canada. Ha detto che io gli facevo schifo. – Si interruppe. – Scusate, Gina, ma sue testuali parole, ha dichiarato che, per andare in America, sarebbe stato pronto a montarsi pure una capra, tanto poi l'avrebbe fatto al buio. Mentre il nipote del parroco della Pieve di San Martino è, nell'intimità, un vero sadico. Si eccita solo dopo aver picchiato la donna. Dalle sorelle Fraschini la cosa gli costa cara e, comunque, si deve trattenere. Altrimenti, se eccede, le tenutarie lo buttano per strada e non lo fanno più entrare. Però una moglie diventa come una proprietà e, nel segreto del talamo coniugale, chissà cosa sarebbe capace di fare il vile maramaldo a quella disgraziata.
- E così è per questo che avete rifiutato questi e altri pretendenti.
- Per carità cristiana non vi affliggo dilungandomi su questi ultimi: il ragioniere e l'avvocato. Dirò brevemente che le ragazze avevano soprannominato uno “lo smerdoso” e l'altro “il puzza sbavoso”. Su questo ultimo sapevo già un po' di mio, visto che – quando ha tentato all'improvviso di baciarmi – a momenti mi stendeva secca per l'esalazione del suo fiato.
- Rispetto a tutti questi, il bel gagà del ponte sembra luccicare come un diamante.
- No! È il peggiore di tutti. Ha una faccia così da impunito che, prima, mi sono a stento trattenuta dal prenderlo a schiaffi davanti a tutti e dal cacciargli in gola il monocolo. E questo non mi era mai capitato prima: rischiare di perdere le staffe, accidenti a lui. Lo detesto! Lo odio! E accidenti pure a mio padre che ha messo nel testamento la clausola che potrò subentrare pienamente negli affari di famiglia solo se mi sposo con un italiano. E dovrò farlo entro il mio ventisettesimo compleanno, altrimenti prenderà le briglie del negozio quella cariatide del suo socio d'affari. Un misogino di prima categoria, per il quale le donne devono stare a casa a fare la calzetta. Che vede la mia attività di speziale e cosmetica come una sciocchezza indegna della premiata drogheria “Landi & Passigli”. Che la ritiene, sotto sotto, pure un poco immorale. Solo per questo, visto che la popolazione maschile di scapoli italici di Toronto era impegnata o improponibile, ho approfittato del vostro viaggio a Sesto Fiorentino per sistemare degli affari di famiglia per aggregarmi anche io.

Stefania De Prai Sidoretti

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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