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Autore: Sabrina Feltrin
Un miracolo per Nunzia
Romance
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Un miracolo per Nunzia
- Siete tu e il nonno, da giovani? -
Sabrina mi tende la foto con un sorriso che non riesco a decifrare. Io osservo lo scatto, curiosa di riconoscere il passato. I miei occhi si fissano su quelli scuri e profondi di lui, riportandomi al nostro primo incontro e poi ai successivi. Il cuore inizia a battere forte, il mio volto diventa lo specchio degli stati d'animo che cambiano alla velocità della luce.
- Nonna, va tutto bene? - chiede mia nipote, con un filo di voce.
Le mie labbra si piegano verso il basso, gli occhi si inumidiscono al pensiero di quello che accadde. Gli eventi corrono nella mia testa come le scene di un film. Vorrei fermarle, ma non ci riesco. Dalla mia bocca esce il racconto del passato. Mi accorgo che Sabrina ha preso carta e penna e sta scrivendo tutto. E io lo sto raccontando.
È qualcosa di cui non posso fare a meno, come aprire un cassetto rimasto chiuso per tanto, troppo tempo. E ora che l'ho aperto, non posso fare a meno di mostrarne il contenuto. Con queste premesse ho deciso di raccontare la mia storia, o meglio, la storia della mia famiglia.
Anni fa accadde qualcosa di straordinario: alcune persone ne parlarono come di un fenomeno inspiegabile, altre come di un colpo di fortuna, ma io e la mia famiglia lo abbiamo sempre definito per ciò che, per noi, ha rappresentato, cioè un “miracolo”.
Mi scuso in anticipo se non sarò sempre in grado di esprimermi nei modi opportuni o utilizzando le parole giuste. Tuttavia, con l'augurio che questo libro, tratto da una Storia Vera, possa fornirvi degli spunti utili ad affrontare le difficoltà della vita, vi lascio alla lettura.

Mia madre Clotilde, che era una donna di grande fede, mi ripeteva quotidianamente queste parole: - Ogni giorno che ci viene offerto è un dono, tienilo stretto, perché la vita non ci appartiene, e vivi con gioia, ma non dimenticarti mai di pregare, anche quando arriveranno le prove e le difficoltà, non scoraggiarti e non farti prendere dallo sconforto, ma prega con fiducia, con un cuore sincero e aperto, solo in questo modo Dio potrà ascoltarti. -
Da esuberante adolescente quale ero, vivevo la fede con leggerezza, e la preghiera mi sembrava allora qualcosa da vecchi – noiosa –, e poi, figuriamoci se qualcosa avrebbe potuto intimorirmi al punto da avere bisogno di ricorrere alla preghiera per rincuorarmi! Pertanto, anche in quella piacevole giornata di fine maggio, alzai le spalle e annuii fingendo di apprezzare le parole di mia madre, ma in realtà nemmeno quella volta ne diedi alcun peso.
A ogni modo, amavo la vita che conducevo a Villalta, una frazione di un piccolo paese, Gazzo Padovano, in un lembo di Veneto, erano gli anni Trenta, dove vivevo spensierata i miei sedici anni, ero una ragazza di campagna come tante altre, ma che si distingueva per il suo bel caratterino: non avevo alcun timore di dire in faccia ciò che pensavo e non mi facevo mettere i piedi in testa da nessuno, infatti in famiglia le discussioni con i miei dieci fratelli erano all'ordine del giorno. Non coltivavo grandi ambizioni per il mio futuro, ma in effetti non potevo permettermi di avere grilli per la testa, tant'è vero che il mio sogno, allora, era quello di trovare un bravo marito e avere una mia famiglia.
Lasciai andare la mia mente a tutti quei pensieri, quando, senza accorgermene, arrivai in paese, il vociare del mercato settimanale mi riportò alla realtà, insieme ai movimenti delle persone che contrattavano sui prezzi, ai colori delle merci esposte sui banchi e ai loro profumi, mentre già sentivo quello inebriante del pane appena sfornato che usciva dalla bottega del fornaio. Mi diressi lì, per comprare le solite pagnotte del primo mercoledì del mese; appena varcata la soglia, mi accolse la proprietaria con il suo sorriso radioso.
- Buongiorno, cara Nunzia, desideri il solito? -
Mi chiamavano tutti Nunzia, ma in realtà il mio nome era Annunziata.
- Buongiorno, Marinella, sì, grazie. -
- Te lo preparo subito. Come sta la mamma? -
La stessa scena si ripeté, come ogni mese, pressoché identica: mentre Marinella mi serviva, alcune signore entrarono in negozio e, in attesa del loro turno, si scambiarono le ultime notizie e i pettegolezzi del paese. Tesi l'orecchio per abitudine, piuttosto che per curiosità, ero troppo presa dai miei pensieri per badare agli affari degli altri.
Marinella mi tese le pagnotte. Io le allungai le monete, lei le conteggiò e annuì.
- Perfetto. Salutami la mamma e il babbo. -
- Sarà fatto. -
Uscii dalla bottega e raggiunsi la piccola piazza medievale, pavimentata di sanpietrini. A volte scambiavo quattro chiacchiere con alcune ragazze che, come me, erano in paese per delle commissioni: con un sorriso ricordavamo i giochi spensierati dell'infanzia, per poi passare alle incombenze quoti- diane del presente.
Quella mattina non avevo ancora incontrato nessuna amica d'infanzia, eppure avevo la sensazione di essere osservata. Mi spostai tra i banchi, notando le persone concentrate sulle merci, ma non uno sguardo era rivolto a me. Forse era solo una mia impressione, così mi spostai di lato, sbirciando ancora le merci.
Salutai una coppia di allevatori, amici di famiglia e, dietro di loro, mi accorsi di un ragazzo moro, in piedi accanto a un banco. I nostri sguardi si incrociarono, per un attimo si incastrarono come i pezzi di un mosaico. Una delle clienti di Marinella mi passò davanti, io distolsi gli occhi dal ragazzo. La donna passò oltre e, quando fui certa di essere fuori dalla sua visuale, mi rivolsi di nuovo al ragazzo. Ero convinta che non stesse guardando me e, invece, mi stavo sbagliando.
Sentii un lieve calore alle guance, come se stessi arrossendo. Per fortuna che era a diversi metri di distanza e sicuramente non si era accorto della mia reazione.
- Buongiorno, la sai la novità? -
Un'amica d'infanzia, una delle più care che avevo, mi distolse dallo sconosciuto, con la sua voce piena di entusiasmo.
- Buongiorno Lisetta, no, di cosa si tratta? - le chiesi.
- La prossima settimana inizierò a lavorare al panificio con Marinella. -
Le strinsi le mani in modo affettuoso. - Ma è una notizia bellissima! Farai il pane più buono di Gazzo Padovano! -
- Certo, ma prima dovrò imparare a non bruciarlo! - scherzò con i suoi soliti modi scanzonati.
Ridemmo e ascoltai le sue novità, distratta dagli occhi dello sconosciuto. Continuavano a indugiare su di me in un modo che non risultava invadente; al contrario, era come se volesse lasciare impressa una traccia di sé, del suo interessamento nei miei confronti. La sua espressione sembrava volermi trasmettere un senso di pacatezza, una serenità supportata dalla piega delicata delle sue labbra, dai denti leggermente scoperti in un sorriso delicato.
Dopo qualche interminabile minuto, mi rivolsi alla mia amica per chiedere chi fosse il giovane che continuava a fissarmi con tanto interesse. Mi interruppi quando lo vidi muoversi verso la mia direzione, con quel suo fare tranquillo, che ben si addiceva all'espressione dei suoi occhi. Quando fu giunto davanti a me, cercai le parole da dirgli, ma non le trovai, persa nel vortice dell'imbarazzo che mi stava travolgendo. Per fortuna fu lui a rompere ogni remora, mentre Lisetta si congedava con un saluto frettoloso e la scusa che doveva tornare a casa.
- Posso chiederti come ti chiami? -
- Annunziata, ma tutti mi chiamano Nunzia - risposi, asciutta.
- Annunziata - ripeté sottovoce lui, - bel nome, vivi qui vicino, vero? Mi sembra di averti già vista. -
- Sì - confermai - abito a Villalta, nella casa in fondo al sentiero che esce dal paese. -
- Ah, sei dunque sorella di Giovanni... - intendendo uno dei miei fratelli, probabilmente ne conosceva qualcuno, al- meno di nome.
Io gli feci un cenno di assenso. - Sì, e tu sei? -
- Silvio e ho ventun anni - mi disse, sottolineando la sua età come a volermi rassicurare.

Iniziammo una conversazione semplice, ma gradevole, durante la quale raccontammo a lungo di noi, di cosa facevamo e di cosa avremmo voluto fare in futuro. A un certo punto parlammo di ciliegie e di come piacessero a me e ai miei fratelli.
Lui mi rivolse un sorriso compiaciuto.
- Se vi piacciono tanto le ciliegie, potresti venire a raccoglierne un po' dalle mie parti - mi sorprese.
- Dalle tue parti? Perché, che c'è dalle tue parti? - presi tempo, cercando di dissimulare una certa emozione per quell'invito così diretto.
- Dalle mie parti vuol dire nel terreno dei miei, a due chilometri da qui, che è poi dove abito. Abbiamo una cinquantina di alberi di ciliegie e le piante sono talmente cariche di frutti che non sappiamo più dove metterli. Se ti fa piacere, sei la benvenuta - .
Senza pensarci troppo, accettai l'invito: quel Silvio mi aveva fatto un'ottima impressione. A ogni modo mia madre, essendo molto protettiva e prudente, mi avrebbe fatto accompagnare da mia sorella maggiore, quindi non correvo alcun pericolo, se mai ce ne fossero stati.
Fu dunque con il cuore gonfio di allegria che tornai a casa, reduce da quell'incontro tanto inatteso, quanto piacevole.

Indossai il cappello a tesa larga, presi sottobraccio il cesto di vimini che avevo intrecciato con le mie mani, e varcai la soglia di casa canticchiando. Il sole fece capolino tra le nuvole, illuminando il pomeriggio.
Mia madre mi salutò e tornò alle sue occupazioni. Dato che conosceva la famiglia di Silvio, aveva acconsentito a lasciarmi andare da sola. Mi avviai così con il sorriso stampato in faccia, accompagnata nel mio incedere dal profumo dell'erba falciata di fresco, di violette e di fiori di tarassaco. Attraversai il centro del paese e, poco dopo, girai a sinistra su una stradina sterrata, poi proseguii per un altro chilometro ciondolando nei miei pensieri. Cercai di immaginare come sarebbe stato quell'incontro, ma non so dire con precisione quali aspettative avessi, forse nessuna in particolare. L'ottima impressione avuta il giorno del primo incontro aveva acceso la scintilla del mio istinto; il quale mi faceva presagire qualcosa di bello. Tutto, però, restava dentro di me come una massa informe di sensazioni che solo la sua presenza avrebbe potuto riordinare.
Giunta in prossimità della cascina, scorsi Silvio che mi aspettava per condurmi nella proprietà; quel gesto galante rafforzò l'opinione positiva che già avevo di lui.
- Vieni - esordì, accogliendomi con un caloroso sorriso, - ti mostro il posto. -
Mi accompagnò al centro dell'aia, da cui potevo vedere gli edifici della tenuta.

- Qui a destra c'è la stalla, mentre laggiù è dove immagazziniamo il letame. - Mi indicò un vecchio silo poco più avanti e aggiunse: - Ci servirà per concimare il terreno... ma immagino che tutto questo lo sai già - .
Rise e io feci lo stesso.
Mi fece strada su una carreggiata erbosa che collegava l'aia all'aperta campagna. Ci fermammo a pochi metri da una distesa di alberi che sembravano perdersi verso l'orizzonte. Erano così tanti che persi il conto.
- Quelli sono i nostri alberi da frutto, ne abbiamo di diversi tipi - spiegò, abbracciando con lo sguardo l'intero podere. Ero incantata, sembrava un piccolo paradiso verde. La zona era isolata, il silenzio rotto solo dal cinguettio degli uccelli e dallo stormire del vento.
Era davvero il posto ideale per crescere dei figli: chissà se lui ci pensava, così glielo chiesi.
- Non siamo stati creati per stare da soli - rispose lui, con la solita affabilità, poi proseguì - e i figli... sono un dono straordinario! Il mio sogno sarebbe quello di avere una famiglia numerosa, con tanti piccolini che girano per la casa. -
Non risposi subito, ma quelle parole mi impressionarono al punto da echeggiare nella mia testa per diversi minuti. Forse avevo trovato qualcuno con cui condividere i miei valori.
- E tu come la pensi? - mi rigirò la domanda, rompendo il silenzio che si era creato tra noi.
- Per me, la cosa che dà veramente senso alla nostra esistenza, è l'amore. Dall'amore nasce la famiglia che è il miglior regalo che la vita possa riservarci. -
Aggrottò la fronte, come se stesse rielaborando le mie parole. Ebbi l'impressione che volesse parlarmi ancora, ma poi scosse la testa. I suoi occhi indugiarono su di me, come il giorno in cui ci eravamo incontrati. Io risposi al suo sguardo con un cenno, mentre il vento muoveva le fronde degli alberi.
Finalmente parlò: - Non mi hai detto come passi le tue giornate... di cosa ti occupi? - .
Evidentemente i discorsi si stavano facendo troppo impegnativi per un primo appuntamento, pensai, e forse, non aveva tutti i torti.
Mi affrettai a rispondere, intonando l'espressione alla leggerezza dell'argomento.
- Io, be', do una mano a casa. Come già sai, ho dieci fratelli, quindi, oltre ad accudire i più piccoli, faccio il bucato con mia madre, lavoro nell'orto e imparo a cucinare. Aiutare gli altri mi rende davvero felice. Sono anche diventata brava a fare i dolci, sai? -
- Ah sì? E ne faresti uno anche per me? - scherzò, gioviale.
- In realtà io desidero fare i miei dolci solo alla persona che sposerò - obiettai ridendo sotto i baffi.
Mi lanciò uno sguardo divertito, come se volesse sfidarmi. - Allora, forza, andiamo a raccogliere le ciliegie. Poi, se ti andrà, un giorno di questi mi farai assaggiare una crostata e vedremo se sei davvero così brava - e ridemmo entrambi, sintonizzati sulle medesime note allegre.
- Vedremo! - lo schernii e, facendogli la linguaccia, corsi verso gli alberi da frutto con il cestino oscillante sottobraccio. Mi piaceva il legame che si stava creando tra noi, però, nella vita si fa in fretta a rovinare tutto il bello che ci capita, specie se – come me – si ha un carattere orgoglioso e, a volte, impulsivo. Fu così che mi avventai sul primo albero carico di ciliegie con la frenesia della ragazzina che in fondo ero ancora.
Mi tolsi i sandali e provai ad arrampicarmi.
- Ferma, così rischi di cadere! - gridò, con un tono di voce che mi suonò brusco.
- Credi che non sia capace? - ribattei, offesa.
- Ma no, voglio solo che tu non ti faccia male - mi disse con un'espressione preoccupata.
Mi chiesi perché mi stesse trattando come una bambina, così m'impuntai: - Non è vero, tu hai paura che ti rovini qualche ramo del tuo prezioso albero! -
Mi arrampicai facendo leva sulle ginocchia e, slanciando un braccio verso l'alto, sfiorai con la mano una fronda da cui pendevano le ciliegie, lucide e invitanti, che mi sfuggirono per pochi millimetri. Mi protesi ancora, facendo leva con il piede sul ramo e allora sentii crac.
- Annunziata! -
La voce di Silvio suonò allarmata. Cercai di aggrapparmi al fusto, ma mi sbilanciai e caddi a terra. Per fortuna l'erba attutì la mia caduta, ma il mio sguardo incrociò quello del ragazzo, preoccupato, ma anche infastidito.
Mi si avvicinò, trafelato.
- Visto? Te l'avevo detto - rimarcò, tendendomi la mano per aiutarmi a rialzarmi.
- Be', grazie - ribattei, respingendola con una smorfia. Indispettita, allacciai i sandali in tutta fretta e mi precipitai fuori dal podere, stringendo a me il cesto vuoto. Devo confessare che in quel momento mi sentivo parecchio delusa, non era certo quello che mi sarei aspettata da quella giornata. Sulla strada del ritorno mi chiesi quanto il mio carattere avrebbe condizionato la mia vita in futuro e se avrei mai trovato qualcuno in grado di sopportarlo. Forse avevo esagerato, così pensai per un attimo di tornare da lui per scusarmi; ma l'orgoglio ebbe la meglio e mi lasciai alle spalle le ciliege e l'idea di preparargli una torta.

Sabrina Feltrin

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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