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Autore: Bruna Pandolfo
Natività di un sospetto
Giallo
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Natività di un sospetto
Mercoledì 10 ottobre 2018.

-Monsignore, la sacra istituzione che lei rappresenta dovrebbe insegnare la misericordia e la clemenza-.
-Professore, è una vicenda moralmente dubbia quanto inquietante quella di cui stiamo parlando, se ne rende conto?-.
-Certamente, ma chi meglio di un buon pastore può essere in grado di dare un messaggio di speranza e conforto a un gregge sperduto?-.
-La prego, non manipoli il Vangelo per convincermi. Mi dica qual è il nocciolo della questione.
-Accorrerà la stampa da tutto il mondo e proprio la Chiesa non può latitare, soprattutto quando si tratta di una famiglia devota come gli Alfonsetti-.
-Professore, la Chiesa non latita, ma si tratta di una situazione a dir poco immorale, forse sarebbe meglio che la funzione si celebrasse nella loro parrocchia-.
-Monsignore, un'omelia accorata contribuirà a la- vare l'onta. La famiglia è devastata dal dolore e dalla vergogna. Inoltre, la Diocesi ne trarrà i suoi benefici, gli Alfonsetti sono disposti a elargire una lauta somma con cui organizzare quella mostra sugli ultimi ritrova-
menti del Tesoro della Cattedrale che da tempo rimandiamo-.
Il prelato abbandona le ultime remore, sebbene si dimostri ancora infastidito. - Quando è previsto l'arrivo della salma?-
-Stanno facendo l'autopsia, un aereo lo condurrà in Italia non appena termineranno-.
-Perché sta facendo tutto questo?-
-Era un amico, è il minimo che possa fare per lui-.
-Si occuperà lei del necrologio?-
-Certamente, ma anche la sorella e i molti amici. Il giornale ne sarà pieno-.
-Le chiedo di preparare un bel discorso da fare in chiesa, i parenti gliene saranno grati-.
-Lo farò. Tornando a casa cercherò di mettere in or dine le idee, la morte di Amedeo mi ha lasciato un pro fondo senso di sconforto-.
-Bisogna essere forti e affidarsi a Dio-.
-Ci proverò. La quotidianità, il tempo e la rassegnazione faranno il resto-.
-Professore devo lasciarla, mi chiami quando saprà con esattezza la data dell'arrivo della salma-.
-La contatterò. Mi consenta di rinnovarle i miei ringraziamenti e quelli della famiglia Alfonsetti-. Guardandolo mentre si allontana mi rendo conto che la mia sofferenza non ha scalfito i pregiudizi di monsignor De Salvo; la pallida richiesta di consolazione non ha sortito altro effetto che una frase di circostanza e un saluto formale e distaccato. Mentre mi dirigo verso la macchina prendo il cellulare per chiamare la signora Alfonsetti.
La rubrica è piena di nomi senza volto, di gente che ho conosciuto non so dove e in quale occasione. Scorrendo ritorna lei, “Roberta”, il suo contatto prece- de proprio quello della “Sig.ra Alfonsetti”, è buffo che ci faccia caso in questa situazione, dopo averla pensata furiosamente la sera prima, mentre ero a letto con Elena. Del resto le persone che sono entrate nella tua vita e poi, per un motivo o per un altro, ne sono uscite in ma niera inspiegabile o rocambolesca, lo hanno fatto solo temporaneamente, per darti il tempo di metabolizzare, di capire e poi ritornare nei momenti più inaspettati, quando la vita ti chiede di pagare uno dei tanti conti lasciati in sospeso.

-Signora Alfonsetti, sono Stefano-.
-Ciao Stefano, aspettavo la tua telefonata-.
-Ho appena terminato di parlare con monsignor De Salvo-. Rifletto per qualche istante per pensare bene a ciò che è più opportuno riferirle. -Naturalmente ha accettato di celebrare il funerale di Amedeo. Non le nascondo che la prospettiva di una generosa offerta lo abbia incentivato, ma avrebbe comunque accettato-.
-Ha detto qualcosa sulle circostanze della morte di mio figlio?-
-Beh, era sentitamente dispiaciuto per l'accaduto e soprattutto che una cosa simile abbia potuto colpire la vostra famiglia, per la quale ha espresso parole di sincero cordoglio-.
-Mi conforta sentirti dire queste cose-.

-Piuttosto mi faccia sapere quando inizierà il viaggio di ritorno per la Sicilia. Ho concordato con monsignor De Salvo che gli telefonerò non appena ci comunicheranno la data del suo arrivo-.
-Ti chiamerò quando avrò qualche notizia-.
-Adesso devo lasciarla, ci sentiamo in questi giorni per ultimare i preparativi con Ludovica. Si tiri su, lei è una donna forte-.
-Ancora grazie, mio figlio aveva un vero amico-.
-Anche Amedeo lo è sempre stato nei miei confron ti. Mi saluti suo marito-, clic.
Mentre mi dirigo verso piazza Manganelli per prendere la macchina, qualcosa mi dice di tornare in chiesa, stavolta per pregare, il senso di smarrimento suscitato da questa situazione me lo rende impellente. Non posso considerarmi un fedele praticante, seppure ci sia stato un momento della mia vita in cui ho tentato di esserlo, ma ammetto che lo studio mi ha allontanato dal frequentare assiduamente la casa di Dio. E pensare che la mia formazione è avvenuta nell'alveo di un istituto salesiano, chissà cosa penserebbero di me i vari direttori che si sono avvicendati, forse mi reputerebbero un miscredente per le idee e le convinzioni maturate negli anni. Non nascondo che abbia contribuito la mia pigrizia, ma di certo gran parte delle colpe devo attribuirle alla cultura, perché quando sai e approfondisci non ti puoi più accontentare delle frasi consolatorie; quando sai diventa difficile credere ciecamente alle affermazioni espresse come verità assolute e nasce un moto di rivolta interiore che porta al rifiuto dei dogmi; quando
sai riconosci anche il paganesimo in alcune credenze e rituali cristiani. E allora devi aggrapparti alla fede, alla buona volontà e alla necessità di credere in qualcosa, seppure irrazionale, che dia un senso; qualcosa, anzi, Qualcuno a cui abbandonarti quando vuoi dare una spiegazione a quegli aspetti della vita che una spiegazione non ce l'hanno.
È una giornata di sole di un caldo autunno siciliano, una di quelle giornate in cui puoi camminare con le maniche della camicia arrotolate fino al gomito, una di quelle giornate in cui non ti penti di aver lasciato il giubbino o il pullover sul sedile dell'auto, una di quelle giornate in cui puoi anche fare una nuotata, una di quelle giornate in cui puoi goderti il mare come non puoi farlo d'estate per via dello scirocco, della confusione e del vociare a tratti volgare dei bagnanti. Gli avventori delle spiagge durante l'estivo autunno catanese sono i fortunati residenti di condomini e villini costruiti lungo la costa, pensionati che attendono lo scorrere del tempo, studenti universitari che si preparano per la sessione autunnale, disoccupati in attesa di ricevere una telefonata per un colloquio di lavoro o un'assunzione. Quindi, il mare d'autunno è per gente che vive in attesa.
Nonostante anch'io viva aspettando qualcosa, piuttosto che al mare, preferisco andare in chiesa. Ripercorro la via Etnea passando da piazza Università, luoghi a me familiari, frequentati prima come studente e adesso come docente. Sto attraversando una città che negli anni si sta lentamente e faticosamente risollevando
da una crisi economica, sociale, culturale e politica che negli ultimi decenni l'ha messa in ginocchio, una crisi che ha contribuito a svuotarla della sua parte mi gliore, lasciando le macerie di un'umanità arretrata, in cui rimangono radicate l'ignoranza e l'illegalità. Donne che si vantano di avere un figlio o un marito in galera; ragazzini e giovani impenitenti che giocano a fare gli adulti sognando di diventare i boss del quartiere; ragaz ze che abbandonano la scuola con il ventre gonfio – ancora poco più che bambine – precludendosi un futuro indipendente dal padre del proprio figlio.
Una città che arranca nel recuperare stabilità eco nomica e benessere diffuso, una città in cui il ceto alto borghese cammina con disinvoltura tra la quantità enorme di lavoratori in nero o di finti contratti part- time in cui le ore lavorate quotidianamente arrivano a superare quelle di un regolare full-time. Il risvolto della medaglia è una città che attira una quantità sempre maggiore di turisti, in cui si sta cercando di migliora re i servizi e le vie di comunicazione, una città in cui i giovani di talento pieni di idee, di un piccolo capitale e buona volontà possono riuscire a emergere nell'imprenditoria fondando start-up innovative. Una città in cui anche l'arte sta diventando un valore, l'eco mediatica che scaturisce dalla curatela di mostre da parte di alcuni personaggi in vista del panorama culturale e dello show-business italiano attrae curiosi, turisti e ap passionati, ciò contribuisce a creare un ritorno economico e a renderla più viva. Per non parlare del turismo enogastronomico.

Questi e altri pensieri mi balenano in mente nel tragitto che percorro fino ad arrivare di nuovo in cattedrale. Da anni non entro in una chiesa in un momento che non preveda la partecipazione a messe celebrate in onore di qualche festività o di sacramen ti per parenti e amici. Quando mi ritrovo all'interno alzo subito lo sguardo in su, per deformazione professionale inizio un'osservazione attenta dello spazio circostante, sentendomi parte della sua anamorfosi. Giro intorno come se ci entrassi per la prima volta, la riscopro frugandola con i miei occhi indagatori. Staticità e solidità, è a questo che penso nell'osservarla. Se dovessi descrivere me stesso utilizzando una metafora strutturale, invece, vedrei un corpo plastico, un volume mobile, in divenire. La fermezza delle colonne, dei pilastri e delle absidi di questa chiesa può essere associata a quella della fede, alla certezza del proprio credo. Il senso del movimento trasmesso da me, invece, fa pensare al dubbio, alla fragilità umana, alla tensione verso l'Alto.
La soggettività con cui sto guardando trasforma le colonne e i pilastri, da strutture su cui scaricare l'ingente peso della muratura, in ali per librarsi verso l'Oltre. Questo desiderio di trovare una dimensione più pro- fonda mi dà le vertigini. Gli occhi avidi seguono l'andamento sinuoso delle modanature architettoniche delle cornici che racchiudono i dipinti raffiguranti resurrezioni o agiografie, tutto accompagnato dall'incedere audace di santi e puttini che accorrono a testimoniare, increduli, l'evento teofanico.

Mi accomodo su una panca laterale, non vorrei in- contrare alcun conoscente, mi guardo intorno furtivamente e poi mi inginocchio per comunicare delle frasi, forse un po' sconclusionate, all'Altissimo. La mia è una sosta breve, poiché il mio senso di disagio non mi con sente di trattenermi oltre, mi alzo, cammino lungo la navata laterale destra, imbibisco le dita immergendole in una delle due acquasantiere monumentali all'ingresso, faccio il segno della croce rivolgendomi alle absidi, mi giro di nuovo e guadagno l'uscita. Sul sagrato della chiesa c'è lo spettacolo desolante dei mendicanti che sperano di ricevere qualche centesimo facendo leva sulla pietà che può suscitare il proprio corpo deturpato, il grave stato di povertà in cui versano o la grande quantità di bocche che dichiarano di dover sfamare. Un trenino aperto scende da via Vittorio Emanuele per portare i turisti a fare il giro panoramico della città. Una voce registrata illustra il percorso e ne descrive le bellezze in maniera superficiale.
Un cospicuo gruppo di stranieri oltrepassa Porta Uzeda, l'accompagnatrice si ferma di fronte alla cattedrale e mostra l'ingresso del Museo Diocesano. È tutto un avvicendarsi stanco di foto e selfie. Mi allontano per avviarmi verso la mia macchina, in lontananza vedo uscire dal tabaccaio una giovane donna che mi sembra di conoscere, la guardo con maggiore attenzio ne per esserne sicuro, ma il gruppo di turisti mi passa davanti occludendomi la visuale. Rimango lì, aspettando il loro passaggio, non agisco, non mi dimeno per svicolare, non la inseguo, rimango lì, fermo, immobile

e, come i bagnanti delle calde giornate autunnali siciliane, aspetto.
Stavolta risalgo la via Etnea senza più voltarmi in- dietro, con passo stanco, poiché sono incerto su ciò che devo fare nel resto della mattinata. Decido di imboccare una traversa e fermarmi in uno dei tanti bar di cui è co- sparsa la città. Sono circa le dieci e trenta del mattino e ordino un cognac, essendo un locale alla buona non ce l'hanno, chiedo una vodka liscia senza ghiaccio, la bevo tutta d'un sorso. Senza pensarci, senza rimorso. Voglio uscire immediatamente da questo posto, non sono abituato e non voglio che mi veda qualche mio studente o qualche collega. Gente come me beve tra le quattro mura domestiche o sorseggia un drink o un liquore co modamente seduto con il giornale aperto in mano, non in piedi davanti a uno sconosciuto in un baretto senza pretese come farebbe qualunque poveraccio stanco e insoddisfatto della vita che conduce. Pago, lascio una discreta mancia e raggiungo il parcheggio, il bicchierino mi ha dato alla testa, non sono solito bere superalcolici a quest'ora del mattino, però mi serviva un po' di intorpidimento. Adesso posso rientrare a casa. L'auto è posteggiata sulle strisce blu di piazza Manganelli, uno slargo dalla forma irregolare, ma pieno di fascino per la posizione da cui si può ammirare uno dei più bei palazzi tardo-barocchi della città, Palazzo Manganelli, che, tra mura austere e saloni sfarzosi, custodisce un meravi glioso, quanto romantico, giardino pensile.
Apro la macchina con il telecomando, a distanza, mentre un automobilista fortunato mi chiede se stia

andando via. Io rispondo con un cenno della testa perché mi imbarazza farmi sentire con la voce impastata. Arrivo a casa in pochi minuti, non c'è molta confusione per le strade, parcheggio nel posto riservato ai residenti, l'auto di mia moglie, con mia sorpresa, non c'è, sono solo. In altri tempi le avrei telefonato non appena entrato a casa per allontanare qualunque sospetto dalla mia mente. Adesso nemmeno mi sfiora l'idea di un'eventuale tresca, sarà a fare la spesa o a fare visita a sua madre. Meglio così, voglio dormire. Faccio una doccia rapida e mi metto sul divano del salotto con un plaid sui piedi. Se dovesse ritornare, nello stato in cui sono, Elena non faticherebbe a credere che mi è venuta un'emicrania. Del resto da tempo non si premura più di tanto e non mi controlla, al massimo può avvertirmi che nello stipetto abbiamo sia le aspirine che gli analgesici.
Sono le 12:18 quando un messaggio mi risveglia, è un'ex allieva che discretamente mi scrive per farmi le condoglianze per la perdita del mio amico, evidentemente avrò parlato di lui durante qualche lezione, anche se non ricordo. Nello stesso momento sento la chiave nella serratura. Entra salutandomi perché ha vi sto la macchina posteggiata fuori. Mi alzo dal divano e le vado incontro, le mie previsioni sullo scopo della sua assenza erano sbagliate, guardo le buste che tiene in mano, lei mi vede un po' stupito e mi dice che stamatti na, aprendo l'armadio, si era resa conto di aver bisogno di un tubino nero per il funerale di Amedeo, che ne ha preso uno molto sobrio che potrà sfruttare anche in altre occasioni.
Come se nulla fosse va in camera da letto per posare borsa e giubbotto. Non proferisco parola perché potrei dirle solo che non so come abbia fatto a diventare così superficiale.
-Che gran caldo! Sembra ancora estate, viene voglia di andare al mare- dice mentre va verso la cucina.
-Già- le dico seguendola.
-Cosa ti va di mangiare?-
-Decidi tu-.
-Il giapponese adesso fa consegne a domicilio anche a pranzo. Ordino per l'una e mezza, che ne dici?-
-Sì, come preferisci, conosci i miei gusti-.
-Perché non apri una bottiglia di bianco? Mentre aspettiamo potremmo metterci un po' comodi sul di- vano-.
Telefona, ti aspetto in salotto-. Mentre cerca il volantino con il numero del ristorante mi segue con la coda dell'occhio per vedere se la sto guardando, e soprattutto se lo sto facendo con desiderio. Effettivamente mi coglie in flagranza, ma non tanto perché abbia voglia di lei, quanto per lo stupore del suo nuovo stato d'animo, per la frivolezza dei suoi gesti, per il suo sguardo complice.
Apro la bottiglia, prendo due bicchieri e la aspetto in salotto, metto un cd di Battisti perché so che piace tanto a entrambi. Dopo pochi minuti appare, si siede con la stessa disinvoltura con cui mi dà un bacio casto sulle labbra, come se mesi e mesi di indifferenza non fossero mai esistiti. Si poggia sul fianco destro per stare di fronte a me, rannicchia le gambe sotto le ginocchia.

-Quando si celebrerà il funerale?-.
-Devo chiamare monsignor De Salvo quando ci co- municheranno la data del rimpatrio della salma-.
-Mmm-.
-Viste le circostanze dubbie della morte era reticen te a celebrarlo-.
-Dovevi aspettartelo-.
-Un uomo con abitudini diverse non merita un funerale?.
-Sai bene che non intendevo dire questo, ma devi ammettere che sarà quanto meno imbarazzante trovare delle parole di conforto in una situazione del genere-.
-La morte a seguito di una malattia o di un incidente suscita pietà, una morte come quella di Amedeo può provocare solo curiosità e riprovazione, lo so-.
-Non pensarci, ciò che conta è che alla fine abbia accettato.
-Dopo la promessa di una cospicua donazione da parte degli Alfonsetti-.
-Sarà un evento per la città-.
-Elena, non tollero queste esternazioni così superficiali-.
-È un dato di fatto, lo sai-.
-Tra l'esserne consapevole e l'aspettare il momento solo per essere al centro dell'attenzione c'è differenza-.
-Sei ingiusto a parlarmi così-.
-Sapendo della sua morte è stato impellente il bisogno di un tubino nero “sobrio” da mettere per l'occasione- le dico sbeffeggiandola, lei mi guarda con ferocia, si
alza dal divano e va in camera da letto urlandomi che non mi consente di trattarla in questa maniera.
Quando dopo più di un'ora citofonano, lei risponde indicando il piano, prende le buste, paga, richiude l'u- scio alle sue spalle e porta tutto in cucina. Apparecchia e mi chiama, la raggiungo con passo stanco, mi sfianca litigare con lei, soprattutto perché provo un senso di colpa opprimente nei suoi confronti per tutte le volte che l'ho tradita negli ultimi due anni. Nemmeno lo immagina. È stata assente dalla mia vita per moltissimo tempo, ripiegata nel dolore per l'impossibilità di avere un figlio tutto suo e io, piuttosto che starle vicino, cercavo conforto tra le braccia di una ragazza giovane, ap passionata e piena di ideali. Ci sediamo a tavola, è lei la prima a parlare.
-Credevo che fare l'amore ci avesse riavvicinati, voglio provare a far funzionare il nostro matrimonio. Siamo stati felici per tanti anni, potremmo tentare di riscoprirci.
-Scusami se prima ho esagerato, non ho il diritto di giudicarti così duramente, ma certi tuoi modi mi sembrano così futili e questo mi irrita. La morte di Amedeo mi ha sconvolto, sentirti vicina mi darebbe il conforto di cui ho bisogno-.
-Io sarò al tuo fianco, non ti lascerò un momento-. Rimaniamo in silenzio con la scusa che è da maleducati parlare con la bocca piena, poi è di nuovo lei a romperlo. -In realtà non sono uscita per comprare il tu bino, quello l'ho visto in una vetrina e l'ho preso, la mia intenzione era acquistare qualcosa di seducente, ma i
tuoi rimproveri hanno rovinato la sorpresa- mi dice un po' imbronciata.
-Non volevo rimproverarti, non sapevo cosa avessi nelle buste. Anch'io vorrei che le cose tra di noi fun zionassero come una volta-. Le accarezzo la mano e me la porto delicatamente alle labbra per sfiorarla con un bacio.

Nell'attesa che arrivi qualche notizia da parte delle autorità statunitensi vado all'università. I miei studenti mi aspettano, seguono le mie lezioni guardandomi con occhi adoranti, pendono dalla passione con cui espongo i contenuti dei corsi monografici che scelgo per loro. Oltre all'interesse intellettuale, oggi i loro sguardi esprimono curiosità e domande, l'aula è gremita. Fingo che sia tutto normale, sono un vero maestro in questo, le parole escono fluide e senza che me ne renda conto è trascorsa più di un'ora, a destarmi è la domanda di una studentessa zelante che mi chiede se possa consigliarle dei saggi di approfondimento sui fiamminghi e Antonello da Messina dal momento che mi sto concentrando su questo argomento e non ci sono riferimenti espliciti nel programma.
La domanda mi spiazza, perché solo ora prendo piena consapevolezza che sto trattando un argomento che non era previsto nella lezione di oggi.
Il catalogo della mostra tenuta alle Scuderie del Quirinale nel 2006 è di notevole spessore, potrebbe aiutarla a comprendere meglio la genesi e le matrici artistiche e culturali dello stile antonelliano.

Il riferimento ad Antonello da Messina è per confrontare in maniera puntuale ed efficace le crocifissioni e i polittici del periodo e per mettere in evidenza il respiro internazionale della sua arte e il ruolo tutt'altro che provinciale della Sicilia in questi secoli-.
-La sua monografia non è sufficiente?-.
-È ormai superata, in quella che vi segnalo ci sono dei riferimenti bibliografici aggiornati e immagini ad alta risoluzione-.
Alla fine delle mie spiegazioni mi sento come se fossi scampato a un pericolo. Continuo la lezione riprendendo la presentazione dettagliata del programma che concluderò con accenni al mecenatismo e alle spinte culturali provenienti dalle nascenti Signorie italiane. Termino congedandomi, smanetto con il computer per espellere la chiavetta e poi afferro il telecomando per spegnere il videoproiettore. L'aula è ancora piena, gli studenti bisbigliano, io metto la mia roba nella borsa, accenno un ultimo saluto e vado via. Mi rintano nella mia stanza, chiudo la porta a chiave nonostante ci sia ricevimento. Ho incontrato pochi colleghi, ho fatto un giro più lungo proprio per evitare le scale principali e i corridoi più frequentati.
Il barricamento durerà poco, ma prendo tempo per riflettere su ciò che è successo in aula. Questa storia mi perseguita ancora, credevo di essermela scrollata di dosso, ma riaffiora periodicamente cogliendomi alla sprovvista. Un olio di dubbia attribuzione, un docu- mento di dubbia provenienza, un De Saliba venduto per un originale antonelliano, una monografia di chiara
fama, un introito milionario per il proprietario e una commessa cospicua per Amedeo, la promessa che non avremmo più fatto un'operazione così azzardata, non si può arrivare all'obiettivo finale a qualunque costo. Potrebbe anche essere un originale, ma se qualcuno appurasse che non lo sia la caduta sarebbe rovinosa.
-Eventualmente ho un conto alle Cayman-, mi aveva detto, -fuggiamo insieme e andiamo a vivere lì aprendo un chiosco-bar alla catanese. Faremmo un successone, fidati. Non scrivere e non parlarne al telefono, mai. Di mentica- era stata l'ultima parola di quella telefonata memorabile.

Bruna Pandolfo

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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