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Autore: Maria Vincenza Gargiulo
Io, l'amore e Central Park
Romanzo Rosa
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Io, l'amore e Central Park
Ho sempre visto l'idea di lasciare il mio paese con timore. Oserei dire, anzi, quasi con orrore. È una cosa che richiede coraggio e tanta fiducia in se stessi. Da sempre ammiro le persone che di punto in bianco lasciano tutto per inseguire i propri sogni in un altro paese lasciandosi la vecchia vita alle spalle, voltando radicalmente pagina e facendo i conti con tutto quello che di nuovo si troveranno davanti. Per cui non ho mai pensato di poter affrontare una cosa così grande né tantomeno che mi capitasse l'occasione di considerarla.
Ma poi la vita ti pone davanti a delle possibilità che ti sembrano tali solo poiché sei nello stato d'animo giusto, nella corretta prospettiva che te le fa valutare come serie alternative a una vita in linea di massima già indirizzata. Per me, almeno, è stato così.
Oggi, a 25 anni, quindi, mi ritrovo negli Stati Uniti per il secondo anno consecutivo e, a differenza di quanto credevo all'inizio, poco intenzionata a ritornare da dove sono venuta.
L'America è sempre stata un mito. Un qualcosa che, al culmine della mia fortuna, un giorno avrei potuto visitare, cercando di toccare quanti più punti è possibile del suo sterminato territorio, per ritornare poi a casa con un bagaglio di emozioni e di ricordi bello corposo. Spesso mi sono sorpresa a pensare:“perché non sono nata a New York, o a Los Angeles, o in qualsiasi altra città degli USA”.
In effetti è un po' il sogno di tutti i giovani, o almeno della maggior parte. Gli Stati Uniti sembrano il punto di partenza di un viaggio emozionante. Vivere lì dev'essere fantastico. Puoi trovare qualsiasi cosa tu cerchi. Fare esperienze di studio o di lavoro lì fa sì che in Europa, o quantomeno in Italia, al ritorno tu venga considerato come una specie di guru.
Ammesso che alla fine tu decida di tornare. Quella è la patria delle possibilità. Non a caso, nel corso dei secoli, le persone si sono mosse in massa dall'Europa, e non solo, per andare alla ricerca del Sogno Americano e, ancora oggi, un certo retaggio di questo è osservabile nelle persone della mia generazione. Indubbiamente, la pubblicità e il marketing hanno dato un notevole contributo all'idealizzazione dell'America e alla sua raffigurazione come una specie di Terra Promessa. E io, seguendo la massa, ne ero affascinata. Ma come tutti i più bei sogni, mi sembrava tanto affascinate quanto irraggiungibile. Qualcosa che fosse destinato a rimanere un sogno.
L'evento che mi ha dato il coraggio per affrontare un cambiamento di vita così radicale è stato, come nel più banale dei casi, una storia d'amore finita male. Beh usare il termine male è quasi un eufemismo. È stata, praticamente, la scena madre di una tragedia. Una situazione talmente assurda e irreale che faccio ancora fatica a credere che sia successa davvero.
Innanzitutto, inizierei con il ridimensionare le cose. Ho detto “storia d'amore” ma non penso che sia questo il termine esatto. Chiamarla così è già troppo. Infatti ho scoperto, purtroppo un po' in ritardo, che per lui non lo è mai stata e, dopo circa un anno e mezzo di, chiamiamola, “frequentazione”, dopo che ho cercato in tutti i modi di fargli capire quanto per me fosse importante, impegnandomi con tutte le forze...un giorno mi sono sentita dire la temibile frase: “Ti devo parlare”.
Non ho mai voluto credere che questa frase fosse l'indizio di qualche problema. Con il mio solito ottimismo, che tutti indicano come qualità ma che a volte fa prendere delle cantonate assurde, credevo o volevo credere che fosse solo una frase generica, che potesse indicare tutto e niente, qualcosa di brutto ma anche la possibilità di qualcosa di bello. Non
che fosse il classico “inizio della fine”. Anche se, effettivamente, in questa storia non si capisce bene quale sia l'inizio e, a ragion veduta, se ci sia mai stato un inizio. In ogni caso mi sono dovuta ricredere, ho dovuto riguardare un po' tutta la mia linea di giudizio e capire che quando la maggior parte delle persone considera una cosa negativamente, in effetti sarebbe bene fidarsi. O quantomeno metterci il principio del dubbio.
Infatti quel giorno, animata di tutte le buone speranze del mondo, mi sono recata all'appuntamento e, senza alcun riguardo, reale o simulato, sono stata messa al corrente del fatto che lui si era da un po' interessato a un'altra ragazza e che la nostra frequentazione di un anno e mezzo (ripeto!) per lui abbia avuto la stessa valenza di un intrattenimento, un intervallo tra un tempo e l'altro di un film.
Altro che doccia gelata, è stato come se un iceberg intero mi crollasse addosso. Lui è stato il mio primo amore, l'amore provato quando ancora si crede nel vero amore, sincero, innocente, genuino. L'amore come quello delle favole. Vederlo respinto come se fosse una cosa da niente è stato terribile. Uno specchio che rompendosi ti mostra che dall'altra parte c'è una realtà ben diversa da quella che ti eri sempre immaginata.
A dispetto di quanto si può credere, sono rimasta lì ad ascoltarlo impassibile, cercando di conservare le briciole della mia dignità. E quando, alla fine, mi ha chiesto se volevo un bacio d'addio...perché, per quanto assurdo possa sembrare, questa cosa è successo davvero...ho soltanto scosso la testa e pronunciato il NO più atono che mi sia mai capitato di pronunciare. È stato il colpo di grazia che normalmente l'eroe infligge al cattivo, al mostro. Solo che in questa storia i ruoli sono invertiti, ed è l'eroe che finisce KO, nel modo peggiore e più umiliante possibile. In quel momento non sapevo cosa pensare né dire. Ero troppo sconvolta, soprattutto per l'eccesso di “magnanimità” dimostratami nell'assurda richiesta di un ultimo bacio. Ma in cuor mio avrei voluto... urlare? schiaffeggiarlo? insultarlo? Tutto insieme forse...non lo so. Di sicuro un bell'urlo o uno schiaffo ben assestato mi avrebbe risollevato, anche solo momentaneamente, il morale. Sta di fatto che non ho fatto proprio nulla e, almeno in sua presenza, non ho versato neanche una lacrima. Magra consolazione anche se aver mantenuto un certo contegno è la cosa a cui mi sono potuta aggrappare durante la fase di post-ti-devo-parlare.
A quest'episodio è seguito un periodo un po' buio della mia vita. In effetti ero un po' abbattuta e totalmente sfiduciata nei confronti dell'universo maschile ma anche, a dirla tutta, di quello femminile, nel caso particolare, del mio. Mi ripetevo in continuazione che se aver fatto di tutto per qualcuno non era bastato per convincerlo a rimanere...in cosa avevo sbagliato?? Quello che io credevo tutto, in realtà non era abbastanza? Che fare di più? C'erano anche i giorni in cui, invece, mi rimproveravo e mi chiedevo come avevo fatto a cadere così in basso e altri, invece, in cui nasceva la solita, cattivissima e infida domanda: “Cos'ha lei che io non ho?”. Dopo un po', però, che vai avanti così, cominci a capire che forse il problema non sei tu ma l'altro! E quindi subentra la fase rabbia. L'odio più intenso possibile per una persona che ti ha profondamente ferito, in tutti i modi possibili ma che in fondo continui ad amare e non riesci neanche tu più a capire il perché. Ma è così. E la rabbia cresce.
Alla fine mi sono arresa. Ho capito che era tutta energia sprecata e, in qualche modo, sono andata avanti. In realtà ho dovuto farlo poiché era necessario che tutte le mie energie fossero rivolte a qualcosa di più imminente e sicuramente molto ma molto più importante. Infatti si avvicinava il momento della laurea e dovevo essere quanto più lucida pos- sibile. Mamma mia che momento! Stressantissimo! Ma a ripensarci fortuna che è capitato proprio allora. Diciamo che è stato un ottimo diversivo.
Presa la laurea, avevo di certo intenzione di continuare il mio percorso di studi, ma allo stesso modo ero decisissima a cambiare qualcosa nella mia vita. Ne avevo un disperato bisogno. Quindi, nel momento in cui si è ventilata la possibilità di una borsa di studio per la CUNY, l'Università pubblica di New York, non ci ho pensato due volte. A dire il vero ci ho pensato, anche più di due volte, ma di sicuro ho affrontato la cosa con uno spirito più predisposto ad accettare di quanto avrei mai potuto immaginare in passato.
Questa è stata la mia presa di coraggio, l'evento che mi ha fatto rimettere in discussione la mia vita, prendere in consi- derazione e addirittura accettare la possibilità di andare in America, a chilometri e chilometri da casa (ma soprattutto da lui!) per continuare gli studi e costruirmi una nuova vita. Guardandola da un altro punto di vista, può sembrare una vera e propria fuga, e a onor del vero non è neanche troppo lontano dalla realtà, ma io preferisco vederla come una presa di coraggio. Suona meglio!
Din...don...dan....
A proposito di suono. Le campane?? Ma che ore sono??Le 17:00...le 17:00?! Cavolo, ho perso la bellezza di 1 ora e 40 a ripercorrere il passato, a perdere tempo in pratica. Quindi la mia brava tabella di marcia studiata a tavolino per ripetere tutto il programma si va a far benedire. Ciò vuol dire che domani, all'esame, darò sfogo alla mia abilità creativa per rispondere alle domande. Vabbè il corso l'ho seguito...forse qualcosa posso sperare di scrivere.
Ah! Se va bene...se va bene...domani sera organizzo una cena! Sì, che bella idea! Potrei invitare...ah no! Mi sa che Janet deve ancora studiare per quella prova che deve fare. Janet, che tipo la mia coinquilina!. È una persona così determinata, studia sodo per diventare un'attrice e pare che sia una delle allieve più promettenti dell'Academy of Dramatics Arts di New York. Ogni tanto la sua scuola organizza delle prove di recitazione su temi particolari che alla fine sono parte del voto finale. Detto così non ha molto senso, ma lei me lo ha spiegato un milione di volte circa ma ancora non ci ho capito molto. Però so di certo che questa prova a cui ora sta lavorando è veramente importante. Addirittura sono previste delle lezioni individuali, per gli allievi più meritevoli, con personaggi più o meno famosi che hanno deciso di
prestare aiuto a questi giovani aspiranti attori.
Chissà se lo fanno a pagamento? Ma certo, figurati...
Chissà a lei chi capita!
Per cui, credo che almeno per ora la cena salta. Anche se
io ho proprio voglia di cucinare. È una vita che non lo faccio e domani è il mio ultimo esame, per ora. Devo comunque festeggiare. Dai, le faccio una sorpresa e la cena la organizzo solo per noi due. Janet adora quando cucino, anche perché tra le tante buone qualità che la caratterizzano, quella dell'arte culinaria proprio non le appartiene. Non che io sia una Master Chef, ma me la cavo. Diciamo che nessuno si è mai lamentato. Allora è deciso! Domani sera cenetta per due!
Cosa potrei preparare?
Accidenti! Oggi proprio non è giornata. Non riesco in nessun modo a concentrarmi. Eppure so che domani c'è l'esame e questo dovrebbe mettermi una ansia tale da farmi studiare ininterrottamente fino a domani mattina... e invece no! Mia madre dice sempre che se non riesco a concentrarmi adeguatamente prima di un esame e ripetere tutto è perché in fondo, inconsciamente, sono sicura che di sapere bene tutto. Mah...le mamme e le loro convinzioni. Vedremo domani se rimpiangerò amaramente o meno di aver perso tutto que- sto tempo...
In ogni caso è strano che non riesca a concentrarmi, vengo qui in biblioteca proprio perché mi aiuta molto.
Trovo quasi terapeutico passare del tempo in questo luogo. Così grande, spazioso che, nonostante ci siano altre persone con me, ho l'impressione di essere sola. Il silenzio è assoluto, quasi irreale e così riesco a ritagliarmi uno spazio tutto mio, una bolla. Ed è magnifico poterlo fare in un luogo pubblico. E poi ci sono milioni di libri. Adoro guardarmi intorno e vedere queste enormi scaffalature piene zeppe di volumi di ogni genere e tipo, trattati su ogni argomento immaginabile. Qualsiasi parola, concetto o nozione imparata qui è come se avesse una valenza maggiore, perché è inserita in un contesto perfetto. Stare qui mi da quasi l'impressione che la cono- scenza contenuta in tutti questi libri possa arrivare a me per semplice osmosi.
Ma ovviamente non è così, e io sono ancora allo stesso punto di prima!
Oltre alla biblioteca, un altro posto in cui adoro studiare e che mi permette di concentrarmi alla grande è Central Park. In effetti non so come sia possibile che due luoghi così di- versi mi possano aiutare a raggiungere uno stesso obiettivo. Ma per me è così. Central Park è un vero e proprio bosco. Lo chiamano “parco cittadino”, ma è inconcepibile. Solo che qui è tutto talmente grande ed esagerato che chi ci vive deve aver un po' perso il senso della misura.
Come tutti sanno, Central Park è nel centro dell'isola di Manhattan, 341 ettari, 3,4 km quadrati di verde e spazi, nel bel mezzo della città. Protagonista, ispirazione o scenario per innumerevoli film, circondato da enormi grattacieli, questo parco è una delle contraddizioni più vistose dell'epoca moderna. Passeggiare per i suoi viali è uno dei miei passatempi preferiti. Può sembrare la classica banalità, ma è un modo per staccare dalla solita vita quotidiana. Mentre tutto fuori scorre veloce, traffico, smog e fiumi di gente rumorosa che si spostano da una parte all'altra, camminando rapidi e apparentemente distaccati da tutto quello che li circonda, le persone che si incontrano in Central Park sono diverse. La “gente di Central Park”, come mi piace chiamarla, è fatta di persone che camminano rilassate, godendosi l'ossigeno che dipana dagli alberi che le circonda, che si soffermano a osservare uccelli o scoiattoli, indicandoli allegramente tra le folte chiome che gettano la loro ombra sopra le teste dei passanti. Oppure di persone che passeggiano meravigliandosi degli stupendi colori che il parco possiede e come questi si modificano nel corso delle stagioni. Oppure ancora, che si fermano a guardare qualche spettacolo improvvisato da artisti o sportivi che danno una piccola dimostrazione delle loro abilità, solo per il piacere di farlo. Magari queste persone sono proprio le stesse che quella mattina o il giorno prima hanno fatto parte dell'orda di gente che si muove veloce e indispettita per la città. Ma stare nel parco, ti cambia. Anche solo per un'ora, riesci a trovare una sorta di equilibrio interiore che ti permette di affrontare meglio il resto della giornata. La contraddizione sta nel fatto che tutto ciò è possibile pur non dimenticandosi della città che circonda il parco e che è sempre pronta a fagocitarti nuovamente in qualsiasi momento. I grattaceli, che si possono osservare, grazie a meravigliosi scorci tra gli alberi, ti ricordano che quello che stai vivendo è destinato a finire e tutto deve ritornare come prima. A dire il vero è un po' triste vista così, ma secondo me è più da intendere come un regalo che la città fa ai suoi abitanti: allenta un po' la presa su di loro, senza però abbandonarli completamente per, poi, riportarli indietro quando è
necessario. È un po' come essere una Cenerentola del XXI secolo. La mezzanotte arriva presto ma perdendo, la scarpetta, hai sempre una scusa per ritornare a cercarla!
Non appena ho del tempo libero, e ultimamente, purtroppo, mi è capitato sempre più di rado, adoro perdermi tra le strade di Central Park, girovagando a caso e scoprendo sempre nuovi volti, nuovi spazi, nuovi angoli che di volta in volta diventano i miei preferiti.
Attualmente il posto che preferisco si trova nella parte sud, nell'angolino a ovest. Lì c'è un piccolo specchio d'acqua, chiamato The Pond. Visto dall'alto, ha la forma di una V con i due bracci che quasi seguono i lati perpendicolari del limite del parco. Al termine di uno dei due bracci della V, quello che punta verso nord, c'è un ponticello in pietra e, immerso nella vegetazione, vi è uno splendido punto di osservazione. Mi ci sono imbattuta un giorno, lo scorso maggio, in uno dei miei vagabondaggi senza meta, ascoltando musica e godendomi la fresca ombra. Stavo attraversando il ponticello per la prima volta e mi sono fermata a guardare con maggiore attenzione, lo faccio sempre quando mi rendo conto che sono in un luogo mai visto prima. Subito mi sono accorta che aveva del potenziale e ho deciso che dovevo osservare il tutto da un'altra prospettiva. Quindi mi sono guardata un po' intorno e ho notato tra gli alberi il punto di osservazione perfetto che poteva proprio fare al caso mio. A questo punto si poneva solo un problema: come raggiungerlo? Diciamo che la mia agilità è sempre stata paragonabile a quella di un bradipo con la depressione, quindi speravo con tutta me stessa che non fosse difficile arrivarci. Per mia fortuna ho trovato un piccolo sentiero che conduceva proprio al ver- tice del braccio della V e...è stato amore a prima vista. Il ponticello al centro della scena che faceva da protagonista, con l'edera verde che lo avvolgeva quasi come una coperta, lasciando intravedere qua e là il colore originario della pietra, le chiome degli alberi tutte intorno sporgenti fino a sfiorare l'acqua e sullo sfondo gli immancabili grattacieli. C'erano tutti gli ingredienti per farmi credere di stare osservando un dipinto di un pittore paesaggista del XVI secolo, ritoccato con Photoshop e messo su uno sfondo diverso. A ottobre sono ritornata nello stesso punto di proposito, perché sapevo che la stagione mi avrebbe regalato uno spettacolo differente, ma non mi aspettavo affatto che l'effetto fosse così... magico. I colori, sui toni del rosso, marrone, giallo, arancio, si fondevano e alternavano con un armonico rincorrersi, le chiome in movimento, foglie trasportate dal vento, in aria, sull'acqua, il profumo dell'autunno. Meraviglioso. E dietro si stagliava l'immutabile sfondo. Mi sono sentita davanti a un vero e proprio inno alla speranza. La speranza che qualcosa può sempre cambiare. Uno spettacolo che ti allarga il cuore.
Dopo tutto questo elogio poetico delle caratteristiche di Central Park è il caso anche di considerare gli aspetti pratici e, da questo punto di vista, il vantaggio principale è che è situato praticamente dietro la facoltà. Durante le pause o alla fine delle lezioni moltissimi ragazzi, compresa me, “invadono” le panchine e i luoghi di ristoro del parco e, quando il tempo è clemente o la stagione è quella giusta, i prati. In questi casi è possibile rilassarsi giocando a frisbee o a pallone, prendere un po' di sole e chiacchierare con tranquillità, oppure studiare o leggere un buon libro. Io, di volta in volta, appartengo a qualcuno di questi gruppi. Quello che mi vede meno partecipe di tutti è sicuramente il gruppo che si occupa di attività fisiche, in particolare di frisbee. Non sono per niente capace. Alle volte qualcuno dei miei amici mi convince, per la gioia di tutti, a giocare ma ogni volta finisco inevitabilmente per ricordare il motivo per cui nella maggior parte dei casi evito di farmi coinvolgere.
Altro vantaggio è che non dista molto neanche da casa....
Ok! Basta così! Visto che non riesco a combinare nulla tanto vale andare a casa. Magari dopo una bella doccia e avvolta dal mio bel piumone che mi ripara da questi ultimi freddi, sarò più fortunata. Ma chi voglio prendere in giro? L'unica soluzione è farsi una bella dormita e domani...vada come vada!

Maria Vincenza Gargiulo

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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