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Autore: Roberto Tedesco
Una storia esemplare di riscatto
Romanzo
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Una storia esemplare di riscatto
Il fiume Lambro scorreva lento sotto il ponte che collega-va due ridenti cittadine brianzole, immerse nel verde. La casa di Nicola si trovava a qualche chilometro da quell'imponente opera d'arte, che in un cartello ricordava ai passanti la tragica fine che avevano fatto diversi giovani, gettandosi nelle sue fredde acque.
Quel pomeriggio, dopo l'ennesimo litigio con il fratello, Nicola uscì di casa sbattendo la porta e andò a camminare sul marciapiede di destra di quel maledetto ponte, rimuginando sul conflitto appena avvenuto con Fabio.
Era il mese di giugno e intorno a lui regnava il silenzio. Ogni tanto si sporgeva dalla balaustra a guardare la schiuma bianca franta dalle rocce lungo l'alveo del fiume, mentre nella sua mente turbinavano oscuri pensieri. Per al-lontanarli, volgeva lo sguardo lungo le sponde, ma neppure la fiorente natura attenuava la sua rabbia.
Lo assillava la disperazione, aggravata dal dolore per la perdita degli affetti più cari. Dopo aver fatto avanti e indie-tro diverse volte, a metà del ponte si fermò sulla terrazza panoramica, infilò i piedi sul parapetto e salì in cima al corrimano. Quando fu ritto sulle gambe, chinò la testa ver-so il basso e i suoi occhi videro una miriade di stelline luccicare sull'acqua, che gli offuscò la vista. Il cuore iniziò a battergli forte, una voce interiore gli diceva con insistenza: - Lasciati andare, buttati! - . Ma all'improvviso, qualcuno da lontano, gli intimò: - Ragazzo, fermati! -
 I Verri appartenevano a quella ristretta cerchia di famiglie brianzole che si era arricchita durante il boom economico degli anni Sessanta, periodo caratterizzato da un forte sviluppo tecnologico.
Angelo dirigeva l'azienda di famiglia, che da generazioni produceva mobili d'arredo in stile brianzolo. Quando la ereditò dal padre era in rovina, poiché nel corso degli anni non erano stati fatti gli opportuni ammodernamenti, infatti i macchinari funzionavano ancora utilizzando l'energia prodotta da una ruota a pale alimentata dall'acqua del fiume Lambro, ma lui aveva saputo trasformarla in una moderna realtà industriale, capace di produrre ricchezza e sviluppo economico.
Maria, sua moglie, era originaria della Valcamonica. I suoi genitori avevano uno studio legale e avrebbero voluto che diventasse avvocato ma lei invece, fin da ragazza, si era imposta di studiare l'antica civiltà dei Camuni, affascinata dalle oltre centosettantamila figure graffite sparse ovunque sulle rocce della sua valle.
Seguendo questa passione, si laureò in Lettere a indirizzo archeologico all'Università di Brescia; poi, proseguì le ricerche sui graffiti per capirne il significato intrinseco, poi-ché la roccia era come un libro aperto in cui ogni segno inciso aveva un valore storico-culturale. Di conseguenza, ogni periodo storico si distingueva grazie all'evoluzione stilistica dei segni medesimi.
Nel tempo libero, su richiesta del Comune della Valcamonica, Maria faceva la guida turistica ai siti archeologici e nello stesso tempo completava il libro sulle sue ricerche dal quale, dopo la pubblicazione, fu tratto un compendio per i ragazzi delle scuole elementari.
Fu proprio in occasione di una di queste visite ai siti archeologici che conobbe Angelo, in gita turistica da quelle parti, e se ne innamorò a prima vista. Poco dopo l'incontro lo sposò e si trasferì da lui in Brianza, dove iniziò la carriera di insegnante.
Dal loro matrimonio nacquero due figli maschi e una femmina. Il primogenito, Fabio, fin da bambino si era ap-passionato al lavoro del padre e lo seguiva in laboratorio in ogni suo movimento, tanto che l'odore del legno gli era persino penetrato nel sangue.
Il padre era fiero dell'interesse che il figlio mostrava per l'azienda e lo incoraggiava e sosteneva in ogni sua iniziati-va. In effetti, riconosceva in lui buona parte delle doti di iniziativa imprenditoriale che gli appartenevano e queste sue peculiarità gli facevano ben sperare per il futuro.
Ma la moglie, a tale riguardo, la vedeva in modo diverso. - Angelo, tuo figlio non può passare tutti i pomeriggi in laboratorio. Deve studiare - gli disse una sera, prima che si mettesse a tavola per la cena.
- Lascia che sia lui a scegliere ciò che gli piace fare - le rispose, con voce stanca e irritata.
Con il passare del tempo, Maria abbandonò l'idea di iscrivere Fabio al liceo, convinta che fosse più congeniale per lui fargli seguire una scuola professionale, e lo iscrisse all'Istituto Tecnico, che preparava i giovani a inserirsi nel mondo del lavoro.
Nicola era l'esatto contrario di Fabio. A lui non interessa-vano le sorti dell'azienda, anzi più volte aveva manifestato a suo padre la contrarietà ad assumere in essa qualunque incarico operativo. La sua indole era diversa da quella del fratello, come diverse erano le sue aspirazioni.
Il padre però non si era rassegnato e ogni due per tre lo provocava, non per irriderlo ma per farlo riflettere.
- Ti vedo sempre piegato sui quei libri. Pensi che quelli, un domani, ti daranno da mangiare? - gli disse una volta.
- Come faccio a risponderti, papà. Studiare a me piace. Fa-re il falegname no - gli rispose di getto.
- Potresti almeno provare a fare qualche ora in azienda, prima di dire di no. Tuo fratello lo fa - continuò Angelo.
- Lui è portato per quel lavoro, io soffrirei se mi costringessi a farlo. Lo sai bene, ne abbiamo già parlato. -
L'avversione di Nicola verso l'azienda, creata con tanti sacrifici dal padre a cui stava tanto a cuore, non giovava ai loro rapporti, anzi col tempo li logorarono fino al punto di arrivare alla più esecrabile indifferenza.
La mamma, invece, nutriva per Nicola un attaccamento quasi morboso, tanto che se ne accorsero persino le persone a lei vicine. Queste le facevano notare come un atteggia-mento così remissivo verso di lui avrebbe potuto creargli uno squilibrio psicologico e, di riflesso, anche in suo fratel-lo. Maria sosteneva che era più forte di lei amarlo intensa-mente, perché era venuto al mondo rischiando la vita. In ciò non trovava nulla di anomalo, poiché non le impediva di amare il resto della famiglia allo stesso modo. Tuttavia, si guardava bene dall'ammettere che il suo comportamento aveva fatto sorgere in Fabio una sorta di gelosia nei suoi confronti a causa del fratello minore.
Dopo dieci anni dal figlio primogenito, Maria diede alla luce anche Matilde, l'ultima in casa Verri, ma pur provando per lei sentimenti materni, non l'accolse a braccia aperte. Ormai si era disabituata alla maternità e a tutto ciò che segue lo svezzamento e la crescita dei figli. Lei si era costruita un nuovo modo di vivere, dedicandosi maggiormente alle passioni e in particolare a quella che l'aveva affascinata fin da giovane, ossia la ricerca sulle origini della civiltà dei Camuni.
Questa storia ha origine negli anni Novanta, nel periodo in cui il progresso tecnologico e sociale stava cambiando radicalmente lo stile di vita degli italiani. Era il tempo dell'esplosione delle tv private e della pubblicità massiccia, che decretava il successo dei prodotti di largo consumo con l'ausilio di uomini immagine.
Una sera, mentre Angelo Verri stava cenando, udendo al-la tv lo spot di un noto fabbricante di mobili, comandò a sua moglie di spegnerla. - Sono nauseato di sentire quella pubblicità. Spero che fallisca! - Intanto pensò tra sé: “Devo trovare una via d'uscita per far vivere la mia azienda, altrimenti sarò io a chiudere prima di loro. Ma come posso fare?” si chiedeva, più amareggiato che mai.
Mentre si arrovellava il cervello arrivò Fabio, si sedette al suo fianco e, senza farsi sentire dalla mamma, gli mormorò: - Papà, la pubblicità ci sta uccidendo. Ormai ci fanno concorrenza tutti. Dobbiamo adeguarci... -
- Quello che senti alla tv è concorrenza sleale. Noi non possiamo abbassare i prezzi, sarebbe un suicidio. La nostra produzione è artigianale, di qualità, cavolo! - gli rispose sconsolato, quasi strozzando in gola l'ultimo boccone di polenta con salsiccia. Fabio comprese il disagio del padre e non fiatò più.
Maria era subissata dalle richieste di beni di consumo da parte dei figli. In quegli anni, la moda dilagava: per i giovani il vestire era diventato uno status symbol...

Roberto Tedesco

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