Dopo il buio lo splendore della luce
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In un paesino friulano circondato da distese di campi fertili, da fiumi silenti d'acqua pura e da monti innevati, videro la luce due splendide creature: Matteo ed Emanuele. L'eccezionale evento fu annunciato agli abitanti da un trio armonioso di campane. Era il mese di maggio del '45, il mese in cui fu firmata la resa incondizionata dei tedeschi in Europa. In quella terra, premiata da Dio, i contadini seminavano i campi e mietevano i raccolti in armonia con la natura; poche erano le attività artigianali e l'industria non si era ancora insediata; i momenti che scuotevano il tran tran quotidiano della gente erano le nascite e le morti. Matteo era il figlio primogenito che il colonnello Augusto Contardo attendeva da tempo. La sua era una famiglia di antiche tradizioni militari; suo padre era stato un valoroso generale della prima guerra mondiale, pluridecorato. La sua famiglia era benestante e non aveva conosciuto la fame e nemmeno la pellagra, a differenza di molti compaesani che al contrario la patirono. Lucia, la mamma, insegnava nella locale scuola elementare. Dopo Matteo, aveva dato alla luce Silvia e Beatrice, che battezzò imponendo loro il nome delle muse che ispirarono i poeti da lei tanto amati, mentre al figlio aveva imposto quello dell'evangelista. Con la famiglia viveva Costanza, una nobildonna proveniente da Cividale del Friuli, nonna materna con la quale Matteo intratteneva un affettuoso rapporto di complicità. Emanuele era il migliore amico di Matteo, il compagno di classe, di giochi e di birichinate. Un ragazzo intelligente, leale, buono d'animo e di bell'aspetto. A scuola e per strada, le persone che lo incontravano lo guardavano con simpatia. Lui sorrideva a tutti, sollevando con un gesto istintivo il ciuffo di capelli biondi che gli copriva la fronte. Quando gli amici gli chiedevano chi fosse suo padre e dove si trovasse, lui ripeteva la storiella che le ragazze madri usavano dire a quei tempi per nascondere che erano state sedotte: “Mio papà è prigioniero in Russia, prima o poi sarà liberato e tornerà a casa”. In realtà, sua madre gli aveva detto che non sarebbe più tornato e lui soffriva molto la sua mancanza. Il ragazzo viveva con la mamma Giuliana, i nonni, la zia Evelina e due zii, che lavoravano la terra di proprietà del conte Onofrio De Concina. La famiglia non se la passava bene, perciò Emanuele era costretto a cercare il cibo che gli mancava presso le famiglie benestanti del paese, in cambio di piccoli lavoretti. In questo modo sopperiva agli stenti e cresceva in maniera equilibrata. A scuola era il migliore della classe e il maestro lo portava come esempio. L'educazione morale dei due amici avveniva all'ombra del campanile della chiesa: la loro presenza alle funzioni religiose era continuativa, l'oratorio era il luogo per giocare, guardare la tv, socializzare con altri ragazzi e per partecipare a catechismo. Finita la quinta elementare, la mamma di Matteo aveva già deciso il percorso scolastico per il figlio fino all'università, a lui aveva lasciato solo la possibilità di scegliere la facoltà. Per quanto riguarda Emanuele, invece, sembrava che il destino l'avesse condannato a lavorare la terra, che tuttavia non disdegnava, poiché la sua famiglia non aveva le risorse per fargli proseguire gli studi. Per fortuna si presero cura di lui il parroco e il suo maestro, i quali, riconoscendogli spiccate capacità di apprendimento, lo aiutarono a sostenere l'esame di terza media; dopodiché, per il proseguimento degli studi, decisero di raccomandarlo al conte Onofrio De Concina, noto per la sua generosità e per essere appassionato di cultura e di arti figurative. Il nobiluomo vantava la discendenza da una ricca famiglia veneta legata al doge Ludovico Manin. Un mattino, mentre andavano nei campi la madre prese in disparte il figlio e gli disse: - Matteo, questa vita non fa per te, per il tuo bene ho deciso di mandarti in seminario, così là potrai studiare - . - Me lo dici così, su due piedi? Come mai ti è venuta questa idea? - le chiese il ragazzo. - È una opportunità che mi è stata offerta da persone generose e io l'ho accettata, pensando di fare il tuo bene. In questo modo potrai studiare e iniziare una vita senza stenti e privazioni - gli spiegò, per indorare la pillola. - Tu, cosa ne pensi? - - Mamma, se è questo che hai deciso per me, va bene - rispose il ragazzo senza enfasi, tenendo la testa abbassata. Di proposito, Giuliana, evitò di chiedergli se fosse contento di diventare prete, poiché lei lo desiderava così tanto che poco importava se il ragazzo, di appena quattordici anni, non fosse stato d'accordo. Quando il suo amico Matteo lo venne a sapere, rimase sbalordito. “Non posso credere che Emanuele abbia preso questa decisione di sua spontanea volontà. Io so che a lui piace lasciarsi corteggiare dalle ragazze, in particolare da mia sorella Beatrice. Senz'altro sua madre ha deciso a sua insaputa” pensò tra sé. Una sera, mentre lo aiutava ad accatastare la legna per l'inverno in cambio della cena, Matteo chiese all'amico: - Sei contento della decisione che ha preso tua madre? - - Non mi disturba, in seminario per lo meno potrò studiare e tu sai che a me piace, cosa che non sarebbe possibile se rimanessi con la mia famiglia - gli rispose Emanuele, continuando a lavorare. - Tua madre te ne ha parlato prima di decidere? - “Non capisco perché a Matteo interessino le cose che riguardano il mio avvenire” si chiese Emanuele dentro di sé. Tuttavia, per non sembrare sgarbato, gli rispose: - Non l'ha fatto, ne ero completamente all'oscuro - . - Ho pensato che non fosse una tua idea - replicò Matteo. - Credo che il parroco e il maestro abbiano convinto mia madre ad accettarla. Io l'ho saputo a cose fatte. - - Sarà la parrocchia a sostenerti in Seminario? - - No. In segreto il nonno mi ha detto che sarà il conte Onofrio a provvedere a tutto. Come sai lui non ha figli e verso di me ha sempre avuto un atteggiamento paterno... Questo però non lo devi dire in giro, tantomeno scriverlo nel giornalino parrocchiale. - - Te lo prometto. Comunque, se tutto andrà bene come ti auguro, te la sentirai un domani di fare il prete? - - Ora non te lo so dire, ma posso sempre tentare, no? - - Certo che puoi, anche se fino a poco tempo fa non mi sembrava che mostrassi molta simpatia per i preti. - - È vero, ma solo per certuni, come te del resto. - - Al tuo posto io mi sarei ribellato a questa imposizione. - - Potevo forse ribellarmi a mia madre? - - Lo sai che dovrai vivere isolato dal mondo, non vedrai più Beatrice e, per quel che conta, neppure me? - - Lo so Matteo, ma la decisione è stata presa e io cercherò di non deludere le persone che si sono prodigate per me, salvo eventuali ripensamenti, ovviamente. - - Vuoi dire che potresti cambiare idea, nel caso non ti trovassi bene? - gli chiese l'amico, sospettando che gli nascondesse chissà quale misterioso piano. - Ora non lo so, però potrebbe succedere... anche se lo ritengo improbabile in questo momento. - - Emanuele, cosa sarà della nostra amicizia? - gli chiese l'amico, con voce sommessa. - La manterremo, ci scriveremo spesso per tenerla sempre viva e, ad ogni occasione che mi sarà consentita, ci incontreremo come abbiamo sempre fatto. - E si fermò, un groppo in gola gli bloccò la parola. - Fai presto a dirlo, ma quando sarai là ti faranno il lavaggio del cervello e ti scorderai di noi. - - Abbi fede! Adesso, però, devo proprio andare, ho un impegno con la signora Vitale per un lavoretto. Ci vediamo stasera a cena, così saluterò la tua famiglia e in particolare tua sorella. Lei mi capirà, ne sono certo. È così intelligente... - E si allontanò. Questo dialogo si era svolto il giorno dopo la decisione insolita e decisiva che cambiò il destino di Emanuele. Nei giorni seguenti i due amici si videro ancora una volta, poi le loro vite presero direzioni diverse, che li avrebbero portati a vivere momenti di gioia, ma anche di tragiche vicende. Ai due amici piaceva vivere a contatto con la natura: amavano scivolare sugli stagni ghiacciati, catturare le talpe nei prati imbiancati di brina, pescare le trote, correre a piedi nudi su e giù per le rive dei fiumi, tra viole e primule, ...
Roberto Tedesco
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