Il Viaggiatore Oscuro - Nemesis
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“Ti amo.” Ogni volta che pronunciava quelle due parole fremevo dal desiderio di stringerla forte a me. Era una parte fondamentale della mia esistenza, un frammento della mia vita, un organo essenziale che mi permetteva di respirare. Sarah era una donna come poche, una creatura sbucata da chissà quale parte dell'universo. Tutto era così bello, così magico. La parte infelice del mio vivere sembrava ormai un lontano ricordo da quando stavo con lei. Mi aveva salvato dal baratro della depressione, ero ormai giunto quasi in fondo, stavo toccando con mano la tristezza, la disperazione era diventata qualcosa di materiale, potevo sentirla mentre mi avvolgeva con la sua spirale di brutalità, potevo persino scorgere l'odore di marcio. Un odore acre, infido, che mi tumultuava i polmoni, che aleggiava nell'aria ovunque io andassi, che mi torturava durante le notti insonni. Sembrava quasi che ridesse, che si divertisse, che mi avesse in pugno. Si insidiava inesorabilmente nel cibo che mangiavo, nell'acqua che sorseggiavo. Mi faceva vedere le persone come un ammasso di carne inutile, mi aveva isolato dal resto dell'umanità. Esistevamo solo io e lei, io e la Signora Depressione figlia di puttana. La vedevo nei miei incubi, con quei suoi occhi dal colore corvino, quella sua pelle così ruvida e decadente, quei suoi denti gialli che si mostravano dentro una bocca maligna che mi sussurrava parole insignificanti, ricche di odio e di disprezzo. E io stavo quasi per finire tra le sue braccia. Avevo ormai perso la speranza di vivere. Poi è arrivata la purezza. Una delicata purezza, limpida e innocente, che ha lottato affinché questo senso di angoscia e tristezza abbandonasse definitivamente l'alcova che si era venuta a creare dentro la mia testa. Il buio stava dissipandosi e vidi uno spiraglio in mezzo a tutto quello schifo. La puttana della disperazione stava sparendo, lentamente, perdendo gradualmente i suoi poteri su di me. Tutto grazie a quella creatura pura e pulita: Sarah. La depressione mi aveva reso suo, mi aveva avvolto tra le sue fauci e perdere il lavoro aveva influito nella mia disperata situazione, stavo perdendo me stesso, mi sentivo inutile e vulnerabile, ma Sarah era riuscita nel difficile intento di riportarmi sulla via della ragione. Continuavo a pensarla, nonostante tutto, nonostante mi trovassi a correre in mezzo a quei tronchi d'albero. Strano, avevo appena visto un uomo trucidato da un'accetta e l'unica cosa che avevo in mente era lei. Speravo di aver preso la direzione giusta, ogni tanto mi voltavo con la paura di trovarmelo alle spalle. Proprio come tutti quei film dell'orrore di serie B visti non so quante volte in televisione, stavo vivendo un incubo e non riuscivo ancora a capacitarmi della situazione in cui mi ero andato a cacciare. Continuavo a correre in mezzo a quel buio pesto, denso. Ormai ero diventato un tutt'uno con le tenebre e quella bruttissima sensazione di avere quell'assassino proprio dietro di me faticava a sparire. Ero preso dal panico ma non mi fermavo, nonostante mi stesse mancando il fiato e sentivo il cuore come se stesse per esplodere. Qualche minuto dopo dovetti arrendermi alla fatica. Il cuore faceva male, ero ufficialmente arrivato al limite, un altro passo e sarei morto di crepacuore. Esausto, mi buttai a terra appoggiando la schiena ad un albero. Respiravo affannosamente, ma avevo il disperato bisogno di recuperare le forze. Chiusi gli occhi e cercai di mantenere la calma. Faceva un freddo polare, ma sentivo caldo, la pelle sembrava bruciare, i muscoli delle gambe erano duri come il marmo. Dove diamine ero finito? Mi ero perso. Sembravo uno di quei ragazzi persi nel bosco di The Blair Witch Project. Quell'uomo poteva essere ovunque, magari conosceva quel posto come le sue tasche, chissà da quanto tempo si aggirava da quelle parti. Solo al pensiero rabbrividivo. Un dubbio mi travolse. Se mi stesse osservando? Mi alzai in piedi, sempre tenendomi appoggiato a quell'albero e cercai di concentrarmi. Respirando affannosamente, aguzzai la vista sperando di vedere qualcosa che non fosse fogliame o alberi. Ma nulla da fare: solo oscurità. Cercai di sentire anche il minimo rumore. Zero assoluto. Non mi ero reso neanche conto che la pioggia era cessata. Mi guardai intorno e non ebbi la minima idea di dove proseguire. Ero certo che sarei dovuto andare ancora a nord, conscio del fatto che prima o poi sarei sbucato in quella strada dove si trovava la mia auto. Se solo non avessi lasciato la torcia e il cellulare in quella casa maledetta... Stavo per uscire fuori di senno, quell'atmosfera opprimente generava in me un senso di malessere mentale. Quell'immenso spazio, quella perdita di orientamento, quell'angosciante solitudine, mi stavano portando all'esasperazione. Ma non potevo arrendermi. L'unica cosa che dovevo fare era proseguire ancora verso nord, certo che non mi stessi sbagliando. Camminando riuscii a scorgere qualcosa. Sì, sembrava proprio la strada, quella dannata scorciatoia dove avevo bucato. Ero gasato e felice, ma allo stesso tempo nervoso e inquieto. Non potevo non pensare a ciò che era successo. Maledizione, era morto un uomo! Avrei dovuto chiamare la polizia appena ne avessi avuto la possibilità. E finalmente mi ritrovai in strada, solo Dio poteva capire quanto contento fossi nel toccare quell'asfalto sotto ai miei piedi. Mi lasciai il bosco alle spalle e raggiunsi rapidamente la mia auto, ma a che scopo poi? Non potevo partire. E quel pazzo poteva benissimo trovarmi uscendo dalla foresta. Ero comunque sollevato del fatto di essere tornato in strada e avrei dovuto scegliere se andare a destra o a sinistra, in modo da potermi allontanare da lì. Il killer sarebbe potuto sbucare da un momento all'altro. Ma neanche il tempo di prendere una decisione, che udii il rumore di un motore in lontananza. Cazzo, riuscivo a sentirlo, non lo stavo immaginando: stava per passare qualcuno da quella maledetta scorciatoia.
2
Mi misi al centro della strada per guardare e sì, vedevo due cerchi gialli avvicinarsi sempre di più. Una macchina... e a quell'ora della notte! Accesi le luci di posizione della mia auto per tentare di far notare la mia presenza. Non era comunque certa la possibilità che quella macchina si sarebbe fermata, vedendomi. E non avrebbe avuto tutti i torti. Dovevo rischiare. Mi rimisi in mezzo alla carreggiata, alzai le braccia e iniziai ad agitarle come un forsennato urlando con tutta la mia forza. In quel preciso istante, non mi importò se l'auto potesse prendermi in pieno. Non potevo lasciare che accadesse, non potevo sprecare questa occasione, dovevo tentare di farmi vedere e di farmi aiutare. Il rumore cominciava a diventare più forte, quell'auto stava avvicinandosi sempre di più e sembrava che stesse andando abbastanza veloce. Adesso riuscivo a vederla meglio: un mostro con due occhi luminosi che stava schiantandosi su di me. Correva e si avvicinava, sempre di più, sempre di più. Fui accecato dai fari. Per istinto chiusi gli occhi proteggendomi il viso con le mani. Riuscii a sentire tutto ciò che mi circondava: la brusca frenata, il forte odore degli pneumatici bruciati, poi un violento colpo d'aria sul viso e infine un motore che si spegneva. Rimasi in quello stato per cinque secondi, sorpreso quanto agitato quando, aperti gli occhi, mi ritrovai tutto d'un pezzo fermo come un idiota in mezzo alla strada. Mi voltai prima di dirigermi verso l'automobile che mi aveva schivato. Vicino al finestrino scorsi il viso di una persona: era una donna. Battei le mani sul finestrino. “La prego, deve aiutarmi!” la supplicai. La vidi stordita e chiesi se stesse bene. Lei mi guardò con espressione stranita. Era giovane, altro che signora. Poteva avere una decina d'anni in meno di me, sui venticinque. Aprii la portiera e la aiutai a scendere dalla macchina. “Ma sei completamente matto? Mettersi in quel modo di notte, in mezzo alla strada!” mi urlò. “Mi devi scusare ma ho assolutamente bisogno che mi ascolti attentamente. So che potrebbe sembrare una cosa surreale, ma...” non sapevo proprio come spiegarle tutta la vicenda senza farmi prendere per matto, “ho assistito a un omicidio, proprio laggiù, in fondo al bosco.” Alla parola omicidio sgranò gli occhi e mi guardò con aria stupita. “Cos'hai detto?” “Ti spiegherò in auto. Ti prego, dobbiamo andarcene assolutamente da qui. Siamo un bersaglio troppo facile, potrebbe vederci e...” “Tu sei malato. Non ti farei salire neanche morta!” disse, giustamente spaventata, mentre entrava in auto pronta ad avviare il motore. La presi per un braccio e la fermai. Ero bagnato di sudore e sentivo i battiti del cuore accelerare sempre di più. Tremavo e, se non avessi convinto quella ragazza ad aiutarmi, sarei sicuramente morto per mano di quel folle uomo. “Ehi, lasciami!” esclamò, divincolandosi. Provai ad essere più calmo, ma stare calmo in quella situazione era davvero impossibile. Mi voltai verso il bosco e non vidi nessuno, poi tornai sulla ragazza. “Ascoltami, ti prego, ho un disperato bisogno del tuo aiuto. Se mi lasci qui sono un uomo morto. Mi troverà e mi avrai sulla coscienza.” La ragazza smise di agitarsi e mi guardò dritto nel viso, senza proferire parola. “Non sono pazzo, sto dicendo la verità. Un pover'uomo è stato ammazzato crudelmente in quel bosco. Dobbiamo fare qualcosa. Ti prego, sei la mia sola speranza di salvezza. Aiutami...” Stava per dire qualcosa, ma si trattenne. Poi disse: “Sali, svelto.” Quasi mi venne voglia di piangere e di abbracciarla, ma evitai quindi, veloce, presi il mio borsone dal portabagagli, salii sulla vettura e lei mise in moto. Ancora non riuscivo a credere di essermela cavata.
Giuseppe Guerrera
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