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Autore: Francesca Dedin
Dentro la mente folle di Liù
Romanzo Psicologico
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Dentro la mente folle di Liù
Se solo l'angoscia avesse un volto...
o anche solo un nome

L'inizio dell'autunno, con i suoi colori caldi e con il profumo di foglie bagnate dalle prime piogge e dalle prime nebbie.
L'inizio dell'autunno, con la caduta degli ultimi frutti dagli alberi e le scorribande degli animali in cerca di cibo perché prossimi al letargo.
L'inizio dell'autunno, caratterizzato dalle temperature miti date da un sole quasi totalmente pallido che, però, riesce ancora, con gli ultimi disperati tentativi, a riscaldare una terra che si appresta a passare oltre.
L'inizio dell'autunno, che porta con sé i ricordi dell'estate.
L'inizio di questo autunno tanto amato, ha lasciato spazio alla sua fine, alla sua morte.
Gli alberi sono spogli e simili a ombre spaventose che nella notte invadono la mente di chi, dormendo, cerca un po' di sollievo dalle fatiche di tutti i giorni.
A terra, le foglie sono diventate un ammasso informe di fango e poltiglia maleodorante.
Gli animali, rinchiusi nelle tane già da tempo, si sono abbandonati tranquilli al lungo sonno, sicuri di ritrovare al loro risveglio un mondo vivo e accogliente, come accade ogni primavera.
Questa parte del bosco, che subisce il piacevole alternarsi delle stagioni, è ora indistinguibile dalla parte in cui persistono, da centinaia di anni, il grigiore tetro della foschia che accompagna la fredda nudità degli alberi, le cui foglie cadute non sono più state sostituite.
La luce del sole e con lei ogni speranza di vita, hanno lasciato quest'area maledetta. Qui non c'è più giorno e qui non c'è più notte, il gelo è penetrante e perpetuo, i docili animali non sono riusciti a superare il periodo di torpore e hanno lasciato il posto a creature terribili che nessuno potrà mai descrivere perché, di fatto, non sono composte di carne e ossa, non hanno contorni delineati, non hanno musi simpatici e soffici pellicce, non hanno occhi dolci, non emettono versi conosciuti e rassicuranti.
No, non hanno niente di tutto questo.
Queste creature terribili perlustrano costantemente il territorio, fanno percepire la loro presenza e la loro potenza distruttrice.
Con gli artigli lacerano la mente dei poveri sventurati che si inoltrano nel bosco seguendo il sentiero, sicuri di loro stessi, della loro forza, della loro lucidità, certi di aver preso la direzione giusta.
Troppo tardi si accorgono della nebbia che entra prepotente nelle ossa, troppo tardi lasciano che la paura primordiale, relegata nell'angolo più oscuro della loro anima, emerga e li salvi.
Il branco delle insaziabili creature circonda la preda e aspetta, con pazienza, il momento giusto per attaccare.
Seguendo la loro natura queste bestie riducono i corpi dei malcapitati a pezzi: con le zanne ne raggiungono la profondità squarciando la carne e, con il peso soffocante del corpo, tengono la vittima ancorata a terra impedendole di scappare.
L'alito, dall'odore insopportabile di sangue, di carne putrefatta... di morte... regala l'agonia più terribile, regala respiri pungenti come chiodi arrugginiti, un desiderio spasmodico di aria pulita. Regala, come fa un allucinogeno, visioni angoscianti di demoni orrendi, ghignanti e con le braccia tese, bramosi di prendere i resti di uno spirito accartocciato e buttato, i resti di una dignità persa e di quest'ultima farne combustibile per il fuoco che arde sotto i loro piedi.
Gli occhi delle bestie, l'unica cosa che i moribondi riescono a vedere, brillano di malefica luce viola striata di nero.
E la loro espressione, che non può essere fraintesa, è di derisione, di odio, di vittoria, di sadica gioia.
La fine, e con essa la dannazione, arriverà dopo atroci sofferenze, dopo un dolore che non si può raccontare senza generare repulsione e vomito.
La fine arriverà desiderata e agognata, attesa come unica salvezza, invocata tra un gemito e l'altro, arriverà dopo un urlo straziante, soffocato dai rigurgiti acri che salgono in gola arrivando dalle viscere, arriverà con un urlo che non ha più niente di umano. Un urlo strozzato come ultimo disperato tentativo di chiedere aiuto e perdono.
Dei poveri viandanti non resterà più nulla. Qualche brandello di carne residuo attirerà gli insetti pronti a deporre le uova e, quando anche l'ultima larva si sarà saziata, le malefiche creature seppelliranno gli esigui resti sotto la fredda terra e lì non cresceranno mai fiori, lì nessuno dei vivi potrà andare a piangere o a pregare per quei morti, le cui anime non avranno altra scelta se non quella di unirsi al branco famelico che le ha strappate dai corpi.
Anime in pena, anime che vagano nella penombra del bosco, anime che hanno il triste compito di attirare carne nuova, carne fresca.
Anime infelici e sciagurate, anime rivestite di un alone candido che fluttuano senza tregua ricercando un po' di pace, anime che tentano di fuggire dalla missione loro affidata e che, proprio per questo, in un gioco perverso, fungono da esche inconsapevoli.
Anime che poco alla volta perderanno anche l'ultima briciola di coscienza, l'ultimo ricordo della loro parte buona, anime che arrivate allo stremo si abbandoneranno tra le braccia della follia e lì resteranno, come il bruco nel bozzolo, fino a quando la trasformazione sarà completa. Da quel bozzolo, però, non usciranno splendide farfalle, bensì nuove belve letali, mai sazie, il cui unico scopo sarà torturare e uccidere.
Nuove belve in un bosco sempre più affollato, sempre più piccolo, sempre più soffocante anche per chi, come loro, caccia e vive in gruppo. Nuove belve che si aggiungeranno alle centinaia già presenti e che, di conseguenza, troveranno a fatica il loro spazio, la loro dimensione... il loro nutrimento.
Cibo sempre più scarso per far fronte a una fame perenne, che non lascia respiro, una fame che permea tutti i sensi, una fame che diventa ossessione.
Cibo che però non manca nel bosco accanto, diventato soggetto di desiderio malato.
Durante le stagioni più belle, nessuno dei vicini abitanti di questo luogo di disperazione si è mai accorto di nulla. Non c'è mai stato nessuno che abbia sentito lamenti strazianti, nessuno che abbia mai visto le movenze proprie della caccia, nessuno che abbia mai percepito i forti odori che caratterizzano gli assassinii più crudeli.
Nel bosco da favola, ogni creatura, umana o animale, ha invece continuato a vivere in simbiosi con il lato bello della natura, godendo appieno del sole, della pioggia rinfrescante e dissetante, dell'ombra che i grandi alberi regalano nelle giornate più torride, meravigliandosi di albe e tramonti, di nuvole e stelle. Qui, ogni creatura, umana o animale, continua a essere sia cacciatrice che preda. Ognuna di loro sottostà alle rigide regole dettate dal circolo della vita senza ribellarsi in alcun modo, perché di ribellarsi non ce n'è bisogno.
Nessuna di queste creature, umana o animale, impegnata nella recita del ruolo che le è stato assegnato fin dalla nascita, ha mai immaginato, nemmeno per un attimo, che possa esistere un luogo dove vengono compiute azioni così malvagie, così brutali, così terrificanti come quelle che vengono perpetrate al di là del confine.
Nessuna di queste creature, umana o animale, conosce il segreto che quel bosco tetro nasconde.
Nessuna di queste creature, umana o animale, si è mai chiesta il perché di quella diversità. Il bosco vicino è sempre stato visto così: spoglio, malato e decisamente poco invitante.
Tutte queste creature, o quasi, obbediscono al sottinteso ordine di non varcare la linea di demarcazione del territorio.
Nemmeno nei racconti degli avi, tramandati di generazione in generazione, è mai stato accennato a qualcosa di strano. Non ci sono leggende legate a quel posto, nessuna canzone, nessuna storia.
Il bosco è sempre stato lì in tutto il suo squallore, circondato dalla sua aura indefinibile e potente, e nessuno ha mai parlato di lui.
Nessuno ha mai avuto il coraggio di porsi e porgere delle domande: è un tacito accordo con sé stessi per mantenere lontano i cattivi pensieri, e le paure, che quel luogo oscuro suscita se solo ci si sofferma a rifletterci un attimo di troppo.
Tutti lo vedono, ma nessuno lo guarda.
E il tempo passa inesorabile anno dopo anno, e anno dopo anno, nella stagione dove tutto è uguale, il buio avanza, lentamente, fagocitando le cose belle che trova nel suo cammino.
Nessuna delle creature, sia che abitino da una parte, sia che abitino dall'altra, si è mai accorta di quello che accade, prese come sono da ciò che la vita ha riservato loro.
La fame, la sete di sangue, l'odio nei confronti della luce, del calore e nei confronti degli altri esseri viventi, stanno avendo la meglio sulla bellezza, sui buoni sentimenti, sulla gioia, sulla voglia di cantare, ballare e stare insieme.
La tristezza della solitudine, e con essa la pazzia che ne segue, sta per impadronirsi di tutto e quel tutto verrà donato alle infernali creature affinché ne dispongano a loro piacimento.
Se nessuno sa, se nessuno vede, se nessuno capisce quello che sta succedendo, come può essere fermata la devastazione a cui qualsiasi cosa sta andando incontro?
Possibile che non ci sia, da una parte o dall'altra, qualcosa o qualcuno capace di ascoltare e reagire?
Dove sono finite la speranza e la certezza di un risveglio?
Dove sono finite le coscienze e la voglia di lottare delle anime che avrebbero voluto rinascere dopo essere state dilaniate?
Chi o cosa può cambiare le sorti a cui è ormai destinato il bosco più bello?
Chissà, forse la soluzione è continuare a fare finta di niente, evitare riflessioni o domande azzardate, andare avanti come sempre vivendo il momento, immaginando il domani uguale all'oggi.
Ma nessun domani potrà mai essere uguale al giorno appena vissuto, nessun domani porterà mai indietro il tempo passato, nessun domani sarà mai amato come lo è stato il giorno precedente.
Oggi ci sono l'odio, la paura e l'angoscia che non c'erano ieri.
Domani ci saranno l'angoscia, la paura e l'odio che diventeranno compagni stabili della mia vita e che piano piano, ora dopo ora hanno già iniziato a trasformarmi nella povera viandante che verrà massacrata dalle orribili creature.
Io lo so che questo è il mio destino, già da anni la mia mente è attratta dal buio e dagli spettri e, un passo alla volta, si sta avvicinando alla linea di demarcazione sperando che io la fermi. Ma io non voglio fermarla, io voglio accompagnarla.
Voglio che la mia mente passi quel confine, voglio vederla impazzire come sto impazzendo io.
Voglio abbandonarla tra le fauci di quelle bestie come lei ha abbandonato me in mezzo a un mondo di cui non voglio più fare parte.
Voglio vendetta, voglio sangue, voglio assaporare ogni dolore. Ogni speranza deve morire tra le mie mani.
Lei, la mia mente, non è totalmente cosciente di questo, inizia a capire e mi guarda, mi guarda e mi implora in silenzio di non lasciarla entrare in quella selva: “Aiutami! Fermami! Ho paura!”
No! Mi dispiace, ma lei deve andare avanti e io devo diventare la sua carnefice, devo mettere fine a questo rapporto malato. Io non devo più dipendere da lei e dai suoi vaneggiamenti, dai suoi viaggi e dai suoi turbamenti. Non posso più stare in balìa dei suoi umori. Lei mi impedisce di vivere come voglio e per questo lei... la mia mente, dovrà morire.
Proverà quello che ho provato io in tutti questi anni. Sono finalmente io quella che la dominerà e la costringerà a fare quello che non vuole.
“Non volevo, scusami, l'attrazione verso l'ignoto è sempre stata forte. Credevo di poter resistere. Ho sempre pensato di essere forte e che tornare indietro fosse semplice. Non lasciarmi proseguire ti supplico, tra noi c'è sempre stato un bel rapporto, mi hai sempre accompagnata volentieri nei lunghi viaggi e ci siamo fatte coraggio quando tornare a casa si rivelava più difficile del previsto. Perché ora fai così? Perché vuoi la mia fine? Perché mi vuoi dare in pasto all'ignoto?”
“Cara mente, io ero succube di te. Ti ho seguita perché ero troppo debole per reagire e ribellarmi. Quei viaggi, che reputi piacevoli, non erano altro che gite schizofreniche mascherate da sentimenti e emozioni profonde. Hai una vaga idea di come ci si senta a essere perennemente terrorizzati, immobilizzati, spogliati dell'amor proprio e non avere altra scelta che aggrapparsi alla causa di tutto? Sai come ci si sente a non avere una via di scampo? Lo sai? Dimmi: lo sai? Sai quello che si sente, quello che si prova? Sai come cambia la tua anima? Dimmi: lo sai? Lo vuoi sapere? Mi hai distrutta, mi hai reciso le ali e tolto le piume una a una e immagino che questo ti abbia provocato piacere. Cos'è? Avevi paura della solitudine? Volevi un'alleata perché affrontare il mondo da sola era troppo doloroso? Dai, parla! Ti ascolto! Cosa c'è? Non riesci a formulare delle risposte plausibili? Hai perso le parole? Sai di non essere più credibile? Ti ho detto di parlare! Non hai più tanto tempo, la foresta sta per inghiottirti e tu sai cosa ti aspetta.”
La guardo: la mia mente è colma di terrore. Lo sento anch'io perché è stata parte di me per molto tempo, fino al momento in cui ha deciso di gettarsi nell'abisso trascinandomi con sé. Io, adesso, ho trovato il modo di uscire dal buco nero e lei sarà la mia prima vittima perché è solo a causa sua se sono diventata quella che ho nascosto per tanto tempo.
Non vedo l'ora che si arrenda, che vada incontro al suo destino, che cada tra le mie fauci, che si abbandoni sotto il peso del mio corpo ormai informe.
Deve guardare i miei occhi viola striati di nero e leggerci la sete di vendetta che mi divora.
È colpa sua se mi sono trasformata in una di quelle belve che invadevano i miei sogni, è colpa sua se notte dopo notte sentivo crescere in me il desiderio di svegliarmi sempre più tardi, è colpa sua se la fame ora mi divora.
Lei ha visto il mio cambiamento e non ha fatto niente per impedirlo, troppo presa da sé stessa, dalle sue ambizioni, dai suoi progetti.
Era attratta dal delirio? Bene, l'avrà.
Voleva vedere da vicino la follia? Gliela mostrerò.
Vuole il buio, il vuoto, il vortice del nulla? Farò in modo che non possa più tornare indietro.

Francesca Dedin

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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