Aver perso le visite pomeridiane di Elia fu un'ecatombe per la sua mente, non riusciva nemmeno più a piangere. Si chiuse in sé stessa e il medico curante, consultato dal Barone, decretò che l'unica medicina fosse di farle trascorrere un periodo di tempo nell'aria natia. Si trasferirono a Napoli, il Barone aveva proprietà terriere e immobiliari da governare anche lì, oltre che in Calabria. Furono consultati altri imminenti medici. E tutti furono concordi che la Baronessa soffriva di malinconia ed era salutare che uscisse e si svagasse. Fu difficile nei primi tempi portarla fuori dalla sua camera da letto, ma lentamente si fece spazio nella sua mente l'idea che il suo piccolo Elia non era morto o condannato a un destino infausto. Aveva tanta vita davanti a sé e ancora tutto poteva succedere. Si impose di stare bene. Doveva essere forte e reagire anche per salvare Elia. E in effetti il medico di campagna aveva avuto ragione, respirando l'aria natia, lentamente Ada riuscì a superare lo stato depressivo in cui era precipitata e la fidata Tina le stava sempre accanto. Iniziò ad uscire anche se Napoli le appariva come un giardino delle sofferenze, popolato da diseredati in netto contrasto con la sua villa sontuosa dotata di cortile, archi e scale. Il Barone la guidava sottobraccio alla riscoperta della città natale, visitando negozi, fontane e chiese e a ogni passo erano salutati con inchini. I gentiluomini si toglievano il cappello. Ma chi siamo? Non siamo divinità. Medioevo. Medioevo in Calabria e Medioevo a Napoli, pensava Ada, ma non osava confessarlo al marito, perché sapeva che l'avrebbe accusata di essere una folle inguaribile. Non c'era un canale di comunicazione tra lei e lui, non c'era mai stato. Napoli la stava facendo rinascere. Nelle viuzze laterali, scendendo per scale sudicie, il suo sguardo scivolava su bettole dove uomini sedevano e bevevano, vivendo nell'ozio della povertà. Era attratta dalle strade popolate da persone che uscivano dall'oscurità delle loro case per apparire e scomparire a ogni angolo. Guardava divertita i venditori di maccheroni che li offrivano a pagamento ai forestieri. Le suscitavano curiosità i commercianti che vendevano mozziconi di sigarette. La disgustavano fino alla nausea le bancarelle nelle zone del porto che smerciavano avanzi dei ristoranti, teste di gatto cotte e molluschi. Musica, giochi e gelati che si diffondevano per le strade su un largo carro le infondevano brividi di allegria. Le vie sovrastate da corde tese da cui pendeva il bucato la portavano a immaginare i visi delle persone che indossavano quegli indumenti. Lo schiamazzo degli strilloni che vendevano il Roma e il Corriere di Napoli monopolizzavano la sua attenzione, inducendola a sbirciare tra le colonne dei giornali che parlavano della Marcia su Roma, guidata da Benito Mussolini e una sensazione di cupezza le invadeva il cuore e distoglieva lo sguardo verso le finestre dei piani alti da dove scendevano, appesi a corde, cesti per la frutta e la verdura. Al mercato del pesce, stelle marine, granchi, polpi pullulanti del Golfo ricoprivano i banchi e venivano divorati crudi e lei inondata dall'aria salmastra guardava verso il mare e poi verso Sud, dove l'attendeva presto il suo piccolo Elia. La passeggiata terminava sempre in un caffè per bere una tazzina bollente di bevanda seduti a un tavolino di rame piccolo e tondo, in silenzio, senza nemmeno guardarsi in faccia con il marito, seduto di fronte a lei. Consumava il caffè, godendosi il linguaggio mimico spiccato della sua gente che coinvolgeva naso, occhi, petto, ascelle, braccia, mani e dita. Mentre lui si soffermava a guardare con ripugnanza la miseria e la povertà dei passanti come se fossero contagiose. Ada invece si nutriva, riempendosi l'anima della bontà della sua “Vedi Napoli e poi muori”. Al tramonto, amava recarsi su in alto fino a Castel San Martino, dove non giungevano le grida e poteva ammirare accarezzando con lo sguardo dall'alto la città, sospesa tra mare e cielo. Infine, prima di ritornare in Calabria espresse la volontà di andare a vedere uno spettacolo al Teatro San Carlo, per dare l'addio alla sua Napoli. Infatti avendo raggiunto l'equilibrio psicofisico, il Barone decise che era arrivato il momento di ripartire. E lei salutò la notizia con malcelato entusiasmo. Quel bambino le era rimasto nel cuore e si chiedeva spesso chissà che fine ha fatto il mio Elia? Sarà cresciuto molto? Si sarà dimenticato di me? Sapere che presto lo avrebbe rivisto la riempì di nuovo di gioia anche se si chiedeva con timore se fosse diventato un villano, lontano dalle sue cure, abbandonato alla sua vita campestre.
Durante il viaggio di ritorno, i suoi pensieri volavano in estasi fino al cielo, perché aveva in mente Elia che per due anni era stato la personificazione dell'aria che respirava. Lo stare con il bambino le aveva fatto travalicare quel lembo di terra. Riusciva a cogliere i riflessi del cielo sulle foglie degli alberi, nell'erba e nei fiori. Le piccolezze del quotidiano scomparivano, anche se il dolore della sua condizione di donna mal maritata era sempre in agguato pronto ad assalirla come una bestia feroce. Ma Ada ormai sentiva che non c'era più nessuna potenza sopra di lei, non temeva più nessuno. Quando arrivarono al podere, Ada fu sopraffatta dallo stupore: niente era cambiato in quei tre anni. La sensazione di immobilità la spaventò, facendola ripiombare ai momenti bui che lì aveva patito. Doveva rivedere immediatamente Elia e si era preparata a vivere la delusione di trovarsi davanti a un fanciullo come tanti, cresciuti ruvidi e selvatici, abbruttiti dalle condizioni grame in cui versavano, ma poi si scrollava quella immagine, pensando che Elia, il suo Elia era una creatura diversa. Incaricò Tina di intercedere per lei, ma non ce ne fu bisogno, perché la notizia dell'arrivo dei baroni era già sulla bocca di tutti. Aveva fatto il giro dei monti e delle valli ed Elia era al corrente che la Baronessa era ritornata.
Il secondo giorno Elia, direttamente dai campi, fermandosi prima a una fontana per sciacquarsi il viso e i capelli, si precipitò dalla baronessa, senza pensare alle conseguenze del suo gesto. Desiderava rivederla subito quella dolce anima che per due anni aveva regalato alla sua infanzia momenti dolci come una fiaba. E lei era lì ad aspettarlo, puntuale come il destino, in quel tardo pomeriggio che sembrava dovesse preludere a una tempesta. Nuvole nere si addensavano nel cielo, quando Elia si inginocchiò ai suoi piedi baciandole la mano senza proferire una parola. Ada ebbe un attimo di incertezza, ma quando Elia, ancora piegato, rivolse i suoi occhi inconfondibili in alto e si guardarono in viso, trasecolata urlò: - Elia! - Era irriconoscibile, aveva sedici anni, ma aveva sviluppato un fisico longilineo dai muscoli d'acciaio, ricoperto da pantaloni e camicia a brandelli troppo piccoli per la sua taglia. Fu invasa da una struggente tenerezza. Quando si alzò, notò che la sovrastava con la sua altezza. - Allora, non mi avete dimenticato, Baronessa!? - , esultò felice come quando era bambino. Gli voleva rispondere che la sua assenza era stata straziante per lei, che lui era stato una stella che aveva reso meno buia la sua vita, ma tacque, perché il ritrovarsi davanti non più un bambino ma un giovinetto annullò la sua spontaneità. - Sei stato sempre nei miei pensieri, Elia. - , gli rispose e presa dalla gioia di ritrovarsi di nuovo a casa l'abbracciò. Le sembrò illogico, ma da quel momento, per Ada, Elia rappresentò la sua casa. Scoppiò il temuto temporale. - Entri in casa, Baronessa. - , le suggerì con tono protettivo Elia. Lei lo prese per mano, rispondendole: - No! Uno, non voglio andare a casa. Due, non mi chiamare più Baronessa, lo odio questo titolo inutile. Tre, io sono Ada! - Si misero a correre, Ada lo guidava e continuarono la loro conversazione sotto la quercia sul pendio di fronte la villa. Si scrutarono con attenzione e capirono dai loro occhi che entrambi erano malati nell'anima. Il loro continuo abbassare gli occhi tradiva molte cose non dette che reciprocamente riconoscevano dal battito del respiro. - Grazie, Ada, per avermi saputo voler bene veramente. Nessuno lo aveva mai fatto prima di te. - , le confessò, con gli occhi lucidi, carichi di riconoscenza. Ada gli prese le mani e se le portò al cuore: - Il mio amore è profondo, è senza fine... - Lui era al settimo cielo della felicità, voleva abbracciarla e rotolarsi insieme a lei sulla terra bagnata. Amore, era la prima volta che sentiva quella parola, ma ne capiva il significato grazie ad Ada. Era sufficiente guardare i suoi occhi languidi, ascoltare la sua voce liquida e pura, le sue frasi gentili, i suoi gesti nobili verso tutti. Per Elia, lei era l'Amore ed era impossibile rimanerle indifferenti.
Maria Franzè
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