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Autore: Ivana Tomasetti
Le Alessandrine
Romanzo Storico
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Le Alessandrine
Storia di emigrazione femminile tra Ottocento e Novecento.

Anna 1901
Era andata nello studio di un fotografo, l'aveva scelto per il nome, conosciuto dai ricchi in tutta la città. La signora doveva esserne contenta. L'uomo aveva sparso le luci dietro e davanti, aveva messo il cavalletto di legno laccato, in modo che stesse stabile e sicuro, si era coperto la testa ed era scomparso sotto il telo nero, come un fantasma. Al bambino non era piaciuta la manovra, aveva sbattuto le ciglia, aveva colorato le guance di rosso e le gengive si erano mostrate tra un labbro e l'altro, mentre il fiato prendeva la rincorsa dall'ultima unghia del piede. Lei conosceva quelle reazioni, mostrò il ciondolo che tintinnava, cullò il ribelle tra le braccia ad addolcire lo spavento. Il tavolino era rivestito di pizzo, parlava di ricercatezza e di bellezza, lei in piedi, di fianco, come una dama d'altri tempi a recingere la scena.
- Guardate qui! Fermi! - tuonò la voce che proveniva dal nulla.
Il bimbo aprì gli occhi e rimase folgorato.
- Ecco, va bene così. - Le braccia ripresero a cullare mentre l'uomo emergeva dalla tenda scura. Tolse la lastra dalla macchina.
- Sarà pronta tra una settimana. -
- Grazie, tornerò. -
Il fotografo non si fidava di nessuno: l'abito diceva che l'agiatezza non mancava, ma i clienti potevano sparire da un giorno all'altro per rovesci di fortuna, nella città che viveva la sua età dell'oro.
- Se voleste pagarmi... - Lei guardò il biglietto che le veniva porto e aprì la borsetta. Non fece una piega.
- Ecco a voi! - Il fotografo distese le righe degli occhi, guardò lei e il piccolo.
- Benissimo, grazie. Vi aspetto tra una settimana. - Lo sguardo diretto e franco gli disse che forse si era sbagliato a non fidarsi, la donna lo aveva pagato senza batter ciglio. Ma scacciò subito il pensiero, si sarebbe rimesso al lavoro nella camera oscura, fino a quando non avesse sentito squillare il campanello dell'entrata.
Anna ritrovò la carrozzina. Era una domenica come tante ad Alessandria, la strada affollata di persone che portavano la loro storia sul viso. Arabi dalla pelle cotta dal sole si affannavano a trascinare carretti, in mezzo alle carrozze dai cavalli lucidi e alti che chioccavano gli zoccoli sul selciato, nascondendo ricchi signori che si recavano verso i loro affari. Inglesi dalla dritta bombetta passeggiavano al fianco di giovani agghindate con cappellini infiocchettati; serve dal viso italiano si affrettavano per gli ultimi acquisti al mercato del suk, mentre francesi affollavano i caffè all'aperto con dame che muovevano gli ombrellini da sole. Non mancavano greci, armeni, ebrei dal vestito europeo; la maggior parte di loro mostrava un fez sul capo. Si distinguevano albanesi dal rosso gilet decorato a contrasto con i pantaloni bianchi, dalmati dal costume frangiato fermato dall'alta cintura, che calzavano morbidi stivali di pelle chiara, turchi dalle vesti fino a terra, asiatici dagli occhi a mandorla; preti greci con le lunghe barbe nere che incrociavano frati francescani dal saio marrone nell'accozzaglia di religioni e abitudini di un mondo cosmopolita. Era rimasta stupita nei primi giorni del suo arrivo. I racconti che aveva udito erano stati superati dalla realtà vibrante che le si era parata dinanzi allo sguardo. I giorni e le settimane le avevano portato l'abitudine a non sgranare gli occhi, a non aprire la bocca nella meraviglia. Il contegno l'aveva imparato dalla signora che faceva scivolare le diversità sopra le ciglia, senza fermarsi a sottolinearle. Lontana migliaia di chilometri, l'Italia lei la ricordava solo quando il piccino non assorbiva le sue intere energie o quando era ora di contare i soldi della sua paga.
Passò davanti a una villa dove un nubiano stava di guardia; la casa dal gusto Liberty, sicuramente appartenente a un ricco banchiere, mostrava la sua identità con l'uomo rilassato e tranquillo presso il portone: non era lì per incutere paura. I servi erano un oggetto per sfoggiare il lusso e dare lustro agli abitanti del palazzo. Anche lei aveva subito una trasformazione. La padrona le si era rivolta in francese, frammisto a qualche parola di italiano e presto aveva dovuto memorizzare vocaboli e modi di dire.
- Brava, Anna, imparate in fretta! Mi raccomando il bambino! Fate in modo che cresca bene! - L'aveva guardava come un ninnolo di casa, mettendole a posto il colletto di pizzo e riguardandola come fa chi osserva un quadro. Gli occhi mostravano approvazione e Anna aveva abbassato lo sguardo. Non aveva mai avuto giudizi simili da una donna, neanche da sua madre. Insieme alla lingua arrivarono abiti adeguati e fruscianti, doveva cambiarsi spesso, mantenere l'ordine e il decoro della famiglia, lavarsi, incipriarsi. La parrucchiera e la manicure erano a sua disposizione, quando arrivavano per la signora. Il suo compito era il piccino, Antoine, nato da poco. Come i nubiani davanti alle porte, anche lei doveva far fare bella figura alla famiglia, quando fosse vista in casa o nelle passeggiate quotidiane. Di riflesso, attraverso il suo viso, il suo vestito, fioccava il giudizio sulla famiglia Pombal. Non era per lei stessa che aveva avuto in regalo piccoli gioielli e abiti eleganti, era la ricerca del rispetto e dell'ammirazione che l'ambiente dei ricchi di Alessandria doveva riversare sulla famiglia, che si potevano tradurre in un affare proposto o nel vantaggio di una nuova amicizia. Lei contribuiva a tutto ciò. Alla fine restavano i fatti: la paga favorevole, la vita agiata, gli abiti, il cibo, una stanza tutta per sé. Cosa poteva desiderare di più?
- Ehi! Anna! - Lei si voltò, sapeva che le avrebbe trovate. Quando i bambini stavano bene, si incontravano ai giardini francesi. Sulle panchine ombreggiate trovavano posto chiacchiere e consigli.
- Buongiorno, siete già qui? - Finalmente si poteva parlare in italiano, o sloveno se qualcuna era proprio dell'alta valle del Vipacco o era appena arrivata.
- Pensavamo che non venissi oggi. - La balia era una grossa macchia bianca tra il nero ferro della panchina e il prato quasi secco da cui si alzavano palme dai tronchi possenti e dalle alte fronde obbedienti alla brezza.
- Eh, sì, Carla, invece abbiamo fatto abbastanza presto, vero, Antoine? - Si piegò a mettere a posto la copertina leggera che lo copriva, il mancato dondolio del passeggio gli aveva fatto aprire gli occhi, ma lei sapeva come allungare i tempi tra le poppate. Si mise a scuotere appena la carrozzina e gli occhi del neonato si chiusero di nuovo.
- Siamo stati dal fotografo. -
- Ah, ecco, e come è andata? -
- Benissimo! È stato veloce, spero che la signora sia contenta, l'ho dovuto pagare subito! -
- Poi i soldi te li daranno! -
- E voi che fate? - Il silenzio del vento ispirava pensieri. Erano tutte insieme in una stessa esperienza.
- Alle volte lo guardo e mi sembra che sia mio - Carla guardò la testolina bionda.
- Malissimo! Tieniti fuori! Non devi affezionarti, questo è un lavoro! -
- È più forte di me. Guardalo! Non ti sembra bellissimo, così sprofondato nelle sue copertine morbide? - Rischiava di divenire un monologo pieno di futuro che prometteva tristezze.
- Voi, signore, di che parlate? -
- Di bambini! - Rita, dalla figura snella e un fazzoletto bianco in testa a coprire i capelli, si accomodò sulla panchina prendendo la sua bimba sulle ginocchia, la bocca si atteggiò a un sorriso, che non riuscì ad arrivare fino in fondo. Per lei il periodo dell'allattamento era terminato, ma non era tornata in Italia: i soldi non bastavano mai e la vita ad Alessandria era libera; nessuno l'attendeva salvo un marito a cui piaceva il vino.
- E di che altro possiamo parlare? Se loro stanno bene, stiamo bene anche noi, no? - Fece rimbalzare la piccina muovendo le ginocchia e tenendola per le braccia, quella sfoderò il sorriso, mentre l'aria le scomponeva i riccioli.
- I bambini sono un dono di Dio. -
- Certo, anche per chi li abbandona - fece Anna, con lo sguardo che non vedeva.
- Non angustiamoci con pensieri tristi, un giorno, quando sarà, ci penseremo, godiamoci questa giornata. -
- D'accordo, hai ragione, Rita. Allora, quali le novità? -

Ivana Tomasetti

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