Sono sempre stato un tipo mattiniero, anche da ragazzo, nonostante la notte rientrassi tardi. La verità è che non mi è mai pesato svegliarmi presto. Mi bastavano, e ancora oggi è così, poche ore di sonno per rimettermi in piedi, soprattutto se mi aspettavano giornate ricche di impegni ed emozioni. Negli anni addietro lo erano per lo più quando frequentavo le scuole superiori, perché lì potevo esprimere la mia creatività, la mia passione, essere me stesso. Tutt'altro discorso era al Ristorante “De Vivo”. Lì dentro diventavo quasi un soldatino. Certo, mio padre era il capo chef, e in qualità di leader aveva tutto il dovere di impartire ordini e compiti a ciascuno dei suoi dipendenti, perché sì, anche se la nostra è un'attività di famiglia, in realtà sembra che siamo estranei in quell'ambiente, sia in cucina sia in sala. È come se ci fosse esclusivamente un rapporto di tipo lavorativo, tra datore e dipendenti. Sono anni che non sento più il calore, l'intimità, la complicità tra di noi. Di sicuro avrò contribuito anch'io a rendere l'atmosfera tesa a causa dei battibecchi con mio padre. Vuoi che fosse per la fase adolescenziale che stavo attraversando, vuoi perché per me era importante esternare un mio pensiero. Ma mai una volta che lui mi avesse dato ragione o che fosse stato d'accordo con me. Se qualcosa andava storto era per colpa mia; io emettevo una cattiva energia. Assurdo! Solo perché io osavo rispondere, proporre alternative. Sacrilegio! Amo cucinare e qualche volta vorrei che qualcuno assaggiasse una pietanza preparata da me, con le mie mani, frutto della mia invenzione. Non che disprezzi la cucina di papà, io la rispetto, dopotutto sono antiche tradizioni ed è da quelle che si comincia, anch'io ci sono passato e le ricorderò per sempre, ma lui è rimasto agli anni ‘80, per essere buoni. Sono arrivato a pensare che mio padre abbia quasi paura di provare qualcosa di nuovo, di sperimentare. Crederà forse che modificare il menu o le tradizioni di famiglia possa far rivoltare mio nonno nella tomba? Io gliel'ho chiesto, perché a differenza di altri non ho timore di lui, non più. Dico ciò che penso, anche se non ha mai cambiato un granché, ma almeno non ho vissuto con il rimorso di non aver tentato e detta la mia. Mi rispose che certe cose non si possono cambiare. Devono rimanere uguali. E io mi dovevo attenere. C'è da dire che io, vivendo ancora a casa con i miei genitori e mia sorella -ebbene sì- non ho la possibilità e la fortuna di cucinare e creare dei piatti speciali. L'ho fatto per un po', ma quando ho capito che il mio era tempo perso per lui, ho smesso. Al massimo lo faccio quando i miei amici mi invitano a casa loro. Non capita più molto spesso, purtroppo, ma in quel frangente sono davvero grato che mi lascino l'opportunità di impossessarmi dei fornelli e di sbizzarrirmi. Divento il re della cucina. E del resto ne siamo tutti felici. Anche perché vedere sui volti dei miei amici un sincero riconoscimento e apprezzamento è sul serio ciò che mi rende contento, orgoglioso di ciò che voglio fare e in quello in cui mi vorrei affermare. So che se resto qui, a Salerno, al ristorante di papà, non troverò mai la mia vera strada. Amo la mia terra, che tanto mi ha donato, ma a volte me la sento stretta, e non è colpa sua. Lei è bellissima, ricca di storia, di colori, valori, sapori! Salerno, con la sua provincia, è meravigliosa con la sua costa estesa, famosa e ammirata in tutto il mondo, che abbraccia quei piccoli e caratteristici comuni della Costiera Amalfitana che si affacciano sullo splendido golfo cristallino, le immense distese verdi del Vallo di Diano e i paesaggi incantevoli che si contemplano dalle vette del parco Nazionale del Cilento, e regala albe e tramonti mozzafiato da ogni angolo. Ha una storia lunghissima, così interessante, affascinante, fatta di personaggi che hanno lasciato il segno da queste parti e dalla quale non me ne vorrei mai andare, se non messo alle strette. Di sicuro nel mio bagaglio porterò sempre un grosso pezzo di questa terra, a cui io amo associare altre tradizioni e creare quel mix di sapori che possono rendere unici i miei piatti. L'ho già provato e il risultato è stato un successo per coloro che hanno avuto la “fortuna” di conoscerli. Qui mi sento le ali tappate, e non è una bella sensazione se hai vent'anni o poco più, quando, invece, hai voglia di sbocciare. Ma è probabile che lo sia a qualunque età, in fondo. Tra l'altro so pure che non sarò mai il predestinato ad avere in gestione il locale, in quanto io sono poco incline a seguire le regole della cucina di famiglia, riproponendole esclusivamente in quella maniera. Un ribelle mi dipinge. E potrei anche essere d'accordo, perché, in effetti, io mi diverto in cucina. Cos'è che mi frena? Mia madre e i suoi sguardi. Quando mi guarda con quegli occhi, azzurri come i miei ma imploranti, serro i pugni e trattengo la mia ira e l'istinto di fuggire.
Per cui, anche oggi non ho avuto grandi aspettative di miglioramenti. Ho lavorato tutto il giorno, fatto ciò che dovevo e poi ho trascorso la notte fuori con i miei amici. Dopo la serata trascorsa ad assistere e assecondare mio padre, li ho raggiunti in un lounge bar dove suonavano musica dal vivo. Io ho assistito soltanto l'ultima mezz'ora, poi ci siamo fermati sul lungomare Trieste e lì abbiamo atteso l'alba. Il momento migliore di quella giornata. La mia amica Fabiana si è accorta che non stavo affatto bene, mi ha preso in disparte e mi ha chiesto cosa non andasse. Ho scrollato le spalle e le ho dato la solita risposta. - Nulla di nuovo Fabià, scintille con mio padre - - Non puoi continuare così Ale, devi fare qualcosa. Guarda che stai invecchiando in fretta! - Le ho dato una spallata senza trattenermi dal ridere. - A parte gli scherzi, io ti voglio bene e tu lo sai, ma penso che cambiare aria ti farà solo del bene - - Non sai quante volte ci ho pensato Fa, ma non posso fare una cosa del genere a mia madre e mia sorella. Le lascio qui con quel matto? - - Possibile che nessuno si accorga che tu non sei felice? - - Non tutti sono bravi e perspicaci come te, tesoro! - È una verità che fa male da accettare ma con la quale sto imparando a convivere. - Ale, a te lo si legge in faccia quando non stai in forma, quando sei giù di morale. Non lo sai nascondere. Perciò mi chiedo come facciano i tuoi a non prestare attenzione - - Evidentemente hanno cose più importanti a cui pensare che rendersi conto che io non sono felice - - Ed ecco di nuovo la mia domanda: cosa stai facendo ancora qui? Se tuo padre ti tratta come un assistente qualunque, uno scansafatiche, non si rende conto del tuo talento, beh, che si cercasse un altro! Fa' vedere cosa sai fare! Molla tutto qui e va' via. Se io non avessi già un lavoro e non stessi progettando di sposarmi, verrei di corsa con te, fidati! - L'ho guardata sorridendo. Provo un affetto immenso per la mia Fabi. Ci conosciamo da bambini, siamo amici da sempre e lei è l'unica con cui posso parlare liberamente, senza avere timore di apparire come la vittima, forse perché conosce bene la mia famiglia. - Anzi, sai che ti dico? - - Sentiamo. Cosa? - - Ti ricordi di mio cugino Vincenzo? - - E certo! Abbiamo frequentato l'alberghiero insieme! - - Esatto! Lui ha fatto le valigie sei anni fa e adesso lavora come secondo chef in un ristorante vicino Pavia. Dice che si trova benissimo e che è contento. L'ho sentito proprio due giorni fa. Solo che ha cambiato numero di cellulare, perciò non penso tu ce l'abbia. Ma te lo do io. Perché non ti metti in contatto con lui? Vedi se ti può aiutare a trovare lavoro lì, o da quelle parti insomma - . Avete presente il detto “cogli l'attimo”? Ecco, a me sembrava fosse stato inciso per me, per farmi aprire gli occhi e darmi la spinta. In quel momento mi sono sentito travolgere da uno spirito di avventura che non mi apparteneva ormai da tempo immemore. Tuttavia, non fu esattamente quell'alba a farmi prendere una decisione. No. Quello è avvenuto alcune ore più tardi.
Monica Cerullo
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