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Autore: Paolo Squillante
Dimensione Impero
Fantascienza Storico
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Dimensione Impero
Era ancora stordito dai farmaci. Una lunga scia di bava gli colava dall'angolo destro della bocca fino al ginocchio. Non gli importava nulla di sporcarsi, tanto il camice verde che indossava non era il suo.
Al momento non sapeva dove si trovasse. Era seduto su una comoda poltrona in pelle. I suoi occhi erano come appannati e l'udito coperto da un fastidioso ronzio.
Cercava di mettere a fuoco sia la vista che i pensieri, ma non ci riusciva. Entrambi erano sfocati come sotto l'effetto di potenti barbiturici.
L'ultimo ricordo che aveva in memoria era lui, seduto davanti al Pc, mentre scriveva la relazione per la presentazione dello scudo quantistico transvettoriale.
Due mani si posarono sul suo avambraccio destro. Cercò di ribellarsi, di ritrarre l'arto, ma si accorse di essere troppo debole.
Nel suo ristretto campo visivo apparve una siringa. Aveva l'ago d'acciaio spesso qualche millimetro e conteneva un liquido chiaro color verde acido. Lo volevano avvelenare. Tentò di dimenarsi, di urlare. Ma nulla, la voce, le energie, erano sparite.
Lo volevano uccidere. Avevano preso le sue ricerche e lo volevano far fuori. Ma non sapevano che lo scudo non era pronto.
L'ago si introdusse nel suo braccio. Non era mai stato un credente, ma si ritrovò a recitare mentalmente tutte le preghiere imparate al catechismo. Sentì chiaramente il liquido farsi strada nella sua vena. Improvvisamente il ronzio alle orecchie sparì ed iniziò a percepire il rumore in lontananza di una strada trafficata. La sua vista tornò normale, le energie anche. La sua mente tornò lucida. I suoi muscoli scattarono rapidi come quelli di uno scoiattolo. Si alzò in piedi e prese il braccio del suo assalitore atterrandolo con una mossa di Judo imparata al liceo.
Due braccia tentarono di bloccarlo da dietro, ma riuscì a divincolarsi e gettò a terra anche l'altro assalitore.
Un brusio elettrico alle sue spalle. Non riuscì ad evitare il bastone che lo colpì con una fitta lancinante dietro il ginocchio facendolo accasciare su una morbida moquette marrone scuro. Il dolore era fortissimo. Mai aveva provato una simile sofferenza, come se gli avessero conficcato un milione di aghi elettrificati nella carne viva.
Tentò di rialzarsi, ma si ritrovò addosso due uomini corpulenti dalle divise color porpora ed una strana corazza in metallo. Entrambi lo tenevano inchiodato al pavimento impedendogli ogni via di fuga.
Sentì una porta aprirsi. Dalla sua posizione vide entrare due piedi nella stanza. Indossavano scarpe stranissime, come quelle che vedeva nei film che rappresentavano le gesta degli antichi romani.
- Suvvia sig. Capaldi - , disse l'uomo, - le assicuro che non abbiamo intenzioni nocive, altrimenti era già quattro metri sotto terra - .
La voce era familiare, era certo di averla già sentita altre volte, ma non ricordava dove. Le guardie lo rimisero a sedere sulla poltrona. Adesso poteva guardarsi intorno. Era in un ufficio ampio arredato con lo stile anni '50. Mobili di legno scuro, lampadari di perline. La parete di sinistra era composta da una vetrata molto grande la quale mostrava un panorama particolare. Si vedevano alti palazzi, probabilmente gli ultimi piani di grattacieli, ma erano costruiti in modo strano. Assomigliavano tutti al Colosseo con ampi archi chiusi da vetrate scure.
Dietro una massiccia scrivania in mogano, coperta di carte, vi era seduto un uomo. Vestiva con una tunica bianca, annodata sulla spalla alla maniera dei nobili e senatori romani. Esattamente come li si vedeva rappresentati nelle statue posizionate nei musei di tutto il mondo. Ma quello che lo colpiva di più era il volto.
Sembrava di guardare in uno specchio. Gli occhi, il naso, la fronte, persino le rughe erano perfettamente uguali alle sue. Solo i capelli erano diversi. Mentre lui li aveva neri, la persona seduta davanti, oltre ad un taglio bizzarro, li aveva completamente bianchi circondati da una corona d'alloro.
- Signor Capaldi, non sapevo avesse un addestramento militare. Le mie fonti lo ignoravano - . Disse il suo gemello albino, con la sua stessa identica voce, compreso il timbro.
- Non sono un militare. Da ragazzo frequentavo un corso di Judo. Ero bravo. Successivamente, dopo le mie scoperte, ho ripreso ad allenarmi per evitare tutto questo. Evidentemente mi sbagliavo - .
- Suvvia Signor Capaldi. L'allenamento fisico è importante. Mens sana in corpore sano, è un motto sempre valido - .
Nella stanza cadde il silenzio. Sentiva il respiro delle tre guardie dietro di lui. Una ansimava, forse nell'atterrarla gli aveva rotto o slogato una spalla.
Dietro il suo gemello una mappa prendeva tutta la parete. A notar bene, la porta da cui era entrato stava esattamente sopra l'Australia, alla sinistra dell'uomo. I confini però erano errati. La Francia, la Russia, la Germania, non erano mappate, non c'era nessuno stato a lui conosciuto. Vi erano solo una Nazione color rosso, che andava dalla Cina fino a prendere tutte le Americhe. Comprendeva l'Europa, parte del Nord d'Africa e quasi tutta l'Asia fatta eccezione per l'India ed il Giappone, e una Nazione colorata di Nero.
La parte rossa era chiamata Impero Romano.
La parte nera Coalizione degli Stati Indipendenti.
- Si chiederà dove si trova - .
Lui Annuì.
- So per certo che conosce la teoria dei Multi-universi. Ho letto alcuni suoi articoli. Tale teoria ipotizza che vi siano infinite realtà presenti accanto a noi, tuttavia irraggiungibili. Circa 400 anni fa noi scoprimmo come aprire delle porte su tali universi. Iniziammo a viaggiare tra loro, pensando a facili conquiste. Ma ci sbagliavamo, non potevamo conquistare ed allora iniziammo ad apprendere. In ogni realtà che visitavamo notavamo tecnologie diverse. Alcune più avanzate, altre meno. Alcune compatibili con questa realtà, altre no. Allora iniziammo a rubare vari dispositivi, ma replicarli qui era impossibile ed iniziammo a rapire i loro inventori. In pochi anni abbiamo avuto aerei, armi da fuoco, missili, conoscenze mediche sconosciute. Grazie a queste scoperte abbiamo potuto conquistare quasi l'intero pianeta - . Indicò la mappa dietro di lui. - Io sono lei e lei è me signor Capaldi. In ogni realtà c'è un alter ego perfettamente uguale a noi nell'aspetto, ma non nella personalità. Mentre lei ha scelto l'onorevole carriera scientifica, io ho preferito, prima quella militare e successivamente quella politica. Io signor Capaldi, mi chiamo Capaldi Marcus, sono nato lo stesso giorno dello stesso anno, esattamente come lei. Abbiamo lo stesso corredo genetico. So più o meno anche a cosa sta pensando. Ossia ad una sciocca teoria fantascientifica la quale dice che non possono esistere due esseri identici nello stesso spazio e nello stesso tempo. Se così dovesse accadere, la pena sarebbe la distruzione dell'intero conosciuto. Sono fandonie. Non solo possiamo coesistere nella stessa realtà, ma possiamo anche lavorare insieme - .
Il prigioniero sbuffò a sentire la parola lavorare. Lo avevano rapito, drogato e portato chissà dove. Non avrebbe mai lavorato con loro.
- Signor Capaldi, vedrà che questo posto le piacerà. Spesso chi arriva qui si innamora di questa realtà e rimane. Anzi si potrebbe dire che quasi sempre accade ciò - .
Una donna minuta, vestita con una tunica marrone, lacera in più punti, ma pulita, entrò. Era silenziosa, quasi impercettibile. Portava un vassoio dorato con due coppe in argento sopra. Ne porse un al politico e silenziosamente si avvicinò al prigioniero.
- Beva dell'acqua, è disidrato - . Disse l'uomo dall'altra parte della scrivania.
Il prigioniero tentennò. La donna da vicino era più giovane di quello che sembra a prima vista. Minuta, capelli neri ed arruffati. Occhi d'un azzurro intenso. Forse aveva vent'anni, forse meno. Emanava un dolce profumo alla cannella. Intuendo il suo timore, la ragazza prese la coppa e ne bevve un sorso, come a sottolineare che non fosse avvelenata.
Il politico urlò esterrefatto - ma come osi! - Una guardia si avventò su di lei con un frustino iniziando a colpirla violentemente. Il vassoio e la coppa caddero sulla moquette riversando il contenuto. La ragazza tentò di difendersi, ma ottenne solo una più violenta reazione della guardia che colpì con maggiore forza lacerando la pelle in più punti. Marco si alzò di scatto e tirò un pugno in volto alla guardia la quale cadde a terra. Le altre due lo rimisero a sedere con forza sulla poltrona.
Nella confusione la ragazza era sparita e scie di sangue indicavano dove era scappata.
- A lei penserò dopo. Quella schiava è sempre stato un problema e rivenderla ora sarà molto difficile - .
- Schiavi - . Disse Marco con disprezzo e sputò a terra vicino al piede di una guardia.
- Suvvia signor Capaldi. Abbiamo iniziato con il piede sbagliato. Può succedere. So che nel vostro mondo la schiavitù è stata abolita. Anche se i bambini che scavano per trovare i diamanti, in quella che chiamate Africa, non sono poi così liberi. Qui gli schiavi sono trattati molto meglio. Vero sono agli ordini del loro padrone e devono fare tutto quello che gli viene chiesto, ma hanno un letto, del cibo e acqua. Da circa 300 anni eleggono un loro rappresentante nel Senato Centrale, che lavora affianco a noi per migliorare le loro condizioni. Hanno ottenuto un giorno libero a settimana, dove ricevono una piccola somma per fare quel che vogliono. Hanno cure mediche e ricevono una blanda istruzione. Possono sposarsi e avere una famiglia. I figli e le mogli diventano proprietà del padrone, ma le assicuro che sono trattati meglio di tante persone che vivono nella sua realtà. I crimini verso di loro sono severamente puniti. Quello che ha visto poc'anzi è un'eccezione. La schiava, Ludmilla, deve ancora imparare qual è il suo posto. Una volta capito avrà una lunga e serena vita - .
- Schiavi - . Ripeté Marco con ancor più disprezzo.
- Va bene. Ha ancora delle resistenze ad accettare la sua nuova situazione. Riportatelo al centro di ricerca - .

Paolo Squillante

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