Tutte le volte che avrei voluto odiarti
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Era una sera di fine febbraio, la festa del mio diciottesimo compleanno, e forse era la prima volta che Thomas mi guardava come si guarda una donna e non la sorella più piccola del suo migliore amico. Ho impresso nella mente il ricordo del suo sguardo appena entrato nella sala: stupito di vedermi fuori dai soliti camicioni extralarge e da jeans di due taglie più grandi, restò a osservarmi, a distanza, mentre io fingevo di non sentire i suoi occhi puntati su di me. Ero innamorata di lui da ben sei anni, pendevo letteralmente dalle sue labbra e gli avevo dedicato centinaia di poesie. Per lui, però, ero sempre stata la sorellina di Carlo: quella che non si guarda, non si tocca, non si pensa, regola mai scritta ma comunque sacra che sancisce ogni amicizia maschile. Ma quella sera qualcosa era cambiato: finalmente. Quel vestito bianco di frange e paillettes l'avevo scelto pensando a lui, senza speranze come sempre. E invece, inaspettatamente, avevo attirato la sua attenzione. Si era avvicinato per farmi gli auguri, con uno sguardo palesemente imbarazzato. Eh sì, per la prima volta era lui quello impacciato mentre io, dopo sei anni, ero ormai abituata a esserlo in sua presenza. Quel bacio sulla guancia, le parole “tanti auguri” sussurrate piano mi confermarono di avere acceso l'interesse di Thomas. Non potevo perdere quella opportunità. Ancora adesso non ricordo pratica-mente nulla della mia festa dei diciott'anni, ero impegnata a giocarmi la mia sola e unica chance con l'amore della mia vita e, se anche se ne fossero an-dati via tutti gli altri, io sarei stata felice comunque. Che spreco, a pensarci ora. Chissà quanti ragazzi più promettenti avrei potuto conoscere quella sera... Ma anni di amore non corrisposto possono bruciare i neuroni! Lo avevo visto entrare in casa mia quando era so-lo un adolescente, compagno di scuola di mio fratello Carlo; poi, con il tempo, era diventato una specie di terzo figlio per i miei genitori, che lo accoglievano alla nostra tavola quasi ogni giorno. Io non ero ammessa in camera di mio fratello, ma spesso sentivo Thomas suonare la chitarra e allora sognavo di esse-re le corde di quello strumento per essere sfiorata dalle sue mani, quelle dita lunghe e affusolate. Sogni, sogni, quanti sogni avevo dedicato a Thomas. Era timido e schivo, non parlava mai di se stesso, ma era sempre pronto ad ascoltare gli altri e così, solo per caso, avevo saputo che suo padre era morto anni prima a causa di un tumore e che la mamma si era consolata troppo presto con un collega. E, forse, anche per questo stava più volentieri da noi che a casa sua. All'epoca, alle feste di compleanno, si usava ancora mettere canzoni lente e, quando il dj aveva messo You're beautiful di James Blunt, Thomas si era avvicinato e mi aveva chiesto di ballare. Era stato il più bel regalo di compleanno che potessi desiderare. Stretta a lui come nei miei sogni più belli, entrambi senza riuscire a dire nulla, pur dicendo tutto. Alla fine della canzone ci eravamo guardati negli occhi, per la prima volta come un uomo e una donna. Io frequentavo il quarto anno di liceo scientifico, mentre Thomas era già uno studente di medicina. Il lunedì successivo me lo ritrovai fuori da scuola. Era in doppia fila con la sua Honda ed era venuto a cercarmi per chiedermi di uscire insieme. Vedermelo lì, appoggiato alla sua moto con il casco in mano, fu uno dei momenti più emozionanti della mia ancora giovane vita. Lasciai da parte le mie amiche e mi avvicinai a lui. - Ciao - mi disse. Che non fosse un tipo di molte parole era ormai chiaro, ma io ero incantata dai suoi morbidi capelli neri, i profondi occhi scuri, le labbra dalle linee perfette ed ero pronta a riempire i suoi silenzi con tutte le parole che avevo custodito gelosa nel cuore. - Ciao, che ci fai qui? - chiesi, sinceramente sorpresa. - Volevo darti un passaggio a casa e... - pausa. - E... - il cuore mi batteva a tremila, ancora accelera se ci ripenso. - Chiederti se ti andava di fare un giro insieme uno di questi pomeriggi - . Una proposta un po' troppo vaga per i miei gusti dell'epoca, ma io non mi persi d'animo. - Oggi? - proposi audace. - Oggi? Non devi studiare? - mi domandò stupito. - Certo, ma per le 17.00 al massimo avrò finito - “adesso o mai più”, pensai. - Ok, allora passo a prenderti. Intanto, se vuoi, ti accompagno a casa - . Mi porse un casco e mi aiutò a salire dietro di lui. Mentre cingevo con le braccia i suoi pettorali tesi mi sentivo al settimo cielo: altro che il principe azzurro sul cavallo bianco delle favole, altro che principesse indifese! Quello era il mio principe, quello era il mio cavallo bianco, quella era finalmente la mia favola e io ero la protagonista, anche senza una corona in testa. Il pomeriggio, invece di studiare, lo passai a fissa-re il soffitto della mia camera – attività che mi costò un bel cinque in latino il giorno seguente – e quando finalmente arrivò l'ora dell'appuntamento, piuttosto che aspettare Thomas in casa da brava stratega, pensai bene di non perdere tempo e di farmi trovare già fuori al suo arrivo. Thomas si presentò a bordo della sua moto, incurante del freddo penetrante di febbraio a Milano e anche a me importava davvero poco del vento gelido, quando potevo scaldarmi stringendomi forte a lui. Certo, mi sarei aspettata una destinazione un po' più romantica e non il circolo frequentato da lui e dai suoi amici, ma per fortuna non da mio fratello che si dichiarava troppo snob per un posto del genere. Una specie di scantinato con un piccolo palco, un tavolo da biliardo nell'angolo, sedie e tavoli e un bar dall'aspetto piuttosto inquietanti. La presenza femminile era a dir poco trascurabile: c'erano due o tre ragazze in tutto e sembravano anche apparentemente poco interessanti, per cui quando Thomas entrò trascinandomi con sé, gli sguardi di tutti si puntarono su di me, facendomi sentire una specie di attrazione da circo. Non so cosa avesse in testa in quel momento Thomas, ma io avrei voluto andare via all'istante. Invece ci sedemmo a uno di quei tavolini sgangherati e mi chiese cosa volessi da bere. Sinceramente l'idea di bere in un posto che sembrava privo di ogni norma igienico sanitaria, mi procurava una certa preoccupazione, ma per non sembrare una bambina viziata ordinai una birra... in bottiglia. Bevemmo quasi in silenzio, poi qualcuno lo invitò a giocare una partita di biliardo. Ricordo la mia vocina interna sussurrare: “digli di no, digli di no” e invece lui accettò. Una lunga e noiosa partita di biliardo fu ciò che seguì. Io ero offesa, annoiata, esterrefatta, ma non mi arresi a quei sentimenti e aspettai. Anche troppo, a dir-la tutta, perché alla fine si era fatta l'ora di tornare a casa. Usciti da quel posto assurdo il freddo della sera ci soprese pungente sul viso. Ricordo che istintivamente sistemai la mia sciarpa per coprire più che potei il volto. Fu in quel preciso momento che l'appuntamento più strampalato della mia vita si tra-sformò nel ricordo più bello della mia gioventù. Accortosi che sentivo freddo, Thomas mi attirò a sé per scaldarmi, poi mi scoprì il viso e finalmente rea-lizzò tutti i miei sogni degli ultimi sei anni con il bacio che avevo sempre desiderato: il primo bacio del-la mia vita, conservato per lui e lui soltanto. Non so se si sia accorto o meno della mia assoluta inesperienza, perché la verità è che avevo sognato così tanto quel bacio da averlo immaginato nei mi-nimi dettagli. Il ricordo, ancora fin troppo nitido, lo rende tuttora il più bello di tutta la mia vita. In quel momento ero assolutamente sicura che avrei potuto baciare Thomas per sempre e, rientrata a casa, mi sentivo invasa da una gioia totalizzante che nulla avrebbe potuto scalfire. Non immaginavo l'epilogo triste e umiliante che invece mi attendeva. Dopo cena, mio padre ci riunì intorno al fuoco del camino e, senza troppi preamboli, ci disse che aveva un tumore ai polmoni. Non si poteva fare niente, non c'erano chemio o operazioni da tentare, c'era solo una costosa cura sperimentale in cui pro-vare a sperare. E così, in poche ore, la mia vita passò dalla gioia più grande al dolore più disperato. Quella sera, nel mio letto, nessuna immagine ro-mantica di me e Thomas insieme riusciva a consola-re il mio cuore in pezzi, nessun sogno fiabesco accompagnava i miei pensieri verso il sonno. Decisi allora di alzarmi per preparare una tazza di camomilla calda e, dalla cima delle scale, intravidi la luce del-lo studio di mio padre accesa. Mi feci coraggio e bussai alla sua porta. Non ricevetti risposta, ma sapevo che non era necessario alcun permesso speciale per accedere al suo mondo. Lo trovai, come molte altre volte, seduto sulla sua poltrona rivestita di morbida pelle marrone, con gli occhiali spessi e ro-busti posati sul naso, intento a leggere un vecchio libro, vecchio in ogni senso perché, dall'aspetto consunto, doveva essere un'edizione piuttosto datata. Ricordo ancora che tra le mani stringeva l'Ulisse di James Joyce, una lettura che avrei sempre voluto compiere, ma che non ho mai avuto la sufficiente costanza per intraprendere. Mio padre alzò lo sguardo dal testo, si tolse gli occhiali e mi sorrise con lo sguardo dolce che altre volte aveva consolato le mie piccole o grandi delusioni. - Papà, come faremo... come farò a stare senza di te? - gli chiesi, restando sulla porta. Egoisticamente, il mio cruccio più grande in quel momento era immaginare la mia vita senza i suoi preziosi consigli, i suoi saggi racconti, i suoi buffi aneddoti e, soprattutto, senza la certezza che qualunque cosa fosse accaduta ci sarebbe stato lui a proteggermi. Mio padre sorrise di nuovo, chiuse il libro e lo posò sul tavolino accanto, poi mi fece cenno di avvicinarmi. Io richiusi la porta e camminai verso la luce fioca della lampada da tavolo accesa. - Farete come fanno tutti: andrete avanti, con il mio ricordo e con la forza della vita che, vedrai, saprà essere più grande della mia assenza - . - Non riesco a immaginare l'alba di un nuovo giorno senza di te... - risposi, con la voce spezzata. - Oh, invece vedrai che ci saranno molte albe e spero anche più di quelle che ora posso desiderare per te; e sai perché? - . - No - . A malapena pronunciai quella sillaba, men-tre sentivo la gola chiudersi in un nodo soffocante. - Perché l'uomo saggio cerca sempre il sole. È un istinto naturale, una chiamata alla vita, fino all'ultimo giorno della sua esistenza. Siamo tutti un po' come Ulisse, protesi verso l'orizzonte. E non credere che io mi arrenderò al buio tanto facilmente. Continuerò ad attendere il sole per tutto il tempo che mi sarà dato di vivere - . Non riuscii a trovare altre parole. Cercai posto sulle sue gambe, come quando ero una bimba, e mi accucciai sul suo petto. Restammo così per un po', fin quando lui non mi disse di andare a dormire e io ubbidii come se avessi avuto ancora dieci anni. Non parlammo mai più della sua malattia e per tutto il tempo che restò in vita continuai a benedire l'alba che ogni giorno tornava a splendere su di me e su di lui.
Il mattino seguente mi svegliai con il desiderio puerile di essere confortata dall'abbraccio di Thomas: avevamo appuntamento di nuovo mercoledì alle 17.00. Vissi i due giorni successivi in attesa del nostro incontro, ma il mercoledì la città si svegliò attanagliata dal gelo, con la neve prevista per la sera e mai previsioni furono più azzeccate. Attesi più di un'ora sotto i fiocchi gelidi l'arrivo di Thomas. Ma lui non venne. La sera avevo 38 di febbre, ma non raccontai niente a nessuno. Passarono i giorni e Thomas non si fece più né vedere, né sentire. Sparì dalla mia vita, dalla mia casa, dalla mia vista e io non ho mai avuto il coraggio di chiedere a mio fratello che fine avesse fatto. Quando si è giovani e ingenui è facile prendere su di sé colpe che non si meritano. Ed è esattamente quello che feci io: nella mia testolina, ancora inesperta in questioni di cuore, decisi che avevo dovuto fare qualcosa di tremendamente sbagliato per andare incontro a una simile umiliazione; e, per un certo periodo, mi credetti anche colpevole di avere priva-to mio fratello del suo migliore amico. Ovviamente, crescendo, queste convinzioni errate furono sostituite da una più ragionevole conclusione: Thomas ave-va deciso che era un errore corteggiare la sorella di un amico e aveva voltato le spalle a entrambi. Sintetizzando: era un vero stronzo egoista. Da qui a perdere la fiducia nell'intero genere maschile sarebbe stato un attimo e, in parte, è accaduto. Per molto tempo le mie storie non sono mai andate oltre la frequentazione, non hanno raggiunto mai un livello di coinvolgimento e investimento tali da rischiare di perdere tutto. Di nuovo. Il pessimo tempismo di Thomas, poi, mi ha spinto nel tempo a non aspettarmi empatia dagli altri, per non rimanere delusa. Di nuovo. Già, perché mio padre morì l'anno successivo, in giugno. Di lì a poco avrei dovuto sostenere gli esami di maturità e, sciocca come una bambina, sperai di vedere Thomas almeno al funerale. È stata quella l'ultima volta in cui ho permesso a un uomo di deludermi. Il vuoto lasciato dalla morte di mio padre è immenso ed è ancora lì, come una voragine in cui spro-fonda ogni sforzo vitale, se solo ci ripenso. Era un uomo pieno di entusiasmo, con mille storie affascinanti da raccontare che conquistavano chiunque lo avvicinasse. All'epoca non capii come mia madre potesse esse-re così serena dopo tanto dolore, riempiendo le sue giornate con il lavoro, il giardinaggio e il volontaria-to. Poi, con il tempo, ho compreso. Mia madre non aveva sprecato neanche un giorno dell'amore di mio padre. Lo aveva amato e accudito fino al suo ultimo respiro. Non aveva rimpianti, nessuna recriminazione. Lo aveva lasciato andare quando la vita glielo aveva chiesto e aveva proseguito a camminare al fianco di un ricordo di amore e condivisione che neanche le fiabe più belle possono raccontare. Se penso a un esempio di donna che ammiro, lei è il mio idolo in assoluto. Non ha mai smesso di ama-re mio padre, ma ha trovato un modo tutto suo per continuare a vivere e amare la vita anche senza di lui. Forse il confronto con un sentimento così completo è stato il limite più grande nell'approccio alle mie storie: insomma, è possibile fare di meglio o an-che solo avvicinarsi a una tale perfezione?
Quindici anni dopo... “Thomas Parinoci”, leggo e rileggo questo nome cercando di convincermi che non sia lo stesso del peggior errore della mia, non troppo lontana, gioventù. Quindici, dico quindici anni senza più pensare a lui, neanche per sbaglio (mi era costato un lungo la-voro di congelamento del cuore, ma ci ero riuscita) e adesso, dal nulla, il suo nome è spuntato fuori dalle carte che ho tra le mani. Due parole, un nome proprio di persona infilato in un documento legale e l'onda dei ricordi mi ha travolto, senza pietà. Spero e prego con tutta me stessa che sia solo un caso di omonimia, per cui mi affretto a controllare i dati anagrafici. No, anche la data di nascita corri-sponde: 17 maggio. È proprio lui. Ciò vuol dire che tra pochi giorni me lo ritroverò davanti, entrambi con quindici anni di più e con due vite che sono an-date avanti, la sua chissà come, la mia... mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Sono un avvocato, so quello che dico. E, dico io, con tante strade, a Milano e nel mondo, doveva incrociare proprio quella della mia cliente più capricciosa? Anche se provassi a convincerla di lasciar perdere, so che non ci riuscirei. La signorina Silvana Romanelli, guai a chiamarla signora, è una particolare specie di vecchietta combattiva, ostinata e litigiosa con una notevole disponibilità economica, che trascorre metà della sua esistenza nel mio ufficio per fare causa a questo o a quello... prima o poi se la prenderà anche con le Alte Sfere del Paradiso, ne sono certa. Ora, i fatti sono questi: mentre attraversava le strisce con il suo amato Nocciola, cocker spaniel viziato peggio di un figlio unico, un evidentemente distratto Thomas Parinoci frenava all'ultimo momento e per lo spavento il povero Nocciola tirava le cuoia. No, dico: ci vuole fortuna per incappare in una situazione del genere. Quel cane era già con una zampa nella fossa e, probabilmente, sarebbe morto lo stesso a breve in modo naturale, ma no: Thomas doveva transitare proprio lì, proprio quel giorno, proprio a quell'ora. E adesso dovrò rivederlo. Non solo: dovrò cercare di essere professionale e corretta, sebbene vorrei farlo condannare all'ergastolo per l'omicidio premeditato di ogni slancio romantico del mio cuore a soli diciotto anni. Facile a dirsi, ma mi tremano le mani già mentre preparo le carte da passare a Gabriella, la mia segretaria, per la notifica dell'atto di citazione. La signorina Romanelli vuole cinquantamila euro come risarcimento per la prematura dipartita del povero Nocciola e ora pagherei non so cosa per vedere la faccia del “povero” Thomas quando riceverà la mia raccomandata. Chissà se capirà che sono proprio io... chissà se si ricorda di me, se mi ha pensata in questi anni. Ecco, è bastato scivolare con la men-te sul suo nome e già la parte debole e irrazionale di me si è rifatta viva. Devo affrettarmi a dare via queste carte e concentrarmi su altro. Speriamo che si possa chiudere la faccenda con una veloce concilia-zione... non vorrei ritrovarmi a dover incontrare Thomas periodicamente, perché non so cosa potrebbe esserne del mio proverbiale self control.
Se il panico dei giorni precedenti, per avere solo letto il suo nome, mi era sembrato eccessivo, chiaramente non potevo prevedere l'effetto che mi avrebbe fatto ritrovarmelo davanti in carne e ossa e anche prima del previsto. Non avevo infatti messo in conto una visita di Thomas nel mio ufficio subito dopo avere ricevuto la raccomandata di cui sopra. Già, perché se lo avessi anche solo immaginato avrei avvisato le segretarie dello studio di non farlo passare per niente al mondo. E invece eccolo qua, in piedi di fronte a me. Trovarmi per lui non è stato sicuramente difficile, voglio dire: “Lorenzi Avvocati Associati” in via Freguglia, più facile di così. Che poi, gli associati siamo io e due mie colleghe dell'Università che mi hanno seguito in questa avventura. E ovviamente ci sono le segretarie dello studio, Gabriella e Sonia, super efficienti e sempre sorridenti, per nostra fortuna. Sì, sì lo so che qualcuno potrebbe storcere il naso: un team di sole donne. Provate a sfidarci in tribunale e poi ne riparliamo. Ma torniamo a Thomas. Sono un avvocato, ho vi-sto di peggio. Posso essere di ghiaccio, il mio cuore può essere di ghiaccio, almeno quando si tratta di lavoro. Eppure ho un punto debole e quel punto debole adesso è proprio nel mio ufficio. Sono passati quindici anni dall'ultima volta che ci siamo visti e lui è, ovviamente, ancora più affasci-nante. Come ho potuto sperare in un colpo di fortuna, del tipo: sovrappeso, calvizie o qualunque altro difetto fisico che lo allontanasse dall'ideale rimasto scolpito nella mia memoria di adolescente innamorata? No, niente di tutto ciò, è solo leggermente brizzolato e questo lo rende più attraente rispetto alla versione acerba dei vent'anni. E poi, se da ragazzo risultava eccessivamente magro, adesso Thomas ha un fisico tonico e ben definito. Come faccio a saperlo? Semplice: o la sua camicia è di una taglia più piccola o la combinazione con i suoi pettorali è studiata di proposito per mettere in risalto questi ul-timi. E che risalto. Ecco, queste rapide considera-zioni sul suo aspetto fisico non mi aiutano affatto a prendere le distanze emotive da lui. Indossa un completo spezzato giacca, camicia e pantalone ed è, neanche a dirlo, una favola di uomo. La mia fortezza di ghiaccio potrebbe crollare da un momento all'altro, se non fosse che all'improvviso il suo sorriso immutato dal tempo mi fa tornare alla mente tutto il dolore che ho dovuto ingoiare a causa sua; tutta la delusione, tutta la solitudine riemergono. Grazie Thomas per avermi ricordato che dovrei odiarti. Il mio cuore di ghiaccio torna a trionfare nel petto e sono pronta a una battaglia senza prigionieri, per difendere la signorina Romanelli certo, ma anche il mio orgoglio, sebbene con più di un decennio di ritardo. - Buongiorno, che sorpresa... - non è il migliore degli attacchi, ma datemi qualche secondo per raddrizzare il tiro. - Se permetti la sorpresa è stata soprattutto mia. Ancora mi aspetto che salti fuori qualcuno all'improvviso per dirmi che sono in una puntata della nuova edizione di “Scherzi a parte” ... - . Dalla sua risposta ho la conferma che non è qui per una visita di cortesia. - Nessuno scherzo, Signor Parinoci. Il povero Nocciola è morto sul serio. Il suo avvocato è al corrente di questa visita? - . E diamoci del lei, che non sono più una ragazzina innamorata, ma un avvocato che difende gli interessi dei suoi assistiti. - Miriam sono io, Thomas, non capisco che bisogno c'è di darmi del lei... - ora lo vedo confuso, un po' mi dispiace ma non devo abbassare la guardia. - Quando sono nel mio studio o in tribunale non c'è spazio per la confidenza. Vuole dirmi il motivo di questo colloquio? - . - Ero venuto per capire se fosse possibile far ragionare la tua assistita, ma da quello che vedo sei tu quella che avrebbe bisogno di ragionare - . È evidentemente spaesato dalla mia freddezza. Da qualche parte, nel mio cuore, sto pericolosamente iniziando a sentirmi in colpa. Devo resistere. - Mi dispiace. Non c'è niente di personale e io ragiono benissimo. Se vuole cercare una conciliazione con la signorina Romanelli deve attendere il giorno dell'udienza. Adesso, se non c'è altro, io avrei da fare - . Restiamo in silenzio a guardarci a lungo. Ha l'espressione tesa, io fingo di essere rilassata, ma sento che questa attesa mi procurerà una delle mie proverbiali coliche nervose. - No. Non c'è altro. Arrivederci - . - Arrivederci - . Thomas si gira ed esce dal mio ufficio. Io mi acca-scio sulla poltrona e nascondo la testa tra le braccia sulla scrivania. Mi sento svuotata. Sono bastati dieci minuti nella stessa stanza per riportarmi indietro di anni, come è possibile? Come può la forza del primo amore essere così potente? Io sono sicuramente cambiata, cresciuta, così come lo è lui, eppure il modo in cui mi fa sentire è lo stesso, per tutto il tempo in cui l'ho avuto davanti mi sono sentita di nuovo quella ragazzina innamorata persa che pendeva dalle sue labbra. Non l'ho dato a vedere solo perché in questi anni sono diventata brava a fingere. Devo convincere la signorina Romanelli a chiude-re con una veloce conciliazione perché non sono sicura che potrei sopportare tutto ciò a lungo termine. A questo punto già temo la prossima volta che dovrò rivedere Thomas, che sia una volta soltanto e non di più, per carità. Sono ancora con la testa tra le mani, quando sento bussare alla porta. Con un filo di voce chiedo chi è e vedo Gabriella che si affaccia appena nel mio ufficio per chiedermi se può entrare. Certo che può. - Ho la sensazione che non fosse una visita a sor-presa molto gradita... - mi chiede. Io e Gabriella siamo amiche da molti anni, da prima che venisse a lavorare per me. Ci siamo conosciute al corso di yoga e siamo entrate subito in sintonia. Poi io ho abbandonato lo yoga, mentre lei è tuttora una fedele discepola dell'om shanti. Il risultato? Io mi rilasso solo quando leggo un buon libro, lei è la pubblicità della tranquillità. E, soprattutto, capisce al volo quando qualcosa mi turba. - Beh, sì... hai presente il famoso ragazzo del mio primo bacio e... la mia prima delusione? - . - No, non mi dire! Era lui? E che ci faceva qua? Si è presentato come un tuo vecchio amico, per questo l'ho fatto passare. Sembrava una brava persona... - . - E lo sarà, sicuramente. Solo che rivederlo non è stato proprio una passeggiata - con qualcuno lo devo ammettere o rischio di esplodere. - Sì, ma da dove è saltato fuori? - . - È quello che ha fatto morire di infarto il cane della Romanelli - . - No! Pazzesco! Dico, è pazzesco... tra milioni di abitanti proprio lui. E... ti piace ancora? - . - Cosa?? No, certo che no! Solo che... non lo so, brucia ancora. Non so perché, dopo tutto questo tempo - . - Probabilmente a bruciare è quello che non vi siete detti. Lui è sparito, così, senza una spiegazione. Magari potrebbe essere l'occasione per chiarire una volta per tutte - . - E umiliarmi come una ragazzina? Mai e poi mai! Lui non deve sapere quanto ho sofferto - . - Come vuoi tu, ma secondo me potrebbe essere liberatorio. Potresti finalmente mettere un punto e a capo - . Sì, magari è così, ma io non mi sento abbastanza lucida con Thomas davanti. Sono sicura che appari-rei patetica e ne uscirei peggio di prima. Comunque, conosco Gabriella, e so che il muro contro muro con lei non funziona. Potremmo rimanere qui per ore a parlarne, per cui decido di fingermi tentata dal-la sua proposta. - Va bene, ci penserò... - . - Lo spero per te. Io torno di là, se hai bisogno chiamami - . Poi sulla porta si blocca. - Ah, dimenticavo. Ha telefonato Giampaolo, andava di fretta e ha lasciato un messaggio per te. Non riuscirà a liberarsi in tempo per la cena - dice. - Va bene, grazie. Niente di nuovo... - il mio tono è deluso, ma non più del solito. Giampaolo è il mio fidanzato, diciamo così. Non perché io sia scettica sul nostro rapporto, ma perché non ci sono progetti ufficiali per il futuro. Ognuno vive a casa propria (e questo più per scelta mia che sua, sono io che ho bisogno dei miei spazi e della mia indipendenza) e ci vediamo compatibilmente con i suoi impegni di lavoro, quindi molto poco. Ci siamo conosciuti circa tre anni fa a un evento di beneficienza a cui ero stata invitata da un mio cliente. Siamo usciti insieme sei mesi prima di inizia-re a considerarci una coppia. Giampaolo è un tipo cauto, per carattere e per mestiere. È dirigente amministrativo di una clinica privata a Milano ed è perennemente al telefono o impegnato in qualche riunione. A volte mi chiedo se il lavoro di dirigente non sia solo una copertura e se magari Giampaolo non faccia parte di qualche organizzazione segreta... tipo 007. Fantasia, portami via! Comunque, non è una novità per me che abbia di-sdetto un appuntamento all'ultimo momento, solo che stasera avrei avuto davvero bisogno di distrarmi e invece dovrò tornare a casa e fare i conti con i miei fantasmi del passato.
Per fortuna, quando rientro, dietro la porta trovo Flo ad attendermi, la mia gatta. Un bellissimo esemplare di felino dal manto morbido e tigrato che ti guarda sornione con i suoi grandi occhi gialli. È affamata, ma so che appena avrà soddisfatto questo suo istinto primario, mi dedicherà coccole ed effusioni da farmi dimenticare tutte le cose brutte della giornata appena trascorsa. Che poi io vorrei poter dimenticare una sola cosa, anzi una sola persona. Speriamo che le fusa di Flo siano sufficienti. Il mio angelo custode, Anna, la signora che mi aiuta in casa, ha lasciato il camino già pronto, lo accendo e spero che abbia fatto anche un altro mira-colo. Spesso mi porta cose buone da mangiare preparate da lei e me le fa trovare in frigorifero. Con la cena fuori saltata all'ultimo momento sarebbe un prodigio davvero molto gradito. Apro il frigo man-tenendo gli occhi chiusi. “Ti prego, ti prego, ti prego” penso, mentre sollevo prima una palpebra e poi l'altra. Sì!!! All'interno c'è una vaschetta in alluminio che contiene una favolosa porzione di lasagna. La sposto in un piatto e la metto a riscaldare nel microonde, così intanto vado in camera a cambiarmi, perché questa è una di quelle sere in cui la morbida ciniglia è decisamente la migliore amica di una ragazza. A pensarci bene: ciniglia, calice di Cabernet Sauvignon e... Jane Austen. Mi dedico a queste tre cose nell'ordine che ho immaginato: indosso la mia tuta di ciniglia super calda con gli unicorni disegnati (ho una insana passione per questi esseri mitologici, ma è un segreto che condivido solo con il mio gatto), mi verso un calice di vino e con la lasagna appena calda mi siedo sulla poltrona di velluto verde da-vanti al camino, con il mio romanzo preferito a por-tata di mano. Finito di mangiare verso un altro po' di vino e mi immergo nella lettura di Persuasione, con Flo accoccolata al mio fianco. Persuasione non è il romanzo più famoso della Austen, ma è quello che ho sempre amato. Il Capita-no Wentworth è l'uomo che ogni donna dovrebbe incontrare: ambizioso, passionale, indimenticabile. E no così non va... la mia mente è scivolata su un pensiero, il primo amore di Anne Elliot ora somiglia pericolosamente al mio. Di nuovo la fantasia non mi aiuta. Ripongo il libro, sorseggio il vino e chiudo gli occhi, mentre mi appoggio con la testa alla poltrona. Per fortuna il sonno ha la meglio e i pensieri tormentati si spengono con la giornata.
Maria Orlandi
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