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Noir d'autore
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Noir d'autore
La piazza.
Patrizio Iezzi.

La ragazza strascicava i piedi quasi durasse fatica a sollevarli, mentre usciva dalla piazza. Era claudicante, ma non dimostrava apparenti segni di deambulazione ridotta da problematiche più o meno transitorie. Il suo sguardo aveva incrociato quello della giovane mamma che spingeva una carrozzina blu per neonati. La mamma guardava un po' avanti e un po' il piccolo, nascosto al caldo afoso di fine mattinata di una domenica caldissima del mese di maggio.
Un gruppo di turisti giapponesi girava la testa a destra e a sinistra come ballerini di una danza con movimenti a scatti... scatti come quelli delle macchine fotografiche che avrebbero ritratto le memorie del tour nella famosa città.
La funzione religiosa mattutina era terminata e la gente si era fermata a chiacchierare e a salutarsi nello spazio antistante la chiesa. Alcuni si erano diretti verso il bar per rinfrescarsi dall'eccessiva calura.
Il disabile su una sedia a motore per invalidi si diresse verso la chiesa con un bicchiere tra le gambe. Si fermò nel centro del piazzaletto vicino agli scalini antistanti la piccola chiesa e cominciò a imprecare contro tutti i santi. La sua protesta era rivolta anche ai fedeli fermi davanti al sagrato della chiesa. La gente fu distratta dalle grida disperate dell'uomo in carrozzella. Lui gettò il bicchiere di cartone mezzo vuoto contro la chiesa e contro la gente imprecando. Le sue incomprensibili parole piene di rabbia erano la rappresentazione della sua sofferenza. Era bloccato su quella sedia da quando un pazzo gli era venuto addosso con l'auto mentre camminava lungo il bordo della strada.

La ragazza con il bambino e l'invalido per un attimo incrociarono gli occhi senza peraltro vedersi. Felicità e dolore insieme a passeggio senza toccarsi, sfiorandosi inconsapevolmente. Il bambino non si era svegliato nella confusione della gente e dell'uomo rabbioso e urlante sulla sedia a rotelle. La donna allungò una mano verso il bambino quasi a consolarlo pronunciando sottovoce parole probabilmente affettuose che terminarono con un sorriso... amaro.
Una ragazza con i capelli rosso mogano passò nel momento del lancio del bicchiere ed ebbe il timore di essere l'oggetto di tanta ira. Aveva un grande seno che distrasse per un attimo l'uomo sulla carrozzella. Lui era distratto da quei seni che a ogni passo sobbalzavano in una danza, quasi primordiale e primitiva di tribù, propiziatoria per essere scelta da colui che sarebbe diventato il capo della tribù (ma che non sarebbe mai stato lui sulla carrozzella). Passato il dondolamento provocatorio della ragazza, l'uomo della carrozzella si trovò coinvolto con gli occhi fissi su un rotondo fondoschiena che avrebbe potuto avere il medesimo ritmo del seno. Grandi movimenti, grandi distrazioni: il fondoschiena inconsapevole o meno si muoveva intrigante con un leggero dondolio del bacino. Questo mondo in movimento era distrattamente guardato anche dal vecchio suonatore di chitarra che, con un cappello rovesciato davanti a sé, chiedeva di potersi fare ancora qualche bicchiere di brandy stravecchio. Il canto sommesso che accompagnava il questuante chitarrista riportava alla memoria un blues del tempo passato, quando lo incidevano sui vecchi 33 giri di vinile.
La donna con la carrozzina rallentò il passo quasi esitante e, accennando uno sguardo all'interno, mosse le labbra per un'impercettibile parola che terminò con una lacrima, che provvide a rimuovere con il dorso della mano.
Accanto a questi personaggi sostava un uomo, anzi un giovane con un grande cartello che, senza dire una parola, si dirigeva verso i gruppetti di persone davanti la chiesa e invitava tutti ad andare in una pizzeria italiana poco distante, la migliore pizzeria della città.
A completare la scena passò l'immancabile bambina sul monopattino quasi fosse uscita da un film degli anni Cinquanta con il suo gioioso sorriso di chi si diverte con poco.
La carrozzina per poco fu investita dalla ragazzina e fu la donna che evitò con una manovra improvvisa lo scontro, indirizzando parole di rimprovero in una lingua non familiare.
Una coppia di ultrasettantenni, seduti al bar nell'angolo nascosto della piazza, si tenevano per mano come per dirsi che la fine li avrebbe trovati uniti. Erano davanti all'aperitivo che la domenica erano soliti prendere al bar della piazza: un dito di prosecco che andava a mescolarsi con un liquido rosso appena alcolico. La donna guardava il vecchio compagno con dolcezza. Lui ogni tanto allontanava lo sguardo dalla moglie e sbirciava in direzione di una ragazza che, seduta su una delle panchine e aiutata da una leggera brezza, mostrava le gambe ai passanti sorridendo, quasi complice del quadretto nell'angolo riservato all'eros sognato.
Un sorriso quasi di scherno illuminò il volto della donna che spingeva la carrozzina a passi lenti. Una panchina vuota con un paio di scarpe sopra forse attendeva un clochard in preparazione per la sera.
Il labrador nero con bardature rosse che accompagnava il cieco e lo aiutava nell'attraversamento, cercando di evitare le due biciclette che stavano sopraggiungendo, guardò la donna della carrozzina e stranamente abbaiò nella sua direzione. Il cieco lo rassicurò con parole dolci e decise.
Le nuvole guardavano la scena, stanche di stare in aria ma impossibilitate ad avere una definizione diversa da quella loro destinata. Era caldo, molto caldo e non c'era alcuna previsione di temporale.
Giovani che attraversavano la piazza con il cellulare attaccato all'orecchio quasi fosse un'escrescenza della loro conformazione auricolare. Qualcuno fumava e una ragazza non più ragazzina attraversava la piazzetta orgogliosa del suo bel vestito, alternando passi veloci a soste più o meno prolungate e seguite da piccoli passi quasi fosse la modella a una sfilata. Non molto lontano si poteva ammirare in un angolo la statua di una donna famosa per le sue ricerche scientifiche, il cui sguardo era rivolto verso le silenziose campane della chiesa.
La donna si fermò davanti la statua e allungò una mano verso l'interno della carrozzina forse per calmare il bambino che si era risvegliato, magari per i versi irrequieti delle gazze ladre che, incuranti e abituate alla presenza delle persone, erano a caccia di rimasugli di cibo contenuto in un sacchetto che giaceva in terra accanto a una panchina. Il sacchetto era la loro preda, ma erano troppe per un così piccolo pasto.
Un vigile urbano guardava sia le gazze ladre, spazzini al servizio della loro fame, che la dolcezza un po' triste della ragazza-donna con la carrozzina. Il suo passo era lento. Il bambino probabilmente ora dormiva o si tranquillizzava guardando il volto della donna. Sarà stata la madre o un'improvvisata baby-sitter che accompagnava chi si affacciava alla vita con occhietti curiosi alla scoperta del mondo che lo circondava.
Una donna anziana si avvicinò alla carrozzina. La donna che la spingeva cambiò direzione e affrettò il passo nella grande piazza quasi senza una direzione precisa. Si fermò tra la gente uscita dalla chiesa, guardando quelli che si dirigevano al bar già pieno di persone.
La donna anziana si fermò meravigliata del cambio di passo e direzione della carrozzina e fece appena in tempo a notare che non c'era alcun bambino all'interno.
Poi... qualcuno aveva innescato la bomba e per un attimo, il tempo si era fermato.
La deflagrazione partita dalla carrozzina aveva invaso la piazza.



Meglio tardi che mai
Pietro Furlotti


Per un attimo gli sembrò di intravedere la terra ferma. Abbassò lo sguardo sorridendo, pulendosi la mano sporca di terra sul grembiule in cuoio, ricordo di un viaggio a Malaga. Ciò che il suo inconscio aveva scambiato per un promontorio marittimo non era altro che l'imponente macigno, proveniente dalla Murgia, che svettava a poche decine di metri dalle vetrate liberty della serra. L'aveva preteso suo genero per conferire al giardino della villa un tocco ancora più esotico. Ettore Bassani tornò alle sue petunie consapevole che il proprio occhio lo avrebbe tratto in inganno ancora molte volte; una vita trascorsa a ricoprire incarichi speciali per la Marina non si dimentica tanto facilmente.
In quell'estate del 1939, Ettore Bassani aveva accettato volentieri l'invito della figlia Amalia a trasferirsi per qualche tempo a Ferrara. Avrebbe potuto riposarsi, dedicare il suo tempo alla floricoltura e soprattutto stare un poco con Lorenzo, l'amato nipote di appena sei anni che in quell'istante stava giocando con alcuni coetanei nell'area est del parco della villa.
L'urlo che squarciò l'assolato pomeriggio proveniva proprio da lì. Ettore alzò lo sguardo oltre i vetri e balzò fuori dalla serra facendo cadere rumorosamente gli attrezzi da lavoro. Parte della servitù quasi lo travolse all'altezza del loggiato; tutti si stavano dirigendo a perdifiato verso il bosco di betulle, dove il ruscello convogliava nel laghetto delle anatre. L'ex ufficiale della Marina giunse al laghetto sentendo che

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