Lo stagno. Agnese Zifferero.
Ad Allegra l'estate era sempre piaciuta per i motivi sbagliati: il mare le sembrava un posto sporco e affollato e delle fugaci amicizie estive non sapeva che farsene. Odiava il sole negli occhi e la sabbia fastidiosamente incollata alla pelle. Erano anni che, contrariamente al parere di sua madre, passava le vacanze coi nonni nella più sperduta campagna emiliana, trascorrendo le giornate in totale solitudine a esplorare i boschi e fotografare insetti morti con la vecchia Nikon di suo padre. Allegra, d'altra parte, era un'adolescente estremamente introversa, e non avrebbe voluto impiegare il suo tempo libero in nessun altro modo. Entrambi i suoi nonni erano quasi completamente sordi e si rifiutavano categoricamente di indossare i costosi apparecchi acustici che la figlia, esasperata, aveva acquistato per loro, rendendo impossibile ogni tentativo di comunicazione: in questo modo si era andato a creare un tacito accordo tra i due burberi anziani e la nipote per cui lei non li disturbava con puerili chiacchiere e loro non facevano domande quando tornava la sera con le ginocchia sbucciate e un sorrisone stampato sul volto sporco di terra e chissà cos'altro. Allegra, in fondo, voleva molto bene ai suoi nonni, così strambi e inavvicinabili, e stentava a capire l'ostile diffidenza nei loro confronti che la madre non esitava a manifestare ogni volta che i due venivano nominati. Un'afosa mattina, Allegra si svegliò prima del solito, pervasa dalla voglia di fare che le attraversava il corpo come una frenetica scarica di scintille. Dopo essersi infilata in fretta e furia dei vestiti spiegazzati e sudaticci già usati, si fiondò in cucina per consumare con foga un'abbondante colazione sotto lo sguardo impassibile di sua nonna, intenta ad affettare della verdura in silenzio. Con un residuo di marmellata a ornarle l'angolo della bocca, si mise le sneakers logore e infangate saltellando goffamente e afferrò la macchina fotografica dal vecchio mobiletto del corridoio. Prima di imboccare la porta stampò un sonoro bacio sulla guancia rugosa del nonno, seduto in poltrona a leggere il giornale, e ridacchiò di gusto quando l'anziano irrigidì tutto il corpo per la sorpresa. - Vi voglio bene! - urlò mentre varcava la soglia, non ottenendo alcuna risposta. Fece spallucce, probabilmente non l'avevano sentita. Una volta fuori dovette schermarsi gli occhi dal sole con entrambe le mani: la luce le penetrava le iridi azzurre, come un acuminato stiletto d'acciaio. Calcò per bene il berretto con la visiera sulla testa e si incamminò a passo svelto lungo l'angusto e sdrucciolevole sentiero di ghiaia che conduceva al bosco più vicino. La ragazza, strascicando i piedi fra i ciottoli, si riempì gli occhi di quel panorama così maestoso e desolato: sparse qua e là fra i vasti campi si ergevano alcune casette abbandonate da tempo. Allegra aveva chiesto più volte ai nonni il motivo per cui nessuno più vi abitasse, ma loro si limitavano a risponderle in modo evasivo, senza fornire alcuna spiegazione. Avrebbe voluto esplorarne l'interno, ma sotto sotto quei sonnacchiosi gusci vuoti le mettevano i brividi, simili a gigantesche carcasse di vite brutalmente interrotte. Distolse nervosamente lo sguardo e tirò un calcio a un sasso, ritrovandosi poco dopo all'entrata del bosco: emise un sospiro di sollievo, finalmente era nel suo posto sicuro. Protetta dagli alti alberi che bloccavano il sole con le loro generose fronde, si inoltrò trepidante nel fitto della vegetazione, stringendo fra le dita la Nikon accesa. Mentre si aggirava con fare esperto fra la natura sempre più folta, la sua attenzione fu catturata da una piccola chiazza bruna sul tronco di un castagno. Si avvicinò cautamente: era l'esuvia di una cicala. Ammirò in silenzio quella timida e umile reliquia traslucida, e prontamente scattò una foto. Non soddisfatta, Allegra la divelse dalla corteccia dell'albero. Se la rigirò meditabonda fra le mani, e la infilò nella tasca posteriore dei bermuda. Lieta del suo nuovo tesoro, la ragazza decise che quel giorno sarebbe stata più intraprendente, e imboccò un percorso che mai aveva battuto prima. Avanzò con prudenza lungo uno stretto corridoio di rovi spinosi e rami secchi, giungendo infine in uno spiazzo erboso e assolato, dove al centro era situato un grazioso stagno. Allegra si lasciò scappare un gridolino entusiasta, avrebbe fatto tante di quelle foto! Con la macchina che fremeva a ogni scatto, la ragazza immortalò ogni centimetro di quello specchio d'acqua dall'aura mistica: le ninfee che galleggiavano placide, una libellula dal corpicino giallastro, una grassa rana, un volto umano... Allegra sussultò. La superficie dell'acqua si era increspata, e lentamente era emerso il viso cadaverico di una donna. Doveva essere molto anziana, poiché la pelle era smunta e cadente, coperta da una fitta ragnatela di rughe, e una chioma scarsa e canuta le fluttuava attorno agli zigomi spigolosi. Gli occhi incavati erano chiusi, e sfoggiava un'espressione innaturalmente rilassata, quasi spettrale. Allegra si riscosse dallo spavento iniziale, e si avvicinò cauta. - Signora, ha bisogno di aiuto? - Non ottenendo alcuna reazione, mosse qualche passo incerto e si inginocchiò sul bordo dello stagno, la Nikon nella mano sinistra e la destra lievemente protesa verso l'acqua. Improvvisamente la donna aprì gli occhi, rivelando due iridi acquose e biancastre, e con uno slancio fulmineo provò ad azzannarle le dita. Allegra cadde all'indietro per lo spavento, neanche sentì l'esuvia nella tasca scricchiolare e frantumarsi sotto il suo peso, troppo impegnata ad arretrare strisciando. La ragazza riuscì a guadagnare un po' di equilibrio e rialzarsi, dandosi alla fuga. Non si curò dei rovi che le graffiavano le guance, o della Nikon che le cadde di mano, voleva solo andarsene. Giunta a casa neanche salutò i nonni, si rintanò in camera sua chiudendo la porta a chiave. Saltò pranzo e cena: il suo stomaco si contorceva al ricordo di quella creatura. Infine, calò sorda la notte, ma Allegra era ancora molto inquieta. Avvolta in un groviglio di lenzuola la ragazza continuava a rigirarsi nel letto, tremando a ogni rumore, solo a mezzanotte inoltrata cadde preda di un sonno leggero e disturbato. Poche ore dopo, però, la ragazza fu svegliata di soprassalto da uno straziante concerto di versi: qualcosa, all'esterno, stava latrando e raschiando con insistenza il legno con le unghie. Allegra raggelò, sembrava il pianto agonizzante di un cane malato. Dato che non accennava a voler smettere, l'adolescente si fece coraggio e si diresse a controllare, muovendo veloce i piedi nudi sul pavimento freddo. Con cautela aprì l'uscio cigolante, e volse lo sguardo alla sconfinata campagna in cerca dell'origine di tutto quell'agghiacciante frastuono: non c'era assolutamente nulla. Diffidente e frastornata, Allegra tornò indietro per rimettersi a letto, chiedendosi perché le mattonelle che calpestava fossero così umide. Al sicuro, nel caldo abbraccio delle coperte, fece per chiudere gli occhi, ma qualcosa al limite del suo campo visivo catturò la sua attenzione: nella penombra della sua stanza una figura nuda, scarna e ricurva la stava osservando. Un grido le morì in gola, era la creatura dello stagno. Prima ancora che Allegra potesse reagire la bestia le fu addosso con un agile balzo, tastandole e graffiandole febbrilmente il corpicino esile con le sue mani adunche e nodose, ringhiando contorse la bocca in una disumana smorfia perversa. Il corpo flaccido e grigiastro era costellato di sporadiche squame e piaghe purulente il cui fetore dava ad Allegra il voltastomaco. La creatura scoprì una fila di denti marci e appuntiti, e si avventò sul labbro inferiore della ragazza che, impotente e paralizzata dalla paura, stava bagnando di urina il materasso. Le rancide zanne affondarono nella carne fino a farla sanguinare, ma Allegra riuscì a divincolarsi dal morso con un colpo di reni. Tentò con tutte le sue forze di scollarsi di dosso quel mostro che puzzava di morte, ma la bestia le si piazzò sul petto con entrambe le ginocchia per bloccarle il respiro. Poi, sibilando, fece strisciare fuori dalla bocca una turgida e smisuratamente lunga lingua, che come un serpente le si insinuò in gola per tastare e assaggiare le pareti calde del suo esofago, mentre filamenti aciduli di bile e saliva le colavano sul viso contorto dall'angoscia. Allegra voleva vomitare. In preda a una rabbia cieca riuscì a far perdere alla creatura l'equilibrio e si fiondò in camera dei nonni, incespicando. Col labbro sanguinante e la voce rotta svegliò i due anziani, provando a spiegarsi come meglio poteva, ma la coppia non accennava a rispondere. Entrambi la fissavano con un'espressione vacua dipinta sul volto. Il mostro le fu addosso in pochi secondi, colpendola alla tempia, e Allegra si lasciò trascinare via mentre le sue ultime forze la abbandonavano. - Quando lei vuole qualcosa noi glielo diamo. - sentenziò laconico suo nonno - È il prezzo da pagare per continuare a vivere qui - .
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