Sussurro nella notte. Quella sera, il padre di Jasmine compiva quarantadue anni. Laura stava facendo una bellissima torta e la figlia l'aiutava come poteva. La madre non le lasciava maneggiare i coltelli, anche se lei insisteva. Di conseguenza, la piccola si limitava a osservare mentre Laura li adoperava. Quando Jim arrivò, la sorpresa gli alleggerì il cuore e una calda armonia si diffuse nella famiglia. Raramente Jim lasciava filtrare le emozioni che lo guidavano, taciute sotto una maschera d'indifferenza. Ciò contribuì ad alimentare il calore euforico di quella sera. Giunte le 23:00, Laura insistette perché Jasmine si ritirasse nella sua camera; lei obbedì come sempre, anche se non aveva molto sonno. I brutti pensieri non si erano fatti sentire quel giorno. Lei ne fu felice: forse se n'erano andati. Così, colma di una serenità che credeva non avrebbe più assaporato, la bambina si abbandonò al tepore delle coperte e scivolò adagio nell'incoscienza... Aprì gli occhi. Era ancora notte, ed era avvolta dal silenzio e dal buio. Che strano, non si era mai svegliata di notte. C'era qualcosa che non andava, ma non sapeva cosa. L'assenza di suoni la opprimeva come mai aveva fatto. Fu quasi tentata di urlare, anche solo per scacciare il silenzio, per scacciare il male che adesso si agitava di nuovo dentro di lei, con scatti repentini e animaleschi. Avvertiva una specie di pressione che spingeva i suoi pensieri per fare spazio a qualcos'altro. E in quel momento, il male la tentò. La bambina si alzò dal letto e andò in cucina, amalgamandosi con un'oscurità che non faceva che posare le mani sul suo corpo. Le pareva quasi di sentirne le unghie violarle la pelle. E poi, eccoli lì! I coltelli erano di fronte a lei, ordinati nel contenitore di plastica. - Usalo! Tua madre non è nessuno per dirti ciò che devi fare. Prendi il coltello! - La sua mano si mosse tremante, quasi ansiosa di afferrare quella follia e fare scorrere il sangue. Ora la sentiva chiaramente: una voce le parlava nella testa, sussurrando. Una voce non sua, che si nascondeva fra le grinze della tentazione. Chiuse gli occhi e le parve di intravedere un essere, che la fissava da dentro con due occhi felini. Erano corna quelle che si allungavano e si stringevano verso l'alto? E poi... il suo sorriso... era così... così... Riaprì gli occhi per non vederlo. - Tagliati le vene del polso! - disse la cosa . La bambina non poteva sfuggirgli. Il coltello era già sul polso. La lama era fredda, ma presto avrebbe bruciato... molto presto. Sarebbe bastata una pressione minima. E ancora più rombante che in passato, la sua stessa voce le percosse la coscienza con la forza di un manrovescio. “No! Morirai se lo fai! Buttalo via! Butta via tutti i coltelli!” La bambina, però, si limitò a posare la lama e ad allontanarsi di scatto. Non era ancora finita, lo sapeva bene. Stava accadendo qualcosa di strano. In lei era sepolto qualcosa di sbagliato , che avvertiva fiocamente da quando erano sgorgati quei brutti pensieri, ma che adesso le si palesava con prepotenza, ansioso di mostrarsi; qualcosa di cattivo, di terribile, di inspiegabile. I pensieri tornarono, vessanti e oppressivi. Sentirli era come annegare nell'acqua gelida, mentre il bisogno di inalare aria che non c'era si faceva sempre più pesante. La sua testa pensava da sola imprecazioni, idee diaboliche e crudeli. Perché le accadeva tutto ciò? “Il diavolo!” pensò lei. “C'è il diavolo dentro di me?” Tornò a letto e iniziò a pregare. Tuttavia, il fluire di quelle parole non sortì alcun effetto. Il braccio sinistro le bruciava. Ora che lo aveva notato, si rese conto che era cominciato mentre camminava nel buio. Accese la luce. Avvertì una morsa al petto nell'osservarsi la pelle. Chissà come, si erano aperti dei piccoli tagli che componevano un'unica, sconcertante frase: “Il tuo dolore sarà la mia estasi”. Stava per urlare, quando si accorse di essersi sbagliata. Sul braccio non c'era nulla, la pelle candida era intatta. “Devo essere solo stanca” pensò. Mantenne la luce accesa per mezz'ora circa. Quando si convinse che non sarebbe accaduto nulla di male, la spense e cercò di raggiungere Morfeo. Proprio mentre stava per scivolare fra le sue braccia, i brutti pensieri si fecero più aggressivi. “Perché?” si domandò. Iniziò a pregare di nuovo, ma più lo faceva, più la cosa che aveva dentro la insultava. Era talmente volgare da causarle conati di vomito. Alla fine, la stanchezza divenne troppa e si addormentò a metà del trentesimo Padre nostro , mentre sentiva affievolirsi delle parole che non avrebbe mai avuto il coraggio di pensare.
Un male infinito Il giorno seguente, Jasmine non riusciva a scrollarsi di dosso quella sensazione tanto terribile. Ne sentiva il respiro sul collo, la freddezza e perfino l'odore, un connubio di sangue e zolfo, impossibile da ignorare. A scuola fu una tortura. I maestri spiegavano delle cose interessanti e lei avrebbe voluto stare attenta, ma sentiva solo quella voce bisbigliante nella testa, che vituperava chiunque gli occhi della bambina incontrassero. L'ora di religione fu la peggiore. Il maestro era anche il prete della cittadina. Era un uomo anziano, i cui capelli grigi latitavano in una fronte corrugata, e con una mole eccessivamente propensa alla larghezza. Le sue parole non giungevano alle orecchie di Jasmine, eclissate da quelle che venivano dalla sua testa. - Stupido prete! - sentì. - Sarebbe bello ucciderlo! Quale meravigliosa visione! Ucciderlo lentamente, dopo una lunghissima tortura! E poi bere il suo sangue... bere il suo sangue... - Jasmine aveva raggiunto il limite. Si alzò dal banco e corse via dall'aula, ignorando le grida dell'insegnante. Sentiva che doveva farlo, se voleva proteggere tutti da se stessa, o da ciò che aveva dentro. Si rifugiò in bagno, si rannicchiò sul pavimento e iniziò a piangere. “Io sono pericolosa” pensò. “Non voglio fare del male a nessuno! Voglio essere buona!” E, come se avesse staccato una spina, quel male si zittì. Adesso, lei era solo pace e armonia. “Ce l'ho fatta! Il diavolo se n'è andato! Dio, grazie! Io non voglio che lui faccia del male ai miei compagni o ai miei genitori. Mandalo via! Tienilo lontano da me per sempre!” Tutte le preghiere della notte precedente, dopotutto, dovevano essere servite. Ripudiò le lacrime, mentre pensava alla classe che aveva abbandonato. “Il maestro mi starà cercando, meglio sbrigarmi...” Stava per alzarsi, ma si bloccò. Qualcosa di piccolo e freddo si era posato sulla sua mano destra, evocato dal nulla. La guardò e urlò a squarciagola, perché sul palmo, indifferente al suo sgomento, c'era il laser che aveva gettato dalla finestra. Poi, la razionalità tentò di arginare la paura. “Non può essere lo stesso laser!” pensò. Anche se era molto simile, lei lo aveva buttato... era impossibile. L'istante dopo aver formulato quel pensiero, il laser divenne rovente e le ustionò la mano. Lo abbandonò sul pavimento, mentre nuove urla impietose scorticavano la sua gola. Pochi secondi dopo, era uscita dal bagno e si stringeva la mano, agonizzante e terrorizzata. Fu raggiunta dal maestro, che si mostrò più preoccupato che arrabbiato. - Jasmine! Perché sei scappata? Che cosa ti è preso? - Lei avrebbe voluto raccontare tutto, ma sapeva che non le avrebbe mai creduto: i bambini non erano presi sul serio. - Dovevo fare pipì - improvvisò tra le lacrime. - Non resistevo più e sono venuta qui, poi però mi sono appoggiata al termosifone e mi sono bruciata. - La paura si impadronì degli occhi dell'insegnante, tanto che Jasmine si spaventò a sua volta. - Cosa... cosa hai detto? - farfugliò lui. Le sopracciglia della bambina delinearono la sua confusione. - Maestro, si sente bene? - domandò lei, sinceramente preoccupata. Un'aura marmorea aveva ormai soffocato il volto dell'uomo, come se il suo sangue non lo irrorasse più. - Che cosa sei tu?! Come puoi saperlo?! - Il prete indietreggiò con passi incerti e tremanti. Jasmine, adesso, non sapeva cosa pensare. Niente sembrava avere senso. Se le urla di dolore del suo palmo non fossero state tanto assordanti, avrebbe pensato di star sognando. - Ma maestro, sapere cosa? - L'uomo scosse la testa, tappandosi le orecchie. - Basta! Non dire altro! Ti prego! Non dire altro! - Terrorizzata forse più dell'uomo di fronte a lei, Jasmine segregò le sue parole. - No! No! Come posso sentirti ancora?! Smettila! - Adesso, le lacrime infiammavano di nuovo le guance della bambina. Se lei non muoveva le labbra, allora come poteva, il maestro, disperarsi in quel modo? Perché le sue semplici frasi avevano suscitato una tale replica? Inorridita, Jasmine vide il prete battere con violenza la testa contro il muro. - Smettila! Smettila! - urlava lui. - Oh mio Dio! - esclamò Jasmine, con le lacrime che le concedevano solo pochi guizzi di ciò che accadeva. - Si fermi, la prego! Cosa fa?! - La bambina avrebbe voluto muoversi, avanzare verso di lui, fermarlo, eppure era immobile, bloccata dalla stessa paura che stava consumando il povero uomo. - Bastaaaa!! - gridava lui, mentre le ossa del suo cranio si infrangevano, il naso si spezzava e i fiotti rossi rimpiazzavano sempre più il biancore del muro. E poi, il corpo inerme scivolò in una bizzarra posizione, mentre il suo viso distrutto tracciava un percorso carminio lungo la parete.
Francesco Agostini
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