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Autore: P. Sacchi
Gli esuli di Jualamuki
Fantasy
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Gli esuli di Jualamuki
Sette uomini a cavallo percorrevano una pista tra folti arbusti, un tempo rigogliosi prima che una patina di cenere li ricoprisse e li trasformasse in ammassi spettrali.

Un boato fragoroso costrinse il gruppo a fermarsi. Tutti reagirono allo stesso modo e anche il giovane Maranur si piegò in avanti sino a sfiorare con la testa la criniera del suo stallone.

Alzò istintivamente un braccio per proteggere il capo, mentre gli occhi cercarono la cima della montagna sacra. Subito dopo la terra tremò sotto l'effetto di una scossa che si protrasse per pochi interminabili secondi.

La montagna urlò tutta la sua rabbia crescente. Un fumo denso, grigio e minaccioso si levava alto nel cielo. Lapilli incandescenti venivano scagliati come micidiali proiettili che, da una decina di giorni, tempestavano l'isola di Jualamuki e avevano costretto parecchi abitanti a lasciare le proprie case per spostarsi in prossimità della costa.

Il sole aveva oltrepassato lo zenith e avrebbe dovuto splendere in tutta la sua luminosità, ma la luce che si irradiava era così sbiadita che la sera pareva prossima a calare. L'aria era densa di fumo e rendeva difficoltosa la respirazione. Fiumi di lava, come ferite sanguinanti, colavano dai numerosi crateri che si erano aperti sulle pendici della montagna. Scorrevano lenti e inesorabili, ricoprendo ogni cosa sotto uno spesso strato di scura roccia effusiva. La vegetazione lussureggiante dell'entroterra era scomparsa e i colori sgargianti erano stati sostituiti da una coltre grigiastra che odorava di morte e distruzione.

Quando la terra smise di tremare, Maranur fece segno di proseguire. Mancava poco a fare ritorno alla casa del patriarca e le notizie che portava non erano per nulla buone. La lava aveva invaso i campi di grano quando mancava poco alla mietitura. Boschi di alberi secolari erano andati distrutti e il corso del fiume era interrotto in più punti, destinato ad una rapida scomparsa.

Giunto di fronte alla dimora del patriarca suo padre, Maranur balzò da cavallo e si diresse ad ampie falcate verso l'ingresso. Si sforzò di ignorare gli sguardi impauriti delle frotte di disperati che si erano fatti da parte al suo passaggio e che stazionavano nello spiazzo davanti alla casa, dopo aver perso ogni loro avere per colpa della montagna.

Imploravano aiuto anche senza proferire parola. Maranur si passò le mani fra i capelli per disperdere la polvere che si era accumulata e, giunto sulla soglia, si voltò per un istante. Avvertiva il peso di tutti quegli sguardi e, dietro la maschera di indifferenza che aveva indossato, il suo animo era in tumulto. Aveva a cuore il destino della sua gente e si augurò che suo padre fosse propenso ad ascoltarlo.

Il patriarca Gontolin Danvas guidava il suo popolo da quando aveva ereditato la carica da suo padre ed erano trascorsi già ventidue cicli solari. Eldesia, sua moglie gli aveva dato cinque eredi e Maranur era il maggiore, colui che era destinato a succedergli.

Gontolin era un uomo imponente, alto, muscoloso e con uno sguardo in grado di indurre a miti consigli anche gli animi più accesi. Quel giorno indossava la tunica immacolata e il diadema di fiori bianchi e rossi che identificavano la sua posizione.

Attendeva il ritorno del figlio da alcune ore e, non appena aveva notato i cavalli avvicinarsi dalla finestra della sua stanza, era uscito per raggiungere la sommità della scala.

Maranur non attese di salire tutti i gradini e si fermò a metà.

“Padre, la situazione è disastrosa. La lava è dappertutto e continua a colare dalla montagna seppellendo ogni cosa. I campi sono persi e il fiume è una distesa di pietra scura. Le scosse hanno dilaniato la terra e l'acqua precipita nel sottosuolo, in un punto oltre le colline vicino ai resti del villaggio di Nokos, dove fuoriesce con grandi sbuffi di vapore”

Aveva parlato tutto d'un fiato e fu costretto ad interrompersi. Gesticolava in preda ad una agitazione impossibile da gestire.

“La montagna lancia palle di fuoco a distanze mai raggiunte prima e, se continua così, anche questa città non è più sicura. Dobbiamo andarcene prima che la montagna esploda e sommerga tutta Jualamuki. Temo non ci resti molto tempo”

Il patriarca ascoltò il resoconto senza battere ciglio, con un'espressione impossibile da decifrare che poteva significare tanto preoccupazione, quanto indifferenza. Lo lasciò sfogare e poi si voltò, invitandolo con un gesto a seguirlo.

Maranur esitò per qualche istante. Rimase ad osservare la figura di suo padre percorrere il tratto di corridoio sino alla sua stanza. Scosse la testa sbuffando e lasciò cadere le braccia lungo il corpo per la frustrazione. Lo seguì rassegnato. Giunto sulla soglia, vide suo padre dirigersi alla sua poltrona preferita e attese che si fosse accomodato.

Nonostante fosse la dimora del patriarca, la casa era arredata con semplicità, non molto diversa da quella di tanti altri isolani. Suo padre non gradiva le ostentazioni e rifuggiva ogni tipo di ricchezza. La sua stanza preferita non faceva eccezione. Un tavolo di legno ingombro di documenti, qualche sedia, due poltrone, un tavolino basso e una grande libreria a ricoprire la parete a destra dell'entrata. Due finestre sul lato opposto si aprivano sul cortile antistante la casa e, sullo sfondo, offrivano il panorama dell'oceano.

Al cenno di suo padre Maranur entrò, ma percorse solo pochi passi prima di bloccarsi e volgersi di scatto alla sua destra.

“Bentornato Maranur”

Quella voce gracchiante e strascicata lo fece sussultare. Mai si sarebbe immaginato che il sommo sciamano Dar El Monfur fosse ospite di suo padre. Quel vecchio non gli andava a genio. Era la massima autorità religiosa dell'isola, ma Maranur non si fidava di lui. Lo riteneva subdolo e viscido, troppo propenso ad interpretare il volere degli dèi secondo il proprio interesse. Suo padre, invece, si fidava ciecamente di lui o, perlomeno, così dava ad intendere.

“Quali notizie ci porti, Maranur, figlio di Gontolin?”

La domanda fu posta con un tono che fece crescere la rabbia del giovane. Strinse forte i pugni per dominare l'istinto di troncare sul nascere la discussione. Trasse un lungo respiro prima di rispondere.

“Nulla che una autorità potente come voi non possa già conoscere, sommo sciamano”

L'ironia contenuta nelle parole di Maranur non sfuggì al vecchio Dar El Monfur che abbozzò un sorriso nervoso e alzò lo sguardo come a cercare l'ispirazione degli dèi. I suoi occhi si rovesciarono improvvisamente all'indietro, il bulbo oculare completamente bianco. Il suo corpo fu scosso da una serie di tremiti.

Lo sciamano era caduto in trance, anche se Maranur era portato a credere si trattasse di una finzione per impressionare il popolo, attraverso la sublimazione del suo stretto contatto con le divinità.

Conscio che sarebbe trascorso un tempo indefinito, si affacciò alla finestra osservando la moltitudine di gente che raggiungeva ormai la fine della strada. Avrebbe dovuto prevedere che molti fossero giunti attirati dalla presenza del sommo sciamano nella casa del patriarca e che tra il popolo le aspettative di una qualche decisione importante fossero molto alte.

Evitò di voltarsi per sfuggire agli sguardi di suo padre che, sicuramente, considerava riprovevole il suo comportamento. Il sommo sciamano era entrato in contatto con gli dei, come poteva suo figlio fingere una tale indifferenza?

Gontolin Danvas era troppo saggio per farlo notare o, forse, solo consapevole della tensione che si era creata. Preferì restare in silenzio per non alimentare il nervosismo che albergava in Maranur.

Trascorsi alcuni minuti il sommo sciamano si riscosse.

“Scusate, ma gli dèi non amano attendere”

Neppure io, avrebbe voluto rispondere Maranur.

“Ho avuto una visione in cui Bromus e Efaistos si riappacificano e stringono un patto che farà cessare le eruzioni. Presto potremo riprendere le nostre normali attività e riparare i danni provocati dallo scontro tra le due divinità, ma è necessario che venga fatta un'offerta alla montagna sacra”

Il sommo sacerdote aveva parlato lentamente, scandendo ogni parola perché si imprimesse a fondo nella mente dei suoi interlocutori, ma con Maranur non funzionò. Dar El Monfur pareva stremato e bevve avidamente dalla ciotola dell'acqua.

“E ditemi sommo sciamano, quali programmi hanno i nostri dèi per restituirci i campi e i boschi che stanno distruggendo mentre risolvono le loro questioni di supremazia? Ci vorranno interi cicli prima di riuscire a coltivare terre dove raccogliere qualcosa che non siano pietre scure. Con cosa sfameremo il nostro popolo durante l'inverno? Il fiume è scomparso, inghiottito dalla terra e le nostre riserve idriche si esauriranno presto. Interi boschi sono andati bruciati. Dove troveremo il legname per costruire nuove abitazioni, barche, ponti, attrezzi? Credo che gli dèi, questa volta, si siano lasciati prendere la mano...”

Avrebbe voluto aggiungere un commento ben più pungente, ma suo padre non gli avrebbe consentito di passarla liscia. Forse, si era già spinto troppo oltre il limite stabilito dal rispetto dei ruoli.

Quanto disse fu sufficiente per scatenare l'ira dello sciamano, i cui occhi si ridussero a due fessure.

“Insolente che non sei altro ! Come ti permetti di discutere le azioni dei nostri dèi? Noi uomini siamo insignificanti di fronte alla grandezza dei piani divini e dobbiamo limitarci ad accettarli con la certezza che gli dèi stanno agendo per il nostro bene, anche se fatichiamo a comprendere il flusso degli eventi”

“Saremo anche insignificanti, ma non siamo pedine di cui gli dèi possono disporre a loro piacimento” ribattè piccato Maranur.

Il patriarca suo padre sussultò e tese un braccio in avanti come a voler fermare l'ardire di suo figlio prima che la situazione degenerasse. In cuor suo apprezzava il piglio con cui Maranur stava esponendo le sue argomentazioni, che condivideva pure, anche se il suo ruolo gli imponeva di non discutere le interpretazioni del potere religioso.

“Zitto! Come puoi tu giudicare? Sei solo un ragazzo cui tuo padre dovrebbe aver rifilato grandi dosi di legnate per farti capire come portare rispetto ai nostri dèi. Che Efaistos, Bromus, Eurin e Danea possano perdonare la tua arroganza”

“Potrò anche essere arrogante, ma non possiamo restare inermi di fronte a tutta questa devastazione. La nostra gente muore e, secondo voi, dovremmo restare ad osservare perché gli dèi stanno agendo nel nostro interesse?”

“La gente muore e nasce ogni giorno. È il corso ineluttabile della vita che si ripete dal momento della creazione. Siamo nelle mani degli dèi e dobbiamo confidare in loro senza esitazioni”

Il volto dello sciamano si era fatto paonazzo e la sua voce ancora più stridula.

“Preferisco confidare in quello che posso vedere ed essere padrone delle mie azioni. La montagna sta per esplodere e ci seppellirà tutti se non ci allontaniamo in fretta”

“Stolto! Abbandonare la montagna sacra, dimora dei nostri dèi? Ma come ti viene in mente un'idea tanto sacrilega? Da chi trarremmo le indicazioni che ci hanno consentito di prosperare sino ad oggi? Inorridisco di fronte alla prospettiva che un giorno potresti essere tu a guidare questa isola”

A quel punto Gontolin Danvas non potè esimersi dall'intervenire. Con grande sorpresa di Maranur, non si limitò a rimproverarlo, ma affrontò il sommo sciamano con decisione.

“Maranur hai parlato anche troppo. È giunto il momento di riflettere. Dar El Monfur, rispetto il tuo ruolo, ma non puoi pensare di venire nella mia casa e mettere in discussione la fede di mio figlio”

“Bene, deduco che se anche tu dubiti della volontà degli dèi, allora il mio tempo qui si è concluso”

Lo sciamano si alzò dalla poltrona fremente di rabbia, brandendo con forza il lungo bastone contorto che usava per sorreggersi.

“Il popolo saprà della vostra arroganza e ne pagherete le conseguenze. Nessun patriarca ha mai sfidato le visioni di un sommo sciamano”

“Ecco, avete finito di ammettere quale sia il punto che più vi sta a cuore” Maranur si spostò per bloccare l'uscita “Non siete interessato alle sorti della nostra gente, ma solo a rimarcare la vostra autorità. E ditemi quale sarebbe questa offerta che gli dèi pretendono da noi?”

“Non è argomento che intendo discutere con te, ragazzino” replicò piccato lo sciamano avanzando minaccioso verso la porta senza che Maranur accennasse a spostarsi.

“E invece credo sia mio diritto sapere, per cui ne discuterai con me”

Gontolin Danvas abbandonò ogni cautela e si alzò a sua volta. La sua figura imponente sovrastò il vecchio sciamano, parecchio più basso ed esile come un giunco.

“Porteremo il Koros sulla montagna quale segno della nostra devozione e lo offriremo agli dèi” fu costretto ad ammettere Dar El Monfur dopo un istante di esitazione, parlando a voce così bassa che padre e figlio dovettero sforzarsi per udire le sue parole.

“La magia del Koros intercederà presso gli dèi e farà cessare ogni fenomeno. Jualamuki tornerà ad essere ospitale nei confronti di chi professa la vera fede”

Scoccò un'occhiata ad entrambi, marcando le ultime parole come a volerne fare un monito chiaro e preciso.

“E chi sarebbe il pazzo destinato ad un'impresa senza ritorno come quella di avvicinarsi ad una montagna sul punto di deflagrare?” chiese Maranur squadrando il sommo sciamano dall'alto della sua statura dopo aver scambiato una rapida occhiata con suo padre.

Giunse a pensare che sarebbe bastato allungare una mano per afferrare il collo di quel vecchio sino a spezzarlo. Fu un pensiero repentino e fugace e Maranur si stupì di aver osato tanto.

“Abbiamo già chi è disposto ad affrontare le insidie della montagna per soddisfare i nostri dèi” il tono di voce di Dar El Monfur sprizzava veleno “Chi se non il nostro Ranterius potrebbe riuscire nell'impresa?”

L'udire il nome di Ranterius provocò un moto di stizza da parte di Maranur.

Ranterius era un guerriero tanto forte e sprezzante del pericolo, quando poco dotato di intelletto. Per lui la forza era l'unico modo per risolvere qualsiasi questione e molti fingevano di rispettarlo, ma, in realtà, temevano solo i suoi muscoli.

“Allora fareste bene a salutarlo calorosamente e a dargli tutte le benedizioni di cui disponete” rispose Maranur dopo aver recuperato un minimo di controllo “Perché la montagna lo ucciderà prima ancora che sia riuscito a raggiungerne le pendici”

Il sommo sciamano reagì indignato, puntando il bastone al petto di Maranur che si scostò per lasciarlo passare. Dar El Monfur percorse il corridoio con la sua andatura claudicante e scomparve lungo le scale, mentre dall'esterno giungeva il rumore sordo di detriti che andavano a schiantarsi a non molta distanza dalla città.

Rimasti soli, Maranur si rivolse a suo padre assorto in pensieri cupi e opprimenti.

“Padre, ascoltate. Dovete dare l'ordine di evacuare Jualamuki. Vi sono già stati troppi morti per credere che gli dèi abbiano a cuore la nostra situazione. Allontaniamoci sulle nostre navi e raggiungiamo un'altra isola. Potremo sempre fare ritorno se lo sciamano avesse ragione, anche se dubito abbia compreso il pericolo che stiamo correndo”

Il sommo patriarca ascoltò senza replicare. Tornò ad accomodarsi alla sua poltrona e si piegò in avanti, i gomiti poggiati sulle ginocchia, prendendosi il volto tra le mani. Rimase assorto per qualche minuto con Maranur ad osservare dalla finestra il sommo sciamano intento ad arringare la folla, ricevendo acclamazioni e grida di incitamento che sovrastarono il cupo brontolio del vulcano.

< Stupidi creduloni > pensò Maranur < seguitelo e vi condurrà a morte certa >

Si sentiva teso ed agitato. Aveva compiuto diciannove cicli da poco e si trovava ad affrontare una situazione imprevista sino a pochi giorni prima. Quando suo padre si rialzò, Maranur si volse, impaziente di conoscere il suo pensiero. Il patriarca gli sembrò fosse invecchiato di colpo. Il peso delle responsabilità lo stava schiacciando, nonostante la sua lunga esperienza a capo della comunità.

“Ci attendono tempi molto duri, figlio mio, indipendentemente dalle decisioni che prenderemo. Oggi abbiamo sancito una frattura con il potere religioso e il nostro popolo è molto sensibile alla fede propinata dal sommo sciamano e dai suoi accoliti”

Gontolin Danvas si spostò di fronte alla libreria e scelse con cura un volume.

“Questo libro risale a migliaia di cicli e narra la genesi della nostra fede nei quattro dèi principali e nella miriade di divinità minori che risiedono all'interno della montagna sacra. Nessun patriarca ha mai messo in discussione queste parole che gli sciamani si sono impegnati a divulgare con qualsiasi mezzo”

Si rigirò il libro tra le mani, lo sguardo fisso sui rilievi della copertina.

“Ma credo tu abbia ragione. La nostra isola mai ha subito una devastazione così violenta e l'ipotesi di abbandonarla, sino a quando la montagna non si sarà placata, potrebbe rivelarsi la scelta più ragionevole. Ma credi davvero che il popolo sarà disposto ad ascoltare le nostre argomentazioni dopo che Dar El Monfur avrà raccontato come intende placare l'ira degli dèi?”

Maranur comprese le perplessità di suo padre e annuì pensieroso.

“Non avremmo dovuto lasciarlo uscire da solo. Avrei dovuto accompagnarlo ed impedirgli di pontificare”

“Sarebbe servito solo a ritardare l'inevitabile. La reputazione di Dar El Monfur è tale da concedergli un credito illimitato che non esita ad esigere presso tutte le casate e le gilde. La sua rete di adepti sarà già al lavoro, stanne certo. Ora però è inutile rimuginare sul passato. Ho deciso di convocare il consiglio e tu esporrai il tuo piano”

Maranur fu colto di sorpresa. Sgranò gli occhi e balbettò “Io... io, di fronte al consiglio?”

“Certo. Tu hai visto la devastazione e quanto sarà difficile riparare i danni provocati dalla natura. Fornirai un resoconto dettagliato e preciso, illustrando tutte le conseguenze immediate e future. Dovrai essere convincente, ma, intanto, occorre allertare i nostri uomini e far preparare le nostre navi in vista di un possibile esodo”

P. Sacchi

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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